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15 ottobre 2014
di Detlev Schlichter
Il voltafaccia di Draghi di due settimane fa ha incoraggiato la maggioranza keynesiana nei media e nei dipartimenti di ricerca economica. Ha iniettato nuova vita nella loro campagna implacabile per un intervento dello stato nell'economia dell'Eurozona. Questa nuova euforia non è stata avviata dal qualcosa che la BCE ha fatto (o annunciato). Come al solito, le misure non sono risultate all'altezza delle aspettative dei sostenitori instancabili dello "stimolo". Per il vero keynesiano, nessun tasso di interesse è mai abbastanza basso, nessun programma di "quantitative easing" è mai abbastanza ambizioso e nessun deficit fiscale è mai abbastanza grande. Ma con il suo discorso di "stimolare la domanda" e le sue richieste di "flessibilità fiscale", Draghi ha finalmente parlato in gergo keynesiano. E' stato questo che ha infiammato i cuori.
"I cori degli angeli devono aver cantato quando si è compreso che la zona Euro ha un problema con la domanda," ha scritto entusiasta Martin Wolf, capo guardiano della fede keynesiana al Financial Times. Ricordate che la mancanza di domanda, nella religione keynesiana, equivale al peccato originale ed alla fonte di tutti i problemi economici. "La domanda aggregata" è la somma di tutte le singole domande e tutti gli individui non stanno domandando abbastanza. Come si è venuta a creare una tale situazione? Qui i keynesiani sono meno precisi. O le persone hanno risparmiato troppo ("l'eccesso di risparmio" cattivo), o hanno investito troppo poco, forse hanno smarrito i loro spiriti animali, o hanno vissuto un momento di Minsky e gravato con troppi rischi i loro bilanci. In ogni caso il settore privato è chiaramente in errore, il che significa che il settore pubblico deve intervenire e, nell'interesse del bene comune, iniettare la propria domanda, cioè "stimolare" l'economia spendendo i soldi degli altri e stampando denaro. La mancanza di "domanda aggregata" è evidentemente una qualche forma di impotenza collettiva che richiede una forte dose di intervento dello stato in modo che compensi la domanda aggregata persa.
Wolf pensa che i deficit debbano essere più alti, preferibilmente in linea con investimenti pubblici e tagli fiscali, e, naturalmente, ci dovrebbe essere un qualche quantitative easing, non solo i magri acquisti da €750 miliardi di titoli garantiti da asset che la BCE ha promesso durante l'ultima incontro. (Purtroppo per Draghi, i paletti di ciò che costituisce un vero QE sono stati segretamente spostati. Solo l'acquisto di titoli di stato è ritenuto degno di questo marchio.)
In tutta onestà, nei confronti del presidente della BCE va detto che ha parlato della necessità di una riforma strutturale, ma come al solito questo per i keynesiani rappresenta uno strazio. "La mia opinione è che le riforme strutturali sono per lo più irrilevanti per la ripresa", osserva Wolfgang Münchau, collega di Wolf al FT. Quello che vuole Münchau è una maggiore spesa fiscale e rotative più arroventate. Le riforme strutturali – la cui necessità, secondo lui, è "irrilevante" – dovrebbero rappresentare solo uno specchietto per le allodole per mantenere buoni i tedeschi. Egli immagina che un "bombardamento a tappeto" monetario e fiscale possa forzare l'economia a crescere di più!
Per commentatori come questi, la prospettiva di una Germania con un bilancio in pareggio (potenzialmente nel 2015, sarebbe il primo sin dal 1969) può causare convulsioni apoplettiche. Secondo il Wall Street Journal, il settimanale sinistroide Der Spiegel ha definito l'obiettivo un "feticcio", dichiarando che "un programma di investimenti per la Germania rappresenterebbe un atto di solidarietà europea." Inoltre il FT sostiene che le previsioni per i deficit nell'Eurozona "al 2.5%" rappresentano una politica di bilancio "troppo stretta".
