Per capire il quadro dei mercati obbligazionari è interessante il commento periodico di Chris Iggo ( Chief Investment Officer, AXA Fixed Income ) "La versione di Iggo "
FondiOnLine.it
1 febbraio 2016
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Se in alcuni momenti della storia economica degli ultimi trent’anni il credito ha sostenuto la crescita, favorendo i consumi e gli investimenti, siamo arrivati a un punto in cui, per contro, ha un effetto inibitore e concorre all’assenza generale di crescita nominale. Tornando a considerare ancora i dati sui flussi di fondi negli Stati Uniti, risulta che l’aumento complessivo del debito in percentuale sul Pil tra il 1986 e il 2009 è passato dal 200% al 370%. Stando all’ultimo rilevamento, oggi risulta ancora al 330%. Se al grafico della crescita del debito sovrapponiamo le serie temporali dei tassi d’interesse a lungo termine, la relazione risulta evidente.
I tassi sono scesi e il debito è aumentato –potrebbe risultare controintuitivo in un certo senso, ma è coerente con la logica secondo cui, quando gli agenti economici maturano livelli di debito superiori al loro reddito, si trovano a spendere di più per il servizio del debito accumulato, per cui hanno minori disponibilità da spendere nei consumi. A livello aggregato, meno consumi significa meno crescita, il reddito è vincolato e ci si trova sempre più invischiati in un circolo vizioso. Eventuali shock deflazionistici, come un crollo del prezzo del petrolio, non farebbero che peggiorare le cose.
Le dinamiche del debito favorite dal Qe – Quando, nel 2011, eruppe la crisi del debito europeo, si faceva un gran parlare delle possibili soluzioni al problema del debito sovrano. Le opzioni più gettonate erano: stimolare la crescita, fare aumentare il tasso d’inflazione, ridurre il ricorso ai finanziamenti (austerità) o ristrutturare (default, condono…). La scelta delle autorità monetarie è stata di cercare di spingere l’inflazione attraverso il quantitative easing (Qe). Inizialmente l’Europa aveva tentato la strada dell’austerità, ma questa scelta peggiorò le cose, fino al cambio di passo deciso da Draghi nel 2012.
L'accordo in realtà prevedeva l’abbassamento del costo del denaro sotto il livello di crescita nominale del Pil, per evitare la tanto temuta trappola del debito. La Grecia in qualche occasione ha complicato le cose per l’Europa, ma dopo l’annuncio del piano di acquisti della BCE, i costi di finanziamento per tutti gli altri titoli sovrani europei sono nettamente diminuiti e attualmente, in quasi tutti i casi, sono inferiori al livello effettivo e stimato di crescita nominale del Pil. Il grande cambiamento ha riguardato i tassi d’interesse più che il livello di crescita anche se, ad essere onesti, c’è stata una certa riduzione dei deficit di bilancio primari, almeno rispetto ai livelli di prima del 2010. Ciò nonostante, la situazione resta fragile e potrebbe risentire di una crescita deludente.
Secondo l’Ocse, il rapporto debito/Pil in Europa ha continuato a peggiorare: i livelli di debito di Spagna, Italia, Portogallo, Francia, Belgio e, naturalmente, della Grecia, sono decisamente superiori al 100% del Pil. Per la cronaca, accade lo stesso anche negli Usa e nel Regno Unito. Insomma, il Qe ha guadagnato tempo, abbassando i tassi d’interesse e rendendo più abbordabile il servizio del debito, ma non c’è un grosso margine tra gli attuali tassi di crescita nominali e il costo di finanziamento medio. Se la crescita dovesse stentare o se l’inflazione dovesse diminuire ancora, questo margine sarebbe ancora più esiguo
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Ed eccoci qui, con un sistema bancario europeo che continua a mostrare aree di fragilità, scarsi progressi a livello globale rispetto alla riduzione del problema del debito, basso livello di crescita e di inflazione e tre delle quattro maggiori banche centrali al mondo in modalità espansiva a causa dell'eccessivo peso del debito. E la Fed, in tutto questo? I mercati sono convinti di avere visto il re nudo. Si escludono prossimi aumenti dei tassi d’interesse da parte della Fed e sono addirittura sempre più numerose le scommesse sulla possibilità che i prossimi interventi in Usa e Regno Unito vadano nella direzione di una riduzione dei tassi.
