Un saluto a Norberto Bobbio

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Norberto Bobbio

Norberto Bobbio era nato a Torino il 18 ottobre 1909 da Luigi, medico-chirurgo, originario della provincia di Alessandria, primario all'ospedale San Giovanni, uno dei più noti chirurghi della città. Gli anni della sua formazione vedono Torino come centro di grande elaborazione culturale e politica. Al Liceo Massimo D'Azeglio conosce Vittorio Foa, Leone Ginzburg, Cesare Pavese.

All' Università diventa amico di Alessandro Galante Garrone. Si laurea in legge e in filosofia. Dopo aver studiato Filosofia del diritto con Solari, insegna questa disciplina a Camerino (1935-38) e Siena (1938-40) e Padova (1940-48). Il suo peregrinare per l'italia lo porta a frequentare vari gruppi di antifascisti. A Camerino conosce Aldo Capitini e Guido Calogero e comincia a frequentare le riunioni del movimento liberalsocialista. Da Camerino si trasferisce a Siena, dove collabora con Mario delle Piane, e infine, nel 1940, a Padova, dove diventa amico di Antonio Giuriolo. Collabora anche con il gruppo torinese di Giustizia e Libertà, con Foa, Leone e Natalia Ginzburg, Franco Antonicelli, Massimo Mila.

Successivamente nel '42 aderisce al Partito d'Azione. A Padova, collabora con la Resistenza, frequentando Giancarlo Tonolo e Silvio Trentin. Viene arrestato nel 1943. Nel dopoguerra, insegna Filosofia del diritto all'Università di Torino (1948-72) e Filosofia della politica, ancora a Torino, dal 1972 al 1979. Dal 1979 è professore emerito dell'Università di Torino. Socio nazionale dell'Accademia dei Lincei, dal 1966 è socio corrispondente della British Academy. La scelta di non essere protagonista della vita politica attiva non ha però mai impedito a Bobbio di essere presente e partecipe, anzi punto di riferimento nel dibattito intellettuale e politico dell'ultimo trentennio.

"Critico delle filosofie accademiche o irrazionalistiche già con "La filosofia del decadentismo" (1944), nel dopoguerra si è impegnato in difesa di un rinnovato illuminismo, contro le eredità spiritualistiche e idealistiche della tradizione italiana. In numerosi studi teorici (Teoria della scienza giuridica, 1950; Studi sulla teoria generale del diritto, 1955; Teoria della norma giuridica, 1958; Teoria dell'ordinamento giuridico, 1960; Giusnaturalismo e positivismo giuridico, 1965; Dalla struttura alla funzione, 1978) ha sostenuto una concezione avalutativa della scienza del diritto, derivando dalla filosofia analitica il principio che il diritto sia costituito da "prescrizioni" (norme) logicamente irriducibili, e dal positivismo giuridico il "principio di effettività", per cui il diritto è l'insieme delle norme dotate di efficacia reale in una determinata società" [Enciclopedia Garzanti di Filosofia"].

Nel '66 sostiene il processo di unificazione tra socialisti e socialdemocratici. Nel 1984, il filosofo apre una forte polemica con la "democrazia dell'applauso" varata da Craxi nel Congresso di Verona e Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica. Nel luglio del 1984 è stato nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Ha avuto la laurea ad honorem nelle Università di Parigi, di Buenos Aires, di Madrid (Complutense), di Bologna, di Chambéry. È stato a lungo direttore della "Rivista di filosofia" insieme con Nicola Abbagnano.

Scritti di Norberto Bobbio:

1944 La filosofia del decadentismo
1950 Scienza del diritto e analisi del linguaggio, Edizioni di Comunità, Milano
in: U. Scarpelli (a cura di), Diritto e analisi del linguaggio
1950 Teoria della scienza giuridica
1955 Politica e cultura, Einaudi
1955 Studi sulla teoria generale del diritto
1958 Teoria della norma giuridica
1960 Teoria dell'ordinamento giuridico
1964 Italia civile
1965 Da Hobbes a Marx
1965 Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Edizioni di Comunità, Milano
1969 Profilo ideologico del Novecento, Garzanti
in: E. Cecchi, N. Sapegno (a cura di), Storia della letteratura italiana. Il Novecento
1969 Saggi sulla scienza politica in Italia
1970 Studi per una teoria generale del diritto, Giappichelli, Torino
1971 Una filosofia militante. Studi su C. Cattaneo
1973 La cultura e il fascismo, Einaudi
in: G. Guazza (a cura di), Fascismo e società italiana
1976 Quale socialismo?
1978 Dalla struttura alla funzione
1978 Il problema della guerra e le vie della pace
1994 Destra e sinistra
1995 Bibliografia degli scritti. 1934-1993
1996 De Senectute, Einaudi
1999 Autobiografia
1999 Teoria generale della politica, Einaudi
2001 Dialogo intorno alla repubblica
 
E Torino perde, poco a poco, i suoi padri.

