Zelensky dopo aver portato allo stremo l’Ucraina e fatto irritare Biden finalmente parla di pace…
Prima ci sono state le dichiarazioni di
Mark Milley, capo di stato maggiore americano. Molto pessimista sulle possibilità che
Kiev possa vincere la guerra. Poi le notizie sulla condizione tragica della
popolazione ucraina, con decine di milioni di persone senz’acqua e senza energia elettrica. Poi
Washington ha fatto filtrare la notizia che l’
America sta pensando di non mandare più armi a
Zelensky. Poi le accuse all’esercito ucraino di avere fucilato dei prigionieri russi. E prima di tutto questo c’era stato l’incidente clamoroso del missile non-russo – anzi, ucraino – lanciato su un piccolo borgo polacco.
È l’incidente che ha scatenato l’ira di
Biden che da tempo covava e – dopo il risultato elettorale di
mid-term negli Usa – era diventato abbastanza palese. Ora è lo stesso governo ucraino a dire che si possono avviare trattative di pace anche senza che i territori occupati dai russi siano liberati. E contemporaneamente, alle proposte di mediazione di
Erdogan si sono aggiunte quelle più autorevoli del
Vaticano. E si è sommata la spinta del leader cinese
Xi, che ha fatto capire che l’interesse della
Cina è che questa guerra finisca al più presto.
Naturalmente nessuno sa con precisione se le trattative, segrete, siano state già avviate, e in che forma, e da chi, e con quali prospettive. Però è molto probabile che anche a
Bali, in occasione del
G20, i pacieri si siano mossi sia sul fianco russo sia su quello americano. A questo punto è difficile sfuggire alla domanda delle domande:
era necessario aspettare la morte di cento o forse duecentomila persone per dare spazio all’iniziativa diplomatica? Chi è che ha preferito che la guerra facesse il suo corso, pur sapendo dall’inizio come si sarebbe conclusa? Perché l’Europa non si è fatta sentire? E quanto ha pesato nell’andamento della guerra l’obbligo morale di difendere l’
Ucraina e quanto invece gli interessi sul gas?