Spigolature

Accogliere le parole prima di pronunciarle. Plutarco e l’esaltazione dell’ascolto


“L’Arte di Ascoltare” di Plutarco (traduzione di Mario Scaffidi Abbate) è un saggio estratto dai “Moralia”, dove il filosofo greco tocca un argomento quanto mai attuale.


La relazione con gli altri e la qualità di essa è, infatti, al centro dell’analisi di Plutarco, il quale pone come base la capacità di ascolto. L’uomo deve essere in grado di ascoltare lasciando da parte l’arroganza, l’odio, l’invidia e il protagonismo.
Abbiamo spesso sottolineato come l’ascolto “attivo” sia fondamentale per la costruzione di relazioni efficaci e per la gestione e risoluzione di incomprensioni e conflitti.
All’ascolto deve necessariamente seguire una capacità di analisi e di dialogo.
Plutarco si rivolge ai giovani perchè sono loro che devono, ad un certo punto della loro vita, guidare una società giusta.
Per questo “sbagliano i più a ritenere che i giovani debbano prima esercitarsi nell’arte della parola rispetto a quella di ascoltare” e, già nel 60 d.c. Plutarco vedeva i risultati negativi di tale tendenza.
Se chi gioca a palla “impara contemporaneamente a prenderla e lanciarla” – afferma il filosofo – “la parola bisogna prima imparare ad accoglierla bene per poi poterla pronunciare”.
La capacità di ascolto delle nuove generazioni è influenzata dai propri educatori. Sono infatti essi che devono “rendere le orecchie dei ragazzi sensibili alle parole e insegnare loro a non parlare molto ma ad ascoltare molto”.
E’ grazie a Plutarco che oggi conosciamo il famoso aforisma della predisposizione umana all’ascolto: “la natura ci ha dato due orecchie e una sola lingua perchè siamo tenuti più ad ascoltare che a parlare”.
Tale predispozione naturale è però fortemente a rischio e lo era evidentemente già ai tempi del filosofo. Quanto mai attuale è infatti la tendenza culturale a parlare per primi, aggredire, interrompere, rifiutare l’ascolto e la comprensione degli altri, esaltare solo le proprie ragioni in modo egoistico e con accesa smania di protagonismo.
Plutarco rifiutava tutto ciò ed elogiava quei rarissimi casi di persone che “sanno più di quanto non parlano”.
Plutarco esaltava anche il silenzio, necessario quando si ascolta davvero qualcuno. “Il silenzio è un ornamento sicuro, soprattutto per i giovani. Bisogna evitare di abbaiare ad ogni battuta, aspettando pazientemente che l’interlocutore abbia finito di esporre il suo pensiero, anche se non lo si condivide”. Infine è importante concedere lo spazio di correggersi in quanto bisogna dare il tempo a chi parla anche di chiarire ed, eventualmente, ritrattare qualche affermazione affrettata.
Chi rispetta gli altri mentre parlano ha più possibilità di trarre dalle parole ascoltate qualche spunto utile. Plutarco condanna senza esitazioni anche l’invidia. Essa è dannosa, soprattutto se associata all’odio e alla calunnia.
L’invidia impedisce un dibattito costruttivo e pacato in quanto qualsiasi cosa dica l’interlocutore, risulterà sgradita e inaccettabile.
L’invidia può nascere da rozzezza e ignoranza o da un “ingiustificato senso di superiorità” che si prova verso chi parla, senso di protagonismo che finisce per produrre effetti negativi sulle stesse persone che provano invidia.
L’invidioso misurerà tutto del suo interlocutore per paura di risultare inferiore nelle capacità, misurerà le reazioni del pubblico contando quelli che non applaudono per trarne giovamento.
Per questo oggi, chi è chiamato a risolvere situazioni conflittuali, deve necessariamente far capire alle parti il valore dell’ascolto senza pregiudizio e la capacità di analisi obiettiva dei contenuti di un discorso. Ne nascerà, quasi certamente, un dialogo costruttivo che porterà all’incontro e all’accordo.

