Vogliamo parlare delle 30 slide.....quindi per renzusconi va tutto bene.

ennio1963

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Esplora il significato del termine: Governo, le trenta slide di Renzi:
ecco la realtà dei numeri
Il bilancio del premier sui due anni e mezzo di governo. Critiche dalle opposizioni. Brunetta: Italia fanalino di coda. Calderoli: l’Istat dice altroGoverno, le trenta slide di Renzi: :wall::wall::wall:
ecco la realtà dei numeri
Il bilancio del premier sui due anni e mezzo di governo. Critiche dalle opposizioni. Brunetta: Italia fanalino di coda. Calderoli: l’Istat dice altro

Trenta mesi, trenta slide. Matteo Renzi fa il punto sulla situazione — quello che chiama il «momento di verifica» — a due anni e mezzo dall’ingresso a Palazzo Chigi. Lo fa ancora una volta utilizzando delle schede, con cui illustra i risultati del suo esecutivo. E risponde così alle opposizioni: «I numeri, non le chiacchiere». Un modo per «dire la verità in modo semplice e chiaro» perché «credo sia giusto che ciascuno si faccia un’idea partendo dalla realtà dei fatti, dalla realtà dei numeri».
Si inizia con i dati sull’occupazione. Prima del governo Renzi — dice il premier — il numero degli occupati era di 22 milioni 180 mila. Oggi, dopo 30 mesi di governo, «è passato a 22 milioni 765 mila». Con un crescita pari a 585 mila occupati. Conseguente è il dato sulla disoccupazione. Secondo i dati forniti da Palazzo Chigi, si registra un calo di quasi 2 punti percentuale, passando dal 13,1 all’11,4 per cento. Con un particolare: il segno meno sulla disoccupazione dei giovani (43,6% prima, 39,2% oggi). «Da febbraio i posti di lavori sono cresciuti di 585 mila unità — dice nel pomeriggio Renzi alla Merkel —, un risultato incredibile. Se avessimo fatto 15 anni prima il Jobs act, come la Germania, sarebbe stato sicuramente un altro film, un’altra storia».
Capitolo crescita. Il confronto è tra il Pil al -1,9% di «ieri», con la crescita all’1% di «oggi». L’ultima stima ufficiale contenuta nel Def di aprile indicava per il 2016 una crescita del Pil pari all’1,2%, ma sarà rivista a breve con la «Nota di aggiornamento» entro il 27 settembre. Quanto al deficit, l’asticella scende dal 3% di «ieri» al 2,4% di «oggi». Nel Def l’indebitamento netto veniva stimato al 2,3% mentre nella legge di Stabilità era indicato al 2,4%. Poi un blocco sulle misure fiscali del governo per 10,4 milioni di italiani che ricevono gli 80 euro e 19 milioni di famiglie che non pagano più la tassa sulla prima casa. Sul recupero dell’evasione, da 13,1 miliardi si è arrivati a 14,5. Mentre il canone Rai scende a 100 euro da 113. Il premier ricorda anche i mutui erogati: valevano 19 miliardi, oggi si è arrivati a 49,8 miliardi. Oppure le auto prodotte in Italia: da 388 mila a 675 mila. Segno più anche per gli investimenti stranieri, passati da 12,4 a 74,7 miliardi.
Cresce — stando al premier — anche l’indice di fiducia dei cittadini nei confronti dell’esecutivo (ieri al 94,5, oggi al 109,2); il numero dei visitatori dei musei, che adesso tocca quota 43 milioni, e il turismo: gli arrivi in Italia superano quota 53 milioni. Si passa poi all’arretrato della giustizia civile (da 5,6 milioni di procedimenti pendenti a 3,8 milioni), ai ragazzi che fanno servizio civile (erano 896, sono diventati 35.673). E poi ai cantieri per l’edilizia scolastica che valevano in tutto 220 milioni, e oggi invece sono a quota 1 miliardo e mezzo. Infine, il welfare: i fondi per il sociale passano da 1,8 a 3,4 miliardi; le risorse per la sanità salgono a 111 miliardi da 106,4; quelle per la cooperazione internazionale da 232 milioni salgono a 432.
Le opposizioni, però, non digeriscono la campagna di comunicazione. Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia a Montecitorio: «Trenta slide colorate per dire niente, questa l’ultima trovata di Matteo Renzi per celebrare il 30esimo mese del suo governo. Un confronto non meglio definito fra “ieri” e”oggi”, senza dire agli italiani che in due anni e mezzo il nostro Paese è scivolato in basso a tutte le classifiche europee, diventando il fanalino di coda dell’eurozona». Secondo Brunetta, inoltre, anche il metodo utilizzato dal premier per valutare i dati economici è sbagliato. Anche Roberto Calderoli dalla Lega attacca: «I numeri Istat sulla condizione del mercato del lavoro raccontano un’altra cosa».


FERMATELOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO:D
 
Ha dimenticato un paio di slide:
debito
immigrati
 
Renzi è una brutta copia di Berlusconi
 
Infatti lo chiamo renzusconi.
 
Mica un premier può dire che le cose non vanno poi così tanto bene
 
Giusto l'ottimismo, ma dire che tutto va alla grande:eek:

Beh ma lo conosciamo. Servono ulteriori conferme?
Mi meraviglio che ci si meravigli ancora di lui.

L'unica cosa simpatica in questo teatrino è che per anni hanno perculato Berlusca e ora se ne ritrovano uno uguale se non poco più che peggiore a capo della SX.

Ma poi pensi che un qualunque altro premier direbbe che sotto il proprio governo le cose non vanno splendidamente?

Ci sarebbe da bruciare le slides e rimboccarsi le maniche se ne fossero capaci, purtroppo non è così, quindi non gli resta che mascherare la realtà
 
Cosa dicono (e non dicono) le slide sui 30 mesi di governo Renzi - Formiche.net

Cosa dicono (e non dicono) le slide sui 30 mesi di governo Renzi

Nel giorno in cui l’Istat certifica il nuovo aumento della disoccupazione giovanile su base mensile (39,2%, +2% su giugno) e la presenza di 53mila inattivi in più nel nostro paese, il Governo pubblica trenta slide dedicate ai numeri dei suoi primi trenta mesi di attività. “Numeri, non chiacchiere” recitano lo slogan sulle slide e il tweet di Renzi che le rilancia auspicando “tutti insieme, nella stessa direzione”.

Riconosciuto il grande errore di aver personalizzato il referendum costituzionale Renzi sembra ora tentare di chiamare gli italiani all’unità di intenti, mettendo tra parentesi le divisioni e i molteplici fronti di conflitto politico da lui aperti. Il dato numerico sembra voler essere un polo attraverso il quale far convergere le distanze. Nella continua battaglia di cifre sul lavoro che va avanti ogni mese almeno da marzo 2015, il regno del numero è infatti stavolta usato da Renzi come la dimensione dell’oggettività, contesto di discorso nel quale non è possibile discutere alcune verità, ma tuttalpiù formarsi delle personalissime opinioni. Con la più antica delle dissociazioni retoriche (verità vs. opinione), Renzi tenta così di promuovere un messaggio quasi contrario al suo più tradizionale pattern conflittuale: quello della rottamazione, della lotta ai gufi e del leaderismo.

Dice quindi esplicitamente il premier nella sua e-news: “Dire la verità in modo semplice e chiaro, offrire numeri e cifre è possibile. Poi ognuno si fa una propria opinione. Ma i numeri sono chiari. Le cifre non mentono”.

A ben vedere Renzi ha ragione. Sbaglia chi imputa semplicisticamente al premier di “raccontare balle” e bene sarebbe ripetere più spesso da parte degli opinionisti la differenza tra menzogna, errore e scelta retorica. Non tanto perché i primi due non siano gravi, ma piuttosto perché la terza è politicamente molto più potente.

Il Governo infatti non mente quando cita i suoi dati. I conti tornano tutti. Il Governo semmai sceglie, seleziona, e questo è il punto. Il problema della verità di cui parla Renzi non è infatti nei numeri, i quali costituiscono la rappresentazione di una realtà, rappresentazione che può quindi variare in base alla dimensione scelta (il dato) e al periodo considerato (il riferimento cronologico). Il problema della verità riguarda invece la connessione tra i dati di fatto.

Quanto al primo punto si può notare per esempio con quanta passione commentatori e governo si concentrino sul dato della disoccupazione, dato che singolarmente significa molto poco, perché sintetizza sia la variazione degli inattivi sia quella degli occupati e quindi va fornito contestualizzato; fatto risaputo ma che nell’epoca della sintesi dominante sembra passare inosservato dai più.

Altra scelta è quella di fornire numeri macro senza scorporarli, cosa che per esempio relativamente alle fasce d’età dei nuovi occupati, potrebbe svelare informazioni interessanti. Nella prima slide infatti si mostra come negli ultimi trenta mesi siano 585mila gli occupati in più, ma se si mostrasse che dal febbraio 2014 abbiamo 889mila occupati in più tra gli over 50 e 337mila in meno nella fascia 25-49 anni l’impatto, anche considerato l’invecchiamento della popolazione e l’impatto della riforma Fornero (non semplici da spiegare al grande pubblico) sarebbe completamente differente.