Nel frattempo in Giappone...
Le cose forse vanno molto meglio in Giappone, un posto chiaramente non gestito da Teutoni spaventati dall'inflazione ed ossessionati dall'austerità, e negli ultimi 20 anni è stata la patria della "flessibilità fiscale".
"Il Giappone ha avuto deficit di bilancio pari all'8.4% del PIL l'anno scorso, ed aveva anche un debito pubblico pari al 245% del PIL (!), il più alto tra le principali economie", come ha riportato il Wall Street Journal la scorsa settimana. Beh, deve essere stata iniettata un sacco di domanda aggregata nell'economia!
Sin dalla bolla degli anni '80 scoppiata poi nel 1989, il paese ha implementato l'intero libro guida del keynesismo e l'ha fatto ripetutamente, ma in particolare ha impiegato ad nauseam la proposta di Wolf, Der Spiegel e Münchau di "investimenti pubblici "per stimolare l'economia – senza alcun risultato, altro che causare deficit sempre più grandi.
Attingendo da fonti del FMI, Wikipedia ha compilato il seguente elenco di politiche di stimolo suicide: "Tra il 1992 e il 1995, il Giappone ha provato sei programmi di spesa per un totale di ¥65.5 bilioni e ha tagliato le aliquote fiscali sul reddito nel 1994. Nel gennaio 1998, il Giappone ha temporaneamente tagliato di nuovo le tasse per un totale di ¥2 bilioni. Poi, nell'aprile dello stesso anno, il governo ha presentato un pacchetto di stimolo fiscale da ¥16.7 bilioni, quasi la metà dei quali finiti nelle opere pubbliche. Nel novembre 1998 venne annunciato un altro pacchetto di stimolo fiscale da ¥23.9 bilioni. Un anno dopo (novembre 1999), venne provato un altro pacchetto di stimolo fiscale da ¥18 bilioni. Infine, nell'ottobre 2000, il Giappone ha annunciato l'ennesimo pacchetto di stimolo fiscale da ¥11 bilioni. Nel corso degli anni '90, il Giappone ha provato 10 pacchetti di stimolo fiscale per un totale di oltre ¥100 bilioni, ed ognuno ha fallito nel curare la recessione. L'unica cosa che sono riusciti a fare è stato peggiorare lo status fiscale del Giappone."
Oh, ma la lista non sarebbe completa senza questa frase:
"La politica monetaria espansiva del Giappone non è riuscita a generare la ripresa."
Per 18 anni i tassi ufficiali del Giappone non sono saliti al di sopra dell'1%. Il Paese è stato per più di 20 anni il ratto da laboratorio del keynesismo applicato – e dire che i risultati promessi non si sono materializzati è un eufemismo.
Per minimizzare il misero fallimento del keynesismo in Giappone, i commentatori solgono dire che l'inflazione è troppo bassa affinché il pump priming fiscale possa funzionare. E' colpa della deflazione – anche se in Giappone l'indice dei prezzi al consumo è rimasto invariato negli ultimi 10 anni. In netto contrasto con ciò che i media vogliono far credere, in Giappone c'è stata stabilità dei prezzi (più o meno). E' vero, la Banca del Giappone non ha tenuto sempre accesa la stampante monetaria, e ha intercambiato agli attacchi di QE un approccio più calmo. Evidentemente il keynesismo funziona solo se alla spesa fiscale sconsiderata viene affiancata una stampa di denaro altrettanto sconsiderata. E questo è il cuore dell'Abenomics, iniziato nel 2013 con la promessa di porre fine alla "deflazione" (stabilità dei prezzi) tra gli applausi della fratellanza keynesiana globale. Negli ultimi 12 mesi, il Giappone non solo ha fatto registrare il più grande deficit fiscale, ma la sua banca centrale ha sperimentato uno degli aumenti più veloci del bilancio in tutto il mondo sviluppato. Se qualcuno ha provato l'approccio "bombardamento a tappeto" di Münchau, questo è stato il Giappone.