Salvatore Primiceri
 
Mentre di guerra tace lo squillo, mentre il cannone dorme tranquillo, scordiamo, amico, per un momento, dei dì trascorsi l’ira e il dolor: alziamo un grido d’un cor contento viva l’Italia, viva l’amor. [...] Se i dì felici non son per noi splendano a quelli che verran poi! Come il colono che gitta il seme sperando il frutto del suo sudor, gridam lieti di quella speme viva l’Italia, viva l’amor.


Inno pacifista, 1866
 
LA POLITICA

Trilussa


Ner modo de pensà c’è un gran divario:
mi’ padre è democratico cristiano,
e, siccome è impiegato ar Vaticano,
tutte le sere recita er rosario;

de tre fratelli, Giggi ch’è er più anziano
è socialista rivoluzzionario;
io invece so’ monarchico, ar contrario
de Ludovico ch’è repubblicano.

Prima de cena liticamo spesso
pè via de ’sti princìpi benedetti:
chi vo’ qua, chi vo’ là... Pare un congresso!
 
Accogliere le parole prima di pronunciarle. Plutarco e l’esaltazione dell’ascoltoo



La relazione con gli altri e la qualità di essa è, infatti, al centro dell’analisi di Plutarco, il quale pone come base la capacità di ascolto. L’uomo deve essere in grado di ascoltare lasciando da parte l’arroganza, l’odio, l’invidia e il protagonismo.
Abbiamo spesso sottolineato come l’ascolto “attivo” sia fondamentale per la costruzione di relazioni efficaci e per la gestione e risoluzione di incomprensioni e conflitti.
All’ascolto deve necessariamente seguire una capacità di analisi e di dialogo.
Plutarco si rivolge ai giovani perchè sono loro che devono, ad un certo punto della loro vita, guidare una società giusta.
Per questo “sbagliano i più a ritenere che i giovani debbano prima esercitarsi nell’arte della parola rispetto a quella di ascoltare” e, già nel 60 d.c. Plutarco vedeva i risultati negativi di tale tendenza.
Se chi gioca a palla “impara contemporaneamente a prenderla e lanciarla” – afferma il filosofo – “la parola bisogna prima imparare ad accoglierla bene per poi poterla pronunciare”.
La capacità di ascolto delle nuove generazioni è influenzata dai propri educatori. Sono infatti essi che devono “rendere le orecchie dei ragazzi sensibili alle parole e insegnare loro a non parlare molto ma ad ascoltare molto”.
E’ grazie a Plutarco che oggi conosciamo il famoso aforisma della predisposizione umana all’ascolto: “la natura ci ha dato due orecchie e una sola lingua perchè siamo tenuti più ad ascoltare che a parlare”.
Tale predispozione naturale è però fortemente a rischio e lo era evidentemente già ai tempi del filosofo. Quanto mai attuale è infatti la tendenza culturale a parlare per primi, aggredire, interrompere, rifiutare l’ascolto e la comprensione degli altri, esaltare solo le proprie ragioni in modo egoistico e con accesa smania di protagonismo.
Plutarco rifiutava tutto ciò ed elogiava quei rarissimi casi di persone che “sanno più di quanto non parlano”.
Plutarco esaltava anche il silenzio, necessario quando si ascolta davvero qualcuno. “Il silenzio è un ornamento sicuro, soprattutto per i giovani. Bisogna evitare di abbaiare ad ogni battuta, aspettando pazientemente che l’interlocutore abbia finito di esporre il suo pensiero, anche se non lo si condivide”. Infine è importante concedere lo spazio di correggersi in quanto bisogna dare il tempo a chi parla anche di chiarire ed, eventualmente, ritrattare qualche affermazione affrettata.
Chi rispetta gli altri mentre parlano ha più possibilità di trarre dalle parole ascoltate qualche spunto utile. Plutarco condanna senza esitazioni anche l’invidia. Essa è dannosa, soprattutto se associata all’odio e alla calunnia.
L’invidia impedisce un dibattito costruttivo e pacato in quanto qualsiasi cosa dica l’interlocutore, risulterà sgradita e inaccettabile.
L’invidia può nascere da rozzezza e ignoranza o da un “ingiustificato senso di superiorità” che si prova verso chi parla, senso di protagonismo che finisce per produrre effetti negativi sulle stesse persone che provano invidia.
L’invidioso misurerà tutto del suo interlocutore per paura di risultare inferiore nelle capacità, misurerà le reazioni del pubblico contando quelli che non applaudono per trarne giovamento.
Per questo oggi, chi è chiamato a risolvere situazioni conflittuali, deve necessariamente far capire alle parti il valore dell’ascolto senza pregiudizio e la capacità di analisi obiettiva dei contenuti di un discorso. Ne nascerà, quasi certamente, un dialogo costruttivo che porterà all’incontro e all’accordo.

