Articolo 3 della Costituzione : stasera su RAI 3 Maria Luisa Busi nuova trasmissione

Lecce, 7 Gennaio: manifestazione delle famiglie di bambini sottratti

Area Famiglia 02/01/2011 - 20.49

Sono oltre 35.000 i bambini istituzionalizzati in Italia che per anni restano abbandonati dalle istituzioni in “istituti” trasformati in “case famiglia” contro tutte le disposizioni legislative nazionali ed internazionali che proibiscono ai Tribunali per i Minorenni di “internare” un minore.

La legge prevede che un minore in difficoltà venga affidato ad un nucleo familiare perchè possa essere aiutato a superare il trauma del distacco dalla famiglia di origine. L’istituzionalizzazione per anni comporta:

- un enorme giro d’affari facendo diventare il minore una “merce” che produce reddito;

- un danno incalcolabile per il minore per gli effetti devastanti che può comportare la collocazione con un numero imprecisato di minori con diverse problematiche;

- un danno per l’economia delle Amministrazioni Comunali costrette a pagare delle rette da “Hotel a 5 stelle” a strutture inadeguate dove i minori vivono in 5 o 10 per stanza;

- la DISTRUZIONE MORALE, PSICO-FISICA E ECONOMICA DELLE FAMIGLIE DEI BAMBINI SOTTRATTI costrette a lottare contro la burocrazia delle istituzioni che tratta il bambino come se fosse una qualsiasi “pratica” che può attendere le lungaggini del procedimento.

Contro questo sistema e a sostegno delle FAMIGLIE DI BAMBINI SOTTRATTI, la GESEF – Genitori Separati dai Figli, organizza una manifestazione per il giorno 7 gennaio 2011 con il seguente programma:

- ore 9.00 - Raduno dei partecipanti presso il Tribunale per i Minorenni di Lecce in Via Dalmazio Birago

- ore 10.00 - Inizio del corteo che andrà verso la sede del Tribunale e della Corte di Appello in Viale Michele De Pietro – Palazzo di Giustizia, seguendo il seguente percorso: Via Dalmazio Birago, Viale Gallipoli, Viale Otranto, Viale Cavallotti, Via S.Trinchese, Viale XXV Luglio – sosta presso la Prefettura per incontro con il Prefetto, Via Giuseppe Garibaldi e Via Michele De Pietro sino al Palazzo di Giustizia.

- Ore 11.30 – Sit-in sul marciapiede antistante il Palazzo di Giustizia

- Ore 14.00 – Fine della manifestazione.



Per informazioni, telefonare al 347 6300923 o scrivere a gesef.puglia@gmail.com

Fonte: Redazione

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Io ne avevo gia' parlato, vedo che ora ne sta parlando anche La Repubblica, e la notizia fa il giro del mondo

Fratelli d'italia: Gli studenti italiani non sanno leggere

Gli studenti italiani non sanno leggere
... :rolleyes:

I media italiani passano la notizia sotto silenzio (tanto chi la legge?) ma assume tutto il suo valore se teniamo presente che gli studenti di oggi sono il futuro della nazione.
Ogni anno si svolge uno studio (PISA) cui partecipano tutti i paesi OCSE più qualche paese asiatico, valutando i quindicenni nelle capacità di lettura e comprensione del testo, matematica e scienze.

Giovedì 03 Febbraio 2011 16:52

Ue: un 15enne su cinque in Italia è semianalfabeta, coi tagli all’istruzione come andrà a finire?

ROMA – Dato sconvolgente diffuso dall’Ue sulla situazione degli adolescent italiani.
Secondo quanto scrive oggi La Repubblica, nei test Ocse-Pisa 2010 pubblicati a dicembre l'Italia fa registrare il 21% di quindicenni "con scarsi risultati in lettura". E i commissari li giudicano a rischio per il loto futuro, sociale e sul lavoro. Un quindicenne su cinque, in Italia, è semianalfabeta. Cioè privo "delle capacità fondamentali di lettura e di scrittura". Questa volta, a certificarlo è la Commissione europea che "per contribuire a risolvere il problema, ha istituito un gruppo di esperti indipendenti con l'incarico di individuare metodi per migliorare i livelli di alfabetizzazione", si legge in una nota della stessa commissione. La preoccupazione è che i tagli alla Scuola introdotti dalla riforma Gelmini possano aggravare il disagio.

Ue: un 15enne su cinque in Italia è semianalfabeta, coi tagli all
 
Dieci cose che i genitori possono fare per contribuire a eliminare il bullismo

Dieci cose che i genitori possono fare per contribuire a eliminare il bullismo - Associazione di Associazioni Nazionali per la tutela dei Minori

25/01/2011 - 21.05

Le ultime ricerche dimostrano che più della metà di tutti i bambini sono, almeno in un caso, direttamente coinvolti nel bullismo come vittima o carnefice o entrambi. E molti di coloro che non sono direttamente coinvolti, sono spesso testimoni di altre vittime di bullismo. Nessuno è immune: bambini di ogni razza, sesso, grado di scuola e classe socio-economica sono coinvolti o influenzati

1. Parlare e ascoltare i vostri figli tutti i giorni Le ricerche mostrano che i genitori sono spesso gli ultimi a sapere quando il loro figlio è stato vittima di bullismo o compie atti di bullismo. È possibile incoraggiare i vostri figli a invertire questa tendenza all'omertà impegnandosi in frequenti conversazioni sulla loro vita sociale. Trascorrere qualche minuto ogni giorno chiedendo apertamente come trascorrono il tempo a scuola e nel quartiere, quello che fanno con le altre classi durante la ricreazione, con chi hanno pranzato o ciò che accade lungo la strada per e da scuola. Se i vostri figli parlano tranquillamente e regolarmente con voi circa i loro coetanei, sarà molto più probabile che affrontino la questione dopo essere stati coinvolti in un evento di bullismo,

2. Trascorrere del tempo con i bambini che giocano Le ricerche mostrano che il 67% del bullismo si verifica quando gli adulti non sono presenti. Le scuole non hanno le risorse per fare tutto e hanno bisogno di aiuto da parte dei genitori per ridurre il bullismo. Nelle attività scolastiche dove è possibile, per esempio nelle gite o nelle uscite didattiche, o nei luoghi dove si possa fare volontariato attivo, si può davvero fare la differenza solo con il fatto di essere presenti e contribuendo ad organizzare giochi e attività che incoraggino i bambini a giocare con nuovi amici. Assicuratevi di coordinare il vostro tempo sul campo di volontariato con l'insegnante di vostro figlio e /o con altri educatori.

3. Essere un buon esempio di bontà e di leadership I vostri bambini imparano molto sui rapporti di potere attraverso l'osservazione dei comportamenti degli adulti, "in primis" quello dei genitori . Quando vi arrabbiate con un cameriere, un commesso, un altro automobilista sulla strada, o anche con vostro figlio, avete una grande opportunità di modellare tecniche di comunicazione in modo efficace. Ogni volta che si parla ad un'altra persona in modo corretto o autorevole ma senza eccessi, si insegna ai vostri figli che il dialogo è l'unico mezzo per risolvere i problemi; al contrario, atteggiamenti violenti di voi genitori dicono ai vostri figli che il bullismo è ok.

4. Imparare a riconoscere i segni La maggior parte dei bambini non dicono a nessuno (soprattutto agli adulti) di essere stati vittime di bullismo. E 'quindi importante per genitori e insegnanti imparare a riconoscere i possibili segni di essere stati vittime, come la frequente perdita di effetti personali, il mal di testa o il mal di stomaco, evitare le attività di ricreazione o rifiutare una scuola, andare a scuola sempre in ritardo o, viceversa, molto presto. Se si sospetta che un bambino possa essere stato vittima di bullismo, parlatene con l'insegnante o trovate il modo di osservare i suoi comportamenti e la sua interazione con gli altri bambini per determinare se gli eventuali sospetti potrebbero essere eccessivi ed errati.

5. Create precocemente un sano anti-bullismo. Contribuite a sviluppare un senso di anti-bullismo e abitudini anti-vittimizzazione nei vostri figli, fin dall'asilo nido o dalla scuola materna. Insegnate ai vostri figli cosa non fare: colpire, spingere, prendere in giro, irridere. Aiutate vostro figlio a concentrarsi su come tali azioni potrebbero far sentire il bambino che le riceve (per esempio, "Come pensi che ti sentiresti se succedesse a te?"). Tali strategie possono aumentare l'empatia per gli altri. Altrettanto, se non più importante, è insegnare ai vostri figli che cosa fare - gentilezza, empatia, fair play e "darsi il cambio" sono competenze da far crescere per coltivare buone relazioni tra pari. I bambini devono anche imparare come dire "no" con fermezza e come evitare di essere strumenti di altri. Insegnate a vostro figlio anche cosa fare con gli altri bambini: chiamare un adulto subito, dire al bambino che sta prendendo in giro o che fa il bullo di fermarsi oppure allontanarsi e ignorare il bullo. E ricordate che la ripetizione aiuta: applicate queste tecniche periodicamente con i vostri bambini, fin dall'età più precoce.

6. Contribuite ad affrontare il bullismo in modo efficace nella scuola di vostro figlio Sia che i vostri bambini siano stati vittime di bullismo o meno, si dovrebbe sapere cosa la scuola sta facendo per affrontare il fenomeno. Le ricerche mostrano che le politiche di "tolleranza zero" non sono efficaci. Quello che sembra funzionare meglio sono i programmi educativi che aiutano a creare un sano clima sociale nella scuola. Questo significa insegnare ai bambini ad ogni livello come essere leader, come essere empatici nei confronti degli altri e delle vittime. Se la scuola non ha messo ancora in atto efficaci strategie anti-bullismo, parlate con il responsabile scolastico e fatevi promotori e sostenitori di un cambiamento.



TO BE CONTINUED...

Fonte: ciaobulli.blogspot.com
 
Google insegna ai genitori ad evitare le trappole della Rete

Area Famiglia

11/01/2011 - 23.15

Adescamento on line, cyber bullismo, privacy violata. Sono le insidie della rete. Pericoli che corrono tutti i ragazzi davanti a un pc e che molti genitori non sanno come affrontare. Per questo Google ha creato il Centro di Sicurezza on line per la famiglia, dove gli adulti potranno trovare tutte le risposte alle domande su come tutelare i loro figli su Internet.

