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  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

Alitalia fallita, tribunale civile di Lecce: “Tesoro deve risarcire piccoli azionisti”



Alitalia fallita, tribunale civile di Lecce: “Tesoro deve risarcire piccoli azionisti”
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Il ministero, che nel 2008 possedeva il 49,9% della compagnia, dovrà versare oltre 500mila euro ad alcuni risparmiatori che avevano quote della società: secondo la sentenza via XX Settembre li indusse a sperare in un salvataggio che poi non c'è stato. Ora altri piccoli soci che hanno già presentato denunce ed esposti potrebbero vedersi riconoscere il danno patrimoniale



di Chiara Brusini e Pierluigi Giordano Cardone | 23 giugno 2015

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Più informazioni su: Alitalia, Lecce, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, Roberto Colaninno, Silvio Berlusconi


La sentenza è definitiva. Farà giurisprudenza e, per questo motivo, fa paura. A chi? Al ministero dell’Economia, condannato dal Tribunale civile di Lecce a risarcire un azionista di minoranza di Alitalia per il fallimento, nel 2008, della vecchia compagnia aerea di bandiera. La colpa del Tesoro (all’epoca titolare del 49,9 per cento della società)? Aver assicurato con atti ufficiali e dichiarazioni pubbliche che lo Stato non avrebbe fatto fallire Alitalia e che, anzi, avrebbe garantito la continuazione dell’attività imprenditoriale, pur mancando un vero progetto di salvataggio e di continuità industriale. I piccoli azionisti ci hanno creduto e, alla fine, hanno perso tutto. Perché poi la “bad company” Alitalia è fallita, mentre la parte sana è stata svenduta ai “capitani coraggiosi” guidati da Roberto Colaninno.

Da questo dato di fatto sono nati la causa di un risparmiatore salentino contro il Mef, il processo e la sentenza di condanna, pubblicata il 7 maggio e passata in giudicato il 22 giugno: il giudice ha imposto al dicastero di Pier Carlo Padoan di risarcire l’autore della denuncia, per danno emergente e danno patrimoniale da lucro cessante, con una somma pari a 435mila euro circa. A cui vanno aggiunti gli interessi legali, la rivalutazione e le spese processuali. Fin qui la decisione del giudice, che ha ribaltato quanto stabilito in precedenza da altri tribunali italiani. Ciò che preoccupa via XX Settembre, però, è ciò che potrebbe succedere qualora anche gli altri piccoli azionisti (in tutto sono oltre 20mila) decidessero di adire le vie legali e seguire l’azione intentata dall’avvocato Francesco Toto e dallo Sportello dei diritti di Lecce rappresentato da Gianni e Francesco D’Agata.

Le stime sono presto fatte. Per avere un’idea delle cifre in gioco, bisogna ricordare che il giorno prima che Alitalia venisse bloccata dalle contrattazioni da Consob e Borsa Italiana (il 3 giugno del 2008) le sue azioni, che non sono più state scambiate sul mercato, valevano 0,4450 euro l’una. Il capitale ordinario non in mano al Tesoro, quindi, valeva 315,328 milioni di euro. Sempre a titolo esemplificativo delle grandezze in gioco, utilizzando come parametro il risarcimento ottenuto dal risparmiatore di Lecce (0,989 euro per azione al netto di rivalutazione, interessi e spese processuali), ne deriva un valore di oltre 700 milioni di euro per il totale delle azioni Alitalia che il Mef non possedeva nel 2008. Il calcolo è chiaramente approssimativo, anche perché dal totale andrebbero sottratti i titoli di quanti accettarono la proposta di risarcimento del governo tramite lo scambio delle azioni della compagnia fallita con dei titoli di Stato, ma è sufficiente a rendere l’idea. Non va trascurato, poi, che dopo 5 anni per la responsabilità extracontrattuale interviene la prescrizione e chi non l’ha bloccata con un atto ufficiale entro il 2013 è fuori da ogni richiesta di risarcimento. Restano tutti gli altri. Tra questi i 50 piccoli azionisti rappresentati dal legale pugliese e un altro, imprecisato numero di risparmiatori che hanno deciso di tutelarsi producendo documenti ad hoc (denunce, esposti). Quanti sono non si sa con esattezza.