Salvatore Primiceri
 
L'UOMO E LE BESTIE

Trilussa

ieri sentivo un Grillo
che cantava tranquillo in fonno a un prato;
un po’ più in là, dedietro a lo steccato,
una Cecala risponneva ar trillo;
e io pensavo: – In mezzo a tanti guai
nun c’è che la natura
che nun se cambia mai:
‘ste povere bestiole
canteno l’inno ar sole
co’ la stessa annatura,
co’ le stesse parole
de seimil’anni fa:
cór solito cri-cri,
cór solito cra-cra…
Dar tempo der peccato origginale
tutto è rimasto eguale.
Dall’Aquila a la Pecora a la Biscia,
chi vola, chi s’arampica, chi striscia;
dar Sorcio a la Mignatta a la Formica
chi rosica, chi succhia, chi fatica,
ma ogni bestia s’adatta a fa’ la vita
che Dio j’ha stabbilita.

Invece l’Omo, che nun se contenta,
sente er bisogno de l’evoluzzione
e pensa, studia, cerca, scopre, inventa…
Ma sur più bello ch’è arivato in cima,
quanno se crede d’esse più evoluto,
vede un pezzetto d’oro… e te saluto!
È più bestia de prima!
 
RACCONTI SAGGI


VIVI COME CREDI

C’era una volta una coppia con un figlio di 12 anni e un asino.
Decisero di viaggiare, di lavorare e di conoscere il mondo.
Così partirono tutti e tre con il loro asino.
Arrivati nel primo paese, la gente commentava: “guardate quel ragazzo quanto è maleducato…lui sull’asino e i poveri genitori, già anziani, che lo tirano”.
Allora la moglie disse a suo marito: “non permettiamo che la gente parli male di nostro figlio.”
Il marito lo fece scendere e salì sull’asino.
Arrivati al secondo paese, la gente mormorava: “guardate che svergognato quel tipo…lascia che il ragazzo e la povera moglie tirino l’asino, mentre lui vi sta comodamente in groppa”.
Allora, presero la decisione di far salire la moglie, mentre padre e figlio tenevano le redini per tirare l’asino.
Arrivati al terzo paese, la gente commentava: “pover’uomo! dopo aver lavorato tutto il giorno, lascia che la moglie salga sull’asino.
E povero figlio, chissà cosa gli spetta, con una madre del genere!
Allora si misero d’accordo e decisero di sedersi tutti e tre sull’asino per cominciare nuovamente il pellegrinaggio.
Arrivati al paese successivo, ascoltarono cosa diceva la gente del paese: sono delle bestie, più bestie dell’asino che li porta.
Gli spaccheranno la schiena!
Alla fine, decisero di scendere tutti e camminare insieme all’asino ma, passando per il paese seguente, non potevano credere a ciò che le voci dicevano ridendo: “guarda quei tre ******: camminano, anche se hanno un asino che potrebbe portarli!”

