alfa71
Nuovo Utente
- Registrato
- 22/11/14
- Messaggi
- 14.255
- Punti reazioni
- 1.720
https://www.huffingtonpost.it/econo...ania-10351106/?ref=HHTP-BH-I10364361-P2-S1-T1
Oltre ad aver sollevato una marea di polemiche, l'annuncio della Germania di un maxi-piano da 200 miliardi per ridurre le bollette dei tedeschi ha spinto la presidente Ursula von der Leyen a tentare un'accelerazione per un accordo comunitario sul price cap al gas che da mesi, con il colpevole ritardo di Bruxelles, sta facendo lievitare i costi energetici mettendo a rischio la tenuta sociale e la competitività industriale del vecchio continente. Dopo mesi di trattative e vari studi dei tecnici della Commissione, in gran parte accantonati, la Commissione ha messo sul tavolo Ue in vista del vertice informale di Praga un nuovo pacchetto di proposte, nel quale figurano altre novità come la possibilità di un price cap sul metano scambiato intra-Ue o su quello destinato solo alla produzione di elettricità. E un nutrito gruppo di Paesi, guidati dall'Italia, ha inviato proprio alla Commissione una proposta per fissare un tetto al prezzo di tutto il gas importato in Europa, non solo a quello russo, assicurando ai tedeschi delle garanzie nel caso in cui ci dovesse essere una carenza fisica di metano.
L'inverno è ormai alle porte: le idee prodotte da Bruxelles ormai non si contano ma di risultati concreti non c'è traccia. L'incertezza avvolge l'azione europea: Mosca taglierà i flussi residui di metano, su livelli bassissimi ma ancora necessari per superare l'inverno? Quanto è reale il rischio di una carenza? Gli stoccaggi dei singoli Stati basteranno a far fronte a una penuria? Nell'inazione dell'Europa molti Paesi si sono mossi in autonomia: oltre alla Germania, già la Spagna, la Francia e i Paesi Bassi hanno adottato uno scudo per frenare la corsa delle bollette. Come funzionano? E perché l'Italia ancora non ha seguito il loro esempio, in trepida attesa di una risposta congiunta a livello Ue? Di seguito una rassegna delle grandi incognite e delle possibili soluzioni alla crisi energetica che sta minacciando l'unità europea.
Perché la Germania può varare un piano da 200 miliardi?
La decisione del governo federale tedesco di varare un piano da 200 miliardi per contenere gli aumenti delle bollette delle aziende e dei consumatori tedeschi è stata accolta dalle critiche, in primis quelle di Mario Draghi e di Giorgia Meloni, e successivamente di alcuni esponenti di peso della Commissione europea, Paolo Gentiloni e Thierry Breton. Perché fa discutere? La mole di risorse stanziate da Berlino ammonta a quasi il 6% del Pil della Germania, e si aggiunge alle altre ingenti risorse già spese, rivelatesi a detta del governo di Olaf Scholz, insufficienti a placare i timori di un collasso industriale ed energetico. Il rischio principale dietro la mossa tedesca è di provocare una frammentazione all'interno del mercato unico, favorendo le imprese di Berlino a discapito di quelle degli altri Paesi membri, supportate in misura largamente inferiore. Ad essere a rischio sono quindi la competitività industriale e commerciale e la parità di condizioni garantite dalle norme europee.
Il ministro delle Finanze Christian Lindner ha difeso la struttura del maxi-scudo licenziato dal suo governo, ritenendolo proporzionato alle dimensioni dell'economia tedesca. Il piano sarà finanziato in parte attraverso la tassazione degli extra-profitti delle aziende energetiche e in parte attraverso prestiti, cioè indebitandosi. Qui risiede la profonda divergenza tra la capacità di azione della Germania e quella di altri Stati, soprattutto quelli più indebitati come il sud Europa, Italia in primis. Pur essendo in valore assoluto di poco inferiore a quello italiano, il debito pubblico tedesco è di poco inferiore al 70% del Pil. Il buono stato di salute delle finanze pubbliche consente perciò alla Germania di avere un margine d'azione ben più ampio in caso di choc avversi come la pandemia prima e ora la crisi energetica. L'Italia, che ha un debito del 145% del Pil, ben oltre la soglia del 60% fissata dalle norme europee, deve perciò rispettare alcuni parametri per immettersi sulla traiettoria di discesa del debito, riducendo quello strutturale di un ventesimo l'anno, secondo le regole Ue ora sospese a causa del Covid (e della crisi del gas) ma che presto dovranno tornare in vigore, seppur non è ancora chiaro in quale forma. Anche altri Paesi come la Grecia, la Spagna, il Portogallo e in misura minore la Francia, hanno criteri più stringenti nella spesa pubblica. Non solo: il governo federale ha deciso di stanziare i 200 miliardi in un Fondo speciale per la stabilizzazione economica che peserà sul debito solo per il 2022. La mossa consentirà di tornare alla regola del freno all'indebitamento prevista dalla Costituzione che limita allo 0,35% il deficit a partire dal 2023. L'intenzione di Berlino è quindi di separare la spesa pubblica generale da quella energetica eccezionale, necessaria a contrastare il caro bollette che minaccia la tenuta del suo sistema industriale. Da quando è stato annunciato il piano, i rendimenti dei bund - ma non solo - sono tornati a calare, rafforzando il ruolo di benchmark dei titoli di stato tedeschi nel mercato delle obbligazioni sovrane in Europa. Un ruolo che Berlino non intende perdere.
