Il debito 2005 degli italiani: 1.507,6 miliardi €

Le voci di spesa maggiore sono le pensioni e sanità ...credo.
 
Io ho:
1507.000.000.000 / 58.000.000 = 26.000 € di debito.
Per favore... date 26.000 € a cranio e risolviamo il problema...che ce vò.
 
Dalle chiese agli immobili, la mappa del Tesoro Il patrimonio dello Stato? I libri valgono 11 miliardi
ROMA - Per essere ricco, lo Stato italiano è ricco. Anche se qualche proprietà è davvero sottostimata. Nessuno può dire, per esempio, quanto vale il Colosseo. Ma sembra impossibile che se vendesse l’Anfiteatro Flavio e pure le altre migliaia di «beni archeologici», il Demanio incasserebbe soltanto quei 589,6 milioni di euro che, secondo l’ultimo documento sul patrimonio statale della Ragioneria, rappresentavano tutto il loro valore alla fine del 2004. Anche perché è assurdo che in un Paese come l’Italia questa voce possa valere immensamente meno di quella «armi e armamenti militari»: 42,8 miliardi (42.846.304.920 euro, esattamente). Una somma, per giunta, cresciuta di ben 4 miliardi rispetto al 2001, mentre i «beni archeologici» sono stati rivalutati di appena 75 milioni. E che non comprende nemmeno le caserme, computate in un altro capitolo dello stato patrimoniale, quello dei «fabbricati adibiti a uso istituzionale». Valore: 19,2 miliardi, 5,6 in più rispetto al 2001. Alla faccia della cura dimagrante (soltanto promessa) della pubblica amministrazione. Le armi e gli immobili sono la fetta più rilevante del patrimonio «non finanziario» dello Stato, valutato 99,4 miliardi nel 2004, contro i 75,9 di tre anni prima. Ci sono poi le attività «finanziarie», fra cui le aziende pubbliche, che portano il totale a 531,9 miliardi. Ma ancora una somma non in grado di compensare le passività (fra cui il debito pubblico), che hanno raggiunto 1.870,8 miliardi, con un aumento tale, fra il 2001 e il 2004, che ha determinato, dice la Ragioneria, «un peggioramento patrimoniale di oltre 174,5 miliardi». E se in realtà le proprietà pubbliche sono molte di più, considerando anche gli enti locali, non c’è proprio da stare allegri.
Meglio allora consolarsi con un buon libro. E i libri davvero non mancano. Degli oltre 13 miliardi di euro di «oggetti d’arte» censiti dalla Ragioneria, ben 11,5 sono infatti «beni librari». Poi ci sono i «beni artistici» come quadri e statue. In tutto 912,9 milioni: somma irrisoria, per il Paese con il record di opere d’arte al mondo. Tanto più che nel 2001 questi beni erano iscritti a bilancio per 300 milioni. Per non parlare delle «opere destinate al culto», la cui valutazione, pure quasi quintuplicata fra il 2001 e il 2004, non supera comunque i 234,7 milioni. Cifra dieci volte inferiore a quella relativa alle «strade ferrate», comprese locomotive e vagoni. E pure più piccola rispetto al presunto valore dei «terreni coltivati»: 421,4 milioni. Perché quando si parla di Stato imprenditore non si può tralasciare nemmeno lo Stato contadino.
Sergio Rizzo



