Gino De Dominicis

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Ogni riferimento è puramente casuale...
:):p Ciao!!

L'opera di De Dominicis del 1980 ufficiosamente nota come “Sbarre violate” è un’installazione costituita da una lunga serie di sbrarre.

Pur non potendo testimoniare l'evento, ne verifichiamo le conseguenze: l'acciaio è stato piegato, la cancellata oltrepassata, il limite spaziale superato.

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Nel '88 De Dominicis presenta "Specchio che tutto riflette tranne gli esseri viventi", distrutto dall'artista dopo la mostra, con una doppia sottrazione rendeva il pubblico invisibile e l'opera esposta simultaneamente in due punti della galleria (Lia Rumma) sfidando le generali convinzioni sulla natura dell'arte.

Avvicinandosi alla cornice il pubblico si accorgeva che questa rifletteva l'intera stanza, un proiettore e la tavola con Urvasi e Gilgamesh, ma non la loro presenza.

Il trucco consisteva nel aver realizzato una parete divisoria dove erano state posizionate due istallazioni identiche.
Lo specchio era in realtà una finestra che invogliava i visitatori a meditare sul senso della opera.
Gabriele Guercio. Estratto.

Vedi l'allegato 2630420

Ma c'è un altra opera in cui l'elemento dello specchio è associato al discorso sul tempo .Si tratta dell'orologio in cui i segni del tempo come ore e lancette non compaiono e l'intero quadrante è sostituito da una superficie specchiante .Pensiamo alla serie di orologi realizzata da un altro grande artista italiano ...Alighiero Boetti .le differenze tra i due artisti risulteranno evidenti ..Boetti di anno in anno sostituiva alle cifre che indicano le ore quelle che compongono l'anno creando così un metonimico progressivo slittamento che mette in dubbio la certezza stessa della misurazione del tempo .Quella di De Dominicis è una fulminante ,lampante metafora speculare...il tempo sei tu che invecchi,siamo noi.
 
20191026_224510.jpgin orologio è presente un altro elemento ..il ruolo da protagonista del fruitore.E infatti lo spettatore a guardare nel finto quadrante ,meravigliandosi nel vedere riflessa la propria immagine riflessa .Non è quindi l'opera che si mostra al pubblico ma viceversa ...questa osservazione porta alla mente un altra opera di GDD "Madonna che ride"la statua sghignazzante di Maria ,documentata solo da una foto,rappresenta una sorta di apparizione ai visitatori della mostra napoletana nel 1973 mostra non più replicabile x la distruzione della scultura
 
Pur con tutti i casi ... ni intorno alla sua Opera , resta un artista collegato oggi più che mai al nostro tempo , per i temi che ha affrontato la sua Arte con eleganza e intelligenza eccezionali . Senza voler togliere niente ad altri , G D Dominicis una delle tre grandi figure italiane contemporanee di cui andare orgogliosi , con Boetti e Schifano . 👍
 
Stima ridicola per un opera del genere. A prima vista a vedere dallo stile e dalla dimensione sembra essere autentica, un falsario difficilmente si concentrerebbe su soggetti così insoliti (potrebbe fare parte del ciclo dei guerrieri?). Con l'altro archivio le stime si triplicherebbero
 
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io di certo conosco solo le tasse e la morte.
 
Beh certo, si fa per dire! Ho modificato comunque il messaggio per chiarezza. Pensavo fosse ovvio che per verificare l'autentcitá di un opera non basta uno scroll da telefonino
 
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Ma, al di là del continuo riemergere del problema della pittura, la vera avventura dell’artista inizia con una mostra sorprendentemente nitida e sicura nel '69 nel garage di via Beccaria a Roma, sede dell’Attico di Fabio Sargentini, galleria diventata in quegli anni un punto di riferimento.

Ed è lo stesso Sargentini a marcare l’assoluta novità di De Dominicis rispetto al dettato di Pino Pascali e Jannis Kounellis, artisti guida della galleria fino a quel momento.

De Dominicis. Cubo invisibile. 1969.

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In "Elementi naturali" Pascali evidenza la cultura agraria e mediterranea propria dell'artista.
Nella standardizzazione del mondo naturale introduce inoltre la problematica (posta comunque sempre in termini ludici e ironici) del rapporto con l'attualità industriale e tecnologica.

1 mc di terra. Pascali. 1967.

