Le grane di Mister Ilbe. Dalle dimissioni di Monica Bacardi al calo di Tatatu: tutti i guai di Andrea Iervolino
L’imprenditore italo canadese è alle prese con il ridimensionamento della sua casa di produzione cinematografica e con lo sboom del social Tatatu che ha dimezzato il valore rispetto all’ipo
Che ci fosse maretta, o meglio aria di tempesta, in casa di
Iervolino & Lady Bacardi Entertainment (Ilbe) si era percepito con chiarezza già in primavera.
Monica Bacardi, co-fondatrice del gruppo attivo nella produzione cinematografica con il socio Andrea
Iervolino, il 13 marzo scorso aveva presentato le
dimissioni irrevocabili dal cda per divergenze sulla gestione. Un addio non da poco, dato che Lady Bacardi figurava come
prima azionista della società, quotata sull’Egm dal 2019 e di recente anche sul circuito di Parigi, con il 46% delle quote. Dimissioni poi stemperate da un annuncio a stretto giro in cui si riconfermava l’impegno nella società.
Proclamato a parole, ma disatteso poco dopo con la
vendita ai primi di giugno del 24% delle azioni possedute da Monica Bacardi a Sport Finance Sa, riducendo la quota al 22% alle spalle di
Iervolino (30,66%). Ovvio che il mercato non ci ha messo molto tempo a capire che qualcosa di grave stava avvenendo: è bastata la prima trimestrale del 2024, rilasciata pochi giorni fa, per confermare i sospetti.
La frenata di ricavi e utile
I conti hanno segnato una battuta d’arresto sensibile. I
ricavi sono scesi dell’8,9% anno su anno, da 32,5 milioni a 29,6 milioni. Male anche la
redditività con l’ebit più che dimezzato da 3,2 a 1,5 milioni (-53,1%), tenuto anche conto dell’effetto di ammortamenti relativi a produzioni consegnate negli esercizi passati e che non hanno generato ricavi nella prima parte dell’esercizio.
La trimestrale non è stata comunque un fulmine a ciel sereno, dal momento che il rallentamento in corso della crescita si percepiva
già a metà 2023. I conti a metà dell’anno scorso vedevano un calo dei ricavi del 28% con un
crollo dell’utile operativo del 75% che si fermava al 4,5% dei ricavi contro un 13,5% di giugno 2022. Anche la
posizione finanziaria netta era peggiorata, con il debito netto finanziario salito a 41 milioni rispetto ai -23 milioni del dicembre precedente.
Una secca battuta d’arresto per un gruppo che fino ad allora aveva mostrato fondamentali decisamente migliori. Sia il 2020 che il 2021 avevano infatti visto Ilbe produrre utili netti rispettivamente per 19 e 18 milioni, con ricavi passati da 121 milioni del 2020 a 152 milioni del 2021 e un ebit sopra i 20 milioni in entrambi gli esercizi.
Superata la pandemia si pensava che il peggio fosse alle spalle, ma il
2022 è stato un
anno di cesura con la marginalità operativa dimezzata, pur con ricavi saliti a 161 milioni. Nel 2023, a fronte di ricavi in ulteriore crescita a 173 milioni l’ebit si è assottigliato a 10 milioni. Ora i dati dei primi tre mesi vedono un ulteriore indebolimento degli indicatori.
Titolo in calo a Piazza Affari
Già ad ottobre del 2023 gli analisti di
Intermonte, che seguivano il titolo, avevano provveduto ad abbassare le stime per il futuro, riducendo il target price del titolo da 2,2 a 1,25 euro.
Sostituito lo specialist è toccato a
Banca Finnat provare a tracciare nuove stime, che tuttavia si sono rivelate da subito fallaci. Solo 2 mesi fa gli analisti dell’istituto capitolino hanno avviato la copertura del titolo con un buy a 1,67 euro prevedendo un forte recupero di Ilbe che la prima trimestrale ha subito disatteso. Per Finnat, che pochi giorni fa ha rimesso il titolo sotto revisione, il gruppo avrebbe dovuto archiviare l’intero 2024 con ricavi per 207 milioni e un ebit prossimo ai 13 milioni. Numeri che andranno probabilmente rivisti al ribasso dopo la doccia gelata della trimestrale.
Così, nel mezzo della tempesta a livello di governance con la fondatrice che si è parzialmente disimpegnata dall’azienda preferendo vendere le azioni a un terzo e con i conti che paiono avviati su una china pericolosamente discendente,
il titolo Ilbe non poteva che accusare il colpo in borsa.
I target price degli analisti si sono rivelati sballati. L’azione da inizio anno
ha perso il 50% del valore scendendo da 89 a 44 centesimi. Dai massimi toccati 5 mesi dopo la quotazione dell’agosto 2019 a 5,94 euro, Ilbe ha nebulizzato oltre il 90% della capitalizzazione di mercato. Una lenta e costante erosione di valore per un titolo che oggi capitalizza solo 11 milioni. Pessimismo eccessivo? Forse. Sta di fatto che il 2024 è davvero partito male e la decisione di Lady Bacardi di cedere metà della quota non depone certo a favore di un anno di riscatto.
Il caso Tatatu
L’altro socio forte e fondatore di Ilbe,
Iervolino, ha ora da gestire anche un’altra grana. Comincia a segnare il passo anche un’altra sua creatura societaria: si tratta del social
Tatatu, portato in Borsa a Parigi nell’autunno 2022 e inizialmente protagonista di un exploit sul listino che ricorda la bolla della
new economy.
Collocata a 2 euro per azione, l’app che remunera con coin spendibili le interazioni sociali dei suoi iscritti era esplosa da subito sul listino arrivando a capitalizzare 10 miliardi di euro pochi giorni dopo il debutto. Un’enormità per una società che ha prodotto un fatturato a fine 2022 di poco più di 100 milioni e una perdita netta di nove. Come non rammentare i tempi folli della
bolla internet?
Le mirabolanti prospettive di crescita pare si stiano già infrangendo: la società ha rinviato l’approvazione dei conti dell’intero 2023 prevista per fine maggio e ha rilasciato dati preliminari che indicano
ricavi tra 83 e 85 milioni (in calo del 34% sul 2022), con un
margine operativo lordo nella forchetta 4,25-4,75 milioni. Quindi con un peso sui ricavi intorno al 5-6%. Una frenata brusca, dato che nei primi sei mesi 2023 i ricavi erano a quota 60 milioni e con un risultato operativo di soli 325mila euro. Non c’è da stupirsi quindi che dall’exploit iniziale, Tatatu abbia cominciato da subito a
sgonfiarsi. Dal picco di fine ottobre 2022 a quasi 10 euro, oggi
l’azione si è quasi dimezzata e scambia attorno a 5,5 euro.
Una flessione importante, anche se Tatatu vale pur sempre la bellezza d
i 4,5 miliardi. Tradotto in soldoni vuol dire 53 volte il valore del suo fatturato di fine 2023 e un numero infinito rispetto alla sua capacità reddituale così modesta. Sarà anche una start up e il business model potrebbe rivelarsi più che vincente: ma a questi prezzi si è tornati al clima da esuberanza irrazionale dell’anno 2000.