TIM , azionisti coraggiosi vol. 2

  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

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Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra nera scende. Un Anello per domarli, un Anello per trovarli, Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli.
 
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Tim: oggi riunione board, primo faccia a faccia dopo addio de Puyfontaine (Sole)
ROMA (MF-DJ)--Quella di oggi sarà la prima riunione del cda Tim senza Arnaud de Puyfontaine, ma anche la prima con Massimo Sarmi cooptato a dicembre e l'ultima, almeno da calendario, prima dell'appuntamento del 14 febbraio: data di approvazione dei conti e di presentazione della revisione del piano industriale. Senza però il primo azionista rappresentato in cda. Con tutta l'indeterminatezza che ne può conseguire.
L'uscita di scena del ceo Vivendi dal board Tim, scrive il Sole 24 Ore, è attesa oggi alla prima prova dei fatti, per capire se e come la mossa possa impattare sull'attività del consiglio. Ancora ieri la Borsa ha reagito positivamente (+0,81% con il titolo salito a 26 centesimi) alle dimissioni «con esito immediato» comunicate da de Puyfontaine lunedì mattina, con l'intento dichiarato di tenersi le mani libere, ma con il proposito ancora più evidente di puntare a un rinnovo del cda. Cosa possibile, questa, se arrivassero le dimissioni di altri cinque consiglieri. Ma a ieri sera la prospettiva non era da considerare realistica. Il Governo intanto, secondo quanto afferma il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, non intende frenare e continua a lavorare al pacchetto di agevolazioni (per Tim e per l'intero settore delle Tlc).
Anche la maggioranza si muove. Fino a ieri sera, in commissione Industria al Senato, è stato in discussione un emendamento al decreto Priolo/golden power, presentato in forma identica da Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia, che dovrebbe avere l'effetto di ammettere anche Tim e le altre telco alle agevolazioni previste per le imprese energivore, cioè a forte consumo di energia. L'emendamento non è passato in commissione per problemi di copertura ma, come ha spiegato il relatore Salvo Pogliese (FdI), sarà ripresentato stamattina in Aula in una versione meno onerosa per provare a ottenere l'ok del Tesoro. Si tratta di una misura che in realtà riguarda tutte le aziende della Difesa ad alto consumo di energia, ad esempio Fincantieri e Leonardo. E potrebbe estendersi alle Tlc per il riferimento al «golden power». L'emendamento prevede che possano accedere ai crediti d'imposta oggi limitati alle aziende "energivore" anche le imprese considerate strategiche ai sensi della disciplina del golden power il cui consumo di energia elettrica, calcolato nel periodo di riferimento, sia pari ad almeno 150 gigawattora/anno.
La richiesta di essere equiparati agli energivori, che per Tim potrebbe valere secondo alcuni analisti fino a circa 90 milioni per i consumi del 2023, era stata avanzata con forza negli ultimi mesi dall'ad Tim Pietro Labriola che, per la prima volta, mercoledì prossimo parteciperà al tavolo tecnico coordinato dal Mimit sul riassetto della rete. Si studia contemporaneamente anche un intervento normativo per accelerare lo switch-off dalla rete in rame alla fibra ottica con un meccanismo tariffario che supporti Tim nella transizione.
 
AH piuttosto tranquillo...
 
AH piuttosto tranquillo...
Giancarlo Giorgetti, 56 anni, non ama esprimersi spesso al di fuori dei momenti in cui il suo ruolo istituzionale di ministro dell’Economia glielo impone. Forse per questo, quando lo fa, parla con l’urgenza di uno che ha accumulato a lungo e tira fuori tutto insieme. Giorgetti per esempio non ha affatto gradito che i suoi colleghi di Francia e Germania, Bruno Le Maire e Robert Habeck, siano andati a Washington a discutere di politica industriale quasi che fossero solo loro a rappresentare l’Europa. Il ministro italiano non nasconde il suo disappunto, in un incontro con un gruppo ristretto di quotidiani europei.
Soprattutto però Giorgetti non apprezza l’idea che Parigi e Berlino ottengano un allentamento dei vincoli sugli aiuti di Stato alle imprese - proprio come risposta ai sussidi di Washington - senza regole che creino un riequilibrio. Una di esse riguarda la riscrittura delle regole di bilancio: se l’Unione europea autorizza più sussidi per la transizioni tecnologiche, osserva il ministro, allora dovrebbe trattare quelle spese in maniera più benevola nella fase di controllo dei deficit pubblici.