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Ma, al di là del continuo riemergere del problema della pittura, la vera avventura dell’artista inizia con una mostra sorprendentemente nitida e sicura nel '69 nel garage di via Beccaria a Roma, sede dell’Attico di Fabio Sargentini, galleria diventata in quegli anni un punto di riferimento.

Ed è lo stesso Sargentini a marcare l’assoluta novità di De Dominicis rispetto al dettato di Pino Pascali e Jannis Kounellis, artisti guida della galleria fino a quel momento.

De Dominicis. Cubo invisibile. 1969.

Vedi l'allegato 2645463

Si presentò in galleria per sottopormi i suoi primi lavori nell’ottobre del 1969, io avevo trent’anni lui ventidue e mezzo. Non l’avevo mai conosciuto, eppure lo riconobbi: i suoi baffetti elettrici erano inconfondibili. Dove li avevo già visti? In quel medesimo anno, all’inizio di gennaio, c’era stata al garage de L’Attico la mostra dei cavalli vivi di Kounellis e a posteriori, in una delle fotografie scattate al vernissage, avevo notato questo sconosciuto con i baffetti che si aggirava tra i visitatori. Per questo, quando mesi più tardi mi fu davanti dal vivo, in lui riconobbi il personaggio della foto.

Da quel giorno diventammo inseparabili […] instaurai con De Dominicis un sodalizio onnipotente. Era, allora, il mio modo di lavorare, creando un transfert, immedesimandoci uno nell’altro. Ogni giorno, nelle prime ore del pomeriggio, percorrevamo a braccetto in tondo più volte piazza del Popolo e lui mi esponeva le sue ultime pensate. Io le vagliavo, ne discutevamo, facevamo sogni alati ma concreti. Il suo approccio all’arte, ironico, rarefatto, cerebrale portava un vento nuovo nel clima povero della galleria. L’acqua e la terra di Pascali, il fuoco di Kounellis, cedevano il passo agli oggetti invisibili. Proprio sull’invisibilità, su uno scarto mentale capace di produrre emozione senza materia, si posò la prima mostra personale di De Dominicis al garage di via Beccaria. Un lavoro già maturo e tuttavia infantile, con una evidente matrice duchampiano, eppure fortemente maniacale, suffragato da una visione.»5

Fabio Sargentini
 
Fine anni 60 inizio 70 galleria l'attico di Sargentini :bow: Sargentini.



Jannis Kounellis Galleria L’Attico (Roma) dodici cavalli vivi. 1969.

Lo spazio della galleria L’attico era, in origine, un garage seminterrato, ben illuminato da coppie di neon a luce fredda, disposte lungo le trabeazioni orizzontali. L’installazione è composta da dodici cavalli vivi (1969) di Jannis Kounellis una delle più fortunate e icastiche fotografie d’arte del novecento pubblicata su tutti i manuali di storia d’arte contemporanea. La foto adesso esposta in gigantografia, nell’attuale riproposizione installativa intrisa di sonorità è un pregevole, memorabile documento di una stagione celebrata e febbrile della storia dell’arte occidentale.

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Sargentini Il 4 aprile del 1970 inaugura la seconda personale con l’artista Gino De Dominicis (Ancona, 1º aprile 1947 – Roma, 29 novembre 1998) La mostra dal titolo Lo Zodiaco è concepita dall’artista come un tableau vivant tra mitologia e contemporaneità: i dodici segni zodiacali, rappresentati da manufatti, esseri umani o animali reali (gran parte dei quali vivi) sono disposti a semicerchio e presentati al pubblico per cinque giorni. Successivamente, nel dicembre dello stesso anno, nell’ambito della collettiva “Fine dell’Alchimia”, viene realizzato ed esposto in galleria il manifesto della mostra, a partire da una fotografia a colori di Claudio Abate.



Gino De Dominicis: “Lo Zodiaco”. L’Attico. 1970.

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Al 1968 risale l’approdo di Mattiacci a L’Attico di Sargentini (catalogo con testo di Vittorio Rubiu). Qui espone oggetti d’uso e materiali industriali, come cilindri in lamiera o pneumatici, manipolati in modo tale da generare insoliti effetti tattili o da esaltarne valori fisici, quali peso, forza di gravità o magnetismo. La stessa dinamica compare in Tensione con pietra, esposto nella rassegna Prospekt 69 a Düsseldorf e in Contrasti di Calamita e trucioli, presentati da Alexander Iolas a Parigi nel 1969 (catalogo con testo di Eliseo Mattiacci).



