avete rotto le balle con queste banalità, il parlamento deve rispecchiare l'opinione del paese. sempre. quando se ne discosta troppo, qualsiasi sia la causa, le camere si sciolgono. opinione di diversi di quelli che la costituzione l'hanno scritta. poi ognuno può far finta che la democrazia sia un giocattolo con cui può trastullarsi chiunque ce l'abbia in mano
Ruota tutto attorno a questa (tua) opinione.
Ma non è ne semplice ne corretto concluderla con la via semplicistica con cui la poni tu.
La Costituzione italiana potrà anche essere in alcuni capi ormai anacronistica, non certo per colpa sua ma, semmai, per un’evoluzione dei tempi che ha assunto un’accelerazione superiore a quella ipotizzata dai costituenti. Ma in ordine all’assetto che disciplina la rappresentatività del parlamento rispetto all’opinione pubblica, è ancora una Costituzione all’avanguardia nelle democrazie parlamentari.
L’opinione pubblica, italiana in particolare, è ondivaga quanto le foglie autunnali. Sia perché l’italiano ha la memoria corta (qualcuno lo considera un bene) e quindi è geneticamente indotto all’incoerenza a fronte del medesimo accadimento, sia perché, storicamente, propenso a farsi dominare. Per conseguenza, l’espressione di voto dell’italiano medio è fondamentalmente utilitaristica e affettiva: utilitaristica perché vota quelli che gli parano il ****, affettiva perché ancora legata come un cordone ombelicale a quello che dice la mamma. Di fatto passa mediamente mezzo secolo prima che la classe politica cambi, solo perché è stata votata dalla mamma, e in Italia, mai confutare la mamma.
Quindi, chi ha scritto le regole costituzionali sulla durata della rappresentatività del parlamento, lo ha fatto a ragion veduta, sia in termini di profondità dell’analisi giuridica, sia con una rara dose di filosofia prospettica. Hanno quindi, a mio parere, fatto bene i costituenti nel non fornire ad un popolo di piselloni la facoltà di rimescolare l’organico parlamentare ad ogni piè sospinto, vuoi attraverso una riduzione della durata della legislatura delle Camere, vuoi attraverso un ampliamento dei poteri dell’unica figura istituzionale cui compete lo scioglimento anticipato.
C’è anche una contraddizione di fondo nel prevedere, eventualmente, una facoltà simile: se, in luogo dei canonici 5 anni, la legislatura durasse 1 anno e quindi fossimo convocati ad elezioni ogni 365 giorni, da una parte ci sarebbe l’illusione che il parlamento fotografasse istantaneamente la volontà popolare nel tempo, ma dall’altra, la minor durata dell’incarico stesso renderebbe di fatto impossibile la sua valutazione da parte dei votanti: diventa proprio la continuità, anche negli errori, che permette l’espressione di un giudizio ponderato sul medio termine. Frazionare la durata della legislatura in tanti micro periodi renderebbe inaffidabile il giudizio, costosa la sua espressione e, fondamentalmente, impossibile la programmazione legislativa stessa. Diventerebbe impraticabile anche quella stessa progettualità di programmi che tanto riempie le bocche dei partiti in vista di ogni elezione.
Ultimo ma non ultimo: chi decide, di fatto, che l’opinione del paese non è più rappresentata dal parlamento ? Solo il PdR, la cui carica, non casualmente, è di durata superiore a quella del parlamento stesso, proprio per consentire l’efficienza di un sistema di pesi e contrappesi fra rappresentatività parlamentare e rappresentatività costituzionale, assegnando alla seconda il compito di controllare la prima in tempi asincroni e alla prima di nominare la seconda per il medesimo principio.
Ultimissimo: l’unico partito di maggioranza in Italia è quello dell’astensionismo. Va da se che, se anche si votasse mille volte in un secolo, rimarrebbe comunque una finzione giuridica, cui peraltro attenersi fino a scelta contraria, che il parlamento rappresenti omogeneamente l’opinione pubblica.