Ecco di nuovo il Wall Street Journal:
"I dati rivisti [...] hanno mostrato che il prodotto interno lordo del paese si è contratto del 7.1% nel trimestre aprile-giugno rispetto a quello precedente, poiché le imprese ed i consumatori si sono spaventati dopo che il governo ha aumentato le imposte sulle vendite."
Che cosa? – Dopo 20 anni di stimolo fiscale e stampa monetaria a tavoletta, un aumento del 3% della tassa sulle vendite fa schiantare l'economia?
"Anche se era una conclusione scontata che l'impatto negativo della tassa incidesse sul forte calo del PIL, gli analisti esprimono ancora preoccupazione. [...] 'Tutto sta calando – consumi, spese in conto capitale, investimenti in abitazioni ed infrastrutture. Non va affatto bene', ha detto in un'intervista Etsuro Honda, consigliere economico dell'amministrazione Abe."
Si parla ora di rinviare il prossimo aumento delle tasse, che tra l'altro non risolverà il vero problema del Giappone: un fardello di debito crescente.
Ma hey, perché non inaugurare qualche altro "investimento pubblico" extra per stimolare l'economia?
Sorpresi? Non dovreste
Non posso escludere che tutta questa folle iperattività possa causare un trimestre strano mostrando un po' di crescita. Forse i giapponesi vedranno esaudito il loro desiderio di una maggiore inflazione, rendimenti più elevati ed una moneta svalutata. (Meglio stare attenti a ciò che si desidera!) Possiamo escludere con sicurezza che questo programma keynesiano libererà un giorno gli spiriti animali giapponesi e condurrà l'economia su un sentiero di crescita equilibrata ed autosufficiente. Queste politiche sono parte del problema, non sono la soluzione.
Niente di tutto questo dovrebbe lasciarvi sorpresi. Il keynesismo fallirà, ma non lo sappiamo grazie al Giappone. Basta solo uno sguardo ai suoi fondamenti teorici deboli. Questo è ciò che fece un giornalista più di 50 anni fa: l'incomparabile Henry Hazlitt, che era il principale editorialista su finanza ed economia presso il New York Times (1934-1946), e che nel 1959 pubblicò la sua dissezione critica della Teoria Generale di Keynes. Hazlitt spiegò perché le politiche keynesiane falliscono inesorabilmente. Quelli sì che erano bei tempi per il giornalismo, non oggi con tutta questa implacabile propaganda sulla necessità di un maggiore "stimolo".
Ciò che probabilmente irrita di più delle tesi keynesiane, ostentate con una certa sfacciataggine dai più illusi, è che questi commentatori evocano lo spettro di un "decennio perduto in stile Giappone" anche in Europa se i loro consigli cadranno nel vuoto. E' allucinante.
Nonostante il nuovo amore tra Draghi ed i keynesiani, credo che ci sia ancora resistenza alle tesi keynesiane in Germania e tra il contingente settentrionale della zona Euro. Questi paesi restano del parere (ragionevole) che senza cambiamenti strutturali in Francia e in Italia, senza riforme che aumentino la loro competitività, senza la riduzione del loro tasso di disoccupazione e senza la stabilizzazione delle loro prospettive di bilancio, Germania e Co. rischiano di pagare per eventuali problemi fiscali in questi Paesi. Il mercato è del parere che il carico di debito è già stato condiviso in gran parte tramite la BCE. Ricordate la promessa pericolosa di Draghi di "fare tutto il necessario", essa è profondamente impopolare in Germania. Inoltre non è così semplice. Quando uno dei grandi Paesi affronterà il suo momento greco, Draghi scoprirà che dopo tutto non potrà fare più di tanto. Credo che il governo tedesco riuscirà ad ottenere ciò che vuole: i governi francese ed italiano devono fare i compiti. C'è poco appetito per una qualsiasi avventura fiscale à la Keynes.