Conclusione: ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa andare bene come sei.
Quindi: vivi come credi. fai cosa ti dice il cuore…ciò che vuoi…una vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali.
Quindi: canta, ridi, balla, ama…e vivi intensamente ogni momento della tua vita…prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi.
 
LETTERA DELLA BEFANA


Salve a tutti. Sono la Befana e ringrazio Massimo Maugeri per lo spazio ricorrente che ogni anno mi concede sul suo blog.

Vorrei parlare un po’ di me e poi “chiedervi” qualcosa.

Forse non lo sapete, ma c’è chi dice che la mia sia una figura del folklore di alcune parti dell’Italia centrale, diffusasi anche in altre regioni. Il mio nome deriva dalla parola epifania, alla quale festività religiosa sono collegata. Appartengo dunque alle figure folkloristiche, dispensatrici di doni, legate alle festività natalizie.

Come certamente saprete, faccio visita ai bambini la notte precedente l’epifania per riempire le calze, appositamente lasciate appese in quella notte. A chi è buono elargisco caramelle e cioccolatini, gli altri li riempio di carbone.

Vi racconto una storia.

Più di duemila anni fa, i Re Magi, diretti a Betlemme per portare i doni a Gesù Bambino, non riuscendo a trovare la strada, chiesero informazioni a una vecchia.

Malgrado le loro insistenze affinché li seguisse per far visita al piccolo, la donna non uscì di casa per accompagnarli. In seguito, pentitasi di non essere andata con loro, dopo aver preparato un cesto di dolci, uscì di casa e si mise a cercarli, senza riuscirci.

Così si fermò a ogni casa che trovava lungo il cammino, donando dolciumi ai bambini che incontrava, nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù.

Da allora girerebbe per il mondo, facendo regali a tutti i bambini, per farsi perdonare.

Sarà vero?

I beninformati dicono che la mia festa deriverebbe da antichi elementi folclorici pre-cristiani, recepiti e adattati dalla tradizione cristiana. In tal senso sarei una sorta di simbolo connesso a tradizioni agrarie pagane relative all’inizio dell’anno. E il mio aspetto da vecchia sarebbe da mettere in relazione con l’anno trascorso, ormai pronto per essere bruciato per “rinascere” come anno nuovo. In molti paesi europei infatti esisteva la tradizione di bruciare fantocci, con indosso abiti logori, all’inizio dell’anno. In quest’ottica l’uso dei doni assumerebbe un valore propiziatorio per l’anno nuovo.

Un’ipotesi suggestiva è quella che mi collega con una festa romana, che si svolgeva all’inizio dell’anno in onore di Giano e di Strenia (da cui deriva il termine “strenna”) e durante la quale si scambiavano regali.

In ogni caso, dato che è la mia festa, fatemi gli auguri.

E siccome so che il capoccia di questo blog pone sempre domande per avviare dibattiti… ve ne faccio una io.

Pensate ai personaggi celebri che si sono distinti nell’anno appena trascorso, nel bene e nel male, italiani e non.

Secondo voi, a chi dovrei dare dolciumi? E a chi il carbone?

E non dimenticate di spiegare il perché! Altrimenti il capoccia di cui sopra (che non ammetterà mai di aver copincollato le informazioni contenute in questo post da Wikipedia) s’inalbererà di brutto.
 
L’importanza dell’onestà intellettuale.
Una virtù nobile e in estinzione, quotidianamente sopraffatta dalla comune e banale idea di onestà. Ma è sufficiente comportarsi onestamente per essere definito un uomo onesto?