L’idea di creare una pagina di aiuto per gli adulti non attrezzati a comprendere e affrontare i rischi della Rete nasce dall’indagine “Bambini e Nuovi Media”, presentata lo scorso ottobre commissionata a People, che ha evidenziato come il 18% dei genitori di bambini tra gli 8 e i 13 anni abbia confessato di conoscere appieno le nuove tecnologie. “Dopo il lancio, oltre un anno fa, del Centro di Sicurezza YouTube e la partecipazione a numerose iniziative indirizzate ai giovani, il nostro intento con il Centro per la sicurezza online della famiglia è di ampliare e rafforzare il dialogo anche con i genitori, per aiutarli a meglio comprendere la realtà digitale nella quale si muovono quotidianamente i loro figli”, ha spiegato Marco Pancini, European Policy Counsel di Google per l’Italia.

Il Centro per la sicurezza on line della famiglia è suddiviso in diverse sezioni contenenti informazioni sugli strumenti di protezione offerti da Google e consigli per genitori e ragazzi forniti in collaborazione con i tre partner dell’iniziativa: Save the Children, Telefono Azzurro e Terre des Hommes. Sono inoltre disponibili un decalogo di consigli generali rivolti direttamente agli insegnanti e ai giovani utenti della Rete, nonché suggerimenti sui comportamenti da tenere nel caso in cui si sia vittime di episodi di cyberbullismo. Un’altra sezione contiene una serie di risposte alle domande più frequenti delle categorie di utenti cui il sito si indirizza. Vi sono infine link diretti per la segnalazione di episodi di abusi e usi scorretti dei prodotti online di Google e una sezione con i video-consigli forniti dai genitori.

Dall’interno del Centro Sicurezza è inoltre possibile accedere direttamente alle pagine informative sull’iniziativa “Non perdere la bussola”, promossa da Google/YouTube in collaborazione con Polizia delle Comunicazioni e Ministro della Gioventù, che consiste in corsi di formazione sull’uso sicuro e responsabile della rete organizzati nelle scuole medie e superiori italiane, rivolti a studenti e genitori. Il nuovo Centro per la sicurezza online della famiglia, infine, offre infine informazioni su come utilizzare gli strumenti di sicurezza incorporati nei progetti di Google, quali SafeSearch e la Modalità di protezione di YouTube, che possono aiutare a controllare i contenuti che i ragazzi possono trovarsi davanti. I controlli della condivisione dei contenuti in YouTube, Picasa, Blogger e altri prodotti assicurano che video, foto e blog siano condivisi solo con le persone giuste. Inoltre, è stata creata una sezione su come gestire le funzioni di geolocalizzazione su dispositivi mobili.

Fonte: skytg24.it
 
Dieci cose che i genitori possono fare per contribuire a eliminare il bullismo

Dieci cose che i genitori possono fare per contribuire a eliminare il bullismo - Associazione di Associazioni Nazionali per la tutela dei Minori

25/01/2011 - 21.05

Le ultime ricerche dimostrano che più della metà di tutti i bambini sono, almeno in un caso, direttamente coinvolti nel bullismo come vittima o carnefice o entrambi.

Bullismo e Cyberbullismo: dal desiderio di ferire all´"eroismo multimediale"

Psicologia in linea 09/01/2011 - 09.37

Oggi il bullismo è un fenomeno sociologico, familiare e sanitario. Per “bullismo” non si intendono occasionali azioni negative fatte per scherzo, ma una sequenza di azioni caratterizzate da intenzionalità (desiderio di ferire) di oppressione nella vittima.

L’aggressione può essere perpetrata con modalità differenti, fisiche o verbali di tipo diretto, o con modalità di tipo psicologico e indiretto, quali la stigmatizzazione e l’esclusione dal gruppo dei pari. Le ricerche dimostrano che l’aver subito episodi di bullismo rappresenta un evento di vita stressante che può influenzare significativamente lo sviluppo nell’infanzia e nell’adolescenza e condizionare negativamente la salute mentale anche in età adulta.

I dati CENSIS del 2008 dimostrano che non si tratta solo di un allarme mediatico, ma di un fenomeno concreto con una diffusione preoccupante. Gli studi riportano che il bullismo è presente nel 49,9% delle classi italiane.

È noto che le conseguenze del bullismo sulla vittima non sono solo quelle immediate, derivanti dalle aggressioni fisiche subite, ma comprendono anche alterazioni dell’equilibrio psicofisico che possono diventare croniche e irreversibili, anche al venir meno della condotta persecutoria che le ha determinate e che sono potenzialmente di estrema gravità e di significativo impatto non solo a livello individuale, ma anche sociale e sul sistema sanitario per l’aggravio di costi che ne deriva.

“Noi tutti dobbiamo dare una risposta concreta, approfondita e professionale a questo problema, e affrontare un fenomeno che va fermato”, sottolinea Luca Bernardo - Direttore Dipartimento Materno - Infantile A. O. Fatebenefratelli e Oftalmico Milano e Presidente Commissione Nazionale per la Prevenzione del Disagio e del Bulllismo –. “Per questo ritengo fondamentale un progetto di integrazione funzionale tra la scuola, che ha il compito di formare, i medici, che hanno la responsabilità di curare, le forze dell’ordine e la magistratura, che devono osservare, legiferare e imporre rispetto e le famiglie, che hanno il compito di educare e confrontarsi”.

Le vittime del bullismo possono presentare conseguenze sul piano sociale (insicurezza, scarsa autostima, scarsa motivazione all’autonomia, dipendenza dall’adulto, ritiro sociale), una significativa compromissione del funzionamento scolastico (disturbi di apprendimento e cali di rendimento, determinati da difficoltà di concentrazione, ridotta motivazione e disinvestimento nei processi di apprendimento) e anche disturbi psichiatrici (disturbi d’ansia, disturbi dell’umore con aumentato rischio di suicidio). Risulta, quindi, di fondamentale importanza attuare programmi di prevenzione e di intervento sulle vittime e le loro famiglie, specifici e mirati, finalizzati alla promozione dell’autostima e delle competenze relazionali e sociali.

È ormai assodato che il fenomeno bullismo – pur rimanendo significativamente ancora appannaggio dei maschi – riguardi un numero sempre più crescente di femmine nel ruolo di prevaricatrici, così come si assiste a un progressivo abbassamento del livello d’età degli attori del bullismo fino ad arrivare a episodi che si consumano tra i banchi della scuola materna.

Il bullismo al femminile è ormai una realtà nota, in costante crescita, come confermano le statistiche che riportano che tra gli adolescenti un bullo su sei è femmina.

Quello femminile è un bullismo sottile, subdolo, intellettualizzato. Il motivo per cui il "bullismo femminile" viene poco considerato è che è molto meno vistoso rispetto a quello maschile, ma proprio per questo molto più subdolo. Il popolo femminile pratica il cosiddetto bullismo psicologico. Si tratta di un’aggressività indiretta, il più delle volte non fisica, ma sottile e dolorosa. Solitamente le bulle, così come nel fenomeno del bullismo maschile, non agiscono da sole, ma molto spesso si organizzano in veri e propri “branchi” dove i ruoli sono ben definiti.

In molti casi si tratta di una o più ragazzine che si atteggiano a femmine dominanti e hanno nel mirino una sola vittima e mettono in atto nei confronti dell'"esclusa" un vero e proprio comportamento persecutorio fatto di pettegolezzi e falsità infondate.

Queste modalità più indirette, come mettere in giro voci false sul conto di qualcuno, escludere dal gruppo, calunniare, comandare a bacchetta, ricattare e ignorare, infieriscono sull’aspetto emotivo della vittima, colpendola di nascosto e creando intorno a lei il vuoto.

Essendo così subdola e invisibile, questo tipo di prepotenza è difficilmente riconoscibile anche per gli adulti, che spesso tendono ad attribuire l’emarginazione sociale a difficoltà relazionali e alla timidezza della ragazza vittima. Per la vittima diventa quindi difficile chiedere aiuto. Questo tipo di bullismo psicologico distrugge lentamente la rete sociale di sostegno e di appartenenza della vittima creando intorno a lei la solitudine.

Essere rifiutate dal gruppo rappresenta una non conferma del proprio valore e per questo motivo spesso scatta un processo di autodenigrazione in cui la vittima cerca dentro di sé le colpe di questo rifiuto tentando in tutti i modi di rientrare nel gruppo. L’effetto delle calunnie e delle prese in giro è quello di destabilizzare la vittima che finisce per perdere la stima in se stessa ed auto-emarginarsi. Ne consegue un danneggiamento nell’immagine di sé e nell’approccio con gli altri, aspetti fondamentali per la costruzione della sua personalità. Una nuova forma di bullismo sempre più diffusa è il Bullismo elettronico, con molte analogie soprattutto con le forme di bullismo indiretto. Il termine inglese "Cyber bullying" ("bullismo elettronico" o "bullismo in internet") indica l'utilizzo di informazioni elettroniche e dispositivi di comunicazione come ad esempio la posta elettronica, la messaggistica istantanea, i blog, i messaggi di testo quali SMS, MMS ecc. o l'uso di siti web con contenuti diffamatori, per effettuare azioni di bullismo, o molestare in qualche modo una persona o un gruppo, attraverso attacchi personali o con altre modalità; può anche costituire un crimine informatico.

I dati EURISPES 2009 segnalano che tra gli adolescenti emerge una percentuale maggiore, rispetto al dato del 2008, di coloro che dichiarano di essere stati protagonisti, sia nel ruolo di “vittima” che di “carnefice”, in episodi di cyberbullismo. In particolare, la percentuale degli adolescenti che dichiarano di aver “ricevuto messaggi, foto o video offensivi o minacciosi”, qualche volta/spesso, aumenta dal 3% del 2008, al 5,6% del 2009. Le dinamiche che sono alla base del bullismo trovano nello spazio virtuale il palcoscenico. Il Cyberbullismo consente al bullo di “diventare un eroe multimediale”. La spettacolarizzazione e la circolazione massima sono assicurate. La vittima non rimane vittima una sola volta, ma diventa la vittima catturata dall’infinito spazio virtuale; e l’immagine (fotografia, film, ecc.) che riprende la violenza subita (verbale, fisica) viene immortalata e resa intangibile nello spazio virtuale. Se il bullo diventa “bullo globale” anche la vittima diventa “vittima globale”; ciò comporta che il suo disagio e malessere aumentino in modo esponenziale: il silenzio, l’esclusione, il senso di impotenza, la mortificazione, la vergogna, il timore del giudizio degli altri, che connota ogni vittima di bullismo, diventano spesso insostenibili quando si è alla mercé di un atto di cyberbulling.