E perché l'Italia no? Problemi di debito
L'Italia non può fare lo stesso perché gravata da un macigno. Un aumento della spesa, seppur necessaria, rischierebbe di incrementare il debito, già gravato dall'aumento della spesa per interessi scattato a causa delle tensioni internazionali e della corsa dell'inflazione. Un aumento generale dei prezzi ha come effetto nel medio periodo quello di aumentare il servizio del debito: i titoli in scadenza avranno rinnovi più costosi per incamerare l'incremento generale dei prezzi che colpisce tutti, a partire dai creditori. Il debito pubblico italiano è costantemente sottoposto a valutazioni sulla sua sostenibilità da parte di operatori e agenzie di credito, e un discostamento dal percorso di riduzione in un contesto caratterizzato da un'alta volatilità dei mercati, incertezza, probabile recessione nell'eurozona e spirale inflattiva porta con sé il pericolo di una nuova crisi finanziaria. La minaccia lanciata dall'agenzia di rating Moody's al Governo Meloni prima ancora che si sia formato denota l'attenzione dei mercati e degli investitori alla situazione italiana.
Come funziona lo scudo tedesco
L'idea del cancelliere Scholz è di finanziare un cosiddetto "consumo di base" di energia elettrica, attraverso il fondo per la stabilizzazione economica, che verrà amministrato attraverso un "prezzo base". Varrà sia per i cittadini che per le piccole e medie imprese. Solo per i consumi che eccedono quelli "base" verrà applicato il corposo prezzo di mercato. Questo perché l'obiettivo è di far calare le bollette della luce dei consumatori e delle Pmi senza tuttavia eliminare gli incentivi alla riduzione dei consumi che restano necessari. Lo stesso ragionamento si applicherà anche al gas. Resta da capire a che punto verrà fissato il "prezzo base", da cui deriva la mole di risorse necessarie a coprire la quota minima dei consumi a costi amministrati.
Come funziona lo scudo francese
Fa discutere il piano tedesco, ma la Francia è stata tra i primi Paesi ad adottare uno scudo sulle bollette, il "bouclier tarifaire". Secondo uno studio dell'Insee diffuso il 1 settembre, la misura ha dimezzato l'impatto dell'aumento dei costi dell'energia sull'inflazione. A ottobre 2021, il governo guidato da Macron ha congelato i prezzi del gas ai livelli di allora mentre ha consentito sulle bollette elettriche incrementi non superiori al 4%. Lo scudo, già prorogato fino a dicembre 2022 per il metano e fino a febbraio 2023 per l'elettricità, sarà rinnovato anche nel 2023, ha annunciato il Governo nella conferenza stampa dello scorso 14 settembre. Con una modifica per le bollette della luce: l'aumento massimo previsto non sarà più del 4% ma del 15%. Secondo i calcoli dell'Eliseo, l'estensione dello scudo tariffario consentirà un aumento medio delle bollette del gas di circa 25 euro (contro i 200 senza scudo), e di 20 euro al mese per l'elettricità (contro i 180 euro senza scudo).
Come funziona lo scudo olandese
Per aiutare le famiglie colpite da una crisi del costo della vita quest'anno, tutte le famiglie riceveranno uno sconto di 190 euro sulle bollette energetiche a novembre e dicembre. Allo stesso tempo, il governo guidato da Mark Rutte ha annunciato che sta istituendo un regime per compensare i maggiori costi energetici per le piccole e medie imprese che sarà basato sul loro consumo energetico e sul loro fatturato. A partire dal 2023 scatterà il vero e proprio scudo: metterà un tetto ai prezzi per un massimo di 0,40 euro a kilowattora per l'elettricità e per il gas un massimo di 1,45 euro per metro cubo. Ovviamente, come nel caso tedesco, il cap si applica entro una fascia di consumi massimi: rispettivamente di 2.900 kilowattora e 1.200 metri cubi. Il limite, secondo le stime del Governo, dovrebbe far risparmiare una famiglia con un consumo energetico medio circa 2.500 euro nel 2023.
