FaGal
Nuovo Utente
- Registrato
- 21/7/02
- Messaggi
- 17.980
- Punti reazioni
- 231
RESCINDERE NON CONVIENE. SE SI HANNO PROBLEMI DI LIQUIDITÀ MEGLIO INTERROMPERE IL VERSAMENTO DEI PREMI E ATTENDERE LA SCADENZA
Vecchie polizze, addio solo a caro prezzo
Se il cliente non ha versato
almeno tre annualità perde
tutto. La compagnia si rifà
con le commissioni precontate
Chiudere un ventennale dopo
soli 5 anni significa rinunciare
al 20%di quanto pagato a causa
delle forti penali applicate
MOLTE persone hanno stipulato prima
del 2000 - anno della riforma
fiscale delle polizze vita - contratti
di assicurazione del tipo «capitale differito»
o «rendita», beneficiando sì di modesti
vantaggi fiscali (detrazione del 19% dei
premi versati), ma pagando pesanti oneri (i
«caricamenti») alle compagnie. In questi
ultimi anni la convenienza finanziaria dell'
operazione si è praticamente azzerata, perché
il rendimento ottenuto è calato in
maniera tale da essere inferiore agli stessi
caricamenti; e anche tenendo conto del
risparmio fiscale, il denaro accumulato anno
dopo anno in una polizza non produce
gran che. Pur continuando a pagare i premi,
si corre il rischio di trovarsi con una cifra
addirittura inferiore a quella investita, quindi
è bene cercare di capire che cosa sia
meglio fare per evitare amare sorprese al
momento della scadenza.
RICUPERO DEI PREMI. Il primo impulso per
chi volesse cambiare strada è quello di
riprendersi il capitale maturato (i propri
soldi, per intenderci). Ci si aspetterebbe di
riavere i premi versati più un pochino di
interessi. Ebbene, nulla di più illusorio:
perché «toccare» una polizza vita vecchia
chiedendo il rimborso immediato di quanto
accumulato dal momento della stipula a
oggi nella maggior parte dei casi significa
non solo la perdita degli interessi faticosamente
maturati (e ci sarebbe già da discutere
sulla correttezza), ma addirittura la
perdita di una parte del capitale. Sembra
impossibile, ma è così da sempre; e le
polizze «vecchie» (per intenderci, quelle
diffuse prima del 2000), prevedono clausolecapestro
molto pesanti a favore delle compagnie.
Tecnicamente, il rimborso della polizza
prima della sua scadenza contrattuale si
chiama «riscatto» (e già il termine non è dei
più simpatici, perché dà la sensazione che il
capitale versato sia trattenuto in «ostaggio»
dalla compagnia..). Il riscatto consiste nell'
estinzione anticipata del contratto, con
obbligo da parte della compagnia di restituire
i premi versati (incrementati del rendimentomaturato),
applicando le penali previste.
In particolare, molti contratti precedenti
al 2000 prevedono che se il cliente non
versa almeno tre annualità perde interamente
quanto versato (che viene incamerato
dalla compagnia); inoltre si prevede che,
passati i tre anni di durata minima, chi
chiede il rimborso anticipato subisca una
penalizzazione che può fargli perdere parte
di quanto versato.
L’importo delle penali varia da compagnia
a compagnia ed è in funzione della
durata contrattuale. Ad esempio, se si è
stipulata nel 1999 una polizza ventennale
con un premio di 2.500 euro e la si vuole
chiudere anticipatamente oggi (dopo 5 anni),
bisognerà accontentarsi di incassare
circa 10.000 euro contro i 12.500 euro
versati: ciò in quanto la compagnia applica
una penale sulle quindici rate «insolute».
COMMISSIONI PRECONTATE. Finanziariamente
è un assurdo, perché significa vanificare
5 anni di versamenti e rendimenti
mediamente pari al 4-5% annuo netto; ma
assicurativamente è «logico» perché entra
in gioco il meccanismo un po’ perverso delle
«commissioni precontate». Si tratta di un
uso largamente diffuso (per fortuna, oggi in
via di estinzione; sulle polizze di «seconda
generazione» la durata è annuale) per le
polizze pluriennali, in base al quale l'agente
ha diritto di incassare, al momento della
firma del contratto, gran parte delle commissioni
previste, anche se poi il cliente non
paga i premi. Una polizza ventennale, quindi,
genera un «precontato» di 20 anni di
commissioni, incassate immediatamente
dal venditore e pagate dalla compagnia (che,
ovviamente, le addebita al cliente, investendo
un importo inferiore a quanto versato).