Masca
 
Una specie di Galliani. Professore a 24 anni! Ma dai.
 
In alcuni momenti della mia vita mi sono sentito un privilegiato.
E' capitato quando ho avuto l'onore di conoscerlo.
Siamo tutti più poveri. Tutti.
 
.


Riletta stasera, per caso, mentre cercavo altro.

Bobbio e la TV.

Se m'incontro con Bobbio e discuto del comico, mi vergogno il giorno dopo in televisione a fare il bischero, perché penso che Bobbio mi stia guardando, allora comincio a fare un discorso serio, mi guardo il corpo, ho pudore...e tutta la montagna di neve si scioglie.

(Roberto Benigni, E l'alluce fu, Einaudi, 1996)
 
Sulla Stampa di ieri c'era un suo vecchio articolo , scritto quando ancora il muro di Berlino era in piedi , sul fallimento del comunismo storico , ma sulla permanenza delle ingiustizie sociali che lo avevano fatto nascere.
La mancata risposta da parte delle nostre democrazie a questi problemi è purtroppo ancora attuale.
Non ho ritrovato l'articolo , ma solo quest'intervista che vi fa riferimento.
Purtroppo è un altro pezzo importante della mia città che se ne è andato...:(

http://www.parlamento.it/dsulivo/XIII legislatura/intervis/int010504.htm
 
Vittorio Foa: "Ci ha insegnato ad amare la democrazia"