Ma Wolf e Münchau non dovrebbero disperarsi. Possono sempre godere dei meravigliosi successi del Keynesismo ogni qual volta che guardano al Giappone.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli
Read more: Johnny Cloaca's Freedonia: Keynes è stato un fallimento in Giappone – Non c'è bisogno di adottarlo anche in Europa
di Detlev Schlichter
Il voltafaccia di Draghi di due settimane fa ha incoraggiato la maggioranza keynesiana nei media e nei dipartimenti di ricerca economica. Ha iniettato nuova vita nella loro campagna implacabile per un intervento dello stato nell'economia dell'Eurozona. Questa nuova euforia non è stata avviata dal qualcosa che la BCE ha fatto (o annunciato). Come al solito, le misure non sono risultate all'altezza delle aspettative dei sostenitori instancabili dello "stimolo". Per il vero keynesiano, nessun tasso di interesse è mai abbastanza basso, nessun programma di "quantitative easing" è mai abbastanza ambizioso e nessun deficit fiscale è mai abbastanza grande. Ma con il suo discorso di "stimolare la domanda" e le sue richieste di "flessibilità fiscale", Draghi ha finalmente parlato in gergo keynesiano. E' stato questo che ha infiammato i cuori.
"I cori degli angeli devono aver cantato quando si è compreso che la zona Euro ha un problema con la domanda," ha scritto entusiasta Martin Wolf, capo guardiano della fede keynesiana al Financial Times. Ricordate che la mancanza di domanda, nella religione keynesiana, equivale al peccato originale ed alla fonte di tutti i problemi economici. "La domanda aggregata" è la somma di tutte le singole domande e tutti gli individui non stanno domandando abbastanza. Come si è venuta a creare una tale situazione? Qui i keynesiani sono meno precisi. O le persone hanno risparmiato troppo ("l'eccesso di risparmio" cattivo), o hanno investito troppo poco, forse hanno smarrito i loro spiriti animali, o hanno vissuto un momento di Minsky e gravato con troppi rischi i loro bilanci. In ogni caso il settore privato è chiaramente in errore, il che significa che il settore pubblico deve intervenire e, nell'interesse del bene comune, iniettare la propria domanda, cioè "stimolare" l'economia spendendo i soldi degli altri e stampando denaro. La mancanza di "domanda aggregata" è evidentemente una qualche forma di impotenza collettiva che richiede una forte dose di intervento dello stato in modo che compensi la domanda aggregata persa.
Wolf pensa che i deficit debbano essere più alti, preferibilmente in linea con investimenti pubblici e tagli fiscali, e, naturalmente, ci dovrebbe essere un qualche quantitative easing, non solo i magri acquisti da €750 miliardi di titoli garantiti da asset che la BCE ha promesso durante l'ultima incontro. (Purtroppo per Draghi, i paletti di ciò che costituisce un vero QE sono stati segretamente spostati. Solo l'acquisto di titoli di stato è ritenuto degno di questo marchio.)
In tutta onestà, nei confronti del presidente della BCE va detto che ha parlato della necessità di una riforma strutturale, ma come al solito questo per i keynesiani rappresenta uno strazio. "La mia opinione è che le riforme strutturali sono per lo più irrilevanti per la ripresa", osserva Wolfgang Münchau, collega di Wolf al FT. Quello che vuole Münchau è una maggiore spesa fiscale e rotative più arroventate. Le riforme strutturali – la cui necessità, secondo lui, è "irrilevante" – dovrebbero rappresentare solo uno specchietto per le allodole per mantenere buoni i tedeschi. Egli immagina che un "bombardamento a tappeto" monetario e fiscale possa forzare l'economia a crescere di più!
