Telecom un gioiello da recuperare

Stato
Chiusa ad ulteriori risposte.
un adc x le risp sarebbe una manna infatti garantirebbe tutti i dividendi pregressi e futuri e quindi per loro non necessario che debbano anche sottoscriverlo; che se la godi Vivendi e CDP. Diverso se venissero convertite e qui dipende da come la vedrebbero i fondi maggioritari in una speciale.
Non è proprio così.
Ok per il dividendo che potrebbe tornare più facilmente, ma è probabile che si acquisiscano comunque diritti per avere azioni ordinarie.

Preso da:
Le azioni di risparmio.


Salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, in caso di aumento di capitale a pagamento per il quale non sia stato escluso o limitato il diritto di opzione, i possessori di azioni di risparmio hanno diritto di opzione su azioni di risparmio della stessa categoria ovvero, in mancanza o per la differenza, nell’ordine, su azioni di risparmio di altra categoria, su azioni privilegiate ovvero su azioni ordinarie.
 
Condivido tutto ....
Però non mi torna la posizione piuttosto ambigua di bollo
Il bollore é bollito ...
In Ialia ha perso molto soldi e sopratutto la faccia ....
Vorrebbe rifarsi più per principio ..
Piuttosto fa affondare il tutto , per non darla vinta ad altri , ma siccome non é unico azionista di Vivendi ...
Confido che per questa partita alla fine torni alla ragione ...
 
Banda larga, la Corte dei conti: sbloccare 1,2 miliardi di risparmi
Per i magistrati contabili serviva una programmazione più attenta delle risorse

Una dote di oltre 1,2 miliardi, avanzata dalle gare del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è finita lontano dai riflettori. Coperta, se si parla di Pnrr, dal più generale dibattito sulla revisione del piano; e se si parla di telecomunicazioni dalle acrobazie governative sulla rete unica. Si tratta di risparmi delle procedure per i bandi “Italia a 1 Giga” e 5G, cuore del capitolo digitale del Pnrr, e ora su questo tema la Corte dei Conti, attraverso il collegio del controllo concomitante, chiede al governo una soluzione rapida.
In due distinte delibere depositate nei giorni scorsi, i magistrati contabili raccomandano al Dipartimento per la trasformazione digitale di Palazzo Chigi, che politicamente fa capo al sottosegretario per l’Innovazione tecnologica Alessio Butti, di «garantire una tempestiva, efficiente ed efficace destinazione» delle risorse avanzate: in particolare 344,2 milioni per il bando Italia a 1 Giga (banda ultralarga via fibra ottica o sistema misto fixed wireless access) e 903,8 milioni per la diffusione della tecnologia mobile 5G.
La Corte dei conti rileva che, in sede istruttoria, il Dipartimento ha confermato l’intenzione di utilizzare le risorse, in parte, per la copertura degli eventuali extra costi dovuti agli aumenti dei prezzi (una norma che va in questa direzione è stata inserita nel decreto Aiuti ter), ma raccomanda di valutare anche la possibilità di impiegare una quota per misure a sostegno della domanda, quindi incentivi, o per altri progetti relativi alla banda ultralarga (si era ad esempio ipotizzato di finanziare progetti verticali sul 5G in determinati settori).
La Corte dei conti ha svolto un esame complessivo delle due gare, andando dunque oltre l’aspetto degli avanzi di gara. Una valutazione che riguarda essenzialmente l’operato del governo Draghi e dell’ex ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale, Vittorio Colao, e definisce il quadro ereditato da Butti. È stata accertata in generale l’insussistenza di gravi criticità ma per entrambe le gare esaminate sono state espresse raccomandazioni accurate ed è stato evidenziato che il disegno dei bandi, sovrastimato forse nella mappatura del contesto e nella risposta delle imprese, ha prodotto una larga fetta di risorse che potrebbero finire sprecate. «Pro-futuro - scrive la Corte dei conti - si renderà indispensabile una scrupolosa analisi delle condizioni di gara e un’attenta programmazione delle risorse, affinché il cospicuo plafond disponibile sia integralmente utilizzato». Tra le altre raccomandazioni c’è la richiesta di rafforzare i controlli sulla realizzazione del piano, in particolare su Infratel, la società pubblica designata come soggetto attuatore, e di monitorare il problema della scarsità di manodopera tra le società chiamate a posare la fibra ottica. In realtà su quest’ultimo punto - un po’ a sorpresa visti i ripetuti interventi in pubblico delle società del settore che hanno segnalato rischi sulle scadenze - in sede di istruttoria il Dipartimento ha rassicurato i magistrati contabili rilevando che gli operatori lo scorso settembre hanno confermato l’impegno a realizzare gli interventi secondo i cronoprogrammi, «anche a fronte dell’attuale carenza di manodopera».
 
