Spigolature

L'ANGOLINO DELLE RIFLESSIONI FAMOSE

""Quando un popolo, divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere come capi dei coppieri
che gliene versano a volontà, sino ad ubriacarlo, accade che, se i governatori resistono alle
richieste dei sempre più esigenti sudditi son dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si
dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere e servo ;
che il padre impaurito finisce col trattare il figlio come suo pari e non è rispettato, che il
maestro non osa rimproverare gli scolari, e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani
pretendono gli stessi diritti dei vecchi, e questi, per non parere troppo severi, danno
ragione ai giovani. In questo clima di libertà nel nome della medesima, non vi è più
riguardo né rispetto per nessuno, e in mezzo a tanta licenza, nasce e si sviluppa una
mala pianta: la tirannia.
 
Er grillo zoppo
(Trilussa)


– Ormai me reggo su ‘na cianca sola.
– diceva un Grillo – Quella che me manca
m’arimase attaccata a la cappiola.
Quanno m’accorsi d’esse priggioniero
col laccio ar piede, in mano a un regazzino,
nun c’ebbi che un pensiero:
de rivolà in giardino.
Er dolore fu granne… ma la stilla
de sangue che sortì da la ferita
brillò ner sole come una favilla.
E forse un giorno Iddio benedirà
ogni goccia de sangue ch’è servita
pe’ scrive la parola Libbertà!
 
l'angolino del sorriso


CHI CERCA…..TROVA ….non sempre …

--Ciao, tu di che cosa sei morto?
--Io sono morto congelato e tu?
--Sono morto di gioia.
--come sei morto di gioia, spiegati meglio…..
--Sono tornato a casa e ho trovato mia
moglie nel letto, completamente n.uda e
allora ho cominciato a cercare l’amante sotto il letto,
nel bagno ,in cucina, negli armadi.....e siccome non
l'ho trovato, è stata così forte la gioia che il cuore
non ha retto.
--c.oglione Se aprivi il congelatore ora saremmo ancora
vivi tutti e due!
 
LA STORIA DEI DUE VASI CINESI

Una anziana donna cinese possedeva due grandi vasi, appesi alle estremità di un lungo bastone che portava bilanciandolo sul collo.
Uno dei due vasi aveva una crepa, mentre l'altro era intero. Così alla fine del lungo tragitto dalla fonte a casa, il vaso intero arrivava sempre pieno, mentre quello con la crepa arrivava sempre mezzo vuoto.
Per oltre due anni, ogni giorno l'anziana donna riportò a casa sempre un
vaso e mezzo di acqua.

Ovviamente il vaso intero era fiero di se stesso, mentre il vaso rotto si vergognava terribilmente della sua imperfezione e di riuscire a svolgere solo metà del suo compito. Dopo due anni, finalmente trovò il coraggio di parlare con l'anziana donna, e dalla sua estremità del bastone le disse: "Mi vergogno di me stesso, perché la mia crepa ti fa portare a casa solo metà dell'acqua che prendi".

L'anziana donna sorrise "Hai notato che sul tuo lato della strada ci sono sempre dei fiori, mentre non ci sono sull'altro lato? Questo succede perché, dal momento che so che tu hai una crepa e lasci filtrare l'acqua, ho piantato semi di fiori solo sul tuo lato della strada. Così ogni giorno, tornando a casa, tu innaffi i fiori.
Per due anni io ho potuto raccogliere dei fiori che hanno rallegrato la mia casa e la mia tavola. Se tu non fossi così come sei, non avrei mai avuto la loro bellezza a rallegrare la mia abitazione"

Ciascuno di noi ha il suo lato debole. Ma sono le crepe e le imperfezioni che ciascuno di noi ha che rendono la nostra vita insieme interessante e degna di essere vissuta.
Devi solo essere capace di prendere ciascuna persona per quello che è, e scoprire il suo lato positivo.
Buona giornata a tutti coloro che si sentono un vaso rotto, e ricordatevi di godere del profumo dei fiori sul vostro lato della strada!
 
Citazioni sui giovani di “oggi” Ai miei tempi…….

Di chi sono le frasi qui‘ riportate?

Di qualche scrittore contemporaneo? Di genitori o professori amareggiati d'oggi?

No! Sentite!


1. “La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani. I ragazzi d’oggi sono tiranni. Non si alzano in piedi quando un anziano entra in un ambiente, rispondono male ai loro genitori...”

La citazione è di Socrate, filosofo greco, che visse dal 469 al 399 prima di Cristo.


2. “Non ho più speranza alcuna per l’avvenire del nostro Paese, se la gioventù d’oggi prenderà domani il comando, perché è una gioventù senza ritegno e pericolosa”

La citazione è del poeta greco Esidio, vissuto 720 anni prima di Cristo.


