nickanonimo72
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Rendetevi conto per cosa si sta combattendo da oltre 2 anni con danni immensi per tutti.
“I colloqui – scrivono Charap e Radchenko – partirono il 28 febbraio in una delle spaziose residenze di campagna di Lukashenko vicino al villaggio di Liaskavichy, a circa 30 miglia dal confine tra Ucraina e Bielorussia. Al primo incontro, i russi hanno presentato una serie di dure condizioni, chiedendo di fatto la capitolazione dell'Ucraina. Ma mentre la posizione di Mosca sul campo di battaglia continuava a deteriorarsi, le sue posizioni al tavolo dei negoziati diventavano meno esigenti. Così, il 3 e il 7 marzo, le parti tennero un secondo e un terzo round di colloqui, questa volta a Kamyanyuki, in Bielorussia, appena oltre il confine con la Polonia. La delegazione ucraina presentò le proprie richieste: un cessate il fuoco immediato e la creazione di corridoi umanitari che permettano ai civili di lasciare in sicurezza la zona di guerra. Fu durante il terzo round di colloqui che russi e ucraini sembra abbiano esaminato per la prima volta alcune bozze di accordo. Secondo i russi, si trattava di bozze la delegazione aveva portato da Mosca e che probabilmente riflettevano l'insistenza sullo status di neutralità dell'Ucraina”.
Vi fu poi un’interruzione di tre settimane degli incontri di persona, con scambi via Zoom. “Non è del tutto chiaro – prosegue la ricostruzione di Foreign Affairs - quando Kyiv abbia sollevato per la prima volta la questione delle garanzie di sicurezza che avrebbero obbligato altri Stati a venire in difesa dell'Ucraina se la Russia avesse attaccato di nuovo in futuro nelle conversazioni con i russi o con i Paesi occidentali. Ma il 10 marzo, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, allora ad Antalya, in Turchia, per un incontro con il suo omologo russo, Sergey Lavrov, parlò di una ‘soluzione sistematica e sostenibile’ per l'Ucraina, aggiungendo che gli ucraini erano "pronti a discutere" le garanzie che speravano di ricevere dagli Stati membri della Nato e dalla Russia”.
Nell’incontro del 29 marzo 2022 a Istanbul si fu vicini a una vera svolta. Era infatti pronta una bozza di comunicato che all’epoca fu soltanto riassunta verbalmente dalle parti alla stampa, ma che Charap e Radchenko hanno ottenuto in versione integrale. Era un testo redatto in gran parte dagli ucraini e provvisoriamente accettato dalla delegazione russa come base per un trattato. In esso, l’Ucraina sarebbe diventata uno Stato permanentemente neutrale e senza armi nucleari, avrebbe rinunciato all’adesione ad alleanze militari e a permettere la presenza di basi militari o truppe straniere sul proprio territorio. Possibili garanti dell’intesa, i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (inclusa la Russia) insieme a Canada, Germania, Israele, Italia, Polonia e Turchia.
Il comunicato stabiliva che, se l'Ucraina fosse stata attaccata e avesse richiesto assistenza, tutti gli Stati garanti sarebbero stati obbligati a fornire assistenza a Kiev per ripristinare la sua sicurezza. Inoltre, si chiedeva alle due parti di cercare di risolvere pacificamente la disputa sulla Crimea nei successivi 15 anni. Malgrado la neutralità, l’Ucraina avrebbe potuto avvicinarsi alla Ue e non c’erano ostacoli espliciti all’ingresso.
Si tratta, notano gli analisti, di concessioni straordinarie da parte di Putin che aveva esercitato forti pressioni sul presidente Viktor Yanukovych affinché si recedesse da un semplice accordo di associazione con l'Europa e, soprattutto, non aveva mai accettato di rimettere in discussione lo status della Crimea occupata.
Ma, se anche la delegazione russe si mostrava ottimista il 29 marzo, i fatti delle settimane seguenti rimisero tutto in gioco. La ritirata russa che dava slancio alla resistenza ucraina e speranze di vittoria a Zelensly. Le atrocità commesse dagli occupanti a Bucha e Irpin rendevano più difficile fare accordi con chi venne paragonato ai nazisti e all’Isis per i crimini di guerra commessi. Gli stessi occidentali - dal premier Johnson, primo a visitare Kiev, al segretario di Stato Usa Blinken e al collega segretario alla Difesa Austin, che lo seguirono a breve - diedero rassicurazioni al governo di Kiev sul sostegno militare e sulle possibilità di vittoria. Il vero nodo sarebbe però stato, da parte americana e anche europea, l’obbligo di intervenire in un confronto diretto con la Russia secondo clausole onerose che Washington e altri capitali non erano così desiderose di siglare.
L’obbligo di fatto di entrare in guerra con la Russia nel caso di un nuovo attacco ridusse l’appoggio degli Stati Uniti al negoziato, nelle stesse settimane in cui venivano aumentate le forniture di armi e la pressione su Mosca, con sanzioni economiche. Di fatto, l’impegnarsi diplomaticamente con la Russia non era la priorità dell’Occidente in quel frangente, secondo Charap e Radchenko. Tuttavia, ciò non significa che Kiev abbia eseguito ordini e che non fosse libera di procedere. Infatti, Zelensky e gran parte della sua opinione pubblica erano convinti in misura crescente di poter resistere all’invasore e forse anche di vincere la guerra.
Da aprile 2022 l’Ucraina irrigidì dunque la sua posizione nella trattativa. Mise la precondizione del ritiro russo dal Donbass, inaccettabile per Putin. E così, dopo il 15 aprile, i negoziati di fatto naufragarono e gli incontri finirono.