Gli effetti e le conseguenze si potenziano quando si tratta di Cyberbullismo. È importante osservare e lavorare il prima possibile sui comportamenti aggressivi e di prevaricazione presenti tra i ragazzi, perché la violenza è un’abitudine molto difficile da destrutturare quando si organizza in maniera forte.

Fonte: psicogiuridico.it - italiasalute.it
 
Bello questo trhead..molto interessante
 
Bello questo trhead..molto interessante

Grazie Franco ! :)




Come devono dormire i bambini neonati. Come evitare possibili incidenti

Area Famiglia 01/02/2011 - 22.52

Come dormono i bambini? I bambini neonati per dormire correttamente dovrebbero dormire sulla schiena, ma quanto è importante se il bimbo dorme sulla pancia oppure sulla schiena?

Un bambino sano, dovrebbe sempre dormire sulla schiena in quanto molte ricerche hanno dimostrato che esiste una relazione fra la posizione del bimbo nella culla, mentre dorme, e le morti in culla. In un neonato che dorme sulla schiena, il rischio di uno spiacevole incidente è molto ridotto. Le prime ricerche furono fatte in Nuova Zelanda; a seguire furono ripetute in altri paesi con i medesimi risultati.

Si può far dormire il bambino su un fianco? Dormire su un fianco è certamente più sicuro per un bimbo, che dormire sulla pancia. In ogni caso è meno sicuro che dormire sulla schiena.

Se il bimbo non sta bene? Un tempo si pensava che in caso di vomito, la posizione supina potrebbe essere stata pericolosa per il bimbo, si riteneva infatti che non avesse abbastanza forza per girare la testa. Tuttavia, in realtà, anche se il bimbo è malato non fa alcuna difficoltà a girare la testa. Il rischio di vomito è stato – in passato – l'argomento principale per avvalorare la tesi che è meglio far dormire il bambino sulla pancia, ma in realtà è stato dimostrato che questa posizione è la più pericolosa anche in caso di vomito.

Perché è più sicuro farlo dormire supino? Ci sono diverse teorie che danno delle indicazioni sul perché dormire di schiena sia più sicuro per il vostro bambino. Una di queste dice che – dormendo di pancia – è molto probabile che la testa del bambino sia troppo vicina alle lenzuola e tende a respirare sempre la stessa aria, non avendo così abbastanza ossigeno. Altri esperti dicono – che in presenza di materassi troppo morbidi o cedevoli – il bambino possa soffocare dormendo di pancia. Alcuni casi sono stati registrati anche con bambini che dormivano su letti ad acqua. Letti che è bene evitare accuratamente. Altre teorie dicono che – dormendo di pancia e restando a lungo a contatto con le lenzuola ed il materasso – alcuni microorganismi potrebbero essere inalati dal neonato provocando problemi alla respirazione.

I motivi reali per spiegare le morti in culla, non sono ancora stati scoperti. Si è tuttavia notato, che queste sono diminuite notevolmente, con la diffusione dell'abitudine di far dormire i bambini a pancia in su. Se il vostro bimbo è cresciuto abbastanza da riuscire a girarsi da solo, basterà rimetterlo a pancia in su. Ma non preoccupatevi eccessivamente: non c'è bisogno di girarlo per tutta la notte!

Tutti i bambini dovrebbero dormire sulla schiena? Se il bimbo è in salute, allora si: dovrebbe dormire di supino. In caso di alcune malattie, può essere raccomandato che il bimbo dorma – invece – di pancia. In questo caso sarà il vostro pediatra a suggerirvi quale sia la posizione opportua per il riposo del vostro piccolo.

Come rendere sicura la culla del vostro piccolo. E' raccomandabile che il bimbo dorma su un materasso piuttosto rigido, anziché in uno morbido. Il letto deve essere stabile e la parte inferiore deve essere di un unico blocco di materiale, anziché da doghe o stecche. Le barre a lato del letto non dovrebbero essere più distanziate di 6,5cm l'una dall'altra, in modo che non ci si possa incastrare la testa accidentalmente. Le sponde dovrebbero essere alte circa 60cm, in modo tale che il bambino non possa arrampicarsi ed uscire. E' importante anche non dimenticare giocattoli, telefonini, od altri oggetti nella culla, poiché il bimbo potrebbe impigliarsi o tenerli in bocca. E' opportuno non riempire il letto con troppi pupazzi. E' bene anche non coprire il materasso con un telo in plastica (a volte usato per la paura della pipì abbondante) poiché il bimbo potrebbe soffocarsi. Il cuscino dovrebbe essere morbido e delle giuste dimensioni; anche fermare le coperte ai piedi del letto è utile: in questo modo il bambino non rischia di coprirsi la testa accidentalmente. Non usate mai un cuscino per adulti: aumenterebbe il rischio di soffocamento e potrebbe dare dei problemi alla schiena del bimbo. La cameretta del bambino non dovrebbe essere troppo calda. Una temperatura di 16 – 20°C è sufficiente. Durante l'estate il bambino non va vestito troppo, ed è bene prestare un po' di attenzione in più se il bimbo ha la febbre.

Ci sono altri consigli per aiutare il bimbo a dormire nel modo più sicuro possibile? E' stato dimostrato che i rischi di morte in culla sono più elevati se i genitori sono fumatori. Il fumo è uno dei principali fattori associati alla morte in culla. Gli studiosi ritengono che il numero di casi possa essere ridotto del 66% se i genitori smettessero di fumare in una casa con dei bambini.

La crescita del cranio. Dormire sulla schiena può causare il sovrasviluppo temporaneo della dimensione del cranio dei piccoli (plagiocefalia). I genitori possono evitare questo inconveniente ricordandosi di alternare la posizione della testa. In ogni caso, con la crescita, tutto torna nella normalità, senza conseguenze. Quando il bambino è sveglio – invece – mentre gioca e parla con i genitori, dovrebbe essere messo sullo stomaco: questo contrasterà efficacemente le disorsioni del caranio, e aiuterà lo sviluppo dei muscoli addominali, della schiena e del collo.

Fonte: inerboristeria.com



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Cosa fare quando la fobia della scuola diventa costante ?

Psicologia in linea 01/02/2011 - 21.20

Paura della scuola? Un problema che molti bambini si trovano ad affrontare è la fobia della scuola, che se si trasforma in fobia diventa una vera e propria patologia.

In chi si manifesta la fobia della scuola? La fobia della scuola si manifesta in bambini che non sono sereni, che vivono uno stato d'ansia, aggravato anche dal fatto che pur non volendo andare a scuola per non separarsi dai genitori, sentono dispiacere di perdere le lezioni o di non vedere i compagni.

Spesso la fobia della scuola, oltre che dipendere dall'ansia di separazione dai genitori e dalla propria casa, ha delle cause più razionali come un lutto recente, la separazione dei genitori, la nascita di un fratellino verso cui prova gelosia perché resta a casa, o anche cause legate all'ambiente scolastico come la paura di essere deriso o aggredito dai compagni, le punizioni di un insegnante troppo severo.

Quando si presenta la paura della scuola? In un bambino l'ansia di separazione è normale fino all'età di 2-3 anni, poi gradualmente si riduce, man mano che fa le sue esperienze sociali e relazionali; a 5 anni il bambino, separato dai genitori dovrebbe essere sereno, ma se a questa età c'è ancora traccia di ansia da separazione non è un grosso problema, perché può essere superata con un po' di impegno. Se, invece, la fobia della scuola si presenta ancora in età scolare, cioè all'ingresso alla scuola primaria (5-6 anni), potrebbe essere opportuno consultare uno specialista, generalmente un neuropsichiatra infantile, il quale interverrà sulla questione con l'aiuto di genitori ed insegnanti.

Sintomi della fobia: un bambino affetto da fobia della scuola generalmente presenta

- mal di testa

- mal di pancia

- nausea

- conati di vomito al mattino al momento di uscire per andare a scuola o appena vi arriva

- agitazione

- manifestazioni di paura con pianti ed urla.

Cosa fare contro questa paura: piuttosto che curare questa fobia, sarebbe necessario che già tra i 2 e i 3 anni i genitori pensassero a prevenirla, cercando di abituare il bambino a stare lontano da loro per intervalli sempre più lunghi di tempo. Intorno ai 3 anni di età è consigliabile che il bambino abbia rapporti frequenti e regolari con i suoi coetanei, per questo è preferibile che frequenti la scuola dell'infanzia. Quando il bambino presenta i primi segni di fobia della scuola, la madre deve rassicurarlo e potrebbe restare con lui qualche giorno a scuola, fino a quando non si tranquillizza e il disturbo scompare.

Se la fobia si presenta in forma molto forte, si può anche tenere il bambino a casa per un breve periodo, abituandolo gradualmente, ma sin dal primo giorno, a periodi di separazione dai genitori, per un tempo sempre maggiore di giorno in giorno. Ovviamente, a parte questi accorgimenti, è importante accertarsi che a scuola non vi siano reali problemi che mettano il bambino in uno stato di ansia, come le relazioni:

- con i compagni

- con qualche insegnante

- con l'ambiente nell'apprendimento di qualche materia.

Se dovesse risultare qualcuno di questi problemi è necessario intervenire quanto prima e tentare di risolverli con le persone giuste. Se con il passare del tempo e avendo presi tutti gli accorgimenti del caso, il problema dovesse sussistere, allora è bene affidarsi ad uno specialista, il quale seguirà il bambino con una terapia mirata.