Carlo Dossi ebbe a dire:

“Che è l’onestà se non la paura della prigione?“

Sebbene sia evidentemente provocatoria, questa citazione mi trova d’accordo. Nel leggerla mi torna in mente il periodo universitario e il fastidio provato nel dover sostenere alcuni esami inutili e noiosi. Molti miei colleghi, di fronte all’inutilità di questi esami, piuttosto che studiare preferivano copiare. Io al contrario loro, non ho mai sostenuto un esame universitario senza essere realmente preparato. Non ho mai copiato. Questo ha fatto di me uno studente onesto? E’ da questo banale esempio che scaturisce la mia riflessione.
Si potrebbe dire di si, sono stato uno studente onesto, visto che ho sempre studiato e sono sempre stato alle regole. Ma chi o cosa determina l’onestà di un uomo? Un principio o una paura? Nel mio caso fu la paura, quella paura di cui parla Dossi. Io, infatti, ero terrorizzato alla sola idea di essere scoperto dal professore, intento a leggere i bigliettini o intento a trascrivere il dettato suggeritomi tramite l’auricolare del cellulare. Ero terrorizzato dalle eventuali conseguenze, accademiche e pubbliche. Il rischio di venir additato come uno scorretto mi impediva di barare. Dunque questo mi permetteva solamente di apparire come onesto, ma non di esserlo realmente.

Onestà, infatti, è una parola abusata. Dovrebbe essere una virtù attiva e non passiva. Onestà dovrebbe essere solo ciò che è figlio di una volontà consapevole, figlio di una ragione, non figlio di una costrizione o peggio ancora di un timore. Insomma non si può definire onesto uno studente che è incapace a copiare, come non si può definire onesto un politico che è incapace a rubare. Non si può definire onesto il lavoratore dipendente che paga le tasse sul lavoro, poiché non ha alcun modo di evaderle. Di certo non si può nemmeno pensare che tutti gli uomini siano corruttibili di fronte a “un’occasione”.

Se dunque è fuorviante misurare l’onestà di un uomo sulla base dei suoi comportamenti, quale altro aspetto ci può aiutare? In realtà quello che ci può aiutare è una virtù più nobile, più completa e più importante della stessa onestà: l’onestà intellettuale.
L’onestà intellettuale è “l’onestà libera dal contesto“, ovvero atteggiamenti e comportamenti coerenti al di là di situazioni e persone, è la fedeltà ad un principio, non assoluto e magari anche sbagliato, ma pur sempre un cardine. L’onestà intellettuale è uno studente che non copia sia quando il professore è in aula sia quando questo si assenta per rispondere al telefono. E’ un politico che non ruba anche quando sarebbe impossibile scoprirlo. E’ un uomo che non parla con frasi di comodo e di circostanza ma dice sempre quello che pensa. E’ un mondo nel quale non esiste la parola convenienza. E’ una donna che esce di casa ben vestita, truccata e profumata pur non avendo appuntamenti. Un fiore bello e colorato nel più arido dei deserti dove nessuno può ammirarlo. E’ intelligenza. E’ una coerenza salda tra pensieri e comportamenti.

La banalità, la superficialità, i mezzi di informazione assolutamente scadenti, ci inducono ad analizzare i fatti in modo populista e parziale e ci inducono a parlare di onestà anche laddove c’è solo convenienza e opportunità. Ad esempio: pagare le tasse è sinonimo di onestà, ce lo ripetono continuamente. Ma se con quei soldi vengono acquistati aerei F35 per bombardare altri paesi nelle “missioni di pace”, allora pagare le tasse è onesto? Se vengono dispensate pensioni da 30.000€ al mese a fronte di pochissimi anni di lavoro, è onesto pagare le tasse? Non sto dicendo che non lo sia, ma sto dicendo che per rispondere a tutto ciò dovremmo analizzare meglio le cose, guardarle più da vicino. Ancora. Negli anni 1939-45 in Germania i soldi delle tasse hanno consentito lo sterminio di milioni di persone. Chi in quegli anni, tra un contribuente tedesco ed un evasore tedesco è stato più onesto? Anche qui la risposta è: dipende. Dipende dalle motivazioni (dal principio!) per cui il tedesco evasore era tale; se lo era per protesta contro il Terzo Reich, allora la sua disobbedienza fiscale è uno degli atti più coraggiosi e intellettualmente onesti della storia. Se invece era evasore per pura convenienza, altro non era che un ladro, come ce ne sono tanti oggi.