Il «precontato» in teoria è un credito della
compagnia nei confronti dell'agente, che è
tenuto a restituirlo se il cliente recede; ma è
prassi consolidata che la restituzione non
avvenga, ed ecco nascere lo scarico dell'onere
integralmente sulle spalle dell'assicurato
che, in pratica, se riscatta la polizza è tenuto
a pagare (attraverso le penali) un servizio
non ricevuto e un'assicurazione non goduta.
Quando l'ignaro e incolpevole assicurato
chiede indietro i suoi soldi, non sa che di
quanto versato ha diritto solo alla quota
«netta», quella cioè che è effettivamente
investita dopo aver (bene) remunerato la
rete di vendita e la compagnia.
RIDUZIONE. Cosa fare se si vuole bloccare
un contratto? I casi sono due.
1) Se si ha bisogno assoluto di denaro,
non ci sono alternative: s'incassa e si considera
la disavventura comeuna lezione per il
futuro (per la serie: prima di firmare un
contratto di qualunque genere, leggerlo,
capirlo e pretendere spiegazioni convincenti
soprattutto sulle modalità di restituzione
del capitale investito).
2) Se non si ha bisogno del denaro, meglio
seguire altre vie. La più logica è quella della
«riduzione», che consiste nella sospensione
del versamento dei premi periodici previsti.
Tramite questa soluzione non s'incappa
nelle pesanti penalità del riscatto, in quanto
il contratto originario rimane sempre in
piedi, anche se (ovviamente) garantirà alla
scadenza un importo minore rispetto a
quello previsto (da ciò il termine di «riduzione
» relativo alla prestazione garantita dalla
compagnia). Se, ad esempio, dopo 3 anni si
sospendono i versamenti di 1.500 euro
annui relativi a una polizza ventennale, il
capitale finale erogato a scadenza sarà
calcolato su tale cifra anziché su quella
prevista contrattualmente.
La riduzione consente di ottenere un
risultato complessivo soddisfacente soprattutto
sotto il profilo finanziario, non subendo
penalità ma solo riduzioni proporzionali;
non comporta inoltre alcun problema
fiscale, perché il contratto rimane regolarmente
in vita e le detrazioni annuali
restano quindi acquisite definitivamente
all'assicurato.
RISPARMIO CON IL FISCO
Dieci anni fa gli agenti potevano, carta e
penna alla mano, dimostrare che, pagando
un premio di 2,5milioni all'anno e
detraendo dal reddito il 27% si poteva
ottenere un rendimento del 10% netto
annuo (tasso allora corrente per i Btp) e in
più ridurre di 675.000 lire il reddito
imponibile. Per i redditi elevati, con aliquote
marginali del 40% circa, l'operazione si
chiudeva in positivo, con interessi percepiti
di 250.000 lire, e riduzione d'imposta di circa
270.000 lire, arrivando ad un utile effettivo
di 520.000 lire con uno strabiliante 20% di
rendimento.
Tutto ciò ha egregiamente funzionato
finché lo Stato non si è deciso a ridurre le
agevolazioni (i premi sono detraibili solo
nella misura del 19%) e finché ilmercato ha
mantenuto alti i rendimenti del denaro (oggi
oscillano intorno al 3%). I conti finanziari si
sono drasticamente ridotti, tanto che i 2,5
milioni di premio (ora 1.291,14 euro)
rendono il 3% (quindi solo 38,73 euro) e
fanno risparmiare non più di 120 euro
d'imposte: in totale, 158 euro pari al 12%
annuo. Sembrerebbe ancora un affare, ed è
forse per questo che molti assicurati
continuano a versare fiduciosi sulle polizze i
loro 1.291,14 euro all'anno. Ma i calcoli
finanziari vanno sempre fatti per intero.
Quello che l'agente venditore della polizza
10 anni fa non ha certamente detto al
risparmiatore (anche perché, a quei tempi,
non era obbligatorio dirlo) è che ogni
premio comporta il pagamento di un
«caricamento» (commissioni di vendita,
aggi, spese ecc.) pari al 10% circa e
un'imposta del 2,5%, con una bella
differenza tra cifre lorde e nette.
Rifacendo i conti «tutto compreso», il
premio di 1.291,14 euro si riduce per effetto
dell'imposta a 1.259,65, paga 129 euro di
caricamenti con un premio netto investito
pari a 1.130 euro circa. A fine anno, il
rendimento riconosciuto del 3% porta il
capitale maturato a 1.163 euro,mentre il
risparmio d'imposta consente di mettere in
conto 120 euro. Sommando i due parziali, si
ottengono 1.283 euro, meno di quanto
versato. Insomma, a queste condizioni
pagare i premi significa perdere, altro che
accumulare capitale.