Le motivazioni della sentenza di condanna del giudice Italo Mirko De Pasquale, tuttavia, sono chiarissime e possono salvaguardare chi nell’operazione ha perso piccoli o grandi patrimoni: la responsabilità del ministero è legata alla “prosecuzione dell’attività aziendale di Alitalia Linee Aeree italiane spa pur in mancanza di prospettive industriali e determinando così l’affidamento incolpevole degli azionisti circa la volontà dello Stato di sostenere Alitalia e di evitare il fallimento e l’insolvenza della società”. Il diritto al risarcimento nasce in pratica dalle modalità con cui nel 2008 il governo Berlusconi, dopo aver bocciato l’offerta di acquisto presentata da Air France-Klm, ha deciso di far fallire la vecchia Alitalia e trasferire alla Cai dei “capitani coraggiosi” la parte sana della compagnia. La querelle sull’intervento dei francesi nella “compagnia di bandiera” fu al centro della campagna elettorale, culminata nell’aprile 2008 nella vittoria della coalizione di centrodestra: in nome dell’italianità Berlusconi promise che in caso di elezione avrebbe rotto le trattative con il gruppo d’Oltralpe che erano state portate avanti fino a quel momento dall’esecutivo di Romano Prodi. Di lì la messa a punto del Piano Fenice (messo a punto da Corrado Passera), quello che prevedeva la costituzione da parte della cordata di 16 investitori italiani di una nuova società con dentro gli aerei, le licenze, le rotte e la AirOne di Carlo Toto. Mentre la bad company carica di debiti ed esuberi finì in amministrazione straordinaria. Scaricando sul groppone dei contribuenti tutti gli oneri del caso (oltre 3 miliardi di euro).

Nel frattempo però, secondo la sentenza, il Tesoro guidato all’epoca da Tommaso Padoa Schioppa aveva determinato appunto un “affidamento incolpevole degli azionisti”. Nel mese di aprile il consiglio dei ministri aveva infatti concesso ad Alitalia un prestito ponte da 300 milioni a valere su fondi del ministero proprio per evitarne il commissariamento. Inducendo così i piccoli soci a sperare nel salvataggio, che poi non c’è stato. Come prova vengono citati “relazioni e bilanci del gruppo Alitalia al 31.12.2006/2007, la Relazione del commissario straordinario del 19.11.2008 redatta dal professor Augusto Fantozzi e la nota del 15.09.2008 del commissario straordinario (sempre Fantozzi). Il quale, con quest’ultimo documento, aveva previsto che i piccoli azionisti che avessero subito un danno dal fallimento di Alitalia potessero accedere al fondo di tutela per le vittime delle frodi finanziarie.

Ora a pagare sarà il ministero. “Io rappresento ufficialmente 50 piccoli azionisti, ma salvaguardo gli interessi di 11mila piccoli risparmiatori”, ha detto a ilfattoquotidiano.it l’avvocato Francesco Toto. “La sentenza è a beneficio di tutti, apre una strada”. Il governo cosa può fare? “O paga subito, magari studiando un decreto ad hoc, o rischia di trovarsi di fronte a una serie lunghissima di contenziosi aperti”. A meno che la prescrizione non salvi casse e ragione di Stato. “In tal caso Renzi o chi per lui dovrà spiegare ai pensionati che avevano investito in Alitalia la fine che hanno fatto i loro risparmi“.
 
qualcuno si vada a rileggere i miei post di 5 anni fa, sostenevo con forza che gli investitori dovevano essere risarciti
 
Alitalia: Federconsumatori fa appello al Ministro dell’Economia per definire le tutele per gli azionisti Alitalia che attendono da 10 anni di essere rimborsati.

Si è concluso a novembre 2018 il giudizio di secondo grado che ha visto condannati i vertici di Alitalia al risarcimento danni nei confronti degli azionisti coinvolti nel dissesto del gruppo.

La sentenza emessa è di carattere esecutivo per quanto riguarda le condanne civilistiche, ma visto che non vi è alcun responsabile civile capiente e che le condanne prevedono la liquidazione di somme rilevanti, riteniamo indispensabile definire gli interventi di tutela opportuni a garantire i diritti degli obbligazionisti ed azionisti coinvolti.

Una necessità resa ancora più evidente se si considera che, all’epoca dei fatti, la società era (e di fatto continua ad essere) in mano pubblica. Proprio questo fattore costituiva un elemento di fiducia per i risparmiatori, convinti di essere in ogni caso tutelati dallo Stato.

Così, purtroppo, non è avvenuto: sono molti i cittadini coinvolti che, sentendosi truffati, si sono rivolti alla nostra Associazione.

Per questo, dopo numerosi tentativi di contatto con gli Amministratori straordinari di Alitalia rimasti inascoltati, abbiamo richiesto un incontro urgente al Ministro dell’Economia e delle Finanze per dare risposte a obbligazionisti e azionisti che da oltre 10 anni attendono di rientrare in possesso dei propri risparmi.