FINANZA E CONTROLLI Nel fortino della Ragioneria tra l’Authority sui conti e il pressing del governo
ROMA - «...Per quanto di mia competenza». Nero su bianco, Mario Canzio ha voluto mettere le cose in chiaro. Per carità, spiegano i suoi, il Ragioniere Generale sarebbe pronto a mettere la mano sul fuoco sull’attendibilità della Trimestrale. Però, aggiungono, alla Ragioneria non compete la definizione del quadro macroeconomico futuro, cioè la stima sulla crescita del prodotto interno lordo. Né quella sulle entrate fiscali. Quei numeri arrivano dalla Direzione del Tesoro e dalla Direzione delle Politiche Fiscali del ministero. E sui numeri arrivati quest’anno, almeno quelli sulle entrate, qualche discussione c’è stata. Niente di trascendentale, roba da meno di un miliardo di euro, lo 0,05% del pil. Però Canzio ha voluto mettere comunque i puntini sulle «i». E dopo uno scambio di vedute con le Politiche Fiscali, ha preso carta e penna. Per assumersi sì tutta la responsabilità della Trimestrale, ma «per quanto di mia competenza». Ciò premesso, il Ragioniere è pronto a giurare sui numeri della Relazione di cassa. E dicono sia sinceramente dispiaciuto che qualcuno lo abbia messo in dubbio. Non che tutto fili liscio. Anche di recente, in periodo elettorale, Canzio ha dovuto bloccare per mancanza di copertura almeno un paio di provvedimenti su cui i partiti contavano molto. Il condono dei contributi previdenziali agricoli, voluto da An, che sarebbe costato 2,5 miliardi e non i 200 milioni stimati. Poi la riduzione dei premi Inail sugli infortuni, che Berlusconi aveva promesso agli artigiani, ma che avrebbe appesantito il deficit di 1,3 miliardi. Ha bloccato l’Autorità di vigilanza sui Lavori Pubblici, che voleva lo stesso trattamento della Banca d’Italia. E forse dovrà dire ancora una volta no all’assunzione dei 3.500 precari della scuola decisa ieri dal Consiglio dei ministri.
Però con Tremonti la Ragioneria assicura che non c’è stato alcun problema. «Se domani un nuovo governo mi chiedesse una due diligence sui conti, gli darei questa Trimestrale» avrebbe detto Canzio nei giorni scorsi. Ben sapendo che qualunque governo vorrà per prima cosa vedere bene i conti. Che sia affidando l’esame a quell’autorità indipendente la cui creazione era stata anche ventilata dal centrosinistra, o a qualche altro organismo. La due diligence , dunque, c’è. E basta leggerla per capire che, al di là dei decimali e delle polemiche elettorali, la situazione del bilancio è seria. Senza margini di manovra per chiunque dovesse governare. Il 3,8% di deficit nel 2006 si può fare, avverte la Ragioneria, ma solo se tutte le misure della Finanziaria offriranno il gettito atteso. Fino all’ultimo centesimo.
Ma c’è di più, perché la Ragioneria mette in guardia anche da altri rischi. Il tetto del 2% alla spesa pubblica di ogni amministrazione, ad esempio, è una gabbia invalicabile. Se anche ci fossero risorse aggiuntive, insomma, non si potrebbero spendere. A meno di non ridurre altrettanto la spesa. Sennò saltano i saldi del bilancio, spiega la Ragioneria. Ancora, centrare quel 3,8% presuppone il controllo di tutte le operazioni finanziarie dello Stato, che non a caso sono bloccate. Perché da lì può uscir fuori nuovo deficit, e nuovo debito. Come è successo per i contributi all’Eurofighter, usati per un mutuo e conteggiati da Eurostat come debito. A prescindere dalle stime sulla crescita del pil e le entrate, la due diligence c’è. Il nuovo governo, quale che sia, è avvisato.
Mario Sensini




Il debito pubblico sale E sfiora il 108% del Pil Tremonti: ci sarà da vigilare ma il disavanzo è a posto Fassino: è contento solo lui. «Sono stime ottimistiche»
ROMA - «Ci sarà da vigilare, da fare manutenzione, ma i conti sono a posto». Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, non ha dubbi. I dati della Trimestrale consegnata ieri in Parlamento mantengono l’Italia in linea con gli impegni europei. «Tanto più - dice il ministro - che il fabbisogno dei primi mesi di quest’anno continua a migliorare». L’opposizione, però, contesta non solo l’ottimismo del ministro, ma anche la bontà dei numeri predisposti dalla Ragioneria. Mentre tra gli analisti cresce la preoccupazione per il debito pubblico che aumenta. Nella Trimestrale il dato sul debito previsto per quest’anno non c’è, ma secondo gli analisti (tra cui c’è chi dubita anche delle previsioni sul deficit, come Anna Maria Grimaldi, di Banca Intesa), sommando al vecchio debito il nuovo fabbisogno, si arriverebbe a sfiorare quota 108% del prodotto interno lordo. Per di più l’avanzo primario, cioè la differenza tra entrate e spese al netto degli interessi, nel 2006 dovrebbe risalire in modo molto modesto. Dallo 0,5% del pil (6,6 miliardi di euro, quando nel 2000 erano 65,5 miliardi), allo 0,6%. E l’avanzo primario è un elemento cruciale per la riduzione del debito, che è il vero problema della finanza pubblica italiana. Tanto che le società di rating hanno già preannunciato un declassamento se dopo le elezioni il nuovo governo non attuerà una strategia credibile per la sua riduzione.
A meno di operazioni straordinarie, dunque, grazie al deficit del 3,8% che si registrerà quest’anno, il debito è destinato ad aumentare rispetto al 106,4% dell’anno scorso. Sarebbe il secondo aumento consecutivo dopo dieci anni di continua discesa. E c’è da dire che quel 3,8% di deficit non è poi così sicuro. Il raggiungimento dell’obiettivo, si dice nella Trimestrale, sconta la piena attuazione di tutte le misure previste con la Finanziaria del 2006 e le varie manovre correttive di fine 2005. In più presuppone la massima attenzione sulle operazioni finanziarie dello Stato. E il mantenimento rigoroso del tetto del 2% alla crescita della spesa. La relazione stessa sottolinea come «l’impegno richiesto alle amministrazioni pubbliche è gravoso, ma indispensabile». Il risultato 2006 si otterrebbe grazie a una crescita consistente delle entrate fiscali, pari al 5,4% (?5,3 le imposte dirette, ?5,5 le indirette). Sarebbero 20 miliardi di euro in più rispetto al 2005, quando le entrate tributare sono aumentate dello 0,3%.
Numeri che non convincono affatto il centrosinistra. Che con il Ds Vincenzo Visco denuncia una sovrastima delle entrate e una sottostima delle spese, mentre anche la Cgil parla di «conti taroccati». Il segretario Ds, Piero Fassino, accusa Tremonti: «Solo lui è contento quando le cose vanno peggio, l’economia è in crisi». Anche la Margherita è preoccupata: «Il Paese è malato, servono cure efficaci, non gli illusionismi della destra». M. Sen.
corriere
 