"Squillano in continuazione i telefoni di casa Foa a Formia. I giornali vogliono sapere di Bobbio. E Foa, il suo vecchio amico fin dai tempi dell’università, sempre restio a usare la memoria perché preferisce ragionare sul futuro, sa di dover parlare. Alle agenzie dice di essere commosso non addolorato. E si capisce che per Foa la morte ha chiuso una bella vita, una vita «positiva»: la commozione al posto del dolore testimonia il privilegio della vita del suo amico filosofo. «Ci siamo conosciuti quando eravamo studenti universitari. Laureati nello stesso luglio del 1931, facoltà giuridica dell’università di Torino».
Lei era già antifascista?
«Io sì».
Bobbio, invece?
«Non si impegnava politicamente e non era mai stato un cospiratore ma io ho sempre pensato, anche allora, che le sue idee fossero idee pulite e non idee torbide. L’ho conosciuto sempre come un uomo dalle idee pulite. Col pensiero rivolto al futuro collettivo. Mai idee rivolte alla violenza contro gli altri. In realtà, al di la di quel che ha detto, Bobbio non è mai stato fascista».
A Torino eravate un gruppo consistente...
«Sì. Amici che si frequentavano e si divertivano anche. Andavamo a ballare. Sia ben chiaro: non eravamo gente che si vedeva solo per studiare. C’era il cinema, il ballo, il trovarci con le ragazze. C’erano poi anche i gruppi di attività cospirativa, che però erano un’altra cosa. Con Bobbio era una vita di amicizia orientata in modo positivo».
Con lui ha mai parlato delle sue attività cospirative?
«No. Pensavo che non avesse senso metterlo al corrente di una attività di cui lui non faceva parte. Lui si occupava di studio ad altissimo livello e ritenevo fosse giusto si occupasse di questo. La differenza tra lui ed altri è tutta qui: lui ha sempre privilegiato lo studio e la riflessione rispetto alla politica contingente».
Chi c’era nella squadra di amici di cui Bobbio e lei facevate parte?
«Eravamo tanti. C’erano i fratelli Galante-Garrone, Alessandro e Carlo. Molto importante per il suo ruolo, Giorgio Agosti. C’era Livio Bianco e tutti i partigiani che poi sarebbero confluiti in Giustizia e libertà. Ettore Gelli, Carlo Ziini, Alberto Levi fratello di Natalia, Leone Ginzuburg. Molti altri come Carlo Levi e altri ancora».
In queste vostre amicizie di giovani contava il filo dell’antifascismo?
«Secondo me contava molto anche se non era mai dichiaratamente espresso. Non si poteva dire tranquillamente “sono antifascista” se non eri dentro un certo giro. Parlavi delle altre cose attribuendo un senso positivo di rispetto degli altri, di profonda aspirazione alla giustizia sociale. E già questo era un prendere posizione».
Poi le strade si sono diversificate. Lei finì in carcere. Si perse di vista con Bobbio?
«Quando uscii di prigione, erano gli ultimi giorni d’agosto del 1943 (pochi giorni dopo ci fu l’occupazione tedesca e dovetti tornare in clandestinità nella Resistenza), appena fuori andai a trovare i miei genitori che erano sfollati sulle colline torinesi. Due giorni dopo venne a trovarmi in macchina Bobbio. Aveva saputo che ero uscito e voleva vedermi. Non ci vedevamo da dieci anni, io li avevo trascorsi in carcere e...»
...Il presidente del Consiglio direbbe che anche lei aveva avuto il privilegio di essere mandato in «villeggiatura» dal fascismo...
«...E’ naturale! ma lasciamo perdere... Naturalmente, parlammo della situazione e io rimasi molto colpito dalla forza del suo sentimento socialista che non era schematico per nulla, perché non c’era nulla di schematico in Bobbio. In Bobbio la ricerca era ricerca vera, mai schematismo. Ma c’era calore e passione nella ricerca del senso della giustizia sociale. Mi colpì moltissimo. Anche perché erano molti anni che non parlavamo di queste cose e per la prima volta dopo tanto tempo discutevamo insieme e liberamente di tutto questo».
Foa, quando capì che Bobbio era uno studioso di altissimo livello?
«Si capì subito. In lui c’era una cosa straordinaria. Amava molto la democrazia ma aveva anche questo spirito di critica della democrazia. Sapeva che nella democrazia ci sono molte cose che non vanno e che quindi bisogna amare la democrazia ma anche criticarla, conoscere le cose che non vanno e correggerle: le ingiustizie, le violenze, gli arbitri. È stato il portatore di un senso dinamico nella lotta per l’affermazione della democrazia».
Dopo di allora vi siete ritrovati nel partito d’azione. Bobbio come ci arrivò?
«Lui seguì una via diversa dalla mia. Una via che veniva dal Veneto, da Padova. Bobbio aveva partecipato all’attività padovana».
Né Bobbio né lei siete mai stati comunisti. Lei però fece l’esperienza del Psiup, molto vicino all’Urss. Bobbio, invece, fu sempre molto severo sull’esperienza dei paesi che vennero chiamati del socialismo reale.
«Tra Bobbio e me non fu questa la differenza. Anche io sono sempre stato molto severo con l’Urss. Lui era un socialista moderato. Apparentemente moderato, perché in realtà aveva principi molto fermi. Io invece ero più legato alle vicende politiche più contingenti. Se però dobbiamo pensare al contributo di Bobbio lo vedrei non tanto nel contenuto immediato delle sue posizioni politiche quanto nel valore dell’esempio, dell’esempio civile che lui ci ha dato. Lui ha concepito la politica anche come educazione attraverso l’esempio ed è secondo me un contributo molto importante di cui la Repubblica italiana gli è debitrice. Siamo debitori della capacità di vedere nella politica anche l’insegnamento di un costume e di un comportamento».
Per Bobbio, lei e i vostri amici di generazione, l’etica quanto ha pesato? Avevate letto molti libri, più delle generazioni successive, ma la morale quanto contava?
«Per alcuni i libri sono stati decisivi. Per altri, hanno inciso di più le esperienze. Io credo che ognuno di noi è stato fatto dall’esperienza. Tenga conto che eravamo diversi uno dall’altro anche quando poi insieme sentivamo il valore etico, che era vero».
Quando l’ha incontrato per l’ultima volta?
«Ci siamo incontrati spesso. Spesso Bobbio è venuto a pranzo a casa mia. E l’ho incontrato anche a casa del figlio Andrea. Bobbio era molto legato alla famiglia, è un aspetto molto positivo della sua vita. Ho sempre molto ammirato il modo affettuoso di Bobbio e la sua tenerezza verso i figli e la moglie, Valeria Cova, una donna singolarmente attiva e positiva, una persona deliziosa morta pochi anni fa. Io sono ancora oggi molto legato a due dei suoi figli: Luigi ed Andrea».
Cosa ci lascia Bobbio?
«Possiamo dire che lascia agli italiani, e non solo agli italiani, la lezione di come si deve vivere insieme. Intanto, bisogna imparare a vivere, e non è una cosa facile. E a vivere insieme, non è una cosa facilissima. Bisogna saperlo fare e imparare a farlo. Lui ci ha insegnato a fare queste cose qui».
 
Re: Vittorio Foa: "Ci ha insegnato ad amare la democrazia"

Scritto da Anita
Se però dobbiamo pensare al contributo di Bobbio lo vedrei non tanto nel contenuto immediato delle sue posizioni politiche quanto nel valore dell’esempio, dell’esempio civile che lui ci ha dato. Lui ha concepito la politica anche come educazione attraverso l’esempio ed è secondo me un contributo molto importante di cui la Repubblica italiana gli è debitrice. Siamo debitori della capacità di vedere nella politica anche l’insegnamento di un costume e di un comportamento».

Di questo si sente sempre più la mancanza...:(
 
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