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Importante tassello della questione è la condanna definitiva per bancarotta fraudolenta dei manager perché da questo dipende l'eventuale riconoscimento del danno pubblico e privato che potrebbe essere preso in considerazione dalla politica e dai commissari dell'amministrazione straordinaria per la tutela del risparmio, bene di rilevanza costituzionale.
 
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Storia del declino economico di Alitalia e dell’insensata nascita di Ita - Linkiesta.it

“Nel frattempo viene anche chiusa l’Istituto per la ricostruzione industriale (Iri), promotore e controllore storico di Alitalia, e la proprietà passa direttamente al Tesoro il quale non aveva certamente all’epoca competenze di carattere industriale. Decollano in conseguenza le perdite di Alitalia e il governo Prodi avvia a fine 2006 la privatizzazione dell’azienda, il cui processo si protrae sino all’inizio del 2008 quando, alla vigilia del voto anticipato, la strana alleanza tra sindacati e centrodestra politico fa fallire la generosa offerta d’acquisto di Air France e produce il curioso esperimento degli “imprenditori di Stato”, i quali rilevano dallo Stato imprenditore la gestione aziendale.

Essa sarà guidata dallo sconsiderato piano Fenice, il primo di tanti basato sulla “contrazione espansiva” secondo cui mandando a casa il personale (6mila dipendenti ma quasi 9 mila includendo i precari) e mettendo a terra una quota rilevante (il 40%) della flotta si sarebbe dovuta realizzare una miracolosa crescita del traffico e dei ricavi.

Il piano Fenice riduce notevolmente l’azienda, che passa da circa 240 aeromobili (inclusa l’incorporata AirOne) a soli 150, e taglia ancora una volta il lungo raggio, concentrando l’offerta aziendale sui voli domestici proprio alla vigilia del completamento dell’alta velocità ferroviaria sull’asse nord-sud e all’antivigilia dell’arrivo della concorrenza sui binari tra il treno privato Italo e quello pubblico Frecciarossa.”

Allo stato dell’arte, c’è ancora in piedi il processo per il Crac ALITALIA [Corte di Appello di Roma – Sezione II penale – n.r.g. 7717/2016], approdato in Cassazione [L’udienza dinnanzi la Suprema Corte di Cassazione si è tenuta il 15 ottobre 2020. All’esito della camera di consiglio è stato depositato il dispositivo della sentenza che “annulla la sentenza impugnata nei confronti di Francesco Mengozzi, Gabriele Spazzadeschi e Pierluigi Ceschia con rinvio per un nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Roma. Annulla la stessa sentenza nei confronti di Giancarlo Cimoli limitatamente alla bancarotta dissipativa di cui al capo A2) ed in ordine al capo A6), nonché al trattamento sanzionatorio, con rinvio per un nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso di Giancarlo Cimoli”, ancora in essere fino a nuova sentenza della corte di appello penale di Roma.

Tutti coloro che si sono costituiti parti civili nel processo penale di che trattasi, oltre ai commissari della vecchia ALITALIA, devono ancora aspettare per sapere se possono agire contro Cimoli e compagni, qualora condannati definitivamente, per il risarcimento del danno da investimento patito.
 
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Alitalia fallita, tribunale civile di Lecce: "Tesoro deve risarcire piccoli azionisti" - Il Fatto Quotidiano

Alitalia fallita, tribunale civile di Lecce: “Tesoro deve risarcire piccoli azionisti”
Alitalia, il Mef non deve risarcire gli investitori per le perdite subite

di Francesco Machina Grifeo

01 Giugno 2021

Lo ha stabilito la Corte di cassazione con una articolata sentenza dichiarando inammissibile il ricorso di due azionisti

Il Mef non è responsabile di una campagna di disinformazione verso i risparmiatori volta a favorire gli investimenti in Alitalia; né con il suo voto determinante per l'approvazione del bilancio 2008 (in un momento di profonda crisi dell'azienda) ha realizzato quell'atto di "direzione e coordinamento" che (ai sensi dell'articolo 2497 del c.c.) rende società ed enti responsabili nei confronti dei soci per il pregiudizio arrecato. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con una articolata sentenza (n. 15276 depositata oggi) dichiarando inammissibile il ricorso di due investitori. In primo grado invece il Tribunale di Lecce aveva riconosciuto la responsabilità del Ministero. Verdetto poi ribaltato dalla Corte di Appello che aveva escluso sia la responsabilità extracontrattuale (in materia informativa) che quella di azionista di maggioranza, richiamando il Dl 78/2009 che aveva espressamente limitato la responsabilità dello Stato in questo ambito.