Telecom, Sarmi più vicino al cda
Lunedì il comitato nomine ha esaminato il profilo Incontri sulla rete unica

Per Massimo Sarmi, presidente di Fibercop (controllata dell’ex monopolista) e presidente di Asstel, sembra avvicinarsi l’entrata nel Cda Tim
A quanto verificato dal Sole 24 Ore lunedì il Comitato nomine ha esaminato il profilo del manager che ha incrociato la sua storia professionale con la galassia Telecom già negli anni 90, direttore generale di Telecom Italia Mobile prima e della capogruppo Telecom in seguito.
Trattandosi di Tim la storia ha comunque insegnato che nulla è da dare per acquisito fino al momento X. Prudenza d’obbligo, quindi, ma il passaggio in Comitato nomine potrebbe aver dato l’abbrivio finale a una nomina con la quale si andrebbe a coprire la casella lasciata vuota da Frank Cadoret, uomo di Vivendi, che comunque si è anche diviso da Canal Plus di cui era vicedirettore generale. L’eventuale cooptazione potrebbe avvenire a valle del Cda ordinario fissata per il 15 dicembre.
Secondo alcune fonti, la nomina però potrebbe anche necessitare di altro tempo. Quel che è certo è che l’ingresso di Sarmi nel board andrebbe comunque a chiudere un lungo periodo in cui il nome dell’ex ad di Poste è emerso spesso e volentieri, in mesi di tensioni sul tema governance che hanno visto il presidente Tim Salvatore Rossi finire nel mirino soprattutto di Vivendi che ha messo anche nero su bianco perplessità che dal generale della governance arrivavano evidentemente al ruolo di Rossi e a quello di Giovanni Gorno Tempini nella sua doppia veste di consigliere Tim e presidente di quella Cdp che avrebbe dovuto presentare un’offerta per la rete Tim rimasta però sulla carta dopo essersi scontrata con la sostanziale contrarietà dell’attuale Esecutivo.
«Questo è un Governo che decide e si assume responsabilità. Personalmente l’ho fatto sulla vicenda Lukoil e sicuramente lo faremo su altri dossier», ha detto il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, a margine della Prima della Scala a fronte di una richiesta di commento sul dossier Tim.
Il tempo intanto stringe. Entro il 31 dicembre dovrebbero arrivare le indicazioni del tavolo ufficializzato da Urso e dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alessio Butti ,per dare la svolta al dossier. Il prossimo appuntamento, un tavolo “tecnico” dovrebbe tenersi lunedì anche se nella serata di ieri ancora non era partita alcuna convocazioni. Le parole di Butti che hanno bollato come «fantasia» l’Opa totalitaria non hanno, dall’altra parte, chiuso la porta alle altre varie ipotesi. Dall’Opa parziale, alla scissione proporzionale di Tim in due società quotate per la rete e per i servizi, alla vendita della parte servizi a Poste, alla rete unica Tim-Open Fiber ma solo nelle aree bianche e grigie, gli scenari sono dati tutti ancora sul tavolo, in attesa di capire le scelte di dettaglio del Governo. In questo quadro la figura di Sarmi sarebbe vista anche come un trait d’union fra l’Esecutivo (il manager godrebbe di grande considerazione presso il ministro dell’Economia Giorgetti) e l’azionista francese. Con cui comunque i conti andranno fatti, che si tratti di rete unica o anche di supporto alle singole società Tim e Open Fiber.
 