Fonte: inerboristeria.com

Cosa fare quando la fobia della scuola diventa costante ? - Associazione di Associazioni Nazionali per la tutela dei Minori
 
Addio a Bollea, il padre della neuropsichiatria infantile - Repubblica.it

:) E' un noto proverbio indiano


Lo usa Bollea, nella prefazione di un suo libro

Genitori grandi maestri di felicità - Google Libri

OK!

Giovanni Bollea, il neuropsichiatra che proteggeva i bambini

di Matteo Sacchi

Giovanni Bollea, uno dei padri fondatori della moderna neuropsichiatra italiana, si è spento al Policlinico universitario A. Gemelli di Roma alle 18 di ieri dopo una lunga malattia e un altrettanto lungo ricovero.
Il professor Bollea non è stato soltanto un grande scienziato. È stato colui che ha introdotto in Italia un modo diverso di guardare ai bambini e alla loro formazione emotiva e cognitiva. A partire dagli anni Cinquanta, infatti, ha introdotto nel nostro Paese tutta una serie di profonde innovazioni nell’approccio alla neuropsichiatria infantile che mutuò dai pionieristici studi che aveva intrapreso durante il suo corso di specializazione a Losanna. Bollea, infatti - si era laureato in Medicina nel 1938, a 24 anni e si era specializzato in malattie mentali -, introdusse per la prima volta la psicoanalisi, la psicoterapia di gruppo e il lavoro d’equipe nella storica clinica universitaria di Roma. Fu poi fondatore e direttore dell’Istituto di neuropsichiatria infantile di via dei Sabelli a Roma e il primo presidente della Società italiana di neuropsichiatria infantile, nonchè promotore di innumerevoli iniziative a favore dell’infanzia.
E se il suo curriculum è impressionante sia per pubblicazioni e riconoscimenti - nel 2003 la laurea honoris causa in Scienze dell’Educazione, nel 2004 il premio alla carriera al Congresso mondiale di Psichiatria e psicologia infantile di Berlino, ha pubblicato oltre 250 lavori, tra cui il compendio di neuropsichiatria e il best seller Le madri non sbagliano mai (Feltrinelli) - cio che lo ha fatto amare anche fuori dal campo strettamente scientifico è stata la sua empatia verso i più piccoli e i più deboli e la sua capacità divulgativa.
In Le madri non sbagliano mai, pur partendo da solidissime basi scientifiche faceva leva soprattutto sulla comprensibilità e sul buon senso.
L’intenzione, dichiarata, era restituire serenità e insegnare a non deformare, complicandoli inutilmente, i messaggi, spesso semplici e diretti, che i bambini ci lanciano. Bollea per scriverlo si era rifatto ai suoi decennali incontri con i genitori, seguendo lo stesso metodo che utilizzava nelle sedute, lasciando che il quadro del problema o dell’argomento si componesse da sé.
Uno dei suoi cavalli di battaglia era la lotta contro lo schiaffo e le sgridate: «vorrei fare una riflessione sullo “schiaffo”, che io odio per un duplice motivo. Il primo è che colpisce una zona molto delicata qual è quella zigomatica: un trauma del genere può produrre seri danni cerebrali.
Il secondo motivo è che lo schiaffo non è mai educativo, bensì offensivo poiché diretto contro la personalità». Credeva invece nel rinforzo positivo: «Uno dei compiti maggiori dei genitori, in modo particolare del padre, è aumentare l’autostima del bambino. Il padre è la via attraverso cui si entra in società. Non bisogna trovare sempre da ridire, bensì rincuorare: “Un’altra volta lo farai bene”».
La camera ardente sarà allestita in Campidoglio, nella Sala della Protomoteca, martedì 8 febbraio, a partire dalle ore 10.
 
Ultima modifica:
Costituzione day

A Firenze in 10mila, a difesa di scuola e giustizia.

"Inseriamo la parola Eta', nell'articolo 3 della Costituzione" , presente ;)
 

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Le preoccupazioni del genitore di un figlio che ´sbaglia´. Dare fiducia ai nostri figli


Psicologia in linea 22/03/2011 - 17.07

A volte ci sono genitori che sono ossessionati da un’idea negativa sul proprio o sui propri figli, dove quest’ultimi subiscono tale convinzione acriticamente, che può voler dire “tu non ce la fai”, che “sei in pericolo”. Qui inizia un condizionamento lento e costante che è fissato attraverso un immaginario asse che parte con una richiesta / offerta all’ambiente e che questa accoglie.

Molti bambini, da piccoli, oppure da grandi quando rimangono ancora bambini, accetteranno tale convinzione e potranno vivere come una sorta di copione acquisito dalla loro vita. È come una seconda pelle “innaturale” che si adegua sul loro corpo, governato dalla mente che confermerà con giuste argomentazioni (pensieri compulsivi) tale induzione esterna alla propria natura strettamente fisica.
PROCCUPAZIONE: PURA VANITÀ

L’abitudine tipicamente italiana a essere preoccupati nei confronti dei figli, risiede in antiche radici provenienti sia dai messaggi che alcune religioni monoteistiche hanno trasmesso, sia da culture che hanno trasformato la famiglia in una sorta di “riciclaggio” sociale nel quale “contenere” alcune azioni naturali che altrimenti sarebbero state ritenute pericolose. Minacce che avrebbero messo in forse tante azioni tese a “gestire” alcune tipologie di relazioni sociali attraverso le quali le persone avrebbero potuto sovvertire ribellandosi, ad alcune indotte azioni protese alla conservazione di alcuni vantaggio a favore di che governava i popoli non soltanto politicamente ma anche emotivamente. La libertà e la consapevolezza era ed è ancora ritenuta pericolosa, sovvertibile a canoni fissati, per il controllo dei singoli individui dentro le masse.

È un’abitudine che ha una doppia radice di trasmissione; una che deriva dal singolo verso un altro singolo individuo: io ti insegno che è così! E un’altra da una conferma di massa “indottrinata”. È come al tempo delle inquisizioni, quando dopo le sentenze emesse contro le donne “libere” accusate di stregoneria, le famiglie stesse, catturavano le “peccatrici” e le consegnavano ai tribunali per l’applicazione delle sentenze.

La libertà nasce da una radice avulsa dal contesto sociale in cui si vive. Aiuta a sviluppare la capacità di uscirne fuori, anche temporaneamente, che porta alla comprensione di ciò che si vive, sia per valorizzare il bene che si prende dentro al sistema, sia il male quando questo c’è.

Un padre può trasmettere, con eventuali convinzioni personali sulla vita e sugli altri, a un figlio, che è giusto essere violento nei confronti di qualcosa o qualcuno, oppure disprezzare un ambito sociale (popolo, le donne, ecc). Può diventare un lento condizionamento che si instaura nel figlio stesso e che il proprio DNA ne diventerà detentore, anche se gli studi sulla biologia umana non sono ancora in grado di dimostrarlo scientificamente e che i fisici quantici stanno tentando a provare ciò che hanno già intuito e sviluppato in laboratorio.

Una madre che è “preoccupata” per abitudine della salute psico-fisica del proprio figlio, rischierà di contribuire allo sviluppo naturale di uno stile di vita del figlio che la possa accontentare, come dire “FARÒ O SARÒ” come tu mi vuoi ovvero come tu credi. Egli, se non avrà appreso in tempo utile a “tradire” tale voce interiore e sussureggiante, che come un lento eco si insinua nella propria e mente e nella propria sfera caratteriale, imparerà probabilmente a essere fedele e soprattutto a sentirsi “giusto” così e riterrà “giusti gli altri che saranno come lui”.

Fonte: counselingitalia.com
 
Carta d´identità per i neonati. Il decreto Sviluppo elimina il limite d´età
Area Famiglia


Carta d´identità per i neonati. Il decreto Sviluppo elimina il limite d´età - Associazione di Associazioni Nazionali per la tutela dei Minori

23/05/2011 - 15.54

L'entrata in vigore della norma è passata sotto silenzio per via della concomitanza con le elezioni amministrative ma da sabato scorso anche i neonati potranno avere la carta d'identità. Con tanto di fotografia. È stato pubblicato il 13 maggio il decreto legge sullo Sviluppo che contiene l'eliminazione del limite di età per il rilascio del documento d'identità. Della questione si parlava già da tempo ma nessuno si aspettava un'entrata in vigore così repentina.

UNA NOVITÀ che ha trovato «impreparati la maggior parte dei Comuni italiani visto che ad oggi non so quanti enti locali sappiano della norma. Credo non se ne sia accorto nessuno» precisa Romano Minardi, esperto dell'Anusca, associazione nazionale ufficiali di stato civile e d'anagrafe.

L' introduzione della modifica sul sistema di rilascio è stata il «fuori programma» del X° convegno regionale della Lombardia dell'Anusca svoltosi ieri al centro pastorale Paolo VI. In scaletta non c'era traccia dell'argomento ma è stato inserito in apertura di lavori per via delle importanti ricadute che avrà sul lavoro quotidiano degli ufficiali di stato civile e d'anagrafe. Nessuna garanzia, poi, che la norma rimanga così com'è. «Il decreto legge deve essere covertito in legge entro 60 giorni e - sottolinea Minardi - potrebbero esserci ulteriori modifiche».

Sul piano pratico, la validità del documento è di 3 anni per i minori dagli 0 ai 3 anni per poi dilatarsi a 5 anni per chi ha dai 3 ai 18 anni. La carta d'identità per i neonati (o per i minori di 15 anni) non è obbligatoria ma subordinata a esigenze del vivere quotidiano, prima fra tutte quella dell'espatrio. «E qui, a mio avviso c'è il grosso problema» avanza l'esperto Anusca. Il decreto entrato in vigore la scorsa settimana (che va a modificare l'articolo 3 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) prevede che i minori di 14 anni in procinto di andare all'estero siano accompagnati da un genitore o da chi ne fa le veci. Da qui nasce un problema. Secondo l'Anusca, ciò non tutela al massimo il minore. «Sulla carta d'identità del minore, a differenza del passaporto che ha molte pagine, non compare il nome dei genitori. Questo - continua Minardi - potrebbe comportare una minore tutela nel campo della compravendita o della sottrazione di minore. Come faccio, infatti, ad essere sicuro che la persona che accompagna il ragazzo in frontiera sia davvero il genitore. In questa caso il passaporto elettronico è più sicuro».