3. “Il nostro mondo ha raggiunto uno stadio critico. I ragazzi non ascoltano più i loro genitori. La fine del mondo non può essere lontana”

La citazione è di un sacerdote egiziano che viveva 2000 anni prima di Cristo.


4. “Questa gioventù è guasta fino in fondo al cuore. Non sarà mai come quella di una volta. Quella di oggi non sarà capace di conservare la nostra cultura...”

La citazione è stata scoperta recentemente in una cava di argilla tra le rovine di Babilonia, ed avrebbe più di 3000 anni.


5. “Oggi il padre teme i figli. I figli si credono uguali al padre e non hanno né rispetto né stima per i genitori. Ciò che essi vogliono è essere liberi. Il professore ha paura degli allievi, gli allievi insultano i professori; i giovani esigono immediatamente il posto degli anziani; gli anziani, per non apparire retrogradi o dispotici, acconsentono a tale cedimento e, a corona di tutto, in nome della libertà e dell'ugualianza, si reclama la libertà dei sessi”

La citazione è tolta dal libro VIII de "La Repubblica" di Platone, vissuto dal 428 al 347 prima di Cristo.



Conclusione?

Non c'è nulla di nuovo sotto il sole! se avessimo un pò più di senso storico, non vivremmo in retromarcia, non cadremmo nel "complesso del gambero". Non saremmo "tarantolati" da inutili pensieri lagnosi. Saremmo più simpatici a tutti, a cominciare dai nostri ragazzi!


Preso da "Largo all'ottimismo!" di Pino Pellegrino

Bisognerebbe preoccuparsi di meno ed occuparsi di più dei giovani
 
TRILUSSA E LA GIOVENTU’

Pe’ conto mio la favola più corta
è quella che se chiama Gioventù:
perché… c’era una vorta…
e adesso non c’è più.

E la più lunga? E’ quella de la Vita:
la sento raccontà da che sto ar monno,
e un giorno, forse, cascherò dar sonno
prima che sia finita…
 
Non ci sono più le stagioni di una volta


...e non è soltanto un luogo comune di Duilio Curradi



Nelle pagine di questo nostro Notiziario abbiamo già parlato dell’innalzamento della temperatura del nostro Pianeta, delle cause, delle conseguenze e di alcuni possibili rimedi.
Proviamo adesso a vedere se riusciamo a dare un senso alla frase che abbiamo usato come titolo e che ci ritroviamo a pronunciare sempre più spesso.
Cos’è, innanzi tutto, una stagione?
Secondo gli Astronomi le stagioni sono legate al movimento degli astri, ovvero, nel nostro caso, al movimento della terra intorno al sole.
Il nostro Pianeta, che in 365 giorni percorre un’orbita ellittica intorno al sole e ruota su se stesso intorno ad un asse inclinato, viene irraggiato dal sole in maniera diversa nell’arco dell’anno. Da qui il susseguirsi delle quattro stagioni astronomiche.
Durante l’inverno il nostro emisfero nord viene irraggiato di meno, e quindi fa più freddo. D’estate, grazie ad un irraggiamento maggiore, fa più caldo.
Naturalmente succede il contrario nell’emisfero sud. Se andate, ad esempio, a trascorrere il Natale in Australia (magari senza il camper) portatevi il costume da bagno.
Questo meccanismo non cambia, ne possiamo essere sicuri. Perché, allora, le nostre stagioni si comportano in maniera sempre più bizzarra?
Ecco che qui entra in scena il climatologo.
Il compito di questo esperto è, almeno in questo caso, assai complesso. Lui deve tenere conto di numerosi fattori quali, ad esempio, la presenza delle montagne, la vicinanza del mare e, cosa molto importante, la temperatura media.
Ed è proprio questa temperatura che, con il suo progressivo innalzamento, crea gli scombussolamenti che ci portano a dire che le stagioni sono cambiate.
Gli inverni sono meno freddi e le estati più calde. Primavera ed autunno sembrano avere le idee sempre più confuse. E la situazione pare destinata ad evolvere in maniera negativa. Con l’aumento della temperatura media, valutato da alcuni in 2 gradi, e da altri in 4-5 intorno al 2050, i fenomeni si accentueranno.
Al di là di quello che abbiamo già detto nel Notiziario precedente, alcune conseguenze si vedono già nella natura che ci circonda più da vicino.
Quanti di noi posseggono un giardino, un orto o, quantomeno, grazie agli splendidi luoghi nei quali abbiamo la fortuna di abitare, possono osservare alberi, fiori e animali.
Tutti abbiamo notato che le gemme spuntano prima e di conseguenza anche la fioritura è più precoce.
Secondo alcuni studiosi pare che questo ciclo si sia anticipato di circa una settimana negli ultimi trent’anni.
E gli animali?
Noi animali umani brontoliamo un po’, ma poi ci procuriamo un bel condizionatore d’aria con il quale, a fronte di un momentaneo sollievo, contribuiamo a peggiorare la situazione generale. Ma sulla terra non ci siamo solo noi, come animali. Anzi, siamo gli ultimi arrivati, anche se di gran lunga i più pericolosi.
Un bell’esempio ci viene dal ciclo della quercia, del bruco e della cinciallegra. Una volta, a primavera, facevano capolino le foglie della quercia, poi si dischiudevano i bruchi che se ne cibavano e, alla fine, arrivavano le cinciallegre che mangiavano i bruchi.
Il ciclo della quercia, del bruco e della cinciallegra
Tutto sembra in equilibrio. Ma si tratta di un equilibrio assai fragile.
Animali e vegetali non reagiscono allo stesso modo ai mutamenti climatici e, soprattutto, alle variazioni di temperatura.
Si verifica perciò quella perdita di sincronismo per cui i bruchi nascono prima che siano nate le foglie delle querce, e quindi fanno la fame, e la stessa triste sorte tocca alle simpaticissime cinciallegre. E’ vero che molti di noi piazzano in giardino quelle palline di grasso delle quali vanno ghiotti questi uccelli. Ma non si può certo considerare questa una soluzione.
Situazioni di questo tipo si verificano in molti altri casi e le conseguenze generali rischiano di essere assai gravi.
Sono ovviamente indispensabili scelte importanti a livello planetario, ma è il comportamento di ciascuno di noi che può contribuire a contenere le conseguenze negative per l’intero ecosistema.
Anche noi, amanti del plein air e della natura come siamo, o pretendiamo di essere, dobbiamo porci in una posizione virtuosa ed esemplare.
 