Come funziona il price cap al gas spagnolo
La penisola iberica ha avuto il via libera dalla Commissione Europea per introdurre un tetto al prezzo del gas per la sua collocazione geografica e le poche interconnessioni con i mercati europei vicini. In Spagna il price cap vale però solo per il gas destinato alla produzione di energia elettrica ed è fissato per i primi sei mesi a 40 euro a megawattora (salirà gradualmente a 70 euro nel dodicesimo mese). La differenza che i produttori da gas pagano per acquistare la materia prima viene rimborsata dal gestore (con il reddito di cogestione) e dai privati, ma ciò che rileva è che il tetto evita all'esorbitante prezzo del metano di influenzare quello finale dell'energia sul mercato elettrico spagnolo. Il tetto ha l'effetto di mitigare l'influenza degli alti costi del metano sul prezzo finale dell'elettricità, ma ha anche una grande controindicazione: in ragione della convenienza, fa aumentare vertiginosamente la domanda di metano per produrre elettricità. Un effetto collaterale tutto sommato digeribile, se applicato solo alla penisola iberica, ma che può esporre il prezzo del gas a forti tensioni sul prezzo se applicato a tutta l'Unione Europea.
I rischi per l'inverno. Abbiamo abbastanza gas?
La stagione fredda alzerà il livello dei consumi di gas in casa perché si accenderanno i termosifoni. Ci sarà abbastanza metano per le abitazioni e per le imprese durante l'inverno? L'anno scorso in Italia sono stati bruciati 76,1 miliardi di metri cubi di gas e la quasi totalità di questi volumi sono stati comprati all'estero, mentre la produzione nazionale ha tirato fuori appena 3,3 miliardi di metri cubi. Solo dalla Russia sono arrivati 29 miliardi di metri cubi, una quantità pari al 40% di tutte le importazioni. Ora la quota russa è scesa dal 40% al 18%: la proiezione a fine anno dice che importeremo 13 miliardi di metri cubi invece che i 29 miliardi di metri cubi del 2021. Nel frattempo, da quando è iniziata la guerra, il governo italiano, tramite l'Eni, ha comprato gas in altri Paesi proprio per staccarsi da Mosca e compensare il taglio dei volumi russi.
A che punto siamo con la sostituzione del gas russo? Secondo il governo si arriverà all'autonomia energetica da Mosca nella seconda metà del 2024. Quest'inverno avremo ancora bisogno del gas di Putin, anche se in misura ridotta. Prendiamo i calcoli dell'Eni, il maggiore importatore del gas russo nel 2021, con una quota di 20 miliardi di metri cubi sui 29 totali che sono stati comprati da tutti gli operatori italiani. Per questo inverno si riuscirà a sostituire il 50% dei volumi, si salirà all'80% nel 2024 e si arriverà al 100% nel 2025. La sostituzione della metà dei volumi importati l'anno scorso sarà possibile prevalentemente grazie al gas che arriva dall'Algeria. Le forniture su base annua raddoppieranno, passando da 9 miliardi a 18 miliardi di metri cubi entro il 2024. Dei nove miliardi di metri cubi in più, sei arriveranno tra questo inverno e l'inizio del 2023. Nel conto vanno messi circa 4 miliardi di metri cubi in più in arrivo dal Nord Europa, soprattutto dalla Norvegia, e 500 milioni di metri cubi di gas naturale liquido dall'Egitto.
La variabile del gas russo
L'Italia è rimasta senza gas russo per quattro giorni, da venerdì scorso a martedi. La rete nazionale ha retto, con una domanda che è stata inferiore all'offerta. Abbiamo avuto più gas di quello che serviva ad alimentare la rete nazionale. E così il gas in eccedenza è stato esportato in Austria e in Germania. Di fatto è stata la prima misurazione della resistenza all'assenza di forniture da parte di Mosca. L'Eni ha versato un deposito cauzionale al posto di Gazprom e così il gas russo, bloccato in Austria, è ripreso a fluire verso l'Italia. Il clima mite ha aiutato, i termosifoni non sono ancora accesi e i condizionatori sono stati spenti, insomma i consumi non sono ai massimi. Uno stop più lungo, a tempo indeterminato, e in inverno significherebbe un'altra cosa. Per fronteggiare lo stop di qualche giorno non è stato necessaria attivare alcuna misura di emergenza né alzare il livello da quello di pre-allarme a quello di allarme o emergenza. Quali difficoltà dovremmo affrontare se l'assenza di gas russo diventasse permanente a partire da questo inverno? Dipende quando accadrà. In ogni caso dovremmo risparmiare la quantità di metano che non siamo riusciti a coprire con quello acquistato da altri Paesi.