Allo stesso modo un semplice confronto tra il tasso di occupazione italiano e quello dei diversi paesi europei mostrerebbe chiaramente la distanza che ci separa drammaticamente.

Quanto ai riferimenti cronologici, bene fa il governo a suggerire uno sguardo lungo, contrapposto alla frenesia del commento mensile, spesso da correggere in sede trimestrale. Peccato che il governo in questo senso sia vittima anche di se stesso in quanto nelle slide a volte utilizza come punto di partenza un mese e a volte un altro.

Non si capisce ad esempio il dato della disoccupazione che a febbraio del 2014 era del 12,8% ma appare nelle slide al 13,1%. Praticamente impossibile poi che il destinatario colga tale invito quando il messaggio è tanto carico di iperboli.

Slide dove a cifre milionarie si contrappone uno zero, con l’effetto comico aggiuntivo del non sense. Che senso ha fare comparazioni su dimensioni continue, come l’occupazione e gli investimenti, per poi esibire dimensioni per le quali il governo si proclama “anno zero”, come nelle slide sull’IMU, gli “ottanta euro”, sulla dichiarazione dei redditi precompilata?

Seguendo la logica si osserva poi la mancanza dell’innovazione delle innovazioni, la “rivoluzione copernicana” per dirla con lo stesso Renzi: quanta intenzionalità attribuire alla scelta di omettere una slide come “assunti a tutele crescenti: 0 vs tot”?

Ma soprattutto la scelta di utilizzare l’inizio del governo Renzi come data dal quale valutare i miglioramenti significa non cogliere che il vero problema oggi è quello di tornare ai livelli pre-crisi. Il vero paragone si gioca su questo, non tanto su di una data intermedia, sicuramente importante a livello comunicativo, ma che sembra ridurre il successo ad una differenza tra un “prima” scelto a tavolino e un oggi.

La scelta del Governo di uscire pubblicamente con questo tenore di messaggio appare poi una dimostrazione di muscolarismo in un giorno in cui l’Istat conferma la situazione complessa del mercato del lavoro italiano.

L’approccio sembra dunque quello di negare una problema, tanto più ampio quanto più lo si paragona con la situazione europea, piuttosto che individuare contestualmente elementi positivi e altri in cui siamo ancora indietro e per i quali è urgente migliorare.

Il riconoscimento del problema infatti coinciderebbe con l’ammissione che l’unica vera riforma dell’esecutivo, il Jobs Act, non ha saputo dare quella spinta necessaria per una vera ripresa perché non basta una riforma del lavoro per generare un cambio di rotta.

In ultimo un dato psicologico, che può emergere dal rapporto tra rappresentazione e realtà dei fatti. L’insistenza costante sullo storytelling del cambiamento, della nuova Italia in cui i problemi sono stati risolti, non potrà che apparire distante, fino a generare astio, in coloro che invece i numeri li rappresentano molto bene, ossia i giovani disoccupati, le fasce d’età intermedie dalle alte competenze e senza un lavoro e così via…

Si affaccia quindi il rischio di una eterogenesi dei fini tra un messaggio che vuole nelle intenzioni essere riunificatore ma che nei fatti rischia di ampliare quella distanza, oggi più che mai pericolosa, tra i cittadini e i propri rappresentanti.

Distanza che forse potrebbe ridursi facendo capire che i problemi sono chiari, sono ancora presenti e la volontà di risolverli è figlia proprio di questa consapevolezza. Perché è vero che davanti all’evidenza le opinioni convergono, ma il prezzo dell’evidenza è alto, e serve il coraggio di pagarlo.
 
Vogliamo parlare delle 30 slide ?

:yes:
Come se fosse antani :rolleyes:
 
Che pajas, mioddio che pajas :doh:



Rignano, secondo estratto - Phastidio.net

Rignano, secondo estratto
Pubblicato il 1 settembre 2016 in Adotta Un Neurone/Economia & Mercato/Italia
Dopo una pausa di riflessione, tornano a grande richiesta (del premier) le slide sul meraviglioso mondo che si sta dischiudendo davanti agli scettici occhi degli italiani. Futile tentare il fact checking, esercizio con cui ormai in questo paese si incarta il pesce: per fare verifica dei numeri e delle affermazioni serve avere le basi, che in Italia, paese di piccoli e grandi magliari, semplicemente non esistono. Il campionario di manipolazioni è talmente grossolano da far pensare ad uno scherzo, o all’azione di un troll. Sfortunatamente è tutto vero. Ma quando si è di fronte ad un paese di analfabeti funzionali, nativi e di ritorno, a che servono le sottigliezze?