Per questo credo che il solo termine onestà non dica nulla, poiché questa non discende per forza da un principio e dunque non garantisce la propria genuinità. A volte è una semplice questione di educazione e di tradizione. Altre volte è una forma mentis vigliacca, per evitare di andare incontro a guai peggiori. Niente di sbagliato, ma nemmeno nulla di così nobile e rilevante. Tutt’altra storia se parliamo di onestà intellettuale. In quel caso un principio, anche se sbagliato per qualcuno, garantisce una linea di pensiero, e conseguentemente un comportamento, univoco, tracciabile, valutabile. Pretendere dall’altro onestà è poca cosa, dobbiamo pretendere onestà intellettuale. Nelle scuole, all’università, al lavoro, a casa, in parlamento. Ecco, sarebbe proprio il caso che in parlamento andasse una classe dirigente onesta intellettualmente, ammesso che esista, perché farebbe tanto bene a questo paese troppo preso dietro i gossip e le auto blu. Per ora sembra che ci accontentiamo di una diaria restituita e quattro scontrini non rimborsati. Magari è un inizio.
 

"Una dolorosa perdita..."


A dire il vero non si sentiva molto bene e quell’ambiente non
lo metteva comunque a suo agio, anzi da sempre, si può dire,
non c’era volta che appena entrato non provasse una
incomprensibile voglia di darsela a gambe, il più in fretta
possibile. Anche adesso un senso di mancamento lo indusse
verso la poltrona che lo accolse tremante e al limite dello
svenimento. Chiuse gli occhi abbacinato da una luce prepotente,
cerco di rilassarsi e per un attimo si senti come perduto,
vuoto, insensibile a tutto. Ma una mano lo scosse. Apri gli occhi
e vide il suo molare , ormai vinto e reso impotente, nelle mani
del dentista…..

(Maryella)
 
L'EGOISTA


Sniffa, guata,, adocchia,
origlia, tende l'orecchio aguzzo,
l'udito raffinato,
ha lo sguardo diffidente abituato
di temere di essere fregato.

Nasconde, accumola.
fa molta economia
che più giusto sarebbe
chiamar taccagneria.

quel che da con la destra
rivuol con la sinistra
ma chi è infine costui?
IL PERFETTO EGOISTA!


Maryella
 
L'EGOISMO
Trilussa (Carlo Alberto Salustri)


Che s'è ridotto, povero Cavallo!
A guardallo fa pena e fa paura!
Je se conteno l'ossa,
e su la schina cià una piaga rossa
che je combina co' la bardatura.
Mentre stracina er carico, ogni tanto
arivorta la testa e fa l'occhietto
a un mazzetto de fieno che cià accanto
attaccato a la stanga der caretto.
Lo vorebbe agguantà, ma nun ciariva:
eppoi c'è er carettiere cór bastone...
Dio, che monno birbone!
Dio, che gente cattiva!
Passeno tanti, ma nessuno abbada
che se more de fame, poveraccio!
Anzi, chi vede er fieno, allunga er braccio,
rubba una paja e seguita la strada.
La pija e la conserva
per avé più fortuna in quarche cosa:
mó capita un sordato, mó una serva,
un vedovo... una spòsa...
Perfino er ricco che ce n'ha d'avanzo
s'accosta ar mucchio pe' pijanne una...
Insomma tutti vonno la fortuna
e er Cavallo rimane senza pranzo!
 