I depositi di gas pieni al 91%, ma per l'utilizzo delle scorte c'è un problema
Al 5 ottobre il livello di riempimento degli stoccaggi è pari al 91,36%, una percentuale che mette l'Italia in testa ai Paesi europei che hanno più scorte di gas nei depositi in vista dell'inverno. L'accelerazione sul riempimento dei depositi ha funzionato, raggiungendo il target del 90% con un mese di anticipo rispetto alla scadenza fissata per fine ottobre. Sicuramente una buona notizia, ma bisogna mettere in conto un problema. Il sistema di approvvigionamento è sbilanciato verso Sud e questo perché arriva più gas dall'Algeria e dall'Azerbaijan, attraverso il Tap, mentre quello che arriva da Nord è in diminuzione perché i flussi dalla Russia, che fanno il loro ingresso a Tarvisio, in Friuli Venezia-Giulia, sono in diminuzione. Il gas andrà spinto da Sud a Nord, dove tra l'altro si registra il maggior consumo perché è la parte del Paese più popolata e dove c'è la maggiore concentrazione di imprese energivore e gasivore. Insomma il tema è se la rete sarà capace di rispondere a questo cambiamento relativo all'ingresso del gas. Nicola Armaroli, chimico del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), l'ha spiegato bene in un'intervista al Fatto quotidiano: lo stoccaggio funziona "come un canotto, nelle ultime fasi metto poco gas perché è già pieno e quando lo svuoto va prima veloce, poi perdendo pressione va più piano". Se si riduce lo stoccaggio disponibile si perde la cosiddetta disponibilità di punta e quindi, conclude Armaroli, "verso febbraio avrò uno stoccaggio spompato che non riesce a erogare il gas".
Un piano di risparmio soft
Secondo alcuni analisti bisognerebbe tagliare da subito il consumo di gas e questo per ridurre il rischio se Putin dovesse interrompere le forniture. Il razionamento diventerà obbligatorio in tutta Europa in caso di escalation, ma il governo italiano ha messo a punto un programma di risparmio volontario che partirà da metà ottobre, anche se lo scenario avverso non dovesse prendere forma. Le misure previste dal piano permettono di ridurre i consumi di gas di 8,2 miliardi di metri cubi, una quantità addirittura maggiore a quella che prevede il razionamento obbligatorio. Alcune di queste misure, tuttavia, sono legate a comportamenti virtuosi dei cittadini come la sostituzione del vecchio climatizzatore o l'installazione di pannelli solari. Per questo il governo stima come target più attendibile un taglio di 5,3 miliardi di metri cubi di gas. La maggior parte dei risparmi, pari a circa 3,2 miliardi di metri cubi, deriva da un minore utilizzo dei termosifoni. Quelli centralizzati saranno accesi otto giorni dopo e spenti sette giorni prima, oltre a rimanere in funzione un'ora in meno al giorno e con la temperatura giù di un grado, a 19 gradi invece che a 20. Si tratta di un piano di risparmio soft, che al momento esclude il coinvolgimento delle imprese, a differenza di quanto fatto in Germania e in Francia, dove anche il comparto industriale è stato chiamato a contribuire alla riduzione dei consumi.
Finiremo in recessione per colpa del gas?
I principali istituti economici tedeschi concordano: la Germania finirà in recessione il prossimo anno a causa dei costi dell'energia che sono esplosi con la guerra in Ucraina. Il Pil si espanderà appena dell'1,4% quest'anno e si contrarrà dello 0,4% nel 2023. E l'Italia? Le ultime stime del governo, contenute nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, dicono che le cose inizieranno a mettersi male negli ultimi tre mesi di quest'anno. L'attesa è per un trimestre con il ritorno del segno meno davanti al Pil e così anche il primo trimestre dell'anno prossimo. Il tema è la resistenza dell'economia dopo un 2022 che ha recuperato i livelli pre pandemia. Martedì l'Istat ha rivisto al rialzo la stima del secondo trimestre rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso - da 4,7% a 5% - ma l'erosione dello scenario inizia in autunno e andrà avanti per tutto l'inverno. Se Putin chiude i rubinetti a ottobre allora il Pil il prossimo anno sarà appena sopra lo zero, a +0,1 per cento. Non saremo in recessione perché non c'è il segno meno davanti, ma ci sarebbe comunque una recessione tecnica se il quarto trimestre di quest'anno e il primo del 2023 dovessero mettere in fila un risultato in territorio negativo.
Ma le bollette aumentano. L'affanno dell'economia reale
Altra cosa è l'economia reale. Le bollette saranno più salate negli ultimi tre mesi dell'anno, registrando incrementi superiori a quelli già imponenti degli scorsi mesi. Quelle della luce aumenteranno del 59% dal primo ottobre. Traduzione: la spesa per una famiglia tipo arriverà a 1.322 euro a fine anno. Sono 690 euro in più rispetto ai 632 euro pagati l'anno scorso.
