Terzo Rapporto Nomisma sul Mercato Immobiliare 2012

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Terzo Rapporto Nomisma sul Mercato Immobiliare 2012
By La Redazione On 28 dicembre 2012 · Leave a Comment

Il presidente di Nomisma, Pietro Modiano, traccia lo scenario economico e di mercato per i prossimi mesi.
Terzo Rapporto Nomisma sul Mercato Immobiliare 2012 | News Attico.it

Sul mercato immobiliare italiano emerge un potenziale recessivo più di quanto rifletta la lenta erosione dei prezzi che, tuttavia, nell’ultimo quadriennio ha accumulato una discesa dei valori del 10-15%.

Il nodo cruciale, però, resta il mercato finanziario. Negli ultimi mesi non sono arrivate le notizie di distensione dal mercato del credito, che fondavano sulla speranza che gli interventi europei avessero rimosso i vincoli di liquidità e si fossero trasferiti all’economia reale. Le erogazioni continuano a ridursi, non per effetto restrittivo dell’offerta, ma per un brusco indebolimento della domanda.

Sergio De Nardis, chief economist di Nomisma, mette a fuoco le ansie e le attese di una congiuntura depressiva dentro un contesto di interdipendenza tra politica monetaria europea e politiche economiche nazionali

La speranza è che la prospettiva di un’azione adeguata della BCE finisca col riflettersi anche sulle economie reali, allentando la stretta creditizia che ostacola le decisioni di spesa di imprese e famiglie. Restano, però, importanti interrogativi che si sono riverberati sulle dinamiche degli spread.

Luca Dondi, responsabile real estate di Nomisma, evidenzia le recenti dinamiche di mercato e analizza le ragioni strutturali della debolezza del settore

L’ormai evidente rottura strutturale nelle strategie di allocazione creditizia verso il settore immobiliare rispetto al passato rende improbabile che l’inevitabile aggiustamento possa giungere attraverso un maggiore sostegno della domanda.

Le aspettative di timida ripresa per la fine di quest’anno si sono fragorosamente infrante sui numeri a consuntivo. Quando si pensava di aver ormai raggiunto la soglia di resistenza, dopo un quadriennio di continui arretramenti, si è abbattuto sul settore un nuovo tracollo di impronosticabile durezza. Le quasi 600 mila compravendite residenziali e i circa 4,2 miliardi di investimenti corporate del 2011 rappresentano, infatti, grandezze nemmeno paragonabili rispetto ai livelli su cui si attesta oggi il mercato immobiliare italiano.

Le previsioni da questo punto di vista sono impietose, con transazioni residenziali ancorate sulle posizioni di metà anni ‘90 per il prossimo biennio. La tendenza alla contrazione tuttora in atto e la capacità del settore di travolgere qualsiasi “resistenza”, non consentono di escludere ulteriori arretramenti, che alla luce dell’esiguità dei livelli attuali non potranno che essere di modesta entità. Si tratta di dinamiche a dir poco sorprendenti alla luce delle persistenti manifestazioni di interesse da parte della domanda potenziale e, più in generale, delle dimensioni della nostra economia.

Non meno rilevante appare il gap tra il livello attuale degli investimenti corporate e il target potenziale, soprattutto in relazione ai segnali di stabilizzazione del quadro di finanza pubblica e di ritrovata credibilità internazionale, testimoniate dall’erosione di quell’indicatore istantaneo di affidabilità rispetto agli altri Paesi che è diventato lo spread. In una situazione di ripristinata normalità emotiva non è, infatti, pensabile che l’Italia raccolga la miseria dell’1,6% degli investimenti immobiliari realizzati a livello continentale.

Il costante deflusso di capitali stranieri, l’attendismo degli operatori istituzionali domestici, riconducibile al protrarsi delle prospettive recessive, nonché le proibitive condizioni di accesso alla leva finanziaria hanno favorito un drastico ridimensionamento del mercato, che a consuntivo faticherà a superare i 2 miliardi di euro.

L’eccesso di sostegno, anche se temporalmente concentrato, si è rivelato una trappola da cui le banche italiane cercano oggi affannosamente di uscire, in un ambito in cui la massiccia diffusione della proprietà e l’ondivago interesse per il comparto da parte degli investitori istituzionali limitano significativamente le possibilità di azione.

L’inesorabile scivolamento verso la sofferenza di una quota non trascurabile di crediti, associato all’evoluzione della regolamentazione prudenziale, che impone alle banche di detenere capitale addizionale rispetto al passato a fronte de-gli impieghi immobiliari, ha spinto ad un ripensamento delle strategie allocative che non è escluso possa avere caratteri di strutturalità.