ONESTA INTELLETTUALE

Onesta' intellettuale e' forse anche sapere che c'e' sempre da imparare, anche da chi tanto intellettuale non e' se per''intellettuale' intendiamo tutta una serie di conoscenze nel campo delle scienze,arti e filosofie)
Non dipende tanto dalla quantita' di conoscenze che abbiamo e da come le esprimiamo, ma piu' che altro il lettore coglie l'intento di chi scrive , e' vero che ognuno lo coglie a modo proprio, ma quando vi e' un'intento di scrivere oltre che con la penna anche con 'il cuore',( creando un campo vibratorio nel discorso di una qualita' superiore,) di questo se ne accorgono tutti.Per qualita' superiore intendo anche il rispetto per l'interlocutore o gli interlocutori.
Perche' onesta' intellettuale e'anche essere accessibili a piu' persone possibili, con l'arte di dire cose 'difficili con parole semplici', ma e' solo una mia opinione, molto personale, e poi ognuno ha il suo stile, perche' perfortuna nel mondo non siamo tutti uguali...E' come nell'architettura: c'e' lo stile gotico e lo stile barocco, non tutti hanno gli stessi gusti!!!!, vero e' che lo stile ci rappresenta.
Ciao acquario, scusa, cosa intendi per soddisfazione di comodo? forse una gratificazione personale, egoica e deleterea al fine della condivisione di tutti?(mi sa che voglio cominciare a voler scrivere anch'io in modo molto piu' corretto a scapito della spontaneita'!!! ).Certo che, ad essere onesti l'ingrediente dell'umilta' deve essere piu' considerato...di questi tempi....serve per riflettere prima di scrivere, ma ripeto sono solo solo impressioni di una signora che vorrebbe in questo momento farsi un bel tuffo in un lago limpido, nel vero senso materiale del concetto....a essere onesti...adesso vado.

ANIEL
 
L'automobile e er somaro

Trilussa


Rottadecollo! - disse un somarello
ner vedè un Automobbile a benzina -
Indove passi tu nasce un macello!
Hai sbudellato un cane, una gallina,
un *****, un'oca, un pollo....
Povere bestie! Che carneficina!
Che fragello che fai! Rottadecollo!
Nun fiottà tanto, faccia d'impunito!
- rispose inviperita l'Automobile -
Se vede che la porvere e lo sbuffo
de lo stantuffo t'hanno intontito!
Nun sai che quann'io corro ciò la forza
de cento e più cavalli? E che te credi
che chi vo' fa' carriera se fa scrupolo
de quelli che trova fra li piedi?
Io corro e me n'infischio, e nun permetto
che 'na bestiaccia ignobbile
s'azzardi de mancamme de rispetto!
E ner di' 'ste parole l'Automobbile
ce me'sse drento tanto mai calore
che er motore, infocato, je scoppiò.
Allora cambiò tono. Dice: E mo'?
Chi me rimorchierà fino ar deposito?
Amico mio, tu capiti a proposito,
tu solo poi sarvà la situazzione.....
Vengo - je diss er Ciuccio - e me consolo
che cento e più cavalli a l'occasione
hanno bisogno d'un Somaro solo!
 
"Una dolce tentazione."

Si, nulla da dire, era veramente deliziosa. Tutti, dico tutti, la
guardavano con occhio direi quasi "goloso". Chi la chiamava fragolina,
chi dolcezza, ma nessuno dico nessuno osava toccarla. Piu' la
guardavano piu' si sentivano attirati dalla sua delicatezza, dal
leggero profumo, delicato anch'esso, non stucchevole ma fresco e dolce
come un frutto nella sua maturita'. Era piuttosto rotondetta e burrosa
e Lui la noto' subito proprio per questa sua particolarita'. Non ci
penso' due volte, in fondo era il suo compleanno. Se la fece incartare
con un bel fiocco , si fece dare quattro candeline per i suoi
quarant'anni e se ne ando' felice verso casa....


JMaryella
 
IL SOGNO E LA REALTA'


Un giorno, il sogno e la realtà si incontrarono per strada.

Si guardarono a lungo e poi esclamarono insieme: “Non ci assomigliamo per niente, com’è allora che l’uomo ci confonde così facilmente?”.

Due che facevano lo stesso cammino si intromisero nel discorso: “la colpa, o il merito, è nostro!”.