Oltre ad aver sollevato una marea di polemiche, l'annuncio della Germania di un maxi-piano da 200 miliardi per ridurre le bollette dei tedeschi ha spinto la presidente Ursula von der Leyen a tentare un'accelerazione per un accordo comunitario sul price cap al gas che da mesi, con il colpevole ritardo di Bruxelles, sta facendo lievitare i costi energetici mettendo a rischio la tenuta sociale e la competitività industriale del vecchio continente. Dopo mesi di trattative e vari studi dei tecnici della Commissione, in gran parte accantonati, la Commissione ha messo sul tavolo Ue in vista del vertice informale di Praga un nuovo pacchetto di proposte, nel quale figurano altre novità come la possibilità di un price cap sul metano scambiato intra-Ue o su quello destinato solo alla produzione di elettricità. E un nutrito gruppo di Paesi, guidati dall'Italia, ha inviato proprio alla Commissione una proposta per fissare un tetto al prezzo di tutto il gas importato in Europa, non solo a quello russo, assicurando ai tedeschi delle garanzie nel caso in cui ci dovesse essere una carenza fisica di metano.
L'inverno è ormai alle porte: le idee prodotte da Bruxelles ormai non si contano ma di risultati concreti non c'è traccia. L'incertezza avvolge l'azione europea: Mosca taglierà i flussi residui di metano, su livelli bassissimi ma ancora necessari per superare l'inverno? Quanto è reale il rischio di una carenza? Gli stoccaggi dei singoli Stati basteranno a far fronte a una penuria? Nell'inazione dell'Europa molti Paesi si sono mossi in autonomia: oltre alla Germania, già la Spagna, la Francia e i Paesi Bassi hanno adottato uno scudo per frenare la corsa delle bollette. Come funzionano? E perché l'Italia ancora non ha seguito il loro esempio, in trepida attesa di una risposta congiunta a livello Ue? Di seguito una rassegna delle grandi incognite e delle possibili soluzioni alla crisi energetica che sta minacciando l'unità europea.
Perché la Germania può varare un piano da 200 miliardi?
La decisione del governo federale tedesco di varare un piano da 200 miliardi per contenere gli aumenti delle bollette delle aziende e dei consumatori tedeschi è stata accolta dalle critiche, in primis quelle di Mario Draghi e di Giorgia Meloni, e successivamente di alcuni esponenti di peso della Commissione europea, Paolo Gentiloni e Thierry Breton. Perché fa discutere? La mole di risorse stanziate da Berlino ammonta a quasi il 6% del Pil della Germania, e si aggiunge alle altre ingenti risorse già spese, rivelatesi a detta del governo di Olaf Scholz, insufficienti a placare i timori di un collasso industriale ed energetico. Il rischio principale dietro la mossa tedesca è di provocare una frammentazione all'interno del mercato unico, favorendo le imprese di Berlino a discapito di quelle degli altri Paesi membri, supportate in misura largamente inferiore. Ad essere a rischio sono quindi la competitività industriale e commerciale e la parità di condizioni garantite dalle norme europee.
Il ministro delle Finanze Christian Lindner ha difeso la struttura del maxi-scudo licenziato dal suo governo, ritenendolo proporzionato alle dimensioni dell'economia tedesca. Il piano sarà finanziato in parte attraverso la tassazione degli extra-profitti delle aziende energetiche e in parte attraverso prestiti, cioè indebitandosi. Qui risiede la profonda divergenza tra la capacità di azione della Germania e quella di altri Stati, soprattutto quelli più indebitati come il sud Europa, Italia in primis. Pur essendo in valore assoluto di poco inferiore a quello italiano, il debito pubblico tedesco è di poco inferiore al 70% del Pil. Il buono stato di salute delle finanze pubbliche consente perciò alla Germania di avere un margine d'azione ben più ampio in caso di choc avversi come la pandemia prima e ora la crisi energetica. L'Italia, che ha un debito del 145% del Pil, ben oltre la soglia del 60% fissata dalle norme europee, deve perciò rispettare alcuni parametri per immettersi sulla traiettoria di discesa del debito, riducendo quello strutturale di un ventesimo l'anno, secondo le regole Ue ora sospese a causa del Covid (e della crisi del gas) ma che presto dovranno tornare in vigore, seppur non è ancora chiaro in quale forma. Anche altri Paesi come la Grecia, la Spagna, il Portogallo e in misura minore la Francia, hanno criteri più stringenti nella spesa pubblica. Non solo: il governo federale ha deciso di stanziare i 200 miliardi in un Fondo speciale per la stabilizzazione economica che peserà sul debito solo per il 2022. La mossa consentirà di tornare alla regola del freno all'indebitamento prevista dalla Costituzione che limita allo 0,35% il deficit a partire dal 2023. L'intenzione di Berlino è quindi di separare la spesa pubblica generale da quella energetica eccezionale, necessaria a contrastare il caro bollette che minaccia la tenuta del suo sistema industriale. Da quando è stato annunciato il piano, i rendimenti dei bund - ma non solo - sono tornati a calare, rafforzando il ruolo di benchmark dei titoli di stato tedeschi nel mercato delle obbligazioni sovrane in Europa. Un ruolo che Berlino non intende perdere.