LE STAGIONI DELLA VITA

E venne il tempo dell’asfodelo,
della mimosa,
della rosa odorosa,
degli sguardi acerbi,
degli abbracci inermi
nella via silenziosa……

E venne il tempo del melograno,
della spiga matura,
del sentimento che dura
e ti tiene per mano
guardando lontano
oltre il melograno che ci sfiora…..

E venne il tempo dell’uva matura,
della castagna nascosta
tra le foglie del bosco,
del profumo di mosto,
della terra smossa,
del seme gettato nel solco arato,
del cuore sfinito da un amore finito
da un affetto trovato…….

E verrà il tempo del cielo grigio,
della neve bianca,
della mano stanca che trema un poco;
delle speranze perdute,
dei rimpianti cocenti,
del buio angoscioso che ti darà riposo
e ti porta via………

Maryella
 
E crescendo impari....

di Anonimo

E crescendo impari che la felicità non e' quella delle grandi cose.
Non e' quella che si insegue a vent'anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi...
La felicità non e' quella che affannosamente si insegue credendo che l'amore sia tutto o niente,...
non e' quella delle emozioni forti che fanno il "botto" e che esplodono fuori con tuoni spettacolari...,
la felicità non e' quella di grattacieli da scalare, di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova.
Crescendo impari che la felicità e' fatta di cose piccole ma preziose....
...e impari che il profumo del caffè al mattino e' un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentire una felicità lieve.
E impari che la felicità e' fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi,
e impari che un campo di girasoli sa illuminarti il volto, che il profumo della primavera ti sveglia dall'inverno, e che sederti a leggere all'ombra di un albero rilassa e libera i pensieri.

E impari che l'amore e' fatto di sensazioni delicate, di piccole scintille allo stomaco, di presenze vicine anche se lontane, e impari che il tempo si dilata e che quei 5 minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore,
e impari che basta chiudere gli occhi, accendere i sensi, sfornellare in cucina, leggere una poesia, scrivere su un libro o guardare una foto per annullare il tempo e le distanze ed essere con chi ami.

E impari che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccolo attimi felici.
E impari ad avere, nel cassetto e nel cuore, sogni piccoli ma preziosi.

E impari che tenere in braccio un bimbo e' una deliziosa felicità.
E impari che i regali più grandi sono quelli che parlano delle persone che ami...
E impari che c'e' felicità anche in quella urgenza di scrivere su un foglio i tuoi pensieri, che c'e' qualcosa di amaramente felice anche nella malinconia.