“Chi siete?” domandarono il sogno e la realtà.

“Siamo il dolore e il piacere. Avete mai visto un uomo che concepisca un sogno fatto di dolore, oppure uno che miri a una realtà priva di qualche piacere?”.

“Mai” assentirono il sogno e la realtà.

“Ed io“, intervenne a questo punto una voce squillante, “non sono forse la molla che sostiene ogni sogno?”.

Tutti si chiesero chi parlasse così… “sono la speranza” rispose la voce.

A questo punto si udì un’altra voce, robusta e pastosa:

“Ma senza di me, che sono il coraggio, mai nessun uomo riuscirebbe a trasformare un sogno… in realtà“.

“A meno che non intervenga io“, interloquì un’altra voce ancora, “trasformando il sogno e modificando la realtà“ il sogno, la realtà, il dolore, il piacere, la speranza e il coraggio riconobbero subito quella parlata in falsetto: era l’illusione.

“Che stolti“ mormorò fra sé qualcuno che non volle intervenire alla diatriba “non sanno che, per merito mio, il sogno è la realtà e la realtà è il sogno“.

Non pronunciò ad alta voce queste parole perché, pur essendo la verità, nessuno le avrebbe creduto…
 
purtroppo la parola guerra è ritornata a riempire tutti i giornali !!!!!!



Natale de Guera


Trilussa




Ammalappenache s'è fatto giorno

e er Bambinello s'è guardato intorno.

Che freddo, mamma mia! Chi m'aripara?

Che freddo, mamma mia! Chi m'ariscalla?

Fijo, la legna è diventata rara

e costa troppo cara pè compralla...

E l'asinello mio dov'è finito?

Trasporta la mitraja

sur campo de battaja: è requisito.

Er bove? - Pure quello…

fu mannato ar macello.

Ma li Re Maggi arriveno? - E' impossibbile

perchè nun c'è la stella che li guida;

la stella nun vò uscì: poco se fida

pè paura de quarche diriggibbile...

Er Bambinello ha chiesto:- Indove stanno

tutti li campagnoli che l'antr'anno

portaveno la robba ne la grotta?

Nun c'è neppuro un sacco de polenta,

nemmanco una frocella de ricotta...

Fijo, li campagnoli stanno in guerra,

tutti ar campo e combatteno. La mano

che seminava er grano

e che serviva pè vangà la terra

adesso viè addoprata unicamente per ammazzà la gente...

Guarda, laggiù, li lampi

de li bombardamenti!

Li senti, Dio ce scampi,

li quattrocentoventi

che spaccheno li campi?-

Ner dì così la Madre der Signore

s'è stretta er Fijo ar core

e s'è asciugata l'occhi cò le fasce.

Una lagrima amara pè chi nasce,

una lagrima dòrce pè chi more...
 
La Guerra

Trilussa


Ner mejo che un Sordato annava in guerra
er Cavallo je disse chiaramente:
"Io nun ce vengo!" e lo buttò per terra
precipitosamente.

"No, nun ce vengo - disse - e me ribbello
all'omo che t'ha messo l'odio in core
e te commanna de scannà un fratello
in nome der Signore!

Io - dice - so' 'na bestia troppo nobbile
p'associamme a l'infamie che fai tu;
se vôi la guerra vacce in automobbile,
n'ammazzerai de più!."
 
Speranza

da lenta a veloce fiamma il battito accende
nell’oscuro passaggio che difende il cuore dentro il petto
natura si sgretola contro il pugno della pioggia
qualche speranza naviga estatica sotto degli ombrelli
lame d’acciaio il respiro freddo
ti tramuta in marmo se non hai dei sogni
un uccellino cavalca i venti con audacia
mentre cielo invade per amore ogni passante

Da Lettere dal Silenzio


Maryella, le tue spigolature ci mancano:yes: torna che 'sta casa aspetta te:flower:
 
Indietro