Tra le tecniche ormai consolidate di cui si avvalgono Renzi ed i suoi vi è la commistione tra dati effettivi e previsioni. Così, ad esempio, la variazione annua del Pil passa da -1,9% a +1%, ma scopriamo che il dato di arrivo è l’ultima previsione governativa sul 2016, non un dato acquisito. Discorso analogo per il rapporto deficit-Pil, che a fine 2016 è previsto al 2,4% dal Mef. Un dato realmente positivo è quello relativo al numero di auto costruite in Italia, che grazie a Fiat è quasi raddoppiato e di fatto è ciò che sorregge la produzione industriale italiana da un paio d’anni a questa parte, a pari merito con il farmaceutico.

Vi sono poi alcune perle, quali “numero di italiani che ricevono 80 euro in più al mese”, che si commenta da sola, oppure “famiglie che pagano le tasse sulla prima casa”; due preclari esempi di come buttare soldi pubblici nello sciacquone e trovarsi a dover abbaiare alla luna ed alla Merkel per avere “flessibilità” con cui stringere la corda al collo di questa e delle prossime generazioni. Notevole anche la slide sul “costo” dei titoli di stato decennali, che poi sarebbe il rendimento ma i behavioristi de noantri di Chigi hanno pensato che vantarsi della discesa di un rendimento, in un paese di risparmiatori affetti da illusione monetaria, potesse indurre proteste e recriminazioni. E comunque, grazie Mario.

Si potrebbe anche dire qualcosa sulla composizione della crescita dell’occupazione, che resta sbilanciata dal versante degli over 50, con tassi di occupazione stagnanti per le coorti primarie, la 25-34 anni e soprattutto la 35-49 anni (in realtà il numero assoluto di occupati scende ma a causa di variazioni demografiche il tasso di occupazione regge o progredisce lievemente). E così via.

Alla base di tutto resta la debole ripresa ciclica del paese, spinta da fattori in larghissima parte esogeni, e che sarebbe avvenuta anche se a Chigi vi fosse stato un macaco. Non si trova traccia di slide sull’unico indicatore che serve per valutare se un paese sta progredendo sul piano della finanza pubblica: il rapporto debito-Pil, terminale della crescita o della mancanza di essa. Qui infatti non vi è nulla da festeggiare, visto che quel rapporto non flette, neppure durante un’espansione, e presto o tardi finirà col metterci nei guai.

Ci sono poi alcuni mezzucci, presi dalla panoplia del perfetto venditore di fumo, come il cherry picking sui dati realizzato cambiando l’orizzonte temporale di riferimento. Ad esempio, per il numero di occupati si fa riferimento al periodo febbraio 2014-luglio 2016 (cioè dall’insediamento di Renzi), mentre per quello sulla disoccupazione si utilizza il periodo da novembre 2014 (Renzi regnante da 8 mesi) a luglio 2016, per gonfiare il dato di “ieri”.

Ma c’è soprattutto una slide che ha catturato la nostra attenzione: è quella che viene indicata come “indice di fiducia del cittadini“, di “fonte Istat”, e che è passata da 94,5 a 109,2. Ora, è vero che la gente di solito lavora o ha altri legittimi problemi per la testa, tali da ridurne drasticamente l’attenzione. Ma definire “indice di fiducia dei cittadini” quello che invece è l’indice di fiducia dei consumatori, è una forma di propaganda piuttosto becera. I cittadini sono anche consumatori, i consumatori sono per definizione cittadini, ma i due termini sono tutto fuorché sinonimi.

Altrimenti qualche giornalista, che va di fretta e non vuole rogne col fact checking (perché ‘sti termini inglesi alla fine sono sempre una fregatura), può uscirsene come oggi sul Corriere:

«Cresce — stando al premier — anche l’indice di fiducia dei cittadini nei confronti dell’esecutivo (ieri al 94,5, oggi al 109,2)»

Anche il titolo del pezzo (Le trenta slide di Renzi, ecco la realtà dei numeri) è tutto un programma. A poco e nulla servono le precisazioni del tipo “stando al premier”, perché scrivere sul primo quotidiano italiano di “fiducia dei cittadini nei confronti dell’esecutivo” indica solo due cose: ignoranza o servilismo. In entrambi i casi, il direttore del Corriere ha assai poco di cui essere soddisfatto. Per tutto, il resto, c’è la realtà.
 
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