E impari che nonostante le tue difese,
nonostante il tuo volere o il tuo destino,
in ogni gabbiano che vola c'e' nel cuore un piccolo-grande
Jonathan Livingston.
E impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità.
 
il divorzio ha rovinato le famiglie


È possibile salvare i figli dal dolore di un divorzio?


Ci si lascia sempre di più. Ogni giorno 280 matrimoni finiscono con una separazione. E a pagarne le conseguenze sono quasi sempre i bambini. Ma dirsi addio senza traumi per i piccoli è possibile. Ne è convinta la psicologa Anna Oliverio Ferraris, che a questo tema ha dedicato il suo nuovo libro

Sono malati di fragilità i matrimoni del nostro tempo. E si sgretolano sempre di più. Ogni giorno, dicono i dati più recenti, in Italia circa 280 coppie decidono di separarsi (erano 197 nel 2000) e 140 (erano 105 nel 2000) compiono il passo definitivo del divorzio. Cifre che nascondono oceani di lacrime e vuoti a volte incolmabili. Soprattutto quando, a osservare i due litiganti che si rovesciano addosso rancori e delusioni, c'è lo sguardo incolpevole di un bambino. Perché dalle guerre tra mamme e papà i figli ne escono spesso con le ossa rotte. Ma limitare al minimo i danni di un'unione che crolla è possibile.

È il tema di Dai figli non si divorzia (Rizzoli), della psicologa e psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris, nelle librerie dal 12 gennaio. Un libro che, come dice il sottotitolo, è una guida per "separarsi e rimanere buoni genitori". Nasce da uno studio realizzato su sessanta persone, dagli 8 ai 56 anni, che hanno vissuto divorzi e separazioni nello scomodo ruolo di figli. In questa intervista, l'autrice ci spiega come far continuare a vivere una famiglia. Anche se la coppia non c'è più.

Dottoressa Oliverio Ferraris, che cosa intende quando sostiene che dai figli non si divorzia?

«Il divorzio dovrebbe mettere fine solo alla coppia, non a quella che noi psicologi chiamiamo la genitorialità. Invece succede che alcuni genitori, dopo la separazione, rinunciano al ruolo di madre o padre e cominciano a vedere sempre meno i figli e a disinteressarsi di tutto ciò che li riguarda».

Perché succede?

«A volte è una scelta. Irresponsabile, ovviamente. Altre volte uno dei due vorrebbe continuare a fare il genitore, ma finisce per abbandonare il campo, deluso e frustrato dai troppi litigi, dalle continue accuse e dai "no" dell'altro. Parte della colpa è anche degli avvocati che seguono il divorzio».

In che senso?

«Siccome sono impegnati a ottenere il massimo per il loro cliente, a "vincere", invece di facilitare la comunicazione tra marito e moglie, attizzano i conflitti. Vanno a caccia di cavilli che esasperano le tensioni. Ma non esistono vittorie se di mezzo ci vanno i figli».

Immaginiamo, allora, un percorso di separazione ideale. Esiste la formula perfetta per annunciare a un figlio che mamma e papà vogliono lasciarsi?

«Anche quando viene data con tutte le cautele, la notizia di una separazione è scioccante. Posso dire che assomiglia molto a quella della morte di una persona cara. Può essere dolorosa anche quando è stata preceduta da segnali premonitori. Se è improvvisa, poi, al dolore si aggiunge lo sconcerto, la difficoltà di capire. L'importante, allora, è rassicurare i figli sul fatto che ciò che sta succedendo non è colpa loro. Che la cosa riguarda solo mamma e papà e che, se è vero che qualcosa cambierà nella vita di tutti i giorni, il loro affetto per i figli resterà intatto».

Come si può far accettare a un ragazzino l'idea che uno dei genitori sta per andarsene di casa?

«Bisogna subito spiegare che i contatti con chi se ne va non saranno interrotti. Che si farà tutto il possibile per mantenere stretti i rapporti. L'ideale sarebbe che l'annuncio della separazione fosse fatto dai genitori insieme».

Ma se la reazione dei figli è di rifiuto netto, di fuga, di rabbia inconsolabile, che cosa devono fare i genitori?

«Lasciare i figli liberi di esprimere i loro sentimenti anche se sono negativi. Non farli sentire in colpa per la loro reazione. Anzi, spesso i bambini queste emozioni non le esprimono affatto. Un padre e una madre, invece, dovrebbero aiutarli a tirarle fuori. Per poi tornare sopra all'argomento. Bisogna lasciare aperto il dialogo su questo amore finito, rispondere alle richieste di spiegazioni che sicuramente i figli pretenderanno. Naturalmente usando un linguaggio che tenga conto dell'età».

Ogni tipo di domanda deve avere una risposta?