Cdp: per i dossier allo studio slalom tra statuto, bilanci e Ue
Il nodo Ansaldo Energia in arrivo sul tavolo del cda: check sul futuro industriale
La riserva di flessibilità per operazioni straordinarie è oggi pari a circa 1 miliardo

Il prossimo dossier in arrivo sul tavolo del cda di Cassa depositi e prestiti è l'annunciata manovra di rafforzamento patrimoniale di Ansaldo Energia. E questo snodo, al pari delle operazioni già approvate dal board negli ultimi mesi (leggi Saipem), sarà sottoposto a un'attenta analisi che esaminerà, prima ancora dello strumento adottato per supportare il rilancio della società, gli aspetti industriali e le prospettive di sviluppo.
Un percorso molto stringente che la Cassa attiva per ogni dossier, e che, attraverso il combinato disposto dei numeri del bilancio, dei paletti dello Statuto e delle regole europee, nonché dell'ampio perimetro di attività su cui il gruppo è impegnato, delimita il campo da gioco. Sia che si tratti dell'aumento di capitale chiesto da una controllata, come nel caso del gruppo genovese, sia che l'intervento di Cdp venga sollecitato dall'esterno, dalla politica in primis, come possibile ancora di salvataggio.
Uno scenario, quest'ultimo, che si ripete ciclicamente ma che trascura alcune elementari nozioni sul funzionamento di Cdp, i cui margini di manovra non sono illimitati dal momento che la principale fonte di finanziamento - la raccolta postale, vale a dire la gestione dei libretti e dei buoni di 27 milioni di italiani, pari a 280 miliardi secondo gli ultimi dati disponibili al 30 giugno - è sottoposta a vincoli molto precisi, in quanto deve essere gestita responsabilmente, remunerata e restituita. Senza contare poi che il capitale disponibile, cioè il cuscinetto di flessibilità da azionare per operazioni straordinarie (come accaduto, per esempio, durante il Covid con il sostegno in funzione anticiclica garantito alle imprese, o, più di recente, con la crisi energetica) non è infinito. E, anzi, si è andato assottigliando con le ultime gestioni a causa di un utilizzo importante dello stesso in operazioni di finanza, dalle acquisizioni straordinarie alla politica dei dividendi, più elevata che in passato. Tanto che, quando si è insediato l'attuale management (giugno 2021), l'asticella segnava 300 milioni a fronte dei 4,3 miliardi del 2018. Ora il livello è stato ricostituito e attualmente viaggia attorno al miliardo di euro. Ma parte di queste risorse saranno utilizzate per sostenere le partecipazioni nell'arco di piano e questo limiterà lo spazio per azioni ulteriori non già programmate.
A restringere, poi, i possibili movimenti della Cassa interviene anche un reticolo di regole che discende, in primis, dalla natura stessa del gruppo. Che è uno dei soggetti tra i più vigilati poiché risponde a Bankitalia sotto il profilo dei criteri per la gestione della liquidità e del capitale, ma anche alla Consob per tutto ciò che attiene alle obbligazioni retail e ancora alla commissione parlamentare di vigilanza. In altri termini, ci sono numerosi attori che scrutinano in modo assai puntuale l'attività di Cassa.
I cui confini sono poi ulteriormente delimitati dallo statuto che fissa precisi paletti per gli interventi di Cdp subordinandoli, come recita chiaramente l'articolo 3, alla presenza di una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e ad adeguate prospettive di redditività. E questo spiega perché determinati dossier, si pensi solo ai tanti tentativi di far entrare Cdp nella partita Alitalia o in quella dell'ex Ilva, siano stati rispediti al mittente dai vari manager che si sono succeduti alla sua guida. Ma chiarisce anche la ratio che ha portato di recente, per esempio, alla messa a punto di uno strumento come Patrimonio Rilancio, finalizzato a consentire la discesa in campo del gruppo - con un veicolo gestito da Cdp ma non con fondi propri -, a favore di società probabilmente non eleggibili per l'intervento della Cassa.
Lo spazio di manovra è definito altresì dalle regole europee che tengono un faro costantemente acceso su possibili aiuti di aiuti di Stato ad aziende in difficoltà e che pongono presidi molto chiari attorno all'attività di Cassa, classificata da Eurostat come market unit e dunque esterna al perimetro della Pa. Con il risultato che le sue passività non sono incluse nel debito pubblico. E questo impone che il gruppo operi a condizioni di mercato perché nel momento in cui ci fosse il sospetto di un'operazione eterodiretta - con uno Stato o un governo a dare l'input - scatterebbe il possibile cartellino rosso con la potenziale riclassificazione dell'operazione all'interno del debito pubblico. Come è accaduto di recente ad alcune omologhe della Cassa, a partire dalla tedesca KfW.
A conferma che ogni mossa di Cdp è sottoposta a un vaglio attento. E questo fa sì che la valutazione complessiva di qualsiasi operazione passi attraverso un'istruttoria molto stringente. Che considera, insieme a tutti i fattori di rischio e ai paletti dettati dal bilancio, come pure dalle norme interne ed europee, anche l'impatto sul sistema economico. Perché quello che spesso si dimentica, quando si accendono i riflettori sull'ennesima richiesta di intervento recapitata ai piani alti di Cdp, è che la Cassa è attiva su tante aree (dal finanziamento alle imprese al sostegno alle infrastrutture, dalla cooperazione internazionale al supporto della Pa) e che l'equity rappresenta solo un tassello dell'impegno del gruppo. E non certo quello che assorbe le maggiori risorse.
 
