Durante la Crisi del III secolo, le monete romane erano state notevolmente svalutate a causa dei numerosi imperatori ed usurpatori romani che avevano battuto moneta in maniera indipendente per corrompere i soldati ed i funzionari. Diocleziano durante il suo regno, nello stesso periodo dell'editto sui prezzi così come aveva fatto in precedenza, emise dei decreti sulla valuta nel tentativo di riformare il sistema delle tasse e di stabilizzare la moneta.
Di fronte all'insuccesso di questo primo provvedimento, fu emanato, fra il 20 novembre e il 9 dicembre del 301, l’Edictum de pretiis. Questo era diviso in 32 sezioni e poneva un limite sui prezzi per tutti i prodotti commerciabili nell'impero. L'obiettivo non era "congelare" i prezzi, ma segnarne i maxima, ovvero i massimi prezzi di mercato, oltre i quali determinate merci non avrebbero potuto essere vendute.
Tuttavia, l'editto non risolse il problema, poiché la massa totale delle monete coniate continuò ad aumentare l'inflazione ed i prezzi massimi che erano stabiliti erano apparentemente troppo bassi. I mercanti o smisero di produrre le merci, o le vendettero illegalmente al mercato nero (che in quegli anni proliferò), o usarono invece il sistema del baratto. L'editto come risultato spinse a interrompere gli affari e il commercio, fra commercianti o in città intere, che non erano più in grado di produrre i beni a costi accettabili. Poiché l'editto inoltre aveva fissato i limiti sugli stipendi, coloro che avevano gli stipendi fissi (in particolare soldati) trovarono che il loro salario era aumentato ma non aveva più valore poiché i prezzi artificiali non riflettevano i costi reali. Si produsse quindi una vera e propria "paralisi" dell'economia nell'impero.