«È fondamentale la sincerità, la trasparenza, ma ci sono cose che non possono essere confessate. Se una madre decide di lasciare il marito perché non sopporta certe sue perversioni sessuali o perché quell'uomo la picchia, è meglio che non racconti al figlio i veri motivi della separazione. I bambini lavorano con l'immaginazione su queste cose così intime, finiscono per ingigantire i problemi e farsene assorbire completamente».

E allora in casi in cui è meglio evitare i dettagli più scabrosi che cosa si dovrebbe dire?

«Che mamma e papà non vanno più d'accordo. Che erano innamorati quando si sono messi insieme e che il figlio è nato da quel rapporto d'amore. Ma le cose possono cambiare e può succedere che un uomo e una donna a un certo punto non si capiscano più».

Quali sono gli errori più frequenti commessi dai genitori?

«Fanno cadere i figli nel cosiddetto conflitto di lealtà. Cioè una situazione in cui il bambino ha la sensazione che, se vuole bene a uno dei due o gli dà ragione, l'altro si arrabbia, si ingelosisce. Molti genitori, poi, troncano i rapporti con l'ex partner che è uscito di casa, demoliscono la sua immagine. Ne parlano malissimo per punirlo o per conquistare l'affetto totale del figlio. Bisogna tenere conto invece che, anche se l'altro fosse una persona indegna, un bambino potrebbe avere bisogno di un filo che lo tenga legato a quel padre o quella madre perché, comunque sia, gli ha voluto bene. Purtroppo, dietro le separazioni ci sono veri drammi. Ho visto anche alcuni padri cominciare a maltrattare i figli per vendicarsi della madre».

Una separazione che conseguenze psicologiche può avere su un figlio?

«L'età è importante. I bambini più piccoli manifestano il disagio attraverso il corpo: dormono meno, si svegliano più spesso, piangono più del solito, fanno storie al momento dei pasti. Tra i tre e i sei anni possono riprendere a fare pipì a letto o a succhiarsi il pollice. Quando iniziano ad andare a scuola, alcuni diventano aggressivi, altri si isolano. Una strategia diffusa è distrarre i genitori dai loro conflitti cercando di attirare l'attenzione su di sé».

E nell'adolescenza?

«Normalmente gli adolescenti si adattano meglio dei piccoli alla nuova situazione. Alcuni reagiscono tuffandosi nello studio, nella musica, nell'amore. Altri fanno i ribelli, gli spregiudicati».

Nel caso in cui, dopo la separazione, i genitori trovino un altro partner, quali errori si devono evitare?

«Mai dire: "Questo è il tuo nuovo papà o la nuova mamma". Oppure pretendere da subito che il figlio accetti ordini da questa terza persona. Ci vuole tempo perché un bambino assimili la novità. Più è piccolo, più la cosa succederà in fretta. Del resto, un figlio è contento di vedere che anche la madre o il padre sono felici».

È giusto chiedere il consenso al figlio per iniziare una nuova convivenza?

«No, perché anche i genitori hanno i loro diritti. Però serve gradualità, non si può imporre di punto in bianco la presenza di un estraneo. Deve esserci prima una conoscenza, fatta di inviti, cene, giornate trascorse assieme».

La convivenza forzata di una madre e un padre che non si amano più può essere preferibile alla separazione?

«È un dilemma che vivono in molti. Ma una risposta unica non esiste. Le valutazioni si fanno caso per caso. Certo è che la maggior parte dei figli, soprattutto se sono bambini, vorrebbero che i genitori stessero insieme per sempre. È l'istinto di sopravvivenza. I bambini hanno bisogno di protezione e garanzie. Percepiscono senza ombra di dubbio che la loro forza risiede negli adulti che si prendono cura di loro. Così, quando si rendono conto che questa forza sta diminuendo, cercano di darsi da fare per recuperarla. Ma sappiamo anche che assistere allo spettacolo di un'infelicità che giorno dopo giorno inghiotte un matrimonio può essere un'esperienza logorante».

Con quali conseguenze?

«Ragazzini che per anni hanno vissuto tra discordie e incomprensioni possono diventare ansiosi nei rapporti con gli altri. Temere di fallire anche in cose molto semplici, o sviluppare un bisogno nevrotico di possesso nei confronti degli amici».

Ma 35 anni di divorzi (la legge è del 1970) non sono serviti a nulla?

«Finché non accettiamo l'idea che dai figli non si divorzia, ci sarà ancora tanto dolore inutile».
 
Er matrimonio

Er matrimonio? Possin’ammazzà
Si dopo tutto quello ch’è successo
Pensassi ancora de volé sposa.
Sto troppo bene, io, da solo adesso.

