Portafogli coraggiosi per i fondi immobiliari
«L’asset management immobiliare in Italia in sei anni ha fatto passi da gigante, avendo superato a fine 2004 i 12 miliardi di euro investiti, con una crescita media annua del 52%. I prossimi anni potrebbero portare a trasformazioni altrettanto importanti». Andrea Boeri, director e responsabile del centro di competenza real estate di Value Partners non ha dubbi sul potenziale sviluppo dei fondi immobiliari nel settore del risparmio gestito, tanto più se le Sgr lanceranno, come si prospetta, investimenti speculativi, come già avviene all’estero.
Si, è vero, c’è chi dice che è un mercato in declino; e chi, sul versante opposto, sbandiera studi acriticamente ottimistici. C’è poi ancora chi, a dispetto della sicurezza che offre l’investimento diretto sul mattone — casa, negozio o garage che sia — diffida invece del "mattone di carta", il fondo immobiliare, ritenuto più volatile. Ma al di là del dibattito in corso e delle differenti scuole di pensiero, un fatto è certo: si tratta ancora di un mercato giovane, con tutti i limiti e difetti che questo comporta, ma che deve ancora esprimere la propria potenzialità. Spiega Boeri: «Le prospettive di crescita sono legate a molti fattori: crescita dimensionale — delle Sgr e dei fondi — investimenti all’estero, anche in partnership con gestori specializzati, innovazione dei prodotti e dei modelli di business. Ma in particolare è una la sfida per l’industria italiana dell’asset management immobiliare: la previdenza integrativa. Un ruolo molto importante negli altri paesi, come investitori, è svolto dai fondi pensione, che integrano l’asset class immobiliare in sofisticate strategie di investimento, dove il real estate consente spesso di ridurre il rischio e di aumentare la performance di un portafoglio».
La riforma delle pensioni che rimanda di due anni l’avvio della previdenza integrativa rappresenta un freno. Ma offre anche una opportunità: «Due anni che permetteranno ai gestori di fondi immobiliari di mettere a punto prodotti dedicati», commenta Boeri.
In Europa, dicono i dati di Value Partners, la capitalizzazione a fine 2004 dei fondi quotati era di 272 miliardi di euro, mentre il gross asset value dei fondi non quotati era di 261 miliardi. Lo spazio per aumentare le dimensioni c’è. Non solo. Un altro trend previsto riguarda l’assetto dei gestori. «La concentrazione in Europa è elevatissima, i primi dieci operatori sviluppano lo stesso volume degli altri 47 di dimensioni minori: è logico aspettarsi che i primi duetre italiani diventino ancora più grandi, aumentando il distacco dagli altri», commenta Boeri.
Pirelli Re, Bnl Fondi Immobiliari, Investire Immobiliare (Banca Finnat) e Fimit (Gruppo Capitalia) hanno già distaccato i concorrenti. Anche le performance sono differenziate, con un ritorno medio annuo dall’inizio, per i fondi lanciati entro il 2003, che va dall’1,7% al 20,3%, sia pure con la prudenza legata al fatto che i rendimenti sono influenzati da stime, ovvero le valutazioni dei Net Asset Value. Il gross asset value medio è di 450 milioni di euro, rispetto ai 750 dei fondi non quotati europei; ma, mentre gli asset gestiti dalla più grande Sgr italiana non superano i 5 miliardi, i tre gestori più grandi, ovvero Axa, Morley e Deutsche Bank, gestiscono fondi tra i 10 e i 20 miliardi di euro. Un salto impressionante. Che i primi gestori italiani possono compiere, soprattutto se, come sembra, ci si orienta verso investimenti più differenziati, verso una complessità che in pochi possono permettersi — spiega Boeri — All’estero i prodotti sono più differenziati sia per segmento che per tipologia di rischio, con una marcata distinzione tra prodotti retail e prodotti di private equity. Il private equity real estate incentrato su fondi di tipo opportunistico, all’estero gioca un ruolo molto importante. In Italia, parliamo di prodotti con profilo di investimento abbastanza moderato e ritorni che anche in anni buoni restano contenuti. Per quanto riguarda il segmento, domina in Italia una forte concentrazione su un solo segmento, gli uffici, che a fine 2004 risultavano il 74% degli asset dei fondi; in Francia, Germania o Regno Unito non si supera mai il 45%, con focus incentrato sul segmento commerciale».
Più rischio, ma anche più rendimento. Tra poco sarà possibile costituire Sgr "speculative" dedicate a lanciare e gestire prodotti con più alto indebitamento e profili di rischio più accentuati: diversi gestori hanno annunciato l’intenzione di arricchire in questo modo il proprio portafoglio. Un fermento che si registra anche in Assogestioni, con l’aumento di richieste di chiarimenti e informazioni su questa materia.
Altro fattore che non consente un adeguato sviluppo del settore in Italia è il focus geografico, ancora fortemente domestico, a differenza degli altri paesi dove invece c’è una importante esposizione verso l’estero, soprattutto Usa, Giappone, Australia. Promettente si presentano i mercati emergenti. «Nei Paesi a più alta crescita, come Cina, India, Turchia, oggi investono solo fondi di private equity immobiliare, per investitori istituzionali, ma in futuro saranno attivi anche fondi retail, destinati a piccoli investitori e con un minore profilo di rischio», racconta ancora Boeri.
Più variati, rispetto a noi, all’estero sono anche i modelli di business con la presenza di grandi gestori "generalisti" e di specialisti più piccoli, e con articolate strategie multicanale di distribuzione. Un campo, questo, ancora tutto da esplorare. Fatta eccezione per Pirelli Real Estate, infatti, tutti i maggiori gestori sono verticalmente integrati in gruppi bancari che distribuiscono solo i propri fondi. «Una scelta penalizzante per il cliente che si trova di fronte a un’offerta limitata ai prodotti che la banca ha in casa — spiega Boeri — ma penalizzante anche per la stessa Sgr, perché magari un istituto di credito è fortemente radicato in alcune regioni, ma completamente assente in altre, che vuol dire restare tagliati fuori da intere aree di investitori». (p. jad.)
http://www.repubblica.it/supplementi/af/2005/12/05/rapporto/053kodazzo.html