La reiterazione del modello “ritarda e prega” come strategia di gestione delle insolvenze e, quantomeno nell’immediato, di contestuale autotutela, rischia di rappresentare, in assenza di miracolose inversioni cicliche, una scelta controproducente per lo stesso sistema bancario. La difesa strenua di posizioni non più sostenibili e, con essa, il contingentamento dell’indispensabile supporto della domanda finisce per limitare enormemente la platea dei potenziali interlocutori, con inevitabili ricadute in termini di illiquidità degli immobili da alienare.

Secondo le nostre stime la quota di erogato destinata a nuovi mutui nel 2012 potrebbe rappresentare il 93% sul totale, quando nel 2011 era stata in media del 72% e prima ancora, nel 2010, del 64%. Se fino al 2009 il dinamismo delle sostituzioni aveva in parte compensato il venir meno del sostegno bancario al settore immobiliare, negli ultimi anni la progressiva erosione di tale opzione ha finito per ampliare l’entità della contrazione in atto a livello generale.

In attesa di un provvidenziale cambiamento di strategia da parte del sistema bancario, sulla scorta dell’esperienza americana dove il sostegno al mercato dei mutui e le misure a vantaggio delle famiglie in difficoltà nei pagamenti hanno contribuito a migliorare sensibilmente le prospettive, il mercato immobiliare italiano pare fatalmente destinato a non risollevarsi dagli asfittici livelli attuali.

Ancora oggi, infatti, sono ben oltre un milione le famiglie che si dicono intenzionate ad acquistare un’abitazione, quasi a testimoniare l’esistenza di un legame che prescinde da opportunismi di carattere congiunturale, oltreché di un enorme fabbisogno progressivamente compressosi negli anni recessivi.

Nel secondo semestre del 2012, l’andamento dicotomico di offerta e domanda si è ulteriormente accentuato, in particolare nel mercato delle abitazioni e, per il settore non residenziale, dei negozi e dei capannoni. Per gli uffici, nel periodo si è, invece, attenuata la spinta all’ampliamento dell’offerta, anche in ragione del differimento di talune iniziative di sviluppo previste nei maggiori mercati e del ritiro di immobili in vendita da tempo. Per contro, la domanda di uffici, nonostante l’autentico tracollo registrato negli ultimi anni, ha fatto registrare un nuovo arretramento.

Nell’attuale situazione di crisi generalizzata, i segnali più preoccupanti provengono dagli immobili d’impresa, con l’eccezione rappresentata dai negozi, che continuano invece a mostrare una maggiore capacità di tenuta rispetto al resto del mercato.

In un quadro di persistente debolezza della domanda da una parte e di prolungato ampliamento dell’offerta dall’altra si rileva, nel semestre, un nuovo e più marcato allungamento dei tempi di transazione, che hanno raggiunto quasi ovunque livelli mai registrati nell’orizzonte ultraventennale di monitoraggio del mercato.

Gli effetti della congiuntura sui valori sono stati ovviamente recessivi, anche se di entità contenuta se paragonati alla contrazione dei livelli di attività. La flessione su base semestrale si è attestata nell’ordine del 2% per il comparto della compravendita e poco al di sotto per il comparto locativo. Con il calo registrato nell’anno (pari in media al 4%), l’arretramento rispetto ai picchi della fase espansiva ha raggiunto il 12/12,5% per il settore residenziale e direzionale e il 10% per quello commerciale.

Anche i canoni d’affitto seguono un andamento riflessivo non dissimile rispetto a quello dei prezzi al punto che il rendimento medio lordo annuo da locazione risulta stabile già da alcuni semestri. Si deve tornare indietro di 8-10 anni per ritrovare rendimenti superiori di un punto percentuale rispetto agli attuali, che risultano in media pari al 4,8% per le abitazioni, al 7,2% per i negozi e al 4,9% per gli uffici.

Nonostante la flessione dei prezzi perduri già da 9-10 semestri a seconda dei comparti, si continua a registrare una rigidità delle richieste iniziali che rischia di penalizzare ulteriormente le prospettive dell’intero settore. L’ampliamento degli sconti, associato all’esiguità del calo dei valori di mercato, testimonia la sostanziale invarianza delle aspettative di realizzo dalla vendita.

Il mercato della locazione nei 13 maggiori mercati italiani, investito da un ciclo riflessivo di intensità minore rispetto a quello delle compravendite, vede nei contratti sul libero mercato la tipologia più ricorrente (pari al 65% del totale), con una leggera crescita rispetto allo scorso anno, a scapito dei contratti a ca-none concordato e di quelli transitori.

L’abitazione viene prevalentemente locata quale abitazione principale (66% dei contratti), mentre la restante quota viene utilizzata per lavoro (16%) e studio (15,4%).