Ci si aspetta che, prima o poi, la Fed e la Bank of England aderiscano al partito dei tassi negativi. Certo, se basiamo le previsioni relative alla Fed sulla situazione del mercato del lavoro interno e sulle prospettive di crescita salariale, potremmo aspettarci ancora almeno tre aumenti nel 2016. Ma se teniamo conto della situazione globale, del probabile ulteriore rafforzamento del dollaro e della crescita generale deludente, allora l’unica manovra di dicembre potrebbe bastare per un po’.
Non è un ambiente favorevole per gli investitori. Il fatto che la gente si aspetti altre mosse espansive in questo momento ci dice questo: è opinione diffusa che la politica monetaria non sia stata sufficiente in termini di stimolo della crescita economica o dell’inflazione. Che cosa ha fatto? Ha fatto aumentare i prezzi degli strumenti finanziari. L’aumento del reddito delle famiglie resta soffocato da tasse, indebitamento e mancata crescita salariale. Le società investono, contraggono prestiti per riacquistare azioni proprie. L’effetto più evidente della politica monetaria è stato di impedire una crisi finanziaria ancora peggiore, in cui avremmo avuto numerosi casi di default e una deflazione ancora più alta. Non dico che il Qe sia stato sbagliato, ma piuttosto che la politica monetaria ha raggiunto i suoi limiti.
Finanziari costosi – A livello più pratico, sono un po’ preoccupato per il diffuso giudizio positivo dei mercati del credito sui titoli finanziari. Molti investitori da qualche tempo mantengono un’esposizione sovrappesata sul debito bancario, divenuto assai conveniente dopo la crisi e che ha trovato grande sostegno grazie agli interventi normativi per mettere in sicurezza le banche. Oggi le obbligazioni bancarie, nel complesso, rendono molto meno dei titoli corporate.
Deve essere così in un mondo ideale, in cui gli investitori si rivolgono alle banche per avere accesso all’economia reale e si aspettano che queste si facciano carico del rischio di credito attraverso la concessione di finanziamenti. Ma attualmente il divario si sta ampliando, anche perché è aumentato il prezzo attribuito al rischio degli investimenti nel segmento corporate a causa del deterioramento del quadro macroeconomico e, in particolare, dei settori correlati al petrolio, alle materie prime o ai mercati emergenti.
Metto in dubbio il giudizio prevalente sui titoli finanziari a causa del continuo afflusso di cattive notizie e perché, negli ultimi anni, abbiamo assistito a una dannata corsa rialzista alle obbligazioni bancarie
...Nel frattempo, sul mercato obbligazionario il rischio di credito prevale sul rischio di tasso. Il momentum va sicuramente ancora verso il calo dei rendimenti e, se il Giappone rappresenta il termine di riferimento della bassa inflazione, potrebbe esserci ancora margine per un ulteriore appiattimento della curva dei rendimenti e per una sovraperformance dei titoli di stato a più lunga scadenza.
Per quanto concerne il credito, vi sono stati importanti cambiamenti nella valutazione dello spread sulle obbligazioni correlate alle materie prime e ai mercati emergenti. Queste aree di mercato restano i più probabili candidati per una ripresa e il modesto rimbalzo dei prezzi petroliferi di questa settimana è stato abbastanza incoraggiante. L'ultimo messaggio della Fed ha un tono molto più distensivo di quello che accompagnava l’aumento del tasso sui Fed Funds dello scorso dicembre ed è possibile che i prossimi dati spingano il mercato a escludere ulteriori inasprimenti.
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Iggo: parliamo di tassi negativi
AXA IM IT - AXA IM Italy blog
In questo quadro negli ultimi 6 mesi si sono posizionati in modo abbastanza azzeccato sui mercati obbligazionari fondi come
Credit Suisse (Lux) Sustainable Bond Fund B|LU0230911603
Asset Allocation del Fondo |Primi 10 titoli in portafoglio |Credit Suisse (Lux) Sustainable Bond Fund B|ISIN:LU0230911603
Performance del Fondo |Rendimenti Annuali, Cumulati e Trimestrali |Capital Group Euro Bond Fund (LUX) B|ISIN:LU0174801380
AXA World Funds Euro 7-10 A Capitalisation EUR|LU0251659180
UBS (Lux) Bond Fund - EUR P-acc|LU0033050237