Weekly, plausibile se arrivano buone notizie?
 

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Cdp: per i dossier allo studio slalom tra statuto, bilanci e Ue
Il nodo Ansaldo Energia in arrivo sul tavolo del cda: check sul futuro industriale
La riserva di flessibilità per operazioni straordinarie è oggi pari a circa 1 miliardo

Il prossimo dossier in arrivo sul tavolo del cda di Cassa depositi e prestiti è l'annunciata manovra di rafforzamento patrimoniale di Ansaldo Energia. E questo snodo, al pari delle operazioni già approvate dal board negli ultimi mesi (leggi Saipem), sarà sottoposto a un'attenta analisi che esaminerà, prima ancora dello strumento adottato per supportare il rilancio della società, gli aspetti industriali e le prospettive di sviluppo.
Un percorso molto stringente che la Cassa attiva per ogni dossier, e che, attraverso il combinato disposto dei numeri del bilancio, dei paletti dello Statuto e delle regole europee, nonché dell'ampio perimetro di attività su cui il gruppo è impegnato, delimita il campo da gioco. Sia che si tratti dell'aumento di capitale chiesto da una controllata, come nel caso del gruppo genovese, sia che l'intervento di Cdp venga sollecitato dall'esterno, dalla politica in primis, come possibile ancora di salvataggio.
Uno scenario, quest'ultimo, che si ripete ciclicamente ma che trascura alcune elementari nozioni sul funzionamento di Cdp, i cui margini di manovra non sono illimitati dal momento che la principale fonte di finanziamento - la raccolta postale, vale a dire la gestione dei libretti e dei buoni di 27 milioni di italiani, pari a 280 miliardi secondo gli ultimi dati disponibili al 30 giugno - è sottoposta a vincoli molto precisi, in quanto deve essere gestita responsabilmente, remunerata e restituita. Senza contare poi che il capitale disponibile, cioè il cuscinetto di flessibilità da azionare per operazioni straordinarie (come accaduto, per esempio, durante il Covid con il sostegno in funzione anticiclica garantito alle imprese, o, più di recente, con la crisi energetica) non è infinito. E, anzi, si è andato assottigliando con le ultime gestioni a causa di un utilizzo importante dello stesso in operazioni di finanza, dalle acquisizioni straordinarie alla politica dei dividendi, più elevata che in passato. Tanto che, quando si è insediato l'attuale management (giugno 2021), l'asticella segnava 300 milioni a fronte dei 4,3 miliardi del 2018. Ora il livello è stato ricostituito e attualmente viaggia attorno al miliardo di euro. Ma parte di queste risorse saranno utilizzate per sostenere le partecipazioni nell'arco di piano e questo limiterà lo spazio per azioni ulteriori non già programmate.
A restringere, poi, i possibili movimenti della Cassa interviene anche un reticolo di regole che discende, in primis, dalla natura stessa del gruppo. Che è uno dei soggetti tra i più vigilati poiché risponde a Bankitalia sotto il profilo dei criteri per la gestione della liquidità e del capitale, ma anche alla Consob per tutto ciò che attiene alle obbligazioni retail e ancora alla commissione parlamentare di vigilanza. In altri termini, ci sono numerosi attori che scrutinano in modo assai puntuale l'attività di Cassa.