Io nun capisco poi chi vò provà
‘N’antra vòrta tutto quer processo
De carte, bolli e giri, e qua e là
Ch’io butterebbe tutto quanto al cesso.

Si propio vòi sapé la verità,
Da quanno c’è er divorzio hai da capì
Che nun c’è propio gusto ner pijà

‘Na moje che te lascia lì per lì.
Te leva casa, fiji e dignità
E er giudice je dice sempre sì.
 
POPULISMO

Esistono alcune parole che, nell’attuale scenario in Italia, vengono spesso usate dai politici e dai mass media in modo per lo più improprio. Ci è possibile notare che più determinate parole sono inflazionate, più sono al tempo stesso usate in modo scorretto: con ciò la nostra classe politica, che è l’artefice spavalda di questa manipolazione, dimostra così di essere doppiamente miserevole, sia per la crassa ignoranza culturale, sia per l’abietta disonestà intellettuale. Un termine che rappresenta al meglio questa distorsione politico-mediatica è “Populismo”: questa è, almeno adesso, una delle parole maggiormente abusate nella scena politica e mediatica nazionale.
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Dall’esplosione dello tsunami di Beppe Grillo e l’ingresso da gigante del Movimento Cinque Stelle dentro al Parlamento, la parola “populismo” è diventata una delle più storpiate da qualsiasi mezzo d’informazione e all’interno di qualsiasi discorso politico. Il dizionario Treccani afferma che per “populismo” si intende il “movimento culturale e politico sviluppatosi in Russia” tra il 19° e 20° secolo, “che si proponeva di raggiungere […] un miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate, specialmente dei contadini e dei servi della gleba”. Attenendosi dunque al significato proprio e originario di questo termine, non vi troviamo assolutamente niente di negativo o di criticabile, mentre quando chicchessia usa questa parola oggi, le conferisce un significato dispregiativo, confondendola di fatto con un’altra parola, che in realtà è “demagogia“.

Facciamoci caso: quando (troppo spesso) si sente parlare il politico di turno, riferendosi al Movimento Cinque Stelle nel suo complesso, la parola più benevola che pronuncia è “populista” o “populismo”, intendendola comunque come se fosse un sinonimo di “demagogo” o “demagogia”. Restando in tema “Populismo/Movimento Cinque Stelle”, trovo significative le parole di Noam Chomsky che, riflettendo sul V-Day del 2007, giudica “interessante” l’accusa di “populismo” mossa a Beppe Grillo. Chomsky ci dà un’ottima definizione: “Populismo significa appellarsi alla popolazione“. Chi detiene il potere vuole invece che la popolazione venga “tenuta lontana dalla gestione degli affari pubblici”. Chomsky ritiene al contrario che “la popolazione dovrebbe essere partecipe e non spettatrice”.

Tenere la popolazione lontana dalla cosa pubblica è una posizione “comune tra i liberal, gli intellettuali democratici e, da loro, si trasferisce alle classi dirigenti”. Ciò, unito al fatto che le figure che vengono candidate alle elezioni sono “create dal mondo economico” (perché create tramite finanziamenti di tipo lobbistico e commerciale), contribuisce ad attribuire ai partiti una funzione totalmente “apolitica”, trasformandoli di fatto in macchine addette alla “produzione di candidati attraverso meccanismi che sono controllati da concentrazioni di potere economico che emarginano la popolazione”.

Se per populismo dunque si intende una concezione della politica che ravvicini i cittadini alla cosa pubblica e dia la priorità agli interessi della popolazione anziché a quelli ristretti di una esigua élite di privilegiati, la cosa non è solo positiva, ma ha un nome preciso: “democrazia”. Nello specifico, in Italia, in cui la contrapposizione tra “casta” (o, meglio, “caste”) e la cittadinanza è considerevolmente più netta e marcata rispetto a molti altri paesi europei, la volontà di una maggiore giustizia ed equità, non solo economica, ma anche di partecipazione democratica, non può che essere considerata altro che un sentimento nobile e giusto. L’errato utilizzo di questa parola (insieme a molti altri, purtroppo) denota quanto la politica e l’informazione, intrinsecamente e patologicamente collegate, seguano più una “moda” nel parlare e nell’usare certi termini, quando in realtà questa gente non sa neanche di che cosa sta parlando.