E il lasciapassare che fine fa? Fino a quando l'Italia non recede dalla sottoscrizione della convenzione internazionale di Parigi del 1957, il lasciapassare resta come una delle modalità di espatrio dei minori. «Immagino che andrà in disuso» afferma Minardi.

LA PLATEA degli addetti ai lavori ha poi discusso di «questioni tecniche» come, per esempio, l'inserimento o meno sul documento d'identità della professione (la dicitura rimane anche nella carta destinata al neonato) o della firma (non necessaria sotto i 14 anni d'età). Cose che sembrano di minore importanza o di facile soluzione ma che sono ostacoli da superare per chi ha a che fare con la macchina della burocrazia statale. Detto questo, ora la palla passa in mano agli uffici anagrafici comunali che non potranno fare altro che aggiornarsi. «Fino a quando - precisa l'esperto Anusca - i sistemi informatici dei comuni non saranno adattati per far fronte all'introduzione delle nuove regole, gli ufficiali non potranno provvedere a rilasciare le carte d'identità». E sulla formazione è tornato anche il vicepresidente nazionale dell'Anusca, Edoardo Bassi. «Molti dirigenti pensano che il lavoro dei servizi demografici sia standardizzato e per questo tagliano i fondi destinati all'aggiornamento». Una professione che invece, fa del cambiamento della società, il suo pane quotidiano. «Non c'è niente di più sbagliato, spero tanto - conclude - che i vertici competenti lo recepiscano».



Silvia Ghilardi

Fonte: Bresciaoggi.it Mobile - Cronaca

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Adolescenza, periodo difficile. Tra rabbia e turpiloquio, tanta richiesta di attenzione

06/06/2011 - 16.22

Esistono intere biblioteche di libri sull’adolescenza; e quasi tutti trattano l’argomento come se questa fase evolutiva fosse caratterizzata da una profonda crisi che potrebbe stravolgere il carattere del giovane. Ci sono molti pericoli nell’adolescenza, ma non è vero che essa può modificare ex novo il carattere: essa mette il fanciullo che cresce di fronte a nuove dinamiche, situazioni, sfide e a nuove prove. Egli sente che si sta avvicinando un momento cruciale della vita e possono rivelarsi, nel suo stile di vita, errori che fino ad allora erano passati inosservati: erano già presenti e un occhio esperto avrebbe potuto vederli da sempre. Ora, però, aumentano di importanza e non possono essere ignorati.

Per quasi tutti i fanciulli, l’adolescenza significa soprattutto una cosa: dimostrare che non si è più “piccoli”. L’adolescenza, comunque, è un periodo difficile da definire. Assume significati differenti a seconda dei fanciulli – acne e disperato tentativo di acquisire una coscienza di sé da una parte, o droga, violenza e sesso dall’altra.

In termini di tempo è quel periodo tra l’infanzia e l’età adulta, ma quando terminiamo di essere fanciulli e diventiamo adulti? E’ difficile definirlo esattamente, ma grosso modo l’adolescenza copre quel periodo di tempo, quei sei frenetici anni, tra i tredici e i diciannove. Esiste una adolescenza biologica, ovvero quel periodo in cui emergono le caratteristiche sessuali secondarie. Nelle ragazze questa fase coincide con il menarca (11 – 12 anni).

Nei ragazzi il cambiamento della voce e la crescita della barba si collocano intorno ai 14 anni. Come la prima infanzia, l’adolescenza è un periodo di rapide trasformazioni biologiche, combinate a nuove richieste e aspettative ambientali. Per quei fanciulli che già presentano disturbi del comportamento, le nuove richieste dell’adolescenza possono aggravare le tensioni in cui si dibattono, esacerbando le difficoltà. Anche altri, che da bambini avevano raggiunto un adattamento fragile e precario, possono essere sopraffatti dai grossi cambiamenti che sopravvengono con l’adolescenza e sviluppare allora turbe del comportamento. Ma ci sono anche quelli che hanno avuto un’infanzia relativamente “sana” e hanno maturato un saldo senso di autostima e di fiducia in se stessi: per questi fanciulli l’adolescenza può essere veramente un periodo stimolante, di arricchimento e di crescita psicologica.

Tradizionalmente, nella letteratura scientifica e non, questa fase evolutiva è vista come un periodo di grande agitazione e tumulto emotivo, suscitati dai rapidi cambiamenti fisici, dall’insorgere della sessualità, da richieste di maggior responsabilità nell’ambito familiare, combinate con una più accentuata identificazione con i coetanei nel mondo esterno. L’adolescenza psicologica, invece, è quel periodo in cui il fanciullo in crescita sta imparando a rinunciare alla dipendenza protetta dell’infanzia per avviarsi all’indipendenza e alle responsabilità della vita adulta. Uno degli aspetti decisamente più complicati di questo periodo è l’incredibile altalena tra un umore e l’altro e i turbamenti emotivi che l’accompagnano. Ogni cosa che i genitori fanno evoca, il più delle volte (… se non sempre), una reazione ostile. Questo comportamento non può essere definito altrimenti come modalità reattiva imprevedibile. E’ un periodo evolutivo in cui il fanciullo sta tentando di crearsi una identità personale. Da bambini prendiamo la nostra identità dai genitori. In realtà, essi ci dicono chi siamo, dicendoci a chi apparteniamo, e dicendoci cosa si aspettano che diventeremo crescendo. Questa identità, per ovvie ragioni, ci viene imposta dall’ambiente in cui siamo inseriti: un’identità esterna che “funziona” finché siamo in una posizione dipendente. Ma, man mano che cresciamo e ci distacchiamo dalle nostre “radici” possiamo scoprire che le nostre aspirazioni sono in conflitto con le aspettative dei nostri genitori. Questo è il motivo per cui uno dei più comuni disagi emotivi dell’adolescenza viene chiamato “crisi di identità”. E’ un periodo di intensa preoccupazione, incentrata sul rapporto tra sé e gli altri intorno a lui.

L’adolescente, anche se non ha un ruolo sociale ben definito, è molto importante in termini economici per la società. Esiste, infatti, un preciso gruppo di consumatori adolescenti. E’ bene sottolinearlo che la quantità di denaro di cui dispongono i giovanissimi, al di là delle attuali previsioni catastrofiche, è aumentato in proporzione molto più rispetto agli adulti e questo, ovviamente, è stato sfruttato senza scrupoli a livello commerciale (… scooter, computer, CD, cosmetici, riviste, alcol, discoteca, ecc.). Gli adolescenti, inoltre, hanno specifici bisogni emotivi alla stessa stregua di quelli fisici, e la consapevolezza di questo rende comprensibile il loro comportamento altrimenti inspiegabile. Quelli che seguono sono alcuni di questi bisogni.

Il bisogno di avere delle “fondamenta” sicure da cui avviarsi alla maturazione. In termini emotivi questo significa innanzitutto un’esplicita assicurazione di affetto, di essere apprezzati ed accettati come singoli individui unici ed irripetibili (… e non quello si vorrebbe fossero). Secondariamente il giovane ha bisogno di sentire che c’è un futuro, e ancor più che in questo “tempo” c’è un posto per lui.

Il bisogno di limiti. I limiti implicano una struttura di contenimento, un quadro di riferimento entro cui l’adolescente può elaborare un’identità per sé. Deve esserci equilibrio, lealtà e comunicazione coerente. Se non ci sono limiti le norme non possono essere definite, e se non ci sono norme si corre continuamente il rischio di ledere l’autorità costituita.

Il bisogno di libertà entro questi limiti. I limiti definiscono gli estremi di azione e reazione. Entro questi limiti l’adolescente sente di dover avere libertà di scegliere da solo mentre esplora l’area delimitata e mentre fa le sue esperienze in modo autonomo. Non vuole accettare, per la sua “costituzione”, la verità come un dogma di autorità, vuole scoprirla da solo. Questo richiede pazienza e soprattutto malleabilità da parte di coloro che cercano di strutturare i limiti.

Il bisogno di contenere l’angoscia di base. Alcuni studiosi parlano di “angoscia esistenziale”, e con questo intendono l’angoscia che deriva dal non essere certi di se stessi e della propria posizione rispetto agli altri. L’adolescente si interroga continuamente sulla propria posizione nella società, sull’adeguatezza delle sue funzioni sessuali, sulla sua accettabilità tra i coetanei, se debba trovare un compromesso con le idee dei suoi genitori o se debba senz’altro rifiutarle. Si chiede chi è, perché esiste, e la sua mente è occupata in problemi di essere e non essere, e sul significato dell’essere. Questo è il motivo per cui tanti ragazzi passano attraverso una fase religiosa o si interessano alla meditazione e al misticismo. L’alternanza di euforia e depressione frutto di questa ricerca (… libertà, autonomia, identità, ecc.) è in gran parte responsabile della volubilità di umore di molti adolescenti.

Il bisogno di far fronte alle crisi di fiducia. In vari momenti del suo processo evolutivo l’adolescente perde fiducia in se stesso come persona in relazione a se stesso o come persona in rapporto ad altre persone. Ciò significa che cerca una rassicurazione ma allo stesso tempo si comporta in modo da rendere questa rassicurazione difficile.

Il bisogno di raggiungere degli obiettivi. L’adolescente tende all’indipendenza, a un’emancipazione nel vero senso della parola. Tenta di sviluppare controlli interni piuttosto che affidarsi al controllo imposta dall’esterno. Impara a scegliere cosa fare, e cosa non fare, secondo la sua volontà. E’ in cerca di identità, specialmente nel ruolo sessuale nella scelta professionale.