«Siamo sorpresi»​

Di certo a dare all’Europa quella che Giorgetti chiama una «sveglia» è stata l’ondata di aiuti pubblici e crediti d’imposta dell’amministrazione di Joe Biden: fino a duemila miliardi di dollari fra i programmi «Build Back Better», «Chips Act» e «Inflation Reduction Act». Ma la reazione franco-tedesca, con la missione dei ministri economici Bruno Le Maire e Robert Habeck a Washington questa settimana, non è andata giù al governo di Roma. «È un’iniziativa di due Paesi, non un’iniziativa europea - dice subito Giorgetti -. Non siamo stati informati e la cosa non ci offende: ci sorprende. Se l’avesse fatto l’Italia, questo governo sarebbe stato accusato di essere sovranista e antieuropeo. A parti invertite saremmo sotto processo», dice il ministro. Invece, aggiunge, «la risposta evidentemente dovrà essere europea» e non di due soli Paesi.

«Regole meno rigide»​

Il punto è capire quale risposta. Qui le preoccupazioni di Giorgetti si uniscono a una proposta: legare la liberalizzazione dei sussidi con regole meno rigide e più mirate anche sui bilanci pubblici. Altrimenti, visto dal governo guidato da Giorgia Meloni, l’equilibrio europeo rischia di saltare. «Non è si può prendere solo un pezzo, gli aiuti di Stato, senza discutere del resto - avverte Giorgetti -. Il muoversi in modo disordinato può far saltare l’Europa. Le istituzioni e le regole europee sono in grave situazione di stress, se si comincia a cedere sui principi del mercati unico. Così non tiene più complessivamente un sistema già troppo articolato».

Più Europa​

Ma appunto il ministro dell’Economia italiano non chiede per questo meno Europa: ne chiede di più. In prospettiva, vede l’obiettivo di un «fondo strategico» europeo che finanzi e gestisca in comune grandi progetti industriali europei. Ma Giorgetti capisce che questo non sarà per domani. Nell’immediato vede un’altra possibilità: trattare in modo diverso nel Patto di stabilità, ai fini del deficit, gli investimenti pubblici nei settori sui quali Francia e Germania chiedono meno vincoli negli aiuti di Stato. È un tema di cui i capi di Stato e di governo dell’Unione parleranno nel loro vertice di domani a Bruxelles. «Se il rilassamento dei vincoli e le deroghe sugli aiuti di Stato proseguono e a fine anno tornano in vigore le regole del Patto di Stabilità, allora si crea un disallineamento - osserva Giorgetti -. Perché poi concretamente non potrei fornire gli aiuti, anche usando i fondi in prestito dal Piano nazionale di ripresa (Pnrr, ndr), perché comunque dovrei rispettare i vincoli di bilancio».

La proposta dell’Italia​

Di qui la proposta dell’Italia: «Sarebbe un passo in avanti enorme - dice il ministro - se nel Patto di stabilità queste spese per investimento avessero un trattamento diverso rispetto alle spese correnti per personale o pensioni». Anche perché, aggiunge Giorgetti con un’altra stoccata a Berlino, «facciamo fatica ad accettare che ci sono Paesi di serie A e Paesi di serie C». Il governo italiano di destra, succeduto a quello di Mario Draghi, resta però molto attento su un punto: non dare l’impressione di essere un remake del governo sovranista giallo-verde del 2018-2019, che entrò subito in rotta di collisione con i mercati e poi con la Commissione europea.

«L’Italia non si sottrae alle responsabilità»​

«L’Italia non si sottrae alla responsabilità di condurre una finanza pubblica responsabile e prudente - dice Giorgetti -. Ci rendiamo conto che abbiamo un elevato debito pubblico, riteniamo di poterlo gestire e abbiamo il dovere di non creare problemi ad altri». Qui viene una rivendicazione puntigliosa del ministro: «L’ultima legge di bilancio credo che abbia dimostrato» la serietà italiana, dice. In particolare, Giorgetti ricorda che il governo Meloni ha scelto di rimettere le accise sui carburanti, rischiando seri problemi nell’opinione pubblica. «È stato un politico non banale, neanche Draghi l’aveva fatto».