Temo però (e questo sarebbe l’aspetto più grave e deleterio) che l’intento sottile perseguito da questa operazione consista nel voler far passare nella testa della gente l’idea ultima che qualsivoglia difesa degli interessi popolari, quantunque nobile in sé, sia purtroppo illusoria, utopica, perché in contrasto con la dura realtà economica e le sue immodificabili leggi liberistiche. Insomma, una pia quanto infantile posizione da “anime belle”, a fronte di una coriacea realtà con cui invece occorre confrontarsi in modo maturo.

di Niccolò Talenti
 
La cornacchia libberale

Trilussa


Una cornacchia nera come un tizzo,
nata e cresciuta drento 'na chiesola,
siccome je pijo lo schiribbizzo
de fa' la libberale e d'uscì sola,
s'infarinò le penne e scappò via
dar finestrino de la sacrestia.

Ammalappena se trovò per aria
coll'ale aperte in faccia a la natura,
sentì quant'era bella e necessaria
la vera libbertà senza tintura:
l'intese così bene che je venne
come un rimorso e se sgrullò le penne.

Naturarmente, doppo la sgrullata,
metà de la farina se n''agnede,
ma la metà rimase appiccicata
come una prova de la malafede.
- Oh! - disse allora - mo' l'ho fatta bella!
So' bianca e nera come un purcinella...

- E se resti così farai furore:
- je disse un Merlo - forse te diranno
che sei l'ucello d'un conservatore,
ma nun te crede che te faccia danno:
la mezza tinta adesso va de moda
puro fra l'animali senza coda.

Oggi che la coscenza nazzionale
s'adatta a le finzioni de la vita,
oggi ch'er prete è mezzo libberale
e er libberale è mezzo gesuita,
se resti mezza bianca e mezza nera
vedrai che t'assicuri la cariera.
 
Stiamo vivendo veramente tempi duri,la crisi erode i nostri
piccoli risparmi e il nostro paese chiede ai propri cittadini
dei sacrifici per evitare la bancarotta. Naturalmente è chiaro
che i sacrifici devono essere equamente distribuiti e una
favoletta ce ne offre un encomiabile esempio:

""Un giorno una gallina ed un maiale si trovarono a passeggiare
insieme. Arrivati in una larga piazza videro un enorme cartello
con scritto: "Il mondo ha fame . Bisogna sfamare il mondo,
aiutateci!" La Gallina guardò il maiale e con tono molto serio
disse: E' giusto, anche noi possiamo dare qualcosa, daremo
uova e prosciutto......""

E poi ci vengono a dire che non c'è animale più stupido della gallina!!!
 
ADDIO ESTATE- ECCO IL QUANDO E IL PERCHE' DELL'EQUINOZIO

Rispetto alle altre stagioni, l’equinozio d’autunno è quello più tardivo: esso accade sempre in una data che varia dal 21 e il 23 Settembre in base a una legge astronomica chiamata “seconda legge di Keplero“.



Questa legge, infatti, dice che il movimento della terra risulta leggermente più lento quando la terra, nel percorrere la sua orbita, è più vicina all’afelio. Nei prossimi decenni, inoltre, si prevede un ulteriore slittamento di questo momento che potrà variare dal 22 al 23 Settembre.

Tale slittamento è dovuto sostanzialmente all’organizzazione umana dell’anno solare con la presenza di anni bisestili nel calendario gregoriano. Tale organizzazione dei giorni, infatti, non corrisponde propriamente con l’anno solare e ha reso necessario il progressivo spostamento di un giorno di tutti gli avvenimenti celesti.
Perchè è così importante?

Per capire l’importanza di questo avvenimento è bene fare un salto a retroso nel tempo fino ad arrivare nell’antica Roma. I romani, infatti, lo chiamavano con il termine latino Aequinoctium, una parola composta da aequa e nox: indicava il momento nell’anno in cui la notte era di durata uguale al giorno.


Questo momento accade astronomicamente due volte l’anno: a settembre e a marzo rispettivamente per l’equinozio d’autunno e quello di primavera. In questi due giorni, in tutto il pianeta ci saranno perfettamente 12 ore di buio e 12 di luce.

Al contrario, il solstizio è quello che comporta l’arrivo dell’estate e dell’inverno: questi avvenimenti cadono nel giorno in cui l’emisfero Nord della Terra riceve il massimo in estate e il minimo in inverno numero di ore di luce all'anno.
 

AUTUNNO



Iniziano a cadere le foglie
stanche ormai di ciondolare dai rami,
sazie di sole e di pioggia,
percosse e violentate
dal vento prepotente
che ora le induce a posarsi
librandosi qua e la'
come farfalle impazzite....