La Terza sezione civile fa un passo avanti, aggiungendo che nel ricorso dei due investitori manca l'indicazione specifica dei fatti che supportano l'asserita responsabilità del MEF e dunque il diritto al risarcimento del danno. E cioè manca l'elemento costitutivo della "disformità delle scelte di indirizzo e coordinamento adottate dall'ente di direzione, rispetto a quelle che, nelle situazioni concrete date, avrebbero potuto e dovuto essere adottate secondo i sani criteri della gestione economica".

I ricorrenti, prosegue la Corte, si sono limitati ad affermare che il Mef "aveva sostenuto" la linea del programma gestionale degli amministratori di Alitalia, approvando il bilancio 2008 "in assenza di fattibilità di un piano industriale", senza, tuttavia, indicare in concreto la ragione per la quale tale condotta, ove anche ex se riconducibile alla attività di "direzione e coordinamento", sarebbe venuta, in concreto, ad integrare una violazione del dovere di diligenza, difettando in particolare la indicazione di quegli elementi circostanziali in base ai quali emergerebbe la violazione dei principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria. Tantomeno è sufficiente il richiamo alle "relazioni commissariali", il Commissario all'epoca era il prof. Augusto Fantozzi per provare che i piani di salvataggio erano "assolutamente e palesemente inattuabili".

Attraverso un "assunto assiomatico" si prospetta dunque che la "successiva definitiva crisi economico-finanziaria della società, presupporrebbe necessariamente la esistenza di una "attività di direzione e coordinamento" esercitata "in modo abusivo" dal socio pubblico di maggioranza o comunque dal socio di influenza dominante, "non essendo al contrario stata fornita alcuna indicazione od elemento indiziario volto a fondare la inosservanza dei corretti criteri gestionali, da parte del socio di maggioranza pubblico, nel tentativo di mantenere la società partecipata attiva sul mercato, attraverso iniezioni di liquidità destinate a ripianare le perdite di gestione, risultando".

Inoltre vagliando il complesso ordito normativo che ha accompagnato i vari "salvataggi" di Alitalia, la Cassazione ricorda che la Corte costituzionale, sentenza n. 270/2010, ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità del Dl 134/2008, convertito in legge 166/2008, che ha disposto una deroga ad personam per la compagnia di bandiera, quale grande impresa in crisi dei servizi pubblici essenziali, per garantire "la continuità del trasporto aereo su tutto il territorio nazionale" anche su tratte economicamente non convenienti, al fine di "evitare la dissoluzione di una impresa di rilevanti dimensioni".

In tal modo, prosegue la decisione, la norma aveva "condizionato l'operato degli amministratori e sindaci di Alitalia-Linee Aeree Italiane s.p.a., nonché di ALITALIA Servizi s.p.a. e delle società da queste controllate". Ma aveva altresì previsto che "la responsabilità per i relativi fatti (cioè per i "comportamenti, atti e provvedimenti che siano stati posti in essere dal 18 luglio 2007 fino alla data di entrata in vigore del decreto commessi da amministratori e dirigenti) è posta a carico esclusivamente delle predette società". Disponendo contestualmente delle misure di tutela a favore dei risparmiatori che avevano investito in titoli delle società che - per effetto delle scelte strategiche condizionate dal vincolo dell'interesse pubblico generale - "avrebbero potuto subire una diminuzione del valore delle partecipazioni nel capitale sociale", norma poi modificata con la possibilità di cambiare i propri titoli con titoli di Stato.

Non si vuole dire, conclude la Cassazione, che l'intervento del socio pubblico di maggioranza volto a tutelare l'interesse pubblico esonera in ogni caso da responsabilità civile l'Amministrazione statale che, tramite propri rappresentanti, esercita poteri di direzione coordinamento attraverso il voto nelle assemblee della società controllate. Ma che va limitata al caso in cui l'esercizio del voto si sia risolto in un "depauperamento della integrità del patrimonio della società eterodiretta". Dovendosi tuttavia a tal fine verificare: "a) se ed in che modo il perseguimento dell'interesse pubblico generale abbia determinato uno scostamento dalle scelte strategiche e gestionali che apparivano corrette alla stregua dei criteri economico-aziendali; b) se l'eventuale scostamento dai predetti criteri abbia o meno determinato diseconomie tali da incidere sul patrimonio societario e, di riflesso, sul valore o sulla redditività delle partecipazioni intestate agli altri soci privati, occorrendo, a proposito, tenere conto di tutti gli eventuali interventi - anche esterni - volti a prevedere e determinare ‘misure compensative' idonee a ridimensionare od annullare gli effetti pregiudizievoli della scelta operativa imposta dal socio pubblico di maggioranza".
 
si sa qualcosa del processo di appello bis presso la corte di appello di roma per il crac della vecchia alitalia?
 
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