24.04.2006
«L’anomalia è la pubblicità in poche mani»
«Mi è sembrato ci sia stata una reazione generalizzata, che va da Gentiloni a Rizzo, e quindi copre un arco ampio che dice che l’esigenza posta da Bertinotti di un sistema radiotelevisivo pluralistico e non viziato dall’attuale dupolio (che diventa monopolio quando Berlusconi è al potere) è giusta, ma che il rimedio suggerito dal leader di Rifondazione è parziale e errato». Così Stefano Passigli, Ds, in predicato per entrare al governo per occuparsi dei temi della comunicazione e dell’informazione, valuta le affermazioni del segretario del Prc che ha auspicato un «dimagrimento» delle reti Mediaset.
In che senso dice che il rimedio posto da Bertinotti è parziale e errato?
«È parziale perché non bisogna pensare solo a Mediaset, ma all’assetto dell’intero sistema radiotelevisivo. L’anomalia è che in Italia le risorse pubblicitarie sono concentrate prevalentemente sulla televisione e non ripartite come nel resto d’Europa equamente tra tv e carta stampata. Intervenire solo su Mediaset non risolve il problema. Ed è errato perché ci sono 2 vincoli di cui bisogna tenere conto. Da un lato, le sentenze della Corte costituzionale in materia, dall’altro, il referendum popolare sulla privatizzazione della Rai».
Quali sono questi vincoli?
«Le sentenze avevano predisposto il dimagrimento in parallelo di Rai e Mediaset, con Rete 4 sul satellite e una rete Rai, esclusivamente a canone e senza pubblicità. Il referendum popolare imponeva la privatizzazione della Rai».
Cosa intende fare l’Unione sulla Gasparri?
«L’Unione sicuramente dovrà mettere mano alla modifica della Gasparri, che da un lato abolisca il Sic, il Sistema integrato delle comunicazioni, una trovata grazie alla quale si è levato qualsiasi tetto a Mediaset nella raccolta di pubblicità, rafforzandola invece che controllandola. Inoltre, questa legge prevede una privatizzazione della Rai che è una burletta. Perché la maggioranza rimarrebbe in mano pubblica, nessuno potrebbe avere se non pochissime azioni: insomma si tratta di una privatizzazione che lascia tutto com’è. Bisogna invece non porre tetti alla raccolta pubblicitaria per un solo soggetto, perché ciò sarebbe persino incostituzionale. Ma porli invece alla raccolta pubblicitaria complessiva, e allo stesso tempo far entrare nuovi operatori, attraverso la privatizzazione della Rai».
Di quale tipo?
«Posso esporre una mia posizione personale. Si dovrebbe pensare a una Rai holding, che possiede una rete di servizio pubblico pagata col canone, e il 30% di un’altra società, in cui il 70% è sottoscritta da azionisti forti, che potrebbero essere anche editori di giornali. E quest’altra società possiederebbe due canali, che si reggono commercialmente. Sarebbe una privatizzazione che mantiene comunque una partecipazione pubblica nell’azienda di viale Mazzini: il 30% è più che sufficiente se il resto è diviso tra più azionisti. In questo modo, per esempio, se Berlusconi avesse vinto le elezioni, di queste due reti non avrebbe il controllo. E i due canali possono diventare concorrenziali con Mediaset. Inoltre, possiamo far crescere La7, rimuovendo i vincoli che ci sono. E Murdoch è già presente sul mercato. Bisogna arrivare a 4 o 5 attori, e non solo Rai e Mediaset, che in pratica oggi coprono il 90% sia dell’audience, che delle risorse pubblicitarie.
E come pensate di risolvere il conflitto di interessi?
«Intanto, se si rende più plurale il sistema dell’informazione si ridimensiona fortemente questo problema. Nella scorsa legislatura era stata presentata una proposta di legge dell’Unione, e dell’Ulivo in particolare (i primi 2 firmatari erano Rutelli e Fassino), che prevede il modello americano, cioè la creazione di un’Autorità per il conflitto di interessi, la quale caso per caso, in contraddittorio con gli interessati decide cosa può mantenere, e cosa no. La dismissione avviene, se sono attività finanziarie, con il conferimento a un blind trust, se sono invece imprese potrebbe essere sufficiente la sterilizzazione del diritto di voto. In questo modo, rimuoveresti la proprietà dalla gestione. Nel caso Mediaset, Berlusconi conserverebbe tutti i diritti patrimoniali, nessuno lo obbliga alla vendita, ma non potrebbere più votare le sue azioni, la sua società in pratica sarebbe amministrata dagli azionisti di minoranza. Nei casi più estremi, l’ amministratore della gestione fiduciaria può anche disporre la vendita. In molti casi, la sterilizzazione del diritto di voto potrebbe essere sufficiente»