Cdp: per i dossier allo studio slalom tra statuto, bilanci e Ue
Il nodo Ansaldo Energia in arrivo sul tavolo del cda: check sul futuro industriale
La riserva di flessibilità per operazioni straordinarie è oggi pari a circa 1 miliardo
Il prossimo dossier in arrivo sul tavolo del cda di Cassa depositi e prestiti è l'annunciata manovra di rafforzamento patrimoniale di Ansaldo Energia. E questo snodo, al pari delle operazioni già approvate dal board negli ultimi mesi (leggi Saipem), sarà sottoposto a un'attenta analisi che esaminerà, prima ancora dello strumento adottato per supportare il rilancio della società, gli aspetti industriali e le prospettive di sviluppo.
Un percorso molto stringente che la Cassa attiva per ogni dossier, e che, attraverso il combinato disposto dei numeri del bilancio, dei paletti dello Statuto e delle regole europee, nonché dell'ampio perimetro di attività su cui il gruppo è impegnato, delimita il campo da gioco. Sia che si tratti dell'aumento di capitale chiesto da una controllata, come nel caso del gruppo genovese, sia che l'intervento di Cdp venga sollecitato dall'esterno, dalla politica in primis, come possibile ancora di salvataggio.
Uno scenario, quest'ultimo, che si ripete ciclicamente ma che trascura alcune elementari nozioni sul funzionamento di Cdp, i cui margini di manovra non sono illimitati dal momento che la principale fonte di finanziamento - la raccolta postale, vale a dire la gestione dei libretti e dei buoni di 27 milioni di italiani, pari a 280 miliardi secondo gli ultimi dati disponibili al 30 giugno - è sottoposta a vincoli molto precisi, in quanto deve essere gestita responsabilmente, remunerata e restituita. Senza contare poi che il capitale disponibile, cioè il cuscinetto di flessibilità da azionare per operazioni straordinarie (come accaduto, per esempio, durante il Covid con il sostegno in funzione anticiclica garantito alle imprese, o, più di recente, con la crisi energetica) non è infinito. E, anzi, si è andato assottigliando con le ultime gestioni a causa di un utilizzo importante dello stesso in operazioni di finanza, dalle acquisizioni straordinarie alla politica dei dividendi, più elevata che in passato. Tanto che, quando si è insediato l'attuale management (giugno 2021), l'asticella segnava 300 milioni a fronte dei 4,3 miliardi del 2018. Ora il livello è stato ricostituito e attualmente viaggia attorno al miliardo di euro. Ma parte di queste risorse saranno utilizzate per sostenere le partecipazioni nell'arco di piano e questo limiterà lo spazio per azioni ulteriori non già programmate.
A restringere, poi, i possibili movimenti della Cassa interviene anche un reticolo di regole che discende, in primis, dalla natura stessa del gruppo. Che è uno dei soggetti tra i più vigilati poiché risponde a Bankitalia sotto il profilo dei criteri per la gestione della liquidità e del capitale, ma anche alla Consob per tutto ciò che attiene alle obbligazioni retail e ancora alla commissione parlamentare di vigilanza. In altri termini, ci sono numerosi attori che scrutinano in modo assai puntuale l'attività di Cassa.
I cui confini sono poi ulteriormente delimitati dallo statuto che fissa precisi paletti per gli interventi di Cdp subordinandoli, come recita chiaramente l'articolo 3, alla presenza di una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e ad adeguate prospettive di redditività. E questo spiega perché determinati dossier, si pensi solo ai tanti tentativi di far entrare Cdp nella partita Alitalia o in quella dell'ex Ilva, siano stati rispediti al mittente dai vari manager che si sono succeduti alla sua guida. Ma chiarisce anche la ratio che ha portato di recente, per esempio, alla messa a punto di uno strumento come Patrimonio Rilancio, finalizzato a consentire la discesa in campo del gruppo - con un veicolo gestito da Cdp ma non con fondi propri -, a favore di società probabilmente non eleggibili per l'intervento della Cassa.
Lo spazio di manovra è definito altresì dalle regole europee che tengono un faro costantemente acceso su possibili aiuti di aiuti di Stato ad aziende in difficoltà e che pongono presidi molto chiari attorno all'attività di Cassa, classificata da Eurostat come market unit e dunque esterna al perimetro della Pa. Con il risultato che le sue passività non sono incluse nel debito pubblico. E questo impone che il gruppo operi a condizioni di mercato perché nel momento in cui ci fosse il sospetto di un'operazione eterodiretta - con uno Stato o un governo a dare l'input - scatterebbe il possibile cartellino rosso con la potenziale riclassificazione dell'operazione all'interno del debito pubblico. Come è accaduto di recente ad alcune omologhe della Cassa, a partire dalla tedesca KfW.
A conferma che ogni mossa di Cdp è sottoposta a un vaglio attento. E questo fa sì che la valutazione complessiva di qualsiasi operazione passi attraverso un'istruttoria molto stringente. Che considera, insieme a tutti i fattori di rischio e ai paletti dettati dal bilancio, come pure dalle norme interne ed europee, anche l'impatto sul sistema economico. Perché quello che spesso si dimentica, quando si accendono i riflettori sull'ennesima richiesta di intervento recapitata ai piani alti di Cdp, è che la Cassa è attiva su tante aree (dal finanziamento alle imprese al sostegno alle infrastrutture, dalla cooperazione internazionale al supporto della Pa) e che l'equity rappresenta solo un tassello dell'impegno del gruppo. E non certo quello che assorbe le maggiori risorse.