I cui confini sono poi ulteriormente delimitati dallo statuto che fissa precisi paletti per gli interventi di Cdp subordinandoli, come recita chiaramente l'articolo 3, alla presenza di una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e ad adeguate prospettive di redditività. E questo spiega perché determinati dossier, si pensi solo ai tanti tentativi di far entrare Cdp nella partita Alitalia o in quella dell'ex Ilva, siano stati rispediti al mittente dai vari manager che si sono succeduti alla sua guida. Ma chiarisce anche la ratio che ha portato di recente, per esempio, alla messa a punto di uno strumento come Patrimonio Rilancio, finalizzato a consentire la discesa in campo del gruppo - con un veicolo gestito da Cdp ma non con fondi propri -, a favore di società probabilmente non eleggibili per l'intervento della Cassa.
Lo spazio di manovra è definito altresì dalle regole europee che tengono un faro costantemente acceso su possibili aiuti di aiuti di Stato ad aziende in difficoltà e che pongono presidi molto chiari attorno all'attività di Cassa, classificata da Eurostat come market unit e dunque esterna al perimetro della Pa. Con il risultato che le sue passività non sono incluse nel debito pubblico. E questo impone che il gruppo operi a condizioni di mercato perché nel momento in cui ci fosse il sospetto di un'operazione eterodiretta - con uno Stato o un governo a dare l'input - scatterebbe il possibile cartellino rosso con la potenziale riclassificazione dell'operazione all'interno del debito pubblico. Come è accaduto di recente ad alcune omologhe della Cassa, a partire dalla tedesca KfW.
A conferma che ogni mossa di Cdp è sottoposta a un vaglio attento. E questo fa sì che la valutazione complessiva di qualsiasi operazione passi attraverso un'istruttoria molto stringente. Che considera, insieme a tutti i fattori di rischio e ai paletti dettati dal bilancio, come pure dalle norme interne ed europee, anche l'impatto sul sistema economico. Perché quello che spesso si dimentica, quando si accendono i riflettori sull'ennesima richiesta di intervento recapitata ai piani alti di Cdp, è che la Cassa è attiva su tante aree (dal finanziamento alle imprese al sostegno alle infrastrutture, dalla cooperazione internazionale al supporto della Pa) e che l'equity rappresenta solo un tassello dell'impegno del gruppo. E non certo quello che assorbe le maggiori risorse.
non so se mi hai letto in precedenza o non hai voluto rispondere...

ripropongo:
Seguo spesso i tuoi interventi interessantissimi... mi domando ... una persona colta e preparata come te cosa ci faccia tutto il giorno in un 3D di un titolo come Telecom....:rolleyes:

Lo fai per lavoro evidentemente......come in quasi tutti i 3d dedicati ci sono i rispettivi ...influencer...:D
 
Ultima modifica:
Beh...
anche oggi le risparmio vanno alla grande.
ci sarà un motivo?
 
I 0.2 andati, potrebbere essere una raccolta degli stop loss, ma sembrano molto più probabili nuovi minimi. In quanto al nostro AD , l'unica cosa decente che gli è consentito dire è il taglio del 50% della forza lavoro. altrimento meglio che taccia.
 
Ma secondo voi acquistare oggi a meno di 0,20 per un piccolo risparmiatore che diciamo ne compra 10.000 può essere un buon investimento di medio lungo periodo? Punto a dividendare , rivendendo tra un po' quando sarà un po' salita .