E perché l'Italia no? Problemi di debito
L'Italia non può fare lo stesso perché gravata da un macigno. Un aumento della spesa, seppur necessaria, rischierebbe di incrementare il debito, già gravato dall'aumento della spesa per interessi scattato a causa delle tensioni internazionali e della corsa dell'inflazione. Un aumento generale dei prezzi ha come effetto nel medio periodo quello di aumentare il servizio del debito: i titoli in scadenza avranno rinnovi più costosi per incamerare l'incremento generale dei prezzi che colpisce tutti, a partire dai creditori. Il debito pubblico italiano è costantemente sottoposto a valutazioni sulla sua sostenibilità da parte di operatori e agenzie di credito, e un discostamento dal percorso di riduzione in un contesto caratterizzato da un'alta volatilità dei mercati, incertezza, probabile recessione nell'eurozona e spirale inflattiva porta con sé il pericolo di una nuova crisi finanziaria. La minaccia lanciata dall'agenzia di rating Moody's al Governo Meloni prima ancora che si sia formato denota l'attenzione dei mercati e degli investitori alla situazione italiana.
Come funziona lo scudo tedesco
L'idea del cancelliere Scholz è di finanziare un cosiddetto "consumo di base" di energia elettrica, attraverso il fondo per la stabilizzazione economica, che verrà amministrato attraverso un "prezzo base". Varrà sia per i cittadini che per le piccole e medie imprese. Solo per i consumi che eccedono quelli "base" verrà applicato il corposo prezzo di mercato. Questo perché l'obiettivo è di far calare le bollette della luce dei consumatori e delle Pmi senza tuttavia eliminare gli incentivi alla riduzione dei consumi che restano necessari. Lo stesso ragionamento si applicherà anche al gas. Resta da capire a che punto verrà fissato il "prezzo base", da cui deriva la mole di risorse necessarie a coprire la quota minima dei consumi a costi amministrati.
Come funziona lo scudo francese
Fa discutere il piano tedesco, ma la Francia è stata tra i primi Paesi ad adottare uno scudo sulle bollette, il "bouclier tarifaire". Secondo uno studio dell'Insee diffuso il 1 settembre, la misura ha dimezzato l'impatto dell'aumento dei costi dell'energia sull'inflazione. A ottobre 2021, il governo guidato da Macron ha congelato i prezzi del gas ai livelli di allora mentre ha consentito sulle bollette elettriche incrementi non superiori al 4%. Lo scudo, già prorogato fino a dicembre 2022 per il metano e fino a febbraio 2023 per l'elettricità, sarà rinnovato anche nel 2023, ha annunciato il Governo nella conferenza stampa dello scorso 14 settembre. Con una modifica per le bollette della luce: l'aumento massimo previsto non sarà più del 4% ma del 15%. Secondo i calcoli dell'Eliseo, l'estensione dello scudo tariffario consentirà un aumento medio delle bollette del gas di circa 25 euro (contro i 200 senza scudo), e di 20 euro al mese per l'elettricità (contro i 180 euro senza scudo).
Come funziona lo scudo olandese
Per aiutare le famiglie colpite da una crisi del costo della vita quest'anno, tutte le famiglie riceveranno uno sconto di 190 euro sulle bollette energetiche a novembre e dicembre. Allo stesso tempo, il governo guidato da Mark Rutte ha annunciato che sta istituendo un regime per compensare i maggiori costi energetici per le piccole e medie imprese che sarà basato sul loro consumo energetico e sul loro fatturato. A partire dal 2023 scatterà il vero e proprio scudo: metterà un tetto ai prezzi per un massimo di 0,40 euro a kilowattora per l'elettricità e per il gas un massimo di 1,45 euro per metro cubo. Ovviamente, come nel caso tedesco, il cap si applica entro una fascia di consumi massimi: rispettivamente di 2.900 kilowattora e 1.200 metri cubi. Il limite, secondo le stime del Governo, dovrebbe far risparmiare una famiglia con un consumo energetico medio circa 2.500 euro nel 2023.