36 TUTTOSOLDI LA STAMPA
LUNEDÌ 25 LUGLIO 2005
Vecchie polizze, addio solo a caro prezzo
Se il cliente non ha versato
almeno tre annualità perde
tutto. La compagnia si rifà
con le commissioni precontate
Chiudere un ventennale dopo
soli 5 anni significa rinunciare
al 20%di quanto pagato a causa
delle forti penali applicate
MOLTE persone hanno stipulato prima
del 2000 - anno della riforma
fiscale delle polizze vita - contratti
di assicurazione del tipo «capitale differito»
o «rendita», beneficiando sì di modesti
vantaggi fiscali (detrazione del 19% dei
premi versati), ma pagando pesanti oneri (i
«caricamenti») alle compagnie. In questi
ultimi anni la convenienza finanziaria dell'
operazione si è praticamente azzerata, perché
il rendimento ottenuto è calato in
maniera tale da essere inferiore agli stessi
caricamenti; e anche tenendo conto del
risparmio fiscale, il denaro accumulato anno
dopo anno in una polizza non produce
gran che. Pur continuando a pagare i premi,
si corre il rischio di trovarsi con una cifra
addirittura inferiore a quella investita, quindi
è bene cercare di capire che cosa sia
meglio fare per evitare amare sorprese al
momento della scadenza.
RICUPERO DEI PREMI. Il primo impulso per
chi volesse cambiare strada è quello di
riprendersi il capitale maturato (i propri
soldi, per intenderci). Ci si aspetterebbe di
riavere i premi versati più un pochino di
interessi. Ebbene, nulla di più illusorio:
perché «toccare» una polizza vita vecchia
chiedendo il rimborso immediato di quanto
accumulato dal momento della stipula a
oggi nella maggior parte dei casi significa
non solo la perdita degli interessi faticosamente
maturati (e ci sarebbe già da discutere
sulla correttezza), ma addirittura la
perdita di una parte del capitale. Sembra
impossibile, ma è così da sempre; e le
polizze «vecchie» (per intenderci, quelle
diffuse prima del 2000), prevedono clausolecapestro
molto pesanti a favore delle compagnie.
Tecnicamente, il rimborso della polizza
prima della sua scadenza contrattuale si
chiama «riscatto» (e già il termine non è dei
più simpatici, perché dà la sensazione che il
capitale versato sia trattenuto in «ostaggio»
dalla compagnia..). Il riscatto consiste nell'
estinzione anticipata del contratto, con
obbligo da parte della compagnia di restituire
i premi versati (incrementati del rendimentomaturato),
applicando le penali previste.
In particolare, molti contratti precedenti
al 2000 prevedono che se il cliente non
versa almeno tre annualità perde interamente
quanto versato (che viene incamerato
dalla compagnia); inoltre si prevede che,
passati i tre anni di durata minima, chi
chiede il rimborso anticipato subisca una
penalizzazione che può fargli perdere parte
di quanto versato.
L’importo delle penali varia da compagnia
a compagnia ed è in funzione della
durata contrattuale. Ad esempio, se si è
stipulata nel 1999 una polizza ventennale
con un premio di 2.500 euro e la si vuole
chiudere anticipatamente oggi (dopo 5 anni),
bisognerà accontentarsi di incassare
circa 10.000 euro contro i 12.500 euro
versati: ciò in quanto la compagnia applica
una penale sulle quindici rate «insolute».
COMMISSIONI PRECONTATE. Finanziariamente
è un assurdo, perché significa vanificare
5 anni di versamenti e rendimenti
mediamente pari al 4-5% annuo netto; ma
assicurativamente è «logico» perché entra
in gioco il meccanismo un po’ perverso delle
«commissioni precontate». Si tratta di un
uso largamente diffuso (per fortuna, oggi in
via di estinzione; sulle polizze di «seconda
generazione» la durata è annuale) per le
polizze pluriennali, in base al quale l'agente
ha diritto di incassare, al momento della
firma del contratto, gran parte delle commissioni
previste, anche se poi il cliente non
paga i premi. Una polizza ventennale, quindi,
genera un «precontato» di 20 anni di
commissioni, incassate immediatamente
dal venditore e pagate dalla compagnia (che,
ovviamente, le addebita al cliente, investendo
un importo inferiore a quanto versato).
Il «precontato» in teoria è un credito della
compagnia nei confronti dell'agente, che è
tenuto a restituirlo se il cliente recede; ma è
prassi consolidata che la restituzione non
avvenga, ed ecco nascere lo scarico dell'onere
integralmente sulle spalle dell'assicurato
che, in pratica, se riscatta la polizza è tenuto
a pagare (attraverso le penali) un servizio
non ricevuto e un'assicurazione non goduta.