Attendo consigli grazie
 
Anche se odio il termine , ma per il piccolo risparmiatore il pericolo si chiama ADC, che man mano che passa il tempo senza soluzioni, si fa sempre più probabile. Qualcuno ritiene finanche che in realtà questa sia la soluzione scelta: ADC iperdiluitivo con divisione del bottino tra i vari attori principali (Stato, Vivendi, KKR ,CVC, CDP ecc) e piccoli azionisti azzerati. Non voglio credere ma non mi sento di escluderla. Il consiglio è quindi di stare lontani, fino a quando e se ci sarà chiarezza.
 
Anche se odio il termine , ma per il piccolo risparmiatore il pericolo si chiama ADC, che man mano che passa il tempo senza soluzioni, si fa sempre più probabile. Qualcuno ritiene finanche che in realtà questa sia la soluzione scelta: ADC iperdiluitivo con divisione del bottino tra i vari attori principali (Stato, Vivendi, KKR ,CVC, CDP ecc) e piccoli azionisti azzerati. Non voglio credere ma non mi sento di escluderla. Il consiglio è quindi di stare lontani, fino a quando e se ci sarà chiarezza.
Oltretutto mancano ben 5 anni a nuove elezioni e le porcherie si dimentican in fretta.Un'altra sciagurata ipotesi è quella di un'opa a prezzo risibile
 
Ultima modifica:
Anche se odio il termine , ma per il piccolo risparmiatore il pericolo si chiama ADC, che man mano che passa il tempo senza soluzioni, si fa sempre più probabile. Qualcuno ritiene finanche che in realtà questa sia la soluzione scelta: ADC iperdiluitivo con divisione del bottino tra i vari attori principali (Stato, Vivendi, KKR ,CVC, CDP ecc) e piccoli azionisti azzerati. Non voglio credere ma non mi sento di escluderla. Il consiglio è quindi di stare lontani, fino a quando e se ci sarà chiarezza.
Come detto un adc per le risp, diluitivo o meno nulla cambia, anzi meglio sarebbe. Loro possono tranquillamente non sottoscrivere le loro opzioni, chiaramente in ordinarie senza perdere nulla perchè il loro valore contabile con relativo privilegio del 5% +2 non verrebbe intaccato. Ovvio che il prossimo anno non ci sarà dividendo ma con immissione di un 10 miliardi in adc sarebbe certo, nel 2024, almeno un dividendo di 0,0825€, cioè un rendimento oltre il 40% sui prezzi attuali. Vuoi che vivendi sia così generoso?
 
Mercoledì, 7 dicembre 2022 di marco scotti AFFARI ITALIANI

Porte girevoli all'Agid, manager pronti ad abbandonare Butti: inside

L’Agenzia per l’Innovazione Digitale registrerà nei prossimi mesi le uscite dell’amministratore unico di PagoPa e di altri dirigenti: ecco perché

L’uscita dei dirigenti dall’Agid: che cosa succede

“Balle”. Così una fonte vicina all’Agenzia per l’Italia Digitale - il dipartimento che fa riferimento al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alessio Butti e che in passato ha avuto come centro nevralgico il dicastero guidato da Vittorio Colao – bolla con Affaritaliani.it la possibilità che sia in corso un esodo dall’Agid.

Ieri 6 dicembre, infatti, sia Il Foglio che Dagospia avevano riportato la notizia di una massiccia uscita di dirigenti dall’Agenzia. Il primo ad annunciare l’addio è stato Giuseppe Virgone, amministratore unico di PagoPa. Il quale, però, a quanto risulta ad Affari, aveva già annunciato il suo passaggio al settore privato a inizio settembre.

Diverso il discorso per il direttore generale dell’Agid Francesco Paorici. Secondo Foglio e Dagospia sarebbe in uscita, nonostante un contratto in scadenza tra poco più di tre mesi, mentre fonti accreditate riferiscono ad Affari che il dirigente abbia già smentito l’abbandono dell’incarico. Si vedrà, insomma. C’è poi Daniela Mauri, responsabile dell’attuazione del Recovery, che sarebbe frenata dalla retribuzione. Fonti accreditate spiegano ad Affari che la dirigente si starebbe guardando intorno poiché lo stipendio garantito dall’Agid sarebbe inferiore a quanto potrebbe percepire nel settore privato. Altrimenti, sarebbe contenta di rimanere.

