vicenda bipop

son durate molto le indagini
 
FabioGalletti ha scritto:
son durate molto le indagini

Questo si capisce, mi chiedevo se tu conosci almeno 1 caso simile (4 anni di tempo solo per incardinare il processo da un punto di vista di competenza territoriale)...
 
Ci son processi clamorosi in ambito penale su spostamento perenne della competenza (strage di milano per citarne uno solo...)
 
con l'entrata in vigore della legge Cirielli ogni possibilità di risarcimento è stata ( quasi) definitivamente affossata ( citando il resp. del movimento consumatori di Brescia in un intervista apparsa ne " Il Giornale di Brescia " di Domenica 11 Dicembre.

Enrico
 
Di risarcimento no, però del processo penale quasi sì
 
7 luglio 2006
Chiusa l´indagine sui 12 manager, restano solo i reati di ostacolo alla vigilanza e infedeltà patrimoniale
Processo Bipop, fuori i risparmiatori


Cadono le accuse di appropriazione e associazione a delinquere

LUCA FAZZO

MILANO - La Procura della Repubblica di Milano ha formalmente chiuso l´inchiesta sul caso Bipop-Carire, l´indagine nata nel 2001 sulla disinvolta gestione dell´istituto di credito nato dalla fusione tra la banca bresciana e la Cassa di risparmio di Reggio Emilia. Ma la chiusura dell´inchiesta, se da un lato avvicina la prospettiva del processo per i dodici amministratori iscritti nel registro degli indagati, porta una svolta destinata a lasciare l´amaro in bocca alle migliaia di risparmiatori che si preparavano a costituirsi parte civile: i pubblici ministeri Gaetano Ruta e Sergio Spadaro hanno deciso di lasciar cadere, almeno per ora, le accuse più gravi mosse nel corso dell´inchiesta, vale a dire le imputazioni di associazione a delinquere e appropriazione indebita. Il capo di imputazione conclusivo parla solo di ostacolo alla vigilanza e di infedeltà patrimoniale: due reati per i quali potranno costituirsi in giudizio come parti offese solo Consob, Banca d´Italia e la banca stessa, ora controllato da Capitalia. I risparmiatori resteranno fuori dalla porta.
Nata originariamente a Brescia l´indagine si era biforcata, con l´apertura di un fascicolo a Milano per il solo reato di associazione a delinquere. E quando finalmente si era arrivati all´apertura del processo, il tribunale di Brescia si era proclamato incompetente e aveva spedito tutti gli atti a Milano. Ora i pm milanesi chiudono l´indagine. Per i reati più gravi, l´associazione a delinquree il falso in bilancio, non c´è ancora una richiesta formale di archiviazione. Ma la scelta di andare subito al processo per le altre accuse indica che la Procura ritiene che siano le imputazioni più lievi ad apparire per ora le più fondate, e a descrivere meglio le malversazioni avvenute nell´istituto. Sulle quali, peraltro, i pm non risparmiano dettagli eloquenti sul clima che si respirava in Bipop-Carire. A Banca d´Italia e Consob vennero tenuti nascosti sia l´esistenza delle Gestioni patrimoniali fondi «sia i rischi in essere e le perdite maturate», e così pure, quando si avviò la cartolarizzazione dei crediti, furono nascoste «le cointeressenze economiche tra amministratori di società "origine" e società "veicolo"», nel senso che dietro le società veicolo c´erano i figli di due amministratori di Bipop-Carire.
A Bankitalia vennero anche tenuti nascosti gli allegri affidamenti «concessi a membri degli organi aziendali e dell´esecutivo», tra cui spiccano i 309 miliardi di lire prestati al consigliere d´amministrazione Gianfranco Bertoli e segnalati semplicemente tra gli «incagli» quando era chiaro che non si sarebbe più recuperato nulla, essendo le aziende di Bertoli in liquidazione; silenzio anche sui 320 miliardi prestati a Mauro Ardesi, principale socio privato della Banca «in assenza di qualsiasi valutazione del relativo rischio». E alcuni amministratori dovranno rispondere anche delle stock option che si autoassegnarono nel 2001 ricavandone un riguardevole profitto del diecimila per cento.

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/rep070706ba.html
 
7 luglio 2006

Bipop, Milano chiude l’indagine Cade il teorema del board occulto

I pm Ruta e Spadaro hanno concluso l’inchiesta partita a Brescia nel 2001. Sonzogni e altri 11 manager accusati di ostacolo alle autorità di vigilanza, violazioni della legge bancaria e infedeltà patrimoniale

È ufficiale. Il castello accusatorio costruito dalla Procura di Brescia sul caso Bipop è stato accantonato dai pm milanesi Gaetano Ruta e Sergio Spadaro. Martedì scorso i due sostituti hanno depositato l’avviso di conclusione delle indagini, dopo che a fine novembre l’intero procedimento era stato trasferito per competenza territoriale da Brescia a Milano.
Come anticipato da F&M il 13 giugno, è venuta a cadere l’accusa di associazione a delinquere formulata dai pm bresciani contro Bruno Sonzogni e altri manager di Bipop, così come il teorema del «board occulto», il comitato d’affari che avrebbe gestito la banca. Rispetto alle 45 persone inizialmente indagate, Ruta e Spadaro hanno ristretto il campo a 12 dirigenti, accusati di ostacolo alle funzioni delle autorità di vigilanza (Banca d’Italia e Consob), di violazione della normativa bancaria e di infedeltà patrimoniale. Si tratta di Arturo Amato, Mauro Ardesi, Gianfranco Bertoli, Maurizio Cozzolini, Giacomo Franceschetti, Giovanni Cadei, Giovanni Maria Castelli, Aurelio Menni, Marino Passeri, Sergio Saleri, Pier Luigi Streparava. Le difese avranno ora 20 giorni per rispondere, poi i pm potranno formulare la richiesta di rinvio a giudizio. Dall’elenco non manca ovviamente Sonzogni. Negli anni ’90 il banchiere di Iseo trasformò la piccola Popolare bresciana in gruppo bancario che ebbe intuizioni pioneristiche nel campo del risparmio gestito, del consumer banking e del web banking (ancora oggi Fineco è la più nota Internet bank italiana). Verso la fine del 2000 la sbornia borsistica della new economy e, soprattutto, la guerra intestina tra le diverse cordate di azionisti innescarono la parabola discendente di Bipop. L’intervento della Banca d’Italia e della Procura di Brescia portarono all’emersione di una serie di irregolarità nell’erogazione di fidi, nelle gestioni patrimoniali e in alcune operazioni (tra cui la concessione di stock option) che sarebbero state realizzate in conflitto di interesse. Per l’accusa di aggiotaggio, il 31 maggio 2005 il gup di Brescia Lorenzo Benini ha invece dichiarato il non luogo a procedere: non c’è stata alcuna operazione artificiosa sui corsi di Borsa né acquisti di titoli finanziati dalla banca. Nel 2002 lo scandalo fece sì che l’istituto venisse pilotato nelle braccia della Banca di Roma dall’allora governatore Antonio Fazio. In apparenza un salvataggio, visto che all’epoca si parlava di crac. Ma vanno in tutt’altra direzione le evidenze tecniche che stanno emergendo nell’ambito del processo civile in corso a Brescia, dove alcuni azionisti chiedono di essere risarciti. Secondo il perito d’ufficio nominato dal tribunale, i concambi dell’operazione Capitalia avrebbero causato agli azionisti Bipop un danno stimabile tra 627 e 940 milioni di euro.
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/fm070706ba.html
 
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