Come funziona il price cap al gas spagnolo
La penisola iberica ha avuto il via libera dalla Commissione Europea per introdurre un tetto al prezzo del gas per la sua collocazione geografica e le poche interconnessioni con i mercati europei vicini. In Spagna il price cap vale però solo per il gas destinato alla produzione di energia elettrica ed è fissato per i primi sei mesi a 40 euro a megawattora (salirà gradualmente a 70 euro nel dodicesimo mese). La differenza che i produttori da gas pagano per acquistare la materia prima viene rimborsata dal gestore (con il reddito di cogestione) e dai privati, ma ciò che rileva è che il tetto evita all'esorbitante prezzo del metano di influenzare quello finale dell'energia sul mercato elettrico spagnolo. Il tetto ha l'effetto di mitigare l'influenza degli alti costi del metano sul prezzo finale dell'elettricità, ma ha anche una grande controindicazione: in ragione della convenienza, fa aumentare vertiginosamente la domanda di metano per produrre elettricità. Un effetto collaterale tutto sommato digeribile, se applicato solo alla penisola iberica, ma che può esporre il prezzo del gas a forti tensioni sul prezzo se applicato a tutta l'Unione Europea.
I rischi per l'inverno. Abbiamo abbastanza gas?
La stagione fredda alzerà il livello dei consumi di gas in casa perché si accenderanno i termosifoni. Ci sarà abbastanza metano per le abitazioni e per le imprese durante l'inverno? L'anno scorso in Italia sono stati bruciati 76,1 miliardi di metri cubi di gas e la quasi totalità di questi volumi sono stati comprati all'estero, mentre la produzione nazionale ha tirato fuori appena 3,3 miliardi di metri cubi. Solo dalla Russia sono arrivati 29 miliardi di metri cubi, una quantità pari al 40% di tutte le importazioni. Ora la quota russa è scesa dal 40% al 18%: la proiezione a fine anno dice che importeremo 13 miliardi di metri cubi invece che i 29 miliardi di metri cubi del 2021. Nel frattempo, da quando è iniziata la guerra, il governo italiano, tramite l'Eni, ha comprato gas in altri Paesi proprio per staccarsi da Mosca e compensare il taglio dei volumi russi.
A che punto siamo con la sostituzione del gas russo? Secondo il governo si arriverà all'autonomia energetica da Mosca nella seconda metà del 2024. Quest'inverno avremo ancora bisogno del gas di Putin, anche se in misura ridotta. Prendiamo i calcoli dell'Eni, il maggiore importatore del gas russo nel 2021, con una quota di 20 miliardi di metri cubi sui 29 totali che sono stati comprati da tutti gli operatori italiani. Per questo inverno si riuscirà a sostituire il 50% dei volumi, si salirà all'80% nel 2024 e si arriverà al 100% nel 2025. La sostituzione della metà dei volumi importati l'anno scorso sarà possibile prevalentemente grazie al gas che arriva dall'Algeria. Le forniture su base annua raddoppieranno, passando da 9 miliardi a 18 miliardi di metri cubi entro il 2024. Dei nove miliardi di metri cubi in più, sei arriveranno tra questo inverno e l'inizio del 2023. Nel conto vanno messi circa 4 miliardi di metri cubi in più in arrivo dal Nord Europa, soprattutto dalla Norvegia, e 500 milioni di metri cubi di gas naturale liquido dall'Egitto.
La variabile del gas russo
L'Italia è rimasta senza gas russo per quattro giorni, da venerdì scorso a martedi. La rete nazionale ha retto, con una domanda che è stata inferiore all'offerta. Abbiamo avuto più gas di quello che serviva ad alimentare la rete nazionale. E così il gas in eccedenza è stato esportato in Austria e in Germania. Di fatto è stata la prima misurazione della resistenza all'assenza di forniture da parte di Mosca. L'Eni ha versato un deposito cauzionale al posto di Gazprom e così il gas russo, bloccato in Austria, è ripreso a fluire verso l'Italia. Il clima mite ha aiutato, i termosifoni non sono ancora accesi e i condizionatori sono stati spenti, insomma i consumi non sono ai massimi. Uno stop più lungo, a tempo indeterminato, e in inverno significherebbe un'altra cosa. Per fronteggiare lo stop di qualche giorno non è stato necessaria attivare alcuna misura di emergenza né alzare il livello da quello di pre-allarme a quello di allarme o emergenza. Quali difficoltà dovremmo affrontare se l'assenza di gas russo diventasse permanente a partire da questo inverno? Dipende quando accadrà. In ogni caso dovremmo risparmiare la quantità di metano che non siamo riusciti a coprire con quello acquistato da altri Paesi.