Orbene, se teniamo a mente questi bisogni emotivi alcuni degli aspetti disturbanti del comportamento adolescenziale divengono meno intricati, e cominciano a emergere alcuni possibili modi di aiutare i ragazzi. Gli umori imprevedibili, che oscillano da un estremo all’altro, hanno origine ovviamente da un angoscia di base e, soprattutto, dall’indecisione. L’intero organismo è in uno stato di squilibrio, e i meccanismi psicologici interni di controllo non sono ancora sviluppati e perfezionati. Gli adulti tendono a rispondere alla loro instabilità di umore con l’ostilità e il rifiuto, e queste reazioni fungono da feedback positivo e rendono peggiore lo stato d’animo del ragazzo. Molte risposte dell’adulto hanno solo l’effetto di rinforzare il senso di inadeguatezza. Riunirsi insieme in vari gruppi non costituisce solo una forma di protezione ma anche una forma di auto identificazione. “So chi sono perché appartengo al gruppo che guarda il telefilm ‘The O.C.’, segue una ‘Donna per amico’, ascolta quella band musicale, ecc”. Molte culture crescono su questa tendenza a riunirsi per sfogare le emozioni e gli atteggiamenti reciprocamente sentiti. Quando soggetti instabili, insicuri, si riuniscono in combriccola, emozioni più primitive vengono combinate ed espresse dando luogo ad atti antisociali e di violenza (… si vedano ad esempio gli ultimi episodi di violenza verificatisi in vari stadi italiani ed esteri). Inoltre, la moda nell’abbigliamento, lo stile delle pettinature e del linguaggio sono tutte dimostrazioni di appartenenza ad un gruppo chiuso che contesta tutti gli altri gruppi esterni. In breve, diventano una specie di uniforme attraverso cui identificarsi, comunicare reciprocamente e contestare “gli altri”, i grandi sconosciuti.

Abbiamo visto come la nozione di adolescenza risponda ad un giudizio dato dagli altri e, nello stesso tempo, corrisponda ad alcune modificazioni biologiche e cambiamenti della personalità del soggetto. E’ l’adolescenza, quindi, un periodo nel corso del quale accade qualcosa? E’ veramente un periodo di sviluppo? E’ una crisi nella storia dell’individuo? A volte, l’adolescenza è un po’ considerata paradossalmente come malattia; si dice spesso “bisogna far passare la giovinezza” come se si parlasse di qualche malattia infettiva. Ma si parla più spesso di crisi dell’adolescenza, riferendosi con questa nozione di crisi ad una fase particolare dello sviluppo della personalità o di una crisi psicosociale. Ma quali sono veramente questi pericoli dell’adolescenza? Per quasi tutti i ragazzi, l’adolescenza significa soprattutto una sola cosa: dimostrare che non si è più “bambini”. Potremmo forse convincerli che per noi questo è un fatto scontato; se lo facessimo, la situazione perderebbe molto della sua tensione. Ma se il ragazzo ha la sensazione che deve dimostrarlo, è abbastanza naturale che cerchi di mettere esageratamente in evidenza questo fatto. Moltissime manifestazioni dell’adolescenza sono il risultato del desiderio di mostrare indipendenza, parità con gli adulti e virilità o femminilità. La direzione data a queste espressioni dipenderà dal significato che il ragazzo ha attribuito al fatto di essere “adulto”.

Se essere “adulto” per lui significa essere libero da controlli, il ragazzo lotterà con tutte le sue forze contro queste restrizione. Molti di loro in questo periodo cominciano a fumare, a bestemmiare e stare fuori fino a tardi la sera. Alcuni rivelano un’ostilità inaspettata verso i propri genitori, e i genitori rimangono esterrefatti nel vedere che un ragazzo così, fino ad allora, obbediente possa essere diventato improvvisamente così disobbediente. Ma non si è verificato un reale cambiamento di atteggiamento, perché il ragazzo apparentemente obbediente era sempre stato ostile verso i genitori, ma è soltanto adesso, quando ha più libertà e più forza, che si sente in grado di proclamare il proprio disappunto. Nella maggior parte dei casi, durante l’adolescenza ai figli viene data una maggiore libertà e una maggiore indipendenza. I genitori sentono, in base ovviamente al proprio vissuto, di non avere più il diritto di sorvegliarli e proteggerli di continuo. Se però i genitori tentano di proseguire la loro sorveglianza, i ragazzi faranno sforzi ancora maggiori per sfuggire ai “controlli” più i genitori cercano di confermare loro che sono ancora bambini, più essi lotteranno per dimostrare l’opposto. Da questa lotta, per ovvie ragioni, si sviluppa un atteggiamento antagonistico, e abbiamo così il quadro tipico del “negativismo dell’adolescente”. In questa fase tutti gli organi del corpo crescono e si sviluppano, e a volte il coordinamento delle funzioni non si realizza facilmente. I ragazzi crescono di statura, le mani e i piedi diventano più grandi, e forse sono meno attivi e meno abili. Debbono riuscire a governare questo coordinamento; ma se durante tale processo vengono criticati e derisi, arriveranno a credere di essere goffi. Anche le ghiandole endocrine contribuiscono allo sviluppo del ragazzo, accrescendo le loro funzioni. Si badi bene che non si tratta di un cambiamento esclusivo e completo, perché le ghiandole endocrine erano attive persino nel periodo prenatale, ma ora le loro secrezioni sono maggiori, e i caratteri sessuali secondari diventano più evidenti. A un ragazzo comincerà a crescere la barba, e la sua voce cambierà la figura della ragazza si arrotonderà e diventare femminile in modo più evidente. Anche questi sono fatti che un adolescente può fraintendere ed essere fonte di sofferenza. Tutti i pericoli dell’adolescenza provengono dalla mancanza di un’adeguata preparazione e di un adeguato corredo di fronte ai tre problemi della vita. Se i ragazzi hanno paura dell’avvenire, è abbastanza naturale che cerchino di affrontarlo con metodi che richiedono il minimo sforzo. Queste strade facili, però, sono inutili. Più a un ragazzo di questo genere si rivolgono ordini, esortazioni e critiche, più forte diviene la sua impressione di trovarsi di fronte a un abisso. Più noi lo spingiamo avanti, più lui cerca di tirarsi indietro. A meno che non riusciamo ad incoraggiarlo (elogiarlo), ogni sforzo per aiutarlo sarà un errore e lo danneggerà ulteriormente. Finché è così pessimista e spaventato, non possiamo aspettarci che abbia la sensazione di potersi permettere degli sforzi supplementari. Un gran numero di adolescenti “sconfitti” proviene dalle file dei bambini “viziati”; ed è facile comprendere come l’avvicinarsi delle responsabilità da adulto crei una tensione particolare per dei bambini che sono stati abituati ad avere tutto “scodellato” dai genitori. Essi vogliono ancora mantenere quei “privilegi”, ma diventando più grandi scoprono di non essere più al centro dell’attenzione, e rimproverano la vita per averli ingannati e respinti. Sono stati allevati in un’atmosfera artificialmente calda e ,ora, l’aria esterna sembra loro dolorosamente fredda. E’ in questa fase dello sviluppo che noi scopriamo capovolgimenti evidenti della tendenza a progredire: ragazzi da cui ci si aspettava di più cominciano a fallire negli studi o nel lavoro, mentre quelli che prima sembravano meno dotati cominciano a superarli e a rivelare capacità insospettate. Non c’è contraddizione con la loro storia precedente, adesso comincia forse a sentire il timore di deludere le aspettative di cui era stato sovraccaricato. Fino a che veniva aiutato e apprezzato, poteva andare avanti; ma quando arriva il momento di fare degli sforzi indipendenti, gli manca il coraggio e si ritrae. I bambini che si sono precedentemente sentiti poco stimati e trascurati, ora che instaurano rapporti più ampi con i loro compagni, concepiscono forse la speranza di poter essere apprezzati, e molti sono totalmente “infatuati” da questo ardente desiderio di apprezzamento. Se è già abbastanza pericoloso che un ragazzo vada soltanto in cerca di lodi, lo è molto di più per le femmine che hanno spesso anche minore fiducia in se stesse, e vedono nell’apprezzamento degli altri l’unico modo per provare il loro valore. Ragazze di questo genere diventano facilmente preda di uomini che sanno come lusingarle. Sia i ragazzi che le ragazze spesso nell’adolescenza sopravvalutano ed esagerano le relazioni sessuali: vogliono provare che sono diventati grandi, ed esagerano (… questa interpretazione non deve essere interpretata in senso moralistico, ma bensì come attività di compensazione). Se una ragazza, per esempio, è in conflitto con la madre e ritiene sempre di essere repressa, spesso, in segno di protesta, avrà un’attività sessuale con tutti gli uomini che incontra (… si sono sentite in una situazione di inferiorità, e possono concepire soltanto un modo per raggiungere una situazione sicura e di equilibrio). Molte ragazze che hanno vissuto nella “bambagia” non riescono ad adattarsi al loro ruolo femminile. Poiché nella nostra cultura, anche se ha fatto passi da gigante, si ha sempre l’impressione che gli uomini, in qualche modo, siano superiori alle donne, esse disdegnano l’idea di essere donne, e rivelano quella che molti studiosi chiamano “la protesta virile”. La protesta virile si può esprimere con molti e svariati tipi di comportamento. Ci sono ragazze che si limitano a disprezzare e a evitare gli uomini; altre a cui gli uomini piacciono, ma che con loro si trovano a disagio e non riescono a parlare. Queste ragazze, generalmente, si sentono a disagio di fronte ai problemi sessuali, e spesso sostengono di essere impazienti di sposarsi solo quando sono più avanti con l’età, ma poi non fanno niente per stabilire rapporti con membri dell’altro sesso né instaurano amicizie con essi. A volte noi troviamo che il disprezzo del ruolo femminile viene espresso e messo in risalto più intensamente negli anni dell’adolescenza. Le ragazze si comportano sempre più da maschi e vogliono imitare i ragazzi (… sarà più facile per loro imitarne i vizi). Non solo le ragazze però soffrono di “protesta virile”, ma anche tutti i ragazzi che sopravvalutano l’importanza di essere maschi considerano la virilità come un ideale, e dubitano di essere abbastanza forti da raggiungerlo. Così l’importanza data, nella nostra cultura, alla virilità, può creare difficoltà sia ai maschi che alle femmine, specialmente se non sono del tutto convinti del proprio ruolo sessuale. Concludendo, possiamo dire che esiste una superstiziosa credenza, quasi universale, che considera l’adolescenza come un periodo molto speciale e particolare. Generalmente ai vari periodi dello sviluppo umano viene dato un significato estremamente particolare, e li si considera come se provocassero dei cambiamenti totali. Questo, ad esempio, è l’atteggiamento di molte persone nei confronti della menopausa. Ma queste fasi non sono “cambiamenti”; sono solo la prosecuzione della vita, e i loro fenomeni non hanno un’importanza critica. Ciò che conta è quello che l’individuo si aspetta in tale fase, il significato che le dà, e il modo in cui è stato preparato ad affrontarla. Spesso la gente all’apparire dell’adolescenza si allarma, e si comporta come se avesse visto un fantasma. Ma se noi comprendiamo questa condizione nel modo giusto, vedremo che i ragazzi non sono affatto colpiti dal “vortice” dell’adolescenza, tranne che per il fatto che le condizioni sociali richiedono che si modifichi il loro stile di vita. Spesso, però, essi credono che l’adolescenza rappresenti la fine di tutto: tutto il loro merito e il loro valore è perduto. Non hanno più alcun diritto di cooperare e di contribuire: nessuno ha più bisogno di loro. E’ da sentimenti del genere che si sviluppano tutte le difficoltà dell’adolescenza. Se il bambino è stato abituato a sentirsi membro uguale della società e a comprendere che il suo compito è quello di contribuire, e specialmente se è stato “allenato” a considerare i membri dell’altro sesso come compagni e uguali, l’adolescenza gli offrirà soltanto l’occasione per dare l’avvio alla propria soluzione creativa e indipendente dei problemi della vita adulta. Se si sente a un livello inferiore agli altri, se soffre di una visione errata della propria situazione, nell’adolescente si renderà evidente che egli non è adeguatamente preparato alla libertà. Se ci sarà sempre presente qualcuno per costringerlo a fare quello che è necessario, potrà farlo; ma se è lasciato a se stesso, sarà timido ed esitante e fallirà. Un ragazzo del genere sarebbe adatto per la schiavitù, ma nella libertà è perduto.