C’è il nome di Paolo De Rosa, dirigente di delicati dossier da diversi anni, che, come riporta Il Foglio, avrebbe lasciato intendere di essere pronto ad abbandonare la sua posizione. In questo caso, fonti vicine all’Agid sono pronte a giurare di un rapporto già deteriorato con Vittorio Colao e che, con l’attuale sottosegretario Butti, non vi sono ancora stati rapporti tali da giustificare la scelta di abbandonare l’Agid. “Su oltre 500 collaboratori è fisiologico. Il resto sono tutte sciocchezze…” taglia corto la fonte contattata da Affari.

Tim, Vivendi pronta a vendere

Il delicato ruolo di Butti, comunque, rimane sotto i riflettori. L’affaire Tim non sembra essere vicino a una soluzione. Le affermazioni dei giorni scorsi, in cui si negava categoricamente l'acquisizione della totalità delle azioni, hanno fatto crollare il titolo. Secondo Il Foglio la premier Giorgia Meloni vorrebbe dirottare sul ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso le deleghe sulla rete unica. Questo si vedrà nei prossimi mesi. Quello che è certo è che l’opa parziale, il delisting, il beauty contest sono tutti dossier sul tavolo di Pietro Labriola, che deve però capire in fretta che cosa fare visto che il mercato non aspetta e il rischio di depauperare ulteriormente un asset importante aumenta di giorno in giorno.

A quanto risulta ad Affaritaliani.it, tra l’altro, i francesi di Vivendi non sarebbero per niente contrari a cedere la propria quota, purché però venga pagata nel modo corretto. O attraverso il “concambio” con Cdp, o attraverso un’adeguata valorizzazione della rete o, in ultimo, attraverso l’acquisto del 24% delle azioni oggi in mano alla holding di Vincent Bollorè per una cifra che non può discostarsi molto dagli 0,6 euro per azione che è oggi il valore di carico della partecipazione in Tim.
 
Ma secondo voi acquistare oggi a meno di 0,20 per un piccolo risparmiatore che diciamo ne compra 10.000 può essere un buon investimento di medio lungo periodo? Punto a dividendare , rivendendo tra un po' quando sarà un po' salita .

Attendo consigli grazie
Sei sicuro che non ci sia proprio niente di meglio? Di paggio pochissimi, se non nessuno.
 
1) i fancesi di Vivendi hanno ragione, vendere cara la pelle;
2) ri-consiglio a Labriola di mettere la politica con le spalle al muro annuciando un piano lacrime e sangue con licenziamenti in massa

Così vediamo se l'immobilismo continua
 
1) i fancesi di Vivendi hanno ragione, vendere cara la pelle;
2) ri-consiglio a Labriola di mettere la politica con le spalle al muro annuciando un piano lacrime e sangue con licenziamenti in massa

Così vediamo se l'immobilismo continua
Altro che immobilismo,qui si va sempre giù
 
Come detto un adc per le risp, diluitivo o meno nulla cambia, anzi meglio sarebbe. Loro possono tranquillamente non sottoscrivere le loro opzioni, chiaramente in ordinarie senza perdere nulla perchè il loro valore contabile con relativo privilegio del 5% +2 non verrebbe intaccato. Ovvio che il prossimo anno non ci sarà dividendo ma con immissione di un 10 miliardi in adc sarebbe certo, nel 2024, almeno un dividendo di 0,0825€, cioè un rendimento oltre il 40% sui prezzi attuali. Vuoi che vivendi sia così generoso?
Mi è venuto in mente "Il tempo delle mele", la beata innocenza.

Dreams are my reality
A different kind of reality
I dream of loving in the night
And loving seems alright
Although it's only fantasy
 
Stato
Chiusa ad ulteriori risposte.
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