Obiettivo: flessibilità​

Giorgetti sa però che il governo si gioca molto, moltissimo, sul ridisegno e l’esecuzione del Pnrr. Un primo obiettivo, ormai alla portata, è ottenere una «flessibilità» su contenuti e tempi nel piano: «Durante il primo anno (di Pnrr, ndr) siamo stati investiti dalle conseguenze della guerra in Ucraina - osserva il ministro - forse ha senso rivedere la scadenza del 2026 almeno di un anno». C’è poi il tema dei costi aumentati per le opere, per l’Italia più rilevante perché ha avuto la parte più importante dei fondi del Recovery. Ma soprattutto il problema della qualità di alcuni progetti e dei bandi andati deserti, come quelli sulle stazioni di rifornimento a idrogeno. «Andate a vedere i progetti finanziati dai comuni italiani con i soldi del Pnrr e chiedetevi se possono aiutare l’economia e crescere. Nel fondo complementare c’è anche uno stadio», sferza il ministro (non senza una frecciata ai piani dell’amministrazione di Firenze sul Franchi di Campo di Marte».

L’Italia non chiederà altri prestiti​

Dunque la revisione del piano, in corso, cercherà di sviluppare le verticali industriali soprattutto nell’energia. Meloni parla spesso del ruolo dell’Italia come hub nel Mediterraneo. «Ipotizziamo che grazie al sole, al vento del Mediterraneo e grazie all’Africa, noi possiamo portare tutta l’energia da sud verso nord. Abbiamo la capacità di trasmissione di questa energia dal sud Italia verso nord e verso l’Europa?», si chiede il ministro. Il riferimento a progetti di rete elettrica e via gasdotto da Sud a Nord è evidente. Di certo però l’Italia non chiederà altri prestiti, nei circa cento miliardi ancora disponibili a Bruxelles, finché non avrà la certezza di poter spendere bene i fondi già disponibili e (eventualmente) quelli nuovi.
Squilla sul cellulare di Giorgetti una chiamata di Giorgia Meloni. Il ministro non risponde e continua a parlare. Sembra uno che ha un po’ bisogno di sfogarsi, dopo aver accumulato per troppo tempo.
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Telecom Italia (TIT.MI): Jefferies raises target price to EUR 0.39 from EUR 0.34
 
Tim: si cerca la grande intesa (MF)
ROMA (MF-DJ)--La premier Giorgia Meloni starebbe già valutando il passo successivo nella vicenda Tim, ossia una soluzione di sistema che metta d'accordo Kkr ma anche Cdp e Macquarie. Un passaggio che al momento è solo un'ipotesi di lavoro, dato che la proposta per Netco alternativa a quella del fondo americano non è ancora arrivata, ma alcune fonti romane la indicano come possibile e per certi versi auspicabile.

Tutto naturalmente deve partire da un atto concreto, ossia un'offerta congiunta da parte di Cdp e Macquarie per gli asset infrastrutturali di Telecom. Anche se da parte dei sue soggetti la decisione formale non è ancora stata presa, scrive MF-Milano Finanza, il mercato considera quasi scontato l'arrivo di una proposta: qualcuno ipotizza già la prossima settimana o più probabilmente tra il 21 e il 23 febbraio, data nella quale è già in calendario un cda di Cdp. La proposta dovrebbe portare la firma solo di Cdp e Macquarie, che comunque terrebbero la porta aperta all'ingresso di altri fondi interessati a entrare in un secondo momento. Tanto che la stessa offerta potrebbe fare menzione di alcune manifestazioni di interesse da parte di altri fondi.

A quel punto sul tavolo del board di Tim ci saranno due offerte per Netco e il consiglio si troverà a fare una valutazione da sottoporre ai soci in assemblea. Quali valutazioni? Chi segue da vicino il dossier consiglia di non inseguire i possibili meccanismi che potrebbero far crescere il prezzo dell'offerta Kkr ma di concentrarsi sui alcuni dati certi.