Maryella
 
L'ANGOLINO DEL SORRISO


Diversi uomini ignudi chiacchierano piacevolmente in una sauna, quando all’improvviso un telefonino si mette a suonare… –
Pronto, caro, sono davanti ad un negozio di pellicce, hanno un visone magnifico, a un prezzo incredibile… Che dici, lo compro?
– OK… comprati il tuo visone. –
Oh, grazie amore mio. Ah, sai, passando davanti al concessionario Mercedes ho visto l’ultimo coupe’: interni in pelle, vernice metallizzata… solo 170.000 €. Non voglio abusare della tua gentilezza, ma cosa ne pensi?
– Va bene, OK, OK, comprala! –
Grazie amore mio. A proposito, ti ricordi il nostro ultimo viaggio in costa azzurra? Ricordi la casa sul promontorio, quella con piscina e campo da tennis? E’ in vendita a soli 700 milioni… e’ un vero affare…
– Va bene, compra anche la casa… –
Amore mio…e’ il piu’ bel giorno della mia vita! Tu sei meraviglioso, ti amo! A stasera.
– A stasera, cara.
L’uomo riattacca, sorride soddisfatto, poi alza la mano e, sventolando il telefonino, grida:

– DI CHI E’ QUESTO CELLULARE???
 
La vera storia dei Pellerossa

da Matteo Ghisolfi

Ricordati falsamente nei western e nel cimema americano del secolo scorso perlopiù come minacce per i pionieri in ricerca dell’oro o come selvaggi assassini che assaltavano le diligenze, i Pellerossa furono in realtà piuttosto vittime di un assedio da parte del governo e dall’esercito statunitense, perpetrato per ragioni prettamente economiche e territoriali. secondo gli storici furono decine di milioni i Pellerossa morti in 200 anni: un vero e proprio genocidio. Per lungo tempo un simile sterminio venne ignorato o sottovalutato dalla storiografia ufficiale, perlomeno fino alla metà del XX secolo.

Sfatiamo il falso con la realtà dei fatti:

Non c’erano grandi capi tribù. Esistevano esperti per la guerra, sciamani, uomini di medicina e così via. Grandi indiani come Nuvola Rossa o Cavallo Pazzo erano nati dal bisogno di coalizzarsi contro i “visi pallidi”. Tutte le decisioni venivano prese dai consigli delle tribù. Si ritiene che la Costituzione americana abbia preso spunto anche dalla democrazia degli Irochesi!.

Augh! Gli indiani non si salutavano con “augh”, bensì con “hog”. L’errore comune deriva dal modo in cui gli inglesi trascrivevano il saluto, ”haug”.

Un popolo imbattuto: I Seminole. «La loro forza era aver stabilito un patto di rispetto con la natura, l’essere stati una società pacifica e matriarcale, aperta all’accoglienza. Anche sessuale. L’amore tra una donna della loro tribù e chi arrivava da terre lontane era benvisto, portatore di figli sani e vigorosi» racconta Dario Fo nel suo libro Storia proibita dell’America.

Macabri per necessità? Collezionare scalpi come cimeli di guerra non era tipico della cultura nativa americana. Fu adottato dalla resistenza indiana durante gli scontri tra francesi ed inglesi, i quali davano un premio ai soldati per ogni indiano ucciso.

Vecchi saggi. Le tribù indiane non erano assistenziali. Quando i vecchi, nonostante fossero molto ascoltati, diventavano un peso in genere si allontanavano dal gruppo per andare a morire.

Il cavallo selvatico fu reintrodotto per sbaglio in Nord America. Un gruppo di cavalli scappati da un forte spagnolo in Messico nel 1600 (circa) diede origine alla razza dei mustang. Gli indiani riuscirono ad addomesticarli abilmente inventando persino uno specifico stile di cavalcata.

Geronimo! Geronimo fu un condottiero nativo americano, si tratta di uno dei più famosi capi degli Apache, che per oltre 25 anni guerreggiò contro gli Stati Uniti e la loro espansione ad occidente. L’abitudine a gridare “Geronimo” deriva da alcuni paracadutisti dell’esercito degli Stati Uniti d’America, i quali videro l’omonimo film del 1939 in cui il protagonista urlava il suo nome prima di lanciarsi da un alto burrone in un fiume. Il soldato scelto Aubrey Eberhardt per primo decise di imitarlo per dimostrare che non aveva paura e fu poi seguito dai suoi compagni: da li poi il grido si diffuse nella cultura popolare.
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QUESTIONE DI PELLE

Trilussa

Che cane buffo! E dove l’ hai trovato? –
Er vecchio me rispose: – é brutto assai,
ma nun me lascia mai: s’ é affezzionato.
L’ unica compagnia che m’ é rimasta,
fra tanti amichi, é ‘ sto lupetto nero:
nun é de razza, é vero,
ma m’ é fedele e basta.
Io nun faccio questioni de colore:
l’ azzioni bone e belle
vengheno su dar core
sotto qualunque pelle.
 
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