I depositi di gas pieni al 91%, ma per l'utilizzo delle scorte c'è un problema
Al 5 ottobre il livello di riempimento degli stoccaggi è pari al 91,36%, una percentuale che mette l'Italia in testa ai Paesi europei che hanno più scorte di gas nei depositi in vista dell'inverno. L'accelerazione sul riempimento dei depositi ha funzionato, raggiungendo il target del 90% con un mese di anticipo rispetto alla scadenza fissata per fine ottobre. Sicuramente una buona notizia, ma bisogna mettere in conto un problema. Il sistema di approvvigionamento è sbilanciato verso Sud e questo perché arriva più gas dall'Algeria e dall'Azerbaijan, attraverso il Tap, mentre quello che arriva da Nord è in diminuzione perché i flussi dalla Russia, che fanno il loro ingresso a Tarvisio, in Friuli Venezia-Giulia, sono in diminuzione. Il gas andrà spinto da Sud a Nord, dove tra l'altro si registra il maggior consumo perché è la parte del Paese più popolata e dove c'è la maggiore concentrazione di imprese energivore e gasivore. Insomma il tema è se la rete sarà capace di rispondere a questo cambiamento relativo all'ingresso del gas. Nicola Armaroli, chimico del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), l'ha spiegato bene in un'intervista al Fatto quotidiano: lo stoccaggio funziona "come un canotto, nelle ultime fasi metto poco gas perché è già pieno e quando lo svuoto va prima veloce, poi perdendo pressione va più piano". Se si riduce lo stoccaggio disponibile si perde la cosiddetta disponibilità di punta e quindi, conclude Armaroli, "verso febbraio avrò uno stoccaggio spompato che non riesce a erogare il gas".
Un piano di risparmio soft
Secondo alcuni analisti bisognerebbe tagliare da subito il consumo di gas e questo per ridurre il rischio se Putin dovesse interrompere le forniture. Il razionamento diventerà obbligatorio in tutta Europa in caso di escalation, ma il governo italiano ha messo a punto un programma di risparmio volontario che partirà da metà ottobre, anche se lo scenario avverso non dovesse prendere forma. Le misure previste dal piano permettono di ridurre i consumi di gas di 8,2 miliardi di metri cubi, una quantità addirittura maggiore a quella che prevede il razionamento obbligatorio. Alcune di queste misure, tuttavia, sono legate a comportamenti virtuosi dei cittadini come la sostituzione del vecchio climatizzatore o l'installazione di pannelli solari. Per questo il governo stima come target più attendibile un taglio di 5,3 miliardi di metri cubi di gas. La maggior parte dei risparmi, pari a circa 3,2 miliardi di metri cubi, deriva da un minore utilizzo dei termosifoni. Quelli centralizzati saranno accesi otto giorni dopo e spenti sette giorni prima, oltre a rimanere in funzione un'ora in meno al giorno e con la temperatura giù di un grado, a 19 gradi invece che a 20. Si tratta di un piano di risparmio soft, che al momento esclude il coinvolgimento delle imprese, a differenza di quanto fatto in Germania e in Francia, dove anche il comparto industriale è stato chiamato a contribuire alla riduzione dei consumi.
Finiremo in recessione per colpa del gas?
I principali istituti economici tedeschi concordano: la Germania finirà in recessione il prossimo anno a causa dei costi dell'energia che sono esplosi con la guerra in Ucraina. Il Pil si espanderà appena dell'1,4% quest'anno e si contrarrà dello 0,4% nel 2023. E l'Italia? Le ultime stime del governo, contenute nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, dicono che le cose inizieranno a mettersi male negli ultimi tre mesi di quest'anno. L'attesa è per un trimestre con il ritorno del segno meno davanti al Pil e così anche il primo trimestre dell'anno prossimo. Il tema è la resistenza dell'economia dopo un 2022 che ha recuperato i livelli pre pandemia. Martedì l'Istat ha rivisto al rialzo la stima del secondo trimestre rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso - da 4,7% a 5% - ma l'erosione dello scenario inizia in autunno e andrà avanti per tutto l'inverno. Se Putin chiude i rubinetti a ottobre allora il Pil il prossimo anno sarà appena sopra lo zero, a +0,1 per cento. Non saremo in recessione perché non c'è il segno meno davanti, ma ci sarebbe comunque una recessione tecnica se il quarto trimestre di quest'anno e il primo del 2023 dovessero mettere in fila un risultato in territorio negativo.
Ma le bollette aumentano. L'affanno dell'economia reale
Altra cosa è l'economia reale. Le bollette saranno più salate negli ultimi tre mesi dell'anno, registrando incrementi superiori a quelli già imponenti degli scorsi mesi. Quelle della luce aumenteranno del 59% dal primo ottobre. Traduzione: la spesa per una famiglia tipo arriverà a 1.322 euro a fine anno. Sono 690 euro in più rispetto ai 632 euro pagati l'anno scorso.