“I colloqui – scrivono Charap e Radchenko – partirono il 28 febbraio in una delle spaziose residenze di campagna di Lukashenko vicino al villaggio di Liaskavichy, a circa 30 miglia dal confine tra Ucraina e Bielorussia. Al primo incontro, i russi hanno presentato una serie di dure condizioni, chiedendo di fatto la capitolazione dell'Ucraina. Ma mentre la posizione di Mosca sul campo di battaglia continuava a deteriorarsi, le sue posizioni al tavolo dei negoziati diventavano meno esigenti. Così, il 3 e il 7 marzo, le parti tennero un secondo e un terzo round di colloqui, questa volta a Kamyanyuki, in Bielorussia, appena oltre il confine con la Polonia. La delegazione ucraina presentò le proprie richieste: un cessate il fuoco immediato e la creazione di corridoi umanitari che permettano ai civili di lasciare in sicurezza la zona di guerra. Fu durante il terzo round di colloqui che russi e ucraini sembra abbiano esaminato per la prima volta alcune bozze di accordo. Secondo i russi, si trattava di bozze la delegazione aveva portato da Mosca e che probabilmente riflettevano l'insistenza sullo status di neutralità dell'Ucraina”.
Vi fu poi un’interruzione di tre settimane degli incontri di persona, con scambi via Zoom. “Non è del tutto chiaro – prosegue la ricostruzione di Foreign Affairs - quando Kyiv abbia sollevato per la prima volta la questione delle garanzie di sicurezza che avrebbero obbligato altri Stati a venire in difesa dell'Ucraina se la Russia avesse attaccato di nuovo in futuro nelle conversazioni con i russi o con i Paesi occidentali. Ma il 10 marzo, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, allora ad Antalya, in Turchia, per un incontro con il suo omologo russo, Sergey Lavrov, parlò di una ‘soluzione sistematica e sostenibile’ per l'Ucraina, aggiungendo che gli ucraini erano "pronti a discutere" le garanzie che speravano di ricevere dagli Stati membri della Nato e dalla Russia”.
Nell’incontro del 29 marzo 2022 a Istanbul si fu vicini a una vera svolta. Era infatti pronta una bozza di comunicato che all’epoca fu soltanto riassunta verbalmente dalle parti alla stampa, ma che Charap e Radchenko hanno ottenuto in versione integrale. Era un testo redatto in gran parte dagli ucraini e provvisoriamente accettato dalla delegazione russa come base per un trattato. In esso, l’Ucraina sarebbe diventata uno Stato permanentemente neutrale e senza armi nucleari, avrebbe rinunciato all’adesione ad alleanze militari e a permettere la presenza di basi militari o truppe straniere sul proprio territorio. Possibili garanti dell’intesa, i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (inclusa la Russia) insieme a Canada, Germania, Israele, Italia, Polonia e Turchia.
Il comunicato stabiliva che, se l'Ucraina fosse stata attaccata e avesse richiesto assistenza, tutti gli Stati garanti sarebbero stati obbligati a fornire assistenza a Kiev per ripristinare la sua sicurezza. Inoltre, si chiedeva alle due parti di cercare di risolvere pacificamente la disputa sulla Crimea nei successivi 15 anni. Malgrado la neutralità, l’Ucraina avrebbe potuto avvicinarsi alla Ue e non c’erano ostacoli espliciti all’ingresso.
Si tratta, notano gli analisti, di concessioni straordinarie da parte di Putin che aveva esercitato forti pressioni sul presidente Viktor Yanukovych affinché si recedesse da un semplice accordo di associazione con l'Europa e, soprattutto, non aveva mai accettato di rimettere in discussione lo status della Crimea occupata.
Ma, se anche la delegazione russe si mostrava ottimista il 29 marzo, i fatti delle settimane seguenti rimisero tutto in gioco. La ritirata russa che dava slancio alla resistenza ucraina e speranze di vittoria a Zelensly. Le atrocità commesse dagli occupanti a Bucha e Irpin rendevano più difficile fare accordi con chi venne paragonato ai nazisti e all’Isis per i crimini di guerra commessi. Gli stessi occidentali - dal premier Johnson, primo a visitare Kiev, al segretario di Stato Usa Blinken e al collega segretario alla Difesa Austin, che lo seguirono a breve - diedero rassicurazioni al governo di Kiev sul sostegno militare e sulle possibilità di vittoria. Il vero nodo sarebbe però stato, da parte americana e anche europea, l’obbligo di intervenire in un confronto diretto con la Russia secondo clausole onerose che Washington e altri capitali non erano così desiderose di siglare.
L’obbligo di fatto di entrare in guerra con la Russia nel caso di un nuovo attacco ridusse l’appoggio degli Stati Uniti al negoziato, nelle stesse settimane in cui venivano aumentate le forniture di armi e la pressione su Mosca, con sanzioni economiche. Di fatto, l’impegnarsi diplomaticamente con la Russia non era la priorità dell’Occidente in quel frangente, secondo Charap e Radchenko. Tuttavia, ciò non significa che Kiev abbia eseguito ordini e che non fosse libera di procedere. Infatti, Zelensky e gran parte della sua opinione pubblica erano convinti in misura crescente di poter resistere all’invasore e forse anche di vincere la guerra.
Da aprile 2022 l’Ucraina irrigidì dunque la sua posizione nella trattativa. Mise la precondizione del ritiro russo dal Donbass, inaccettabile per Putin. E così, dopo il 15 aprile, i negoziati di fatto naufragarono e gli incontri finirono.