Lims ha scritto:
Io ho:
1507.000.000.000 / 58.000.000 = 26.000 € di debito.
Per favore... date 26.000 € a cranio e risolviamo il problema...che ce vò.
mica stupida l idea.

Basterebbe una bella TASSA :D :D per la quota interessi e via! :D :D
 
Fs, tutto si riduce tranne i manager



Binari morenti Ai tempi di Ligato, 216 mila lavoratori e 658 capi. Oggi, in epoca Catania-Testore, i primi sono scesi a 97 mila e i secondi sono saliti a milleduecento Fs, tutto si riduce tranne i manager In vent’anni dipendenti più che dimezzati. Traffico e mezzi in calo. I dirigenti? Raddoppiati
La colpa, dicono, è anche delle tariffe che sono ferme ormai da tempo immemore. L’adeguamento lo aspettano almeno dal 2001, quando il ministro dell’Economia Giulio Tremonti bloccò una decisione già presa dal suo collega delle Infrastrutture, Pietro Lunardi. Ma se le Ferrovie, dopo la brevissima stagione dei bilanci in pareggio, sono ripiombate nel profondo rosso, non è soltanto perché il governo non consente di aumentare i biglietti. Giulio Andreotti divise in due categorie i malati di mente: «C’è chi si crede Napoleone e chi pensa di risanare le Ferrovie». Il problema è, però, che matti della seconda categoria non se ne sono quasi mai visti.
L’incredibile storia degli ultimi vent’anni delle Fs è nella tabella pubblicata a pagina 10. Dove si racconta come l’unico risultato ottenuto sia stata la diminuzione di 120 mila dipendenti, la riduzione delle linee e dei mezzi, e il calo delle quote di mercato. Il tutto a un costo che si può stimare, fra perdite d’esercizio e contributi dello Stato, in 150 miliardi di euro di oggi: il 10% dell’intero debito pubblico nazionale. E questo senza considerare gli investimenti per l’Alta capacità, avviata nel 1991, iniziata materialmente nel 1994, e ancora da completare.
Nel 1985, quando al timone delle Fs c’era un signore che si chiamava Lodovico Ligato, i dipendenti erano ben 216.128, di cui 658 dirigenti. Pochi, strapagati, non licenziabili per legge. Una condizione tanto pregiata, e quindi altrettanto ambita, che quello dei dirigenti, negli ultimi vent’anni, è l’unico numero che sia aumentato. Nel 1995, all’epoca di Lorenzo Necci, il personale era già sceso a 126.061 unità. I dirigenti, invece, erano diventati 962. Nel 2000, con Giancarlo Cimoli, i ferrovieri si erano ancora ridotti a 106.180, e anche il numero dei dirigenti aveva accusato una lieve flessione, scendendo a 892. E si arriva al 2005, con Elio Catania. Secondo i numeri elaborati da Dimensione trasporti, l’associazione fra i dirigenti delle Ferrovie, sulla base dei dati aziendali, il personale è sceso sotto la soglia delle 100 mila unità: 97.600, per l’esattezza. I dirigenti, però, hanno ripreso a crescere, arrivando a 1.200.
Anche la rete, nel frattempo, si è assottigliata. Dai 16.183 chilometri del 1985 è scesa nel 2004 a 15.915 chilometri. Le linee a binario unico sono rimaste pressoché le stesse: da 10.709 a 9.554 chilometri. E quelle a doppio binario sono aumentate di poco: da 5.474 a 6.361 chilometri.
I dati più impressionanti, tuttavia, sono quelli che riguardano i mezzi. I locomotori, che erano 5.620 ai tempi di Ligato, con Catania si sono ridotti a 4.732. Ci sono ancora 22 locomotive a vapore, che nel 1985 erano 52. Le carrozze e i rimorchi, il cui numero era di 13.322 vent’anni fa, nel 2004 era sceso a 8.658.
Del resto, ci saranno anche delle ragioni se le Ferrovie dello Stato controllavano nel 1985 il 12,5% del traffico merci italiano e se questa quota si è ridotta ora all’11%. E la flessione non riguarda soltanto le merci. Nel 1985 l’11,25% dei viaggiatori italiani si spostavano con il treno. Ora chi sceglie questo mezzo di trasporto è appena il 9,09%.
Per avere un’idea più chiara della situazione, è sufficiente dare un’occhiata ai preconsuntivi del 2005, contenuti in un documento «strettamente riservato» per uso interno delle Ferrovie. Mentre in Italia il traffico di merci e persone continua ad aumentare, i «volumi» delle Fs continuano a scendere. Lo scorso anno è stata registrata una flessione dello 0,6% rispetto al 2004. corriere
 