Sul mercato della compravendita la quota di abitazioni usate prevale netta-mente su quelle nuove, mantenendosi negli ultimi due anni pressoché stabile attorno al 75% del mercato.

La casa acquistata rappresenta nel 51,3% dei casi la prima abitazione, men-tre una quota significativa degli acquisti, pari al 30%, viene fatta per sostituzione. A distanza di un anno, cresce la quota di acquisti di prima casa mentre si riduce l’incidenza delle altre destinazioni. Per sostenere gli acquisti, nel 53,3% degli scambi si segnala l’accensione di un mutuo. A conferma della sempre più problematica accessibilità al mercato del credito da parte delle famiglie, è possibile rilevare la contrazione di transazione che hanno beneficiato di finanziamenti, scese nell’ultimo anno di 13 punti percentuali.

Il 10% della domanda di abitazioni si è dimostrata interessata a ricercare immobili caratterizzati da elevate prestazioni energetiche (classe A o B). Rispetto alle transazioni avvenute nel semestre, le abitazioni in classe energetica A e B rappresentano poco meno del 7% del mercato mentre la parte di gran lunga più rilevante si è posizionata nelle classi più basse, dalla D alla G (88,4%).

Come si può evincere dal raffronto, le previsioni relative al 2013 e al 2014 sono state corrette al ribasso, coerentemente con la revisione dei valori dello scenario macroeconomico descritto precedentemente. Pertanto, anche per il prossimo anno si dovrebbero sperimentare flessioni di oltre quattro punti percentuali in tutti i comparti del mercato, e di oltre due punti percentuali nel 2014. Qualche lieve segno positivo si intravede nel 2015, quando avrà probabilmente fine la fase deflativa.

Le variazioni sono abbastanza omogenee in tutti i segmenti del mercato, segno che la fase recessiva colpisce indistintamente sia il settore residenziale che quello d’impresa. Le contrazioni dei prezzi degli immobili sono di entità decisamente più contenuta rispetto alla diminuzione delle transazioni: ciò evidenzia la persistente rigidità da parte dei proprietari ad adeguare i valori alle esigenze della domanda, generando una discrasia che rappresenta un ulteriore ostacolo alla dinamicità del mercato. Va anche rimarcato il fatto che quelli presentati sono valori medi, dietro ai quali si celano dinamiche molto eterogenee.

Un ulteriore elemento degno di nota è rappresentato dal ritardo temporale con cui i prezzi degli immobili tornano a sperimentare tassi di crescita positivi rispetto alle altre grandezze del mercato immobiliare: se investimenti in costruzioni e compravendite sono previsti in aumento a partire dal 2014, per i prezzi immobiliari le evidenze delle analisi indicano nel 2015 l’anno di inversione di tendenza.

Se 4 su 5 degli operatori di mercato intervistati conosce i protocolli di certificazione ambientale (es. Leed, Breaam, Casaclima, ecc.), solo 1 su 3 utilizza poi questi sistemi di metrica nella propria operatività. A risultare in maggiore ritardo sulla conoscenza e l’utilizzo di tali strumenti sono le piccole imprese, il segmento retail e il mondo dell’agency, mentre per ovvie ragioni risultano maggiormente stimolate quelle imprese il cui core business è proiettato anche sui mercati internazionali.

Dall’indagine effettuata non emerge un giudizio di demerito nei confronti delle opportunità che tali strumenti offrono in termini di misurabilità (ex ante) e garanzia (ex post) delle performance degli immobili (in termini di consumi energetici, gestione delle acque, qualità ambientale interna, garanzia dei prodotti utilizzati, ecc.), quanto una diffusa valutazione critica sui troppi adempimenti operativi e burocratici richiesti dall’adozione di tali sistemi.

Dovrebbe preoccupare di più, tuttavia, la discrasia tra la percezione che nei prossimi due anni raddoppierà la quota di transazioni di unità immobiliari certificate (dal 16,4% al 33,9%) e la convinzione che, almeno in questa fase di incertezza dalla durata impronosticabile, il recupero di gap nella qualità offerta sul mercato possa effettivamente costituire un driver di ripartenza del mercato. Secondo gli intervistati, infatti, la domanda asfittica grava quasi esclusivamente sulle responsabilità delle banche (58,3%) e di un mercato non in grado di rivedere al ribasso i valori immobiliari (21,7%).

È molto chiara agli operatori la valenza “commerciale” dei sistemi di certificazione, in termini di maggiore vendibilità (sebbene i costi associati rappresentino un importante vincolo di bilancio importante in fasi difficili come l’attuale), tuttavia il loro utilizzo dovrebbe essere maggiormente interpretato come una precisa volontà del sistema di avviarsi ad una nuova e diversa fase di sviluppo.
 
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