Manifesto della mostra: “Percorsi” e “Lavori in Corso” Galleria L’attico, Roma, 1 marzo 1969. cm. 60 x 100 ca. Mattiacci per intervento/performativo schiacciò con un rullo compressore giallo un mucchio di sabbia bituminoso formando una scia che dall’ingresso si estendeva fino all’interno della galleria.

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Artista eclettico, Pino Pascali (Bari, 19 ottobre 1935 – Roma, 11 settembre 1968) fu scultore, scenografo e performer. Nelle sue opere riunisce le radici della cultura mediterranea (i campi, il mare, la terra e gli animali) con la dimensione ludica dell’arte: un ciclo di opere è dedicato alle armi, veri e propri giocattoli realizzati con materiali di recupero (metalli, paglia, corde) e molti suoi lavori ripropongono le icone e i feticci della cultura di massa. Nella serie “Ricostruzione della natura”, iniziata nel 1967, Pascali analizza il rapporto tra la produzione industriale in serie e natura. In soli tre anni ottiene un notevole riscontro da parte della critica e viene notato da influenti galleristi italiani e internazionali.

Pino Pascali piroettante al fianco della sua Vedova Blu (1968), monumentale scultura a forma di ragno di peluche.) Proprio all’apice della sua carriera, mentre alcune sue opere erano in mostra alla Biennale di Venezia, muore prematuramente a Roma nel 1968 per le conseguenze di un grave incidente in motocicletta, sua grande passione. La precoce morte di Pino Pascali gettò Sargentini, suo amico fraterno, in un profondo stato di sconforto, fino alla chiusura della galleria di Piazza di Spagna, per riaprirla il 14 gennaio 1969 in una sede nuova “il garage” in Via Beccaria.



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Nei mesi precedenti infatti, Sargentini aveva incontrato la performer italo americana Simone Forti ed dai suoi racconti dell’esperienza newyorkese, apprende come i “musicisti, danzatori, scultori, pittori collaboravano fra loro (…) , cercavano spazi diversi nell’ottica della commistione delle arti: una chiesa sconsacrata, il greto di un fiume, il terrazzo di un grattacielo…”, aprendo a Sargentini nuove potenzialità e portandolo ben presto a viaggiare fra Roma e New York, nel tentativo di formare un ponte fra la capitale e la “grande mela”. Sono così presentati nel 1969, presso L’Attico di Via Beccarla, i due compositori del minimalismo americano Terry Riley e La Monte Young. Negli anni successivi Sargentini collaborò con Simone Carella del Beat ’72 alla creazione di festival di musica e di danza, portando in questi luoghi Philip Glass, Steve Reich, Charlemagne Palestine, Joan La Barbera e di nuovo La Monte Young, che presenta in anteprima assoluta The Well Tuned Piano, le danzatrici e performer Trisha Brown, Simone Forti e le proiezioni dei videoartisti Gerry Schum e Marisa Merz.



Altra tappa di sperimentazione linguistica tra installazioni e autori. Phil Glass nella sala de l’Attico, in cui campeggia la gigantografia che lo ritrae con Trisha Brown, Simone Forti, Steve Paxt, Joan Joan, figure cardine della musica minimalista della Modern dance. 20191129_214739.jpg20191129_214809.jpg20191129_214840.jpg20191129_214909.jpg20191129_214933.jpg
 
Qui di a voi piace il De Dominicis concetta-uale? :)
 
Qui di a voi piace il De Dominicis concetta-uale? :)


Il termine arte concettuale, origine americana, in Italia è molto piaciuto, forse perché ricorda nomi di persona molto diffusi come Concetta, Concezione, Concettina etc; e viene di continuo usato stupidamente per etichettare tutto ciò che in arte non è immediatamente riconoscibile
(G. de Dominicis, in Quadri & Sculture, anno VI, numero 33)

Penso che Gino De Dominicis non è mai stato un artista concettuale, o forse lo è stato nel non esserlo e nel cercare con ironia nei primi suoi lavori di scardinare un tipo di arte troppo "cervellotica" allora molto di moda e diventata accademia.
Ad esempio nell'opera "Mozzarella in Carrozza", prendendo il nome da una pietanza, pone una vera mozzarella dentro una vecchia carrozza, ironizzando ed estremizzando il "concetto" implicato nell'opera "Fontana" di Duchamp. La mozzarella rimaneva sempre e comunque una mozzarella anche se messa all'interno della carrozza.
 

Allegati

  • Duchamp_Fontana.jpg
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Anche con Lui han fatto un bel caos, ma quando ne usciremo???
 
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