Cosa fare quando l’adolescente… disubbidisce. Non è possibile allevare un fanciullo senza che vi siano “crisi evolutive”, collere e capricci, ad ogni tappa della sua evoluzione, come abbiamo visto, egli attraversa momenti più o meno difficili di opposizione. In tal caso, è necessario richiamarlo all’ordine senza però drammatizzare. E soprattutto non bisogna mostrarsi vittime dei bruschi mutamenti di comportamento del fanciullo. Deve sentire che il suo comportamento può essere rivolto a proprio favore o a proprio sfavore, e non a favore dei genitori. I motivi di questo comportamento, continuo e deliberato, sono sicuramente diversi. Forse si hanno pretese eccessive per la sua età. E’ sempre meglio proporre poche regole di comportamento (… facilmente realizzabili all’inizio) che deve assolutamente rispettare, piuttosto che manifestare inflessibilità su ogni aspetto della vita quotidiana. A volte, invece, disubbidisce volontariamente per affermare la propria autonomia ed individualità. Il linguaggio con cui vengono impartite le regole deve essere semplice e, soprattutto, alla portata dell’adolescente: deve comprendere perché sono state imposte e perché si pretende che le osservi. Di fronte a un bambino disubbidiente, è giusto chiedersi, in primo luogo, se non stiamo esigendo troppo da lui. Prendiamo poi in esame, ovviamente noi genitori, se abbiamo un’attività socialmente adattata, se svolgiamo nella società un ruolo che consideriamo positivo per noi e per la comunità. Se non riusciamo ad aiutare il fanciullo, ricorriamo allora ad una professionista qualificato. La continua disubbidienza è infatti un campanello d’allarme che nasconde difficoltà più profonde. Diciamoci pure che il bambino disubbidiente non è un bambino felice: in fin dei conti egli chiede solamente di essere amato, compreso, aiutato.

… usa il turpiloquio. Attraverso questa modalità linguistica (maschi e femmine) si sentono più grandi; questo diventa più facile se gli adulti del loro ambiente usano tali espressioni linguistiche. L’imitazione è contagiosa: c’è più probabilità di fare altrettanto se i propri amici usano parolacce; anche i mass media possono influire, imitando il personaggio preferito. Non ha alcun senso vietargli di usarle in tutte le occasioni, perché questo probabilmente rinforzerebbe e renderebbe ancora più eccitante l’idea di dirle quando sa che non lo si può udire (… l’adulto non può pretendere dal figlio di non dire parolocce quando lui stesso è il primo ad avere un vocabolario ben nutrito di improperi).

… ha l’umore instabile. Non bisogna sottovalutare la possibilità di natura organica (anemia, influenza, difficoltà di recuperare le forze, ecc.). Frequentemente l’umore è legato allo stress. Una situazione ansiogena prolungata: esami, interrogazioni, litigi, mancanza di autostima. Esami clinici sono sempre d’obbligo. Valutare attentamente se il dormire è sufficiente (… se legge, ascolta CD, vede la televisione fino a tarda notte). Cercare di capire tutto ciò che può aver creato stress in modo eccessivo, senza ovviamente fare un’indagine di terzo grado e soprattutto rispettando i suoi tempi senza assolutamente forzarlo.

… usa la provocazione. Anche questo comportamento può essere una reazione ad un evento estremamente stressante. Questa reazione istintiva può essere un modo per sondare fino a che punto può arrivare (… e se l’adulto fa sul serio); è una continua ricerca di libertà e di controllo di spazi sempre più in piena indipendenza. E’ importante non farsi coinvolgere in discussioni irrealistiche e senza senso, ma si deve dire in modo chiaro cosa si vuole da lui. Dare man mano che crescono, in modo crescente, piccole dose di libertà sarà nei loro confronti una manifestazione di fiducia e di responsabilità. Tale considerazione svilupperà in loro sicurezza, rispetto e, sicuramente, le provocazioni diminuiranno gradualmente.

… se ruba. Questi comportamenti non devono mai essere sottovalutati, anche se la merce rubata è insignificante (… spesso sono adolescenti disorientati che non sanno più cosa inventare per farsi amare). Il taccheggio nell’adolescenza è un comportamento piuttosto comune. Le motivazioni spaziano dall’invidia, al desiderio di appartenere ad un gruppo ben preciso, fino al desiderio masochistico di essere beccato in flagranza per espiare eventualmente dei sensi di colpa. Deve comprendere, senza punizioni fisiche o umiliazioni, che non si intende tollerare i furti. Più i genitori si mostreranno giusti con lui, meglio comprenderà e più facilmente si sentirà a suo agio. Dimostrare in che cosa ha sbagliato è fondamentale e soprattutto fargli vedere come dovrà comportarsi in futuro. Niente mezze misure, ma misure moderate. L’adulto in pratica deve essere più ragionevole dell’adolescente. Le grandi conquiste si realizzano giorno per giorno con la temperanza ed il rispetto umano, oltre che con l’affetto.

Fonte: Adolescenza... un periodo difficile

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“L’ESCLUSIONE DEI GIOVANI”, di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi


ALBERTO ALESINA e FRANCESCO GIAVAZZI dal Corriere della Sera del 10 maggio 2011

Per aiutare i giovani tagliamo le loro tasse - Corriere della Sera

La difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro è un problema comune a molti Paesi, ma in Italia è più acuto che altrove. Stiamo rischiando di compromettere permanentemente il futuro di un’intera generazione. Non è troppo tardi per intervenire, ma non si può perdere altro tempo. Per capire come affrontare il problema bisogna individuarne la natura. In Italia, nella fascia d’età fra i 16 e i 24 anni, solo un ragazzo su quattro lavora: in Germania, negli Stati Uniti e nella media dei Paesi europei, uno su due. I ragazzi italiani lavorano meno di altri per due ragioni: sono meno quelli che cercano lavoro (cioè la partecipazione alla forza lavoro è più bassa che in altri Paesi), e tra quelli che lo cercano in meno lo trovano (cioè il tasso di disoccupazione è più alto). La partecipazione alla forza lavoro in questa fascia di età è il 30 per cento in Italia, contro il 51 per cento in Germania, 41 in Francia, 56 negli Stati Uniti. La disoccupazione giovanile è oltre il 25 per cento in Italia a fronte del 19 per cento nell’area Euro, 18 per cento negli Stati Uniti, 10 in Germania. Questo divario impressionante non dipende dal fatto che i giovani italiani studiano di più, e quindi non lavorano perché stanno investendo nel loro futuro. Nella fascia d’età 25-34 anni, gli italiani che hanno una laurea sono 18 su cento, meno della metà che in Francia, Svezia e Stati Uniti. Naturalmente c’è molta differenza tra Nord e Sud. La disoccupazione giovanile al Centro-Nord è vicina alla media europea, mentre è molto più alta al Sud. Ma non è solo Sud. Anche al Nord la partecipazione dei giovani alla forza lavoro è più bassa rispetto al resto d’Europa. Un secondo aspetto importante emerge confrontando il tasso di disoccupazione dei giovani (fra i 15 e i 24 anni) con quello degli adulti (25-64). La peculiarità dell’Italia non è solo l’elevata disoccupazione giovanile, ma il divario fra giovani e adulti. Il rapporto tra il livello di disoccupazione dei giovani e quello degli adulti è 4 in Italia (cioè per ogni disoccupato adulto ci sono 4 disoccupati giovani) contro il 2,4 dell’area Euro, 1,4 in Germania. Questa differenza si riscontra ovunque in Italia, sia al Nord sia al Sud. Anzi, in qualche regione del Nord è più alta che al Sud. Ad esempio, il rapporto fra disoccupati giovani e adulti è 4,8 in Emilia Romagna e 3,2 in Sardegna. Questo rapporto è una misura di quanto il mercato del lavoro protegga chi un lavoro ce l’ha, cioè gli adulti. Più il rapporto è elevato, più i giovani sono esclusi. In altre parole, il mercato del lavoro in Italia è molto più chiuso ai giovani che in altri Paesi europei e lo è forse di più al Nord che al Sud. È un’osservazione importante perché ci dice che il mancato lavoro dei giovani non è solo un problema collegato specificamente al Mezzogiorno: dipende da regole e istituzioni nazionali, che escludono i giovani sia a Napoli che a Torino. Non solo i giovani in Italia lavorano poco, ma sempre più sono impiegati con contratti temporanei che raramente sfociano in un contratto a tempo indeterminato. In Veneto ad esempio (dati pubblicati sul sito www. lavoce. info, vedi anche l’articolo di Ugo Trivellato sul medesimo sito) la percentuale di assunzioni (al di sotto dei 40 anni) con contratti a tempo indeterminato è scesa, negli ultimi 12 anni, dal 35 al 15 per cento; le assunzioni a tempo determinato sono salite dal 40 al 60 per cento. Sono quasi scomparsi anche gli inserimenti tramite contratti di apprendistato, la cui quota (sempre in Veneto) è scesa dal 25 al 10 per cento. Altrove al Nord è ancora più bassa. Non conosciamo dati per il Sud. Evidentemente le imprese ritengono altre forme di «assunzione» più convenienti dell’apprendistato. Il fatto è che le aziende sono comprensibilmente restie a trasformare i giovani assunti temporaneamente in «illicenziabili» . Preferiscono i contratti a tempo determinato perché consentono loro di aggirare le rigidità dei rapporti a tempo indeterminato. Le conseguenze di questo mercato del lavoro «duale» sono innumerevoli. I giovani vivono con i genitori più a lungo, si sposano più tardi, fanno meno figli, non accumulano contributi per la loro pensione. Non solo, ma molti studi dimostrano che lunghi periodi di disoccupazione da giovani hanno conseguenze permanenti sulla carriera lavorativa perché rendono le persone meno impiegabili. In Italia l’attesa media per trovare il primo lavoro è 33 mesi contro 5 negli Stati Uniti. Il Testo Unico sull’apprendistato, approvato la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri fa un passo avanti, consentendo l’apprendistato agli studenti delle scuole superiori. Il testo prevede che questa forma di inserimento nel mondo del lavoro sia utilizzabile per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione di ragazzi che abbiano compiuto quindici anni. In questo caso la durata del contratto non può estendersi oltre il termine del ciclo di studi, con un limite di tre anni. Ma il Testo Unico non fa nulla per ridurre il dualismo del nostro mercato del lavoro. Infatti prevede anche che «se, al termine del periodo di apprendistato, nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato» , cioè l’apprendista diventa da un giorno all’altro illicenziabile. Poche imprese rinunceranno all’opzione di esercitare unilateralmente il recesso. Le idee su come riformare il nostro mercato del lavoro per facilitare l’inserimento dei giovani non mancano, ma qualunque proposta si scontra con un ostacolo politico apparentemente insormontabile: l’elettore medio italiano, cioè colui (o colei) che determinano chi vince le elezioni, è sempre più anziano. L’età media degli italiani è la terza più alta al mondo, ed è quella che sta crescendo più rapidamente. Se le riforme che favoriscono i giovani richiedono qualche sacrificio agli adulti, è difficile che siano sostenute da partiti e sindacati la cui fortuna dipende dal voto e dall’influenza degli anziani. Ciò ovviamente non significa che i genitori italiani non siano interessati al futuro dei propri figli. Ma si è creato un equilibrio per cui i genitori si occupano del benessere dei figli attraverso la famiglia, mentre come società adottiamo politiche che rendono difficile ai giovani rendersi economicamente indipendenti. La famiglia è diventata il meccanismo di protezione dei giovani. Il lavoro sicuro (prima) e la pensione (dopo) del padre assicurano un minimo di supporto per figli precari. La loro sopravvivenza è assicurata, la crescita, il dinamismo ed il futuro dei giovani stessi no. Cosa fare dunque? Alcune cose si possono fare subito e darebbero risultati immediati. Prima di tutto, e di questo si è molto parlato, bisogna riformare radicalmente il mercato del lavoro abolendo la separazione fra contratti a tempo determinato e indeterminato, e sostituendoli con un contratto unico con protezioni e garanzie che crescono con l’anzianità sul posto di lavoro. Tutte le proposte, di questo governo e dei precedenti, hanno finora riguardato solo i contratti a tempo determinato: modificandoli marginalmente, e introducendo nuove modalità di precariato. Nessuno ha avuto il coraggio di smantellare il dualismo e passare al contratto unico. La resistenza degli anziani si potrebbe superare non toccando i vecchi contratti e applicando il contratto unico solo ai nuovi assunti. Se lo si fosse fatto quindici anni fa, ai tempi del Pacchetto Treu, durante il primo governo Prodi, la transizione si sarebbe già completata. Nessun governo né di destra, né di sinistra ha avuto la lungimiranza di farlo. Un’altra idea è modulare le aliquote delle imposte sul reddito in funzione dell’età, abbassando le tasse per i più giovani. La perdita di gettito si dovrebbe recuperare con riduzioni di spesa. Ciò aumenterebbe il reddito disponibile dei giovani e li renderebbe più indipendenti e più impiegabili perché al lordo delle imposte costerebbero meno alle imprese. L’idea di modulare le aliquote fiscali in funzione dell’età è stata studiata negli Stati Uniti da una commissione presieduta dal recente premio Nobel Peter Diamond. A ciò si potrebbero aggiungere sgravi fiscali per le imprese che offrono lavori ai giovani, ma solo dopo aver riformato il sistema dei contratti come discusso sopra. Altrimenti le imprese continuerebbero a offrire ai giovani contratti temporanei. Ma si dovrebbe pensare anche a qualche provvedimento più radicale che sblocchi la gerontocrazia che domina l’Italia. Per esempio, perché non abbassare a 16 o 17 anni l’età minima per votare? O porre dei limiti di età (ad esempio 72 anni) ai politici, ai burocrati, ai membri dei consigli di amministrazione delle società quotate? In questi consigli si vorrebbero introdurre le quote rosa: perché non pensare anche ai giovani (uomini e donne), oltre che alle donne di ogni età? Il problema dei giovani in Italia non è solo economico. Stiamo creando una generazione sfiduciata, disillusa che non s’impegna perché non trova sbocchi e non vede per sé un futuro. Perdiamo molti bravi giovani che se ne vanno all’estero. Non solo i cosiddetti «cervelli» , ma anche giovani che non trovando un normalissimo lavoro in Italia lo cercano, e lo trovano, altrove. Una generazione di scoraggiati non si riproduce né economicamente, né demograficamente e crea un pericoloso circolo vizioso. Queste spirali si possono arrestare, ma solo se si interviene presto. Se accelerano diventa impossibile fermarle.
 
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Nuovo rapporto istat PRESENTATO ALLA CAMERA

In Italia due milioni di giovani non lavorano e non studiano


ROMA - Nullafacenti, loro malgrado. Tirano sera con poche speranze: l'Italia ha il più alto numero, tra i paesi europei, di giovani che non lavorano e non studiano. Vivere a casa con i genitori non è più una scelta: è l'unico modo per sbarcare il lunario. Il quadro dell'Italia disegnato nel rapporto annuale dell'Istat, presentato alla Camera, è quello di un paese in parte ripiegato su sè stesso, che accusa drammaticamente la crisi economica nella vita di tutti i giorni. Famiglie non più in grado di affrontare qualsiasi imprevisto, disoccupazione o sottoccupazione, in particolare nella fascia femminile. Il potere d'acquisto pro capite italiano è scivolato sotto il livello del 2000 mentre la pressione fiscale è salita al 43,2% nel 2009, aumentando di tre decimi di punto rispetto all'anno precedente (42,9% nel 2008) e ampliando lo stacco di oltre tre punti percentuali con la media Ue che l'anno scorso si è attestata al 39,5% (dal 40,3% del 2008). «Caso unico» tra le grandi economie, sottolinea l'Istituto nazionale di statistica. Insomma un quadro nell'insieme a tinte fosche, anche se qualche spiraglio di luce filtra: la ripresa si avvia verso una fase di «progressivo consolidamento» nei prossimi mesi in tutti i settori «ad eccezione delle costruzioni» che restano a picco, in Italia così come in altri Paesi europei quali Francia e Spagna. La crisi, ricorda infine il rapporto, pesa comunque di più sui lavoratori stranieri che su quelli italiani. Il tasso di occupazione dei primi è infatti calata nel 2009 a ritmi doppi rispetto ai secondi.


GIOVANI ALLO SBANDO - Non sono gli unici, ma quelli che pagano di più questo stato di cose sono i giovani. Quelli che non fanno nulla. Si chiamano Neet (Non in education, employment or training) e nel nostro paese sono oltre 2 milioni. Per questo, il nostro paese, ha il primato europeo. Hanno un'età fra i 15 e 29 anni (il 21,2% di questa fascia di età), per lo più maschi, e sono a rischio esclusione. A casa con mamma e papà ma non più per scelta nè per piacere. I "bamboccioni" lasciano il posto ai conviventi forzati con i genitori, costretti dai problemi economici. Nonostante le aspirazioni, i 30-34enni che rimangono in famiglia sono quasi triplicati dal 1983 (dall'11,8% al 28,9% del 2009). Lo denuncia l'Istat nel rapporto annuale presentato alla Camera. Questi giovani sono coinvolti nell'area dell'inattività (65,8%). Il numero dei giovani Neet è molto cresciuto nel 2009, a causa della crisi economica: 126 mila in più, concentrati al nord (+85 mila) e al centro (+27 mila). Tuttavia il maggior numero, oltre un milione, si trova nel Mezzogiorno. Fra i Neet si trovano anche laureati (21% della classe di età) e diplomati (20,2%). È un fenomeno in crescita; nel 2007 (dati Ocse), l'Italia già registrava il 10,2% di Neet contro il 5,8% dell'Ue). Chi sono i giovani Neet? Sono coloro che perdono il lavoro e quanto più dura questo stato di inattività tanto più hanno difficoltà a rientrare nel mondo del lavoro. Tra il primo trimestre del 2008 e lo stesso periodo del 2009 la probabilità di rimanere nella condizione di Neet è stata del 73,3% (l'anno precedente era il 68,6%), con valori più elevati per i maschi residenti al nord. Alla più elevata permanenza nello stato di Neet si accompagna anche un incremento del flusso in entrata di questa condizione degli studenti non occupati (dal 19,9% al 21,4%) ed una diminuzione delle uscite verso l'occupazione.

In Italia due milioni di giovani non lavorano e non studiano - Corriere della Sera
 
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