Quando l'ignaro e incolpevole assicurato
chiede indietro i suoi soldi, non sa che di
quanto versato ha diritto solo alla quota
«netta», quella cioè che è effettivamente
investita dopo aver (bene) remunerato la
rete di vendita e la compagnia.
RIDUZIONE. Cosa fare se si vuole bloccare
un contratto? I casi sono due.
1) Se si ha bisogno assoluto di denaro,
non ci sono alternative: s'incassa e si considera
la disavventura comeuna lezione per il
futuro (per la serie: prima di firmare un
contratto di qualunque genere, leggerlo,
capirlo e pretendere spiegazioni convincenti
soprattutto sulle modalità di restituzione
del capitale investito).
2) Se non si ha bisogno del denaro, meglio
seguire altre vie. La più logica è quella della
«riduzione», che consiste nella sospensione
del versamento dei premi periodici previsti.
Tramite questa soluzione non s'incappa
nelle pesanti penalità del riscatto, in quanto
il contratto originario rimane sempre in
piedi, anche se (ovviamente) garantirà alla
scadenza un importo minore rispetto a
quello previsto (da ciò il termine di «riduzione
» relativo alla prestazione garantita dalla
compagnia). Se, ad esempio, dopo 3 anni si
sospendono i versamenti di 1.500 euro
annui relativi a una polizza ventennale, il
capitale finale erogato a scadenza sarà
calcolato su tale cifra anziché su quella
prevista contrattualmente.
La riduzione consente di ottenere un
risultato complessivo soddisfacente soprattutto
sotto il profilo finanziario, non subendo
penalità ma solo riduzioni proporzionali;
non comporta inoltre alcun problema
fiscale, perché il contratto rimane regolarmente
in vita e le detrazioni annuali
restano quindi acquisite definitivamente
all'assicurato.
RISPARMIO CON IL FISCO
Dieci anni fa gli agenti potevano, carta e
penna alla mano, dimostrare che, pagando
un premio di 2,5milioni all'anno e
detraendo dal reddito il 27% si poteva
ottenere un rendimento del 10% netto
annuo (tasso allora corrente per i Btp) e in
più ridurre di 675.000 lire il reddito
imponibile. Per i redditi elevati, con aliquote
marginali del 40% circa, l'operazione si
chiudeva in positivo, con interessi percepiti
di 250.000 lire, e riduzione d'imposta di circa
270.000 lire, arrivando ad un utile effettivo
di 520.000 lire con uno strabiliante 20% di
rendimento.
Tutto ciò ha egregiamente funzionato
finché lo Stato non si è deciso a ridurre le
agevolazioni (i premi sono detraibili solo
nella misura del 19%) e finché ilmercato ha
mantenuto alti i rendimenti del denaro (oggi
oscillano intorno al 3%). I conti finanziari si
sono drasticamente ridotti, tanto che i 2,5
milioni di premio (ora 1.291,14 euro)
rendono il 3% (quindi solo 38,73 euro) e
fanno risparmiare non più di 120 euro
d'imposte: in totale, 158 euro pari al 12%
annuo. Sembrerebbe ancora un affare, ed è
forse per questo che molti assicurati
continuano a versare fiduciosi sulle polizze i
loro 1.291,14 euro all'anno. Ma i calcoli
finanziari vanno sempre fatti per intero.
Quello che l'agente venditore della polizza
10 anni fa non ha certamente detto al
risparmiatore (anche perché, a quei tempi,
non era obbligatorio dirlo) è che ogni
premio comporta il pagamento di un
«caricamento» (commissioni di vendita,
aggi, spese ecc.) pari al 10% circa e
un'imposta del 2,5%, con una bella
differenza tra cifre lorde e nette.
Rifacendo i conti «tutto compreso», il
premio di 1.291,14 euro si riduce per effetto
dell'imposta a 1.259,65, paga 129 euro di
caricamenti con un premio netto investito
pari a 1.130 euro circa. A fine anno, il
rendimento riconosciuto del 3% porta il
capitale maturato a 1.163 euro,mentre il
risparmio d'imposta consente di mettere in
conto 120 euro. Sommando i due parziali, si
ottengono 1.283 euro, meno di quanto
versato. Insomma, a queste condizioni
pagare i premi significa perdere, altro che
accumulare capitale.
36 TUTTOSOLDI LA STAMPA
LUNEDÌ 25 LUGLIO 2005