Il fondo americano ha valutato Netco 20 miliardi ma alcuni dei tecnici al lavoro ritengono che il valore reale dell'offerta sia inferiore. Per vari motivi. Innanzitutto dalla proposta del fondo andrebbero sottratti i 2 miliardi stimati di valore di earn out derivante dalla fusione tra Netco con Open Fiber: un passaggio non scontato, dato che dovrebbe passare anche dal gradimento di Macquarie che ha il 40% di OF. Il tutto senza contare che le sinergie, che esistono, potrebbero esprimersi solo se questa fusione si facesse in tempi brevi.

Ogni mese di ritardo farebbe venir meno il valore di quell'earn out. Altro tema è Sparkle, che in base ai criteri adottati per la valutazione attuale di 1,25 miliardi potrebbe in realtà scendere di molto. La parte della proposta che di sicuro desta più perplessità è quella relativa a Fibercop, la società che si occupa di fibra controllata da Tim e partecipata dalla stessa Kkr con il 37,5%.

Kkr valuta tutta la società 12,75 miliardi, ma lo stesso fondo ha acquistato nell'aprile 2021 la sua quota stimando Fibercop appena 7,7 miliardi. In un anno e mezzo, secondo il fondo Usa, il valore della società dovrebbe essere salito di 5 miliardi, cioè più del 65% con un IRR che alcune simulazioni stimano superiore al 30%.

La morale è che, numeri alla mano, c'è chi considera che l'offerta effettivamente messa sul piatto da Kkr (che pure è non vincolante e soggetta a variabili e passibile di modifiche) sia molto più bassa di 20 miliardi e che si avvicini più ai 16 miliardi, valore che si è sempre detto fosse stato individuato dagli advisor di Cdp come il giusto prezzo per Netco.

Se queste valutazioni fossero confermate e una volta che Tim avrà ricevuto anche l'offerta di Cdp-Macquarie, partiranno le valutazioni. In quel momento, da quel che risulta, potrebbe intervenire il governo mettendo tutti attorno a un tavolo e cercando una mediazione tra due offerte di fatto comparabili. Difficile ad esempio che l'esecutivo accetti un passaggio di Sparkle, la rete tlc internazionale, sotto il controllo di un gruppo straniero, di qualsiasi nazionalità si parli. Vivendi dal canto suo potrà scegliere quale proposta votare in assemblea, con l'opzione anche di considerarle entrambe non adeguate. D'altra parte ricevere due offerte nell'arco di un mese, entrambe al di sotto dei 20 miliardi, rappresenterebbe un'indicazione chiara delle stime del mercato. Un'altra possibilità è che nel frattempo Vivendi cerchi una soluzione con il governo che li soddisfi. Uno scenario che confermerebbe il tentativo dell'esecutivo di evitare attriti tra tutti i soggetti sul dossier.
 
Buongiorno, leggo di un offerta sui 18 Miliardi.
Poi vado a vedere la capitalizzazione e leggo 4,8 per le ordinarie e 1,7 per le risparmio.
Capitalizzazione totale 6,5 … immagino che in mezzo debba scontare il debito ….giusto ?


Quanto è il debito?
 
Buongiorno, da quest'ultimo articolo di MF sembra che tutti i soggetti interessati sono ancora in alto mare :wall:
 
Tim: si cerca la grande intesa (MF)
ROMA (MF-DJ)--La premier Giorgia Meloni starebbe già valutando il passo successivo nella vicenda Tim, ossia una soluzione di sistema che metta d'accordo Kkr ma anche Cdp e Macquarie. Un passaggio che al momento è solo un'ipotesi di lavoro, dato che la proposta per Netco alternativa a quella del fondo americano non è ancora arrivata, ma alcune fonti romane la indicano come possibile e per certi versi auspicabile.

Tutto naturalmente deve partire da un atto concreto, ossia un'offerta congiunta da parte di Cdp e Macquarie per gli asset infrastrutturali di Telecom. Anche se da parte dei sue soggetti la decisione formale non è ancora stata presa, scrive MF-Milano Finanza, il mercato considera quasi scontato l'arrivo di una proposta: qualcuno ipotizza già la prossima settimana o più probabilmente tra il 21 e il 23 febbraio, data nella quale è già in calendario un cda di Cdp. La proposta dovrebbe portare la firma solo di Cdp e Macquarie, che comunque terrebbero la porta aperta all'ingresso di altri fondi interessati a entrare in un secondo momento. Tanto che la stessa offerta potrebbe fare menzione di alcune manifestazioni di interesse da parte di altri fondi.