Lims ha scritto:
Io ho:
1507.000.000.000 / 58.000.000 = 26.000 € di debito.
Per favore... date 26.000 € a cranio e risolviamo il problema...che ce vò.
siamo già in default una famiglia media viaggia con 100k di debito e questi ***** di comunisti vogliono ancora sprecare soldi.
 
Debito pubblico, i titoli a lungo termine adesso possono costituire un handicap


CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

I conti pubblici dell’Italia destano da tempo preoccupazione: l’indebitamento è salito al 4,1% del Pil nel 2005 e potrebbe peggiorare. Ma sotto i riflettori è soprattutto il debito pubblico: nel 2005 si è attestato al 106,4% in rapporto al Pil, aumentando per la prima volta dal 1995. Quest’anno si teme un ulteriore rialzo. Dall’entrata nell’Unione Monetaria, il governo può agire sulla spesa per il servizio del debito solo modificando la composizione del debito stesso. Esiste un tradeoff: una minore vita media del debito e un maggiore peso di passività a tasso variabile comportano interessi passivi minori, ma maggiore sensitività alle decisioni della Bce.
Negli ultimi venti anni la composizione dello stock dei titoli di Stato, pari a circa l’82% del debito, è cambiata: è salito il peso dei Btp (mediolungo termine) ed è sceso quello di Bot (breve termine) e Cct (medio termine). Al febbraio 2006, i Btp rappresentano il 62% dello stock, rispetto all’8% dei primi anni ’80. I Bot, viceversa, sono scesi al 10,2% e i Cct al 16,3%. Ciò ha determinato un aumento della vita media del debito: da 1,13 anni del 1982 a 6,6 anni. Si è registrata inoltre una riduzione del peso dei titoli a tasso variabile: nel 1993 erano il 62% del totale, contro il 34% nel 2005. La sensitività degli interessi passivi della PA ai tassi è quindi diminuita. Il costo di tale manovra è nel fatto che il rendimento su Bot e Cct è molto inferiore a quello sui Btp: un maggior peso di tali titoli produrrebbe oggi minori interessi passivi.
Per il Tesoro cambiare la composizione dello stock, accrescendo l’emissione netta di specifici titoli, è agevole: dalle aste risulta che è l’offerta, sempre molto inferiore alla domanda, a determinare le quantità scambiate. Tutto questo è avvenuto insieme alla riduzione di tassi e rendimenti registrata dall’inizio degli anni ’90: quello sui Bot è sceso dal 12,4 del 1990 al 2,1% del 2005 e quello sui Btp dal 13,8 al 3,1%. Il rendimento medio sui titoli è sceso al minimo del 2,5% nel 2005. Tuttavia, sul finire del 2005 i rendimenti sono cresciuti. In termini annui solo quelli su Bot a 6mesi e Cct sono cresciuti, di un decimo di punto; gli altri sono calati ancora. Ma data la risalita dei tassi in atto e il ricambio a scadenza dei titoli, il rendimento medio è destinato a salire, ma continuerà ad esserci una spinta al ribasso grazie al ricambio di titoli a lunga scadenza con rendimenti molto più alti degli attuali.
L’emissione lorda totale nel 2005 è stata pari al 33,1% dello stock di titoli. Ma ogni anno il rinnovo riguarda in gran parte i Bot che hanno scadenza infrannuale e superano quindi nettamente i Btp per emissione lorda: nel 2005 ne hanno rappresentato il 54,3% (in lenta crescita dal minimo del 1999) contro il 28,5% dei Btp. Peraltro, negli ultimi anni le emissioni lorde dei principali titoli stanno tendendo a coprire appena i valori in scadenza, in una stabilizzazione della composizione interrotta forse nel 2006 dalla risalita dell’emissione netta proprio dei Bot.
Nel corso del 2006 e del prossimo anno gli interessi passivi quindi potrebbero non contribuire più, come nel passato decennio, alla riduzione dell’indebitamento.
Anna Ruocco, Ciro Rapacciuolo A&F
 
Indietro