A quel punto sul tavolo del board di Tim ci saranno due offerte per Netco e il consiglio si troverà a fare una valutazione da sottoporre ai soci in assemblea. Quali valutazioni? Chi segue da vicino il dossier consiglia di non inseguire i possibili meccanismi che potrebbero far crescere il prezzo dell'offerta Kkr ma di concentrarsi sui alcuni dati certi.

Il fondo americano ha valutato Netco 20 miliardi ma alcuni dei tecnici al lavoro ritengono che il valore reale dell'offerta sia inferiore. Per vari motivi. Innanzitutto dalla proposta del fondo andrebbero sottratti i 2 miliardi stimati di valore di earn out derivante dalla fusione tra Netco con Open Fiber: un passaggio non scontato, dato che dovrebbe passare anche dal gradimento di Macquarie che ha il 40% di OF. Il tutto senza contare che le sinergie, che esistono, potrebbero esprimersi solo se questa fusione si facesse in tempi brevi.

Ogni mese di ritardo farebbe venir meno il valore di quell'earn out. Altro tema è Sparkle, che in base ai criteri adottati per la valutazione attuale di 1,25 miliardi potrebbe in realtà scendere di molto. La parte della proposta che di sicuro desta più perplessità è quella relativa a Fibercop, la società che si occupa di fibra controllata da Tim e partecipata dalla stessa Kkr con il 37,5%.

Kkr valuta tutta la società 12,75 miliardi, ma lo stesso fondo ha acquistato nell'aprile 2021 la sua quota stimando Fibercop appena 7,7 miliardi. In un anno e mezzo, secondo il fondo Usa, il valore della società dovrebbe essere salito di 5 miliardi, cioè più del 65% con un IRR che alcune simulazioni stimano superiore al 30%.

La morale è che, numeri alla mano, c'è chi considera che l'offerta effettivamente messa sul piatto da Kkr (che pure è non vincolante e soggetta a variabili e passibile di modifiche) sia molto più bassa di 20 miliardi e che si avvicini più ai 16 miliardi, valore che si è sempre detto fosse stato individuato dagli advisor di Cdp come il giusto prezzo per Netco.

Se queste valutazioni fossero confermate e una volta che Tim avrà ricevuto anche l'offerta di Cdp-Macquarie, partiranno le valutazioni. In quel momento, da quel che risulta, potrebbe intervenire il governo mettendo tutti attorno a un tavolo e cercando una mediazione tra due offerte di fatto comparabili. Difficile ad esempio che l'esecutivo accetti un passaggio di Sparkle, la rete tlc internazionale, sotto il controllo di un gruppo straniero, di qualsiasi nazionalità si parli. Vivendi dal canto suo potrà scegliere quale proposta votare in assemblea, con l'opzione anche di considerarle entrambe non adeguate. D'altra parte ricevere due offerte nell'arco di un mese, entrambe al di sotto dei 20 miliardi, rappresenterebbe un'indicazione chiara delle stime del mercato. Un'altra possibilità è che nel frattempo Vivendi cerchi una soluzione con il governo che li soddisfi. Uno scenario che confermerebbe il tentativo dell'esecutivo di evitare attriti tra tutti i soggetti sul dossier.
Seguendo questo ragionamento KKR avrebbe offerto sette od otto miliardi in più del valore della Rete a Tim,:confused: 20 miliardi più sette ( articoli di questo stesso giornale) invece dell'effettivo valore che secondo questo articolo è di 13/14 miliardi ,KO! devono essere proprio dei babbioni Kravis e compagni, e io scemo che pensavo che il Fondo KKR fosse composto da squali della Finanza.....Giornale ridicolo....:rolleyes:
 
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Finta rottura al rialzo. Giornalai che smentiscono le quazzate che avevano scritto e giù. Se l' inferno esiste deve esserci un girone per sta gente.
 
..come da copione...si torna nella m.e.r.d.a. sospesa al ribasso
 
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