Per commentatori come questi, la prospettiva di una Germania con un bilancio in pareggio (potenzialmente nel 2015, sarebbe il primo sin dal 1969) può causare convulsioni apoplettiche. Secondo il Wall Street Journal, il settimanale sinistroide Der Spiegel ha definito l'obiettivo un "feticcio", dichiarando che "un programma di investimenti per la Germania rappresenterebbe un atto di solidarietà europea." Inoltre il FT sostiene che le previsioni per i deficit nell'Eurozona "al 2.5%" rappresentano una politica di bilancio "troppo stretta".
Nel frattempo in Giappone...
Le cose forse vanno molto meglio in Giappone, un posto chiaramente non gestito da Teutoni spaventati dall'inflazione ed ossessionati dall'austerità, e negli ultimi 20 anni è stata la patria della "flessibilità fiscale".
"Il Giappone ha avuto deficit di bilancio pari all'8.4% del PIL l'anno scorso, ed aveva anche un debito pubblico pari al 245% del PIL (!), il più alto tra le principali economie", come ha riportato il Wall Street Journal la scorsa settimana. Beh, deve essere stata iniettata un sacco di domanda aggregata nell'economia!
Sin dalla bolla degli anni '80 scoppiata poi nel 1989, il paese ha implementato l'intero libro guida del keynesismo e l'ha fatto ripetutamente, ma in particolare ha impiegato ad nauseam la proposta di Wolf, Der Spiegel e Münchau di "investimenti pubblici "per stimolare l'economia – senza alcun risultato, altro che causare deficit sempre più grandi.
Attingendo da fonti del FMI, Wikipedia ha compilato il seguente elenco di politiche di stimolo suicide: "Tra il 1992 e il 1995, il Giappone ha provato sei programmi di spesa per un totale di ¥65.5 bilioni e ha tagliato le aliquote fiscali sul reddito nel 1994. Nel gennaio 1998, il Giappone ha temporaneamente tagliato di nuovo le tasse per un totale di ¥2 bilioni. Poi, nell'aprile dello stesso anno, il governo ha presentato un pacchetto di stimolo fiscale da ¥16.7 bilioni, quasi la metà dei quali finiti nelle opere pubbliche. Nel novembre 1998 venne annunciato un altro pacchetto di stimolo fiscale da ¥23.9 bilioni. Un anno dopo (novembre 1999), venne provato un altro pacchetto di stimolo fiscale da ¥18 bilioni. Infine, nell'ottobre 2000, il Giappone ha annunciato l'ennesimo pacchetto di stimolo fiscale da ¥11 bilioni. Nel corso degli anni '90, il Giappone ha provato 10 pacchetti di stimolo fiscale per un totale di oltre ¥100 bilioni, ed ognuno ha fallito nel curare la recessione. L'unica cosa che sono riusciti a fare è stato peggiorare lo status fiscale del Giappone."
Oh, ma la lista non sarebbe completa senza questa frase:
"La politica monetaria espansiva del Giappone non è riuscita a generare la ripresa."
Per 18 anni i tassi ufficiali del Giappone non sono saliti al di sopra dell'1%. Il Paese è stato per più di 20 anni il ratto da laboratorio del keynesismo applicato – e dire che i risultati promessi non si sono materializzati è un eufemismo.
Per minimizzare il misero fallimento del keynesismo in Giappone, i commentatori solgono dire che l'inflazione è troppo bassa affinché il pump priming fiscale possa funzionare. E' colpa della deflazione – anche se in Giappone l'indice dei prezzi al consumo è rimasto invariato negli ultimi 10 anni. In netto contrasto con ciò che i media vogliono far credere, in Giappone c'è stata stabilità dei prezzi (più o meno). E' vero, la Banca del Giappone non ha tenuto sempre accesa la stampante monetaria, e ha intercambiato agli attacchi di QE un approccio più calmo. Evidentemente il keynesismo funziona solo se alla spesa fiscale sconsiderata viene affiancata una stampa di denaro altrettanto sconsiderata. E questo è il cuore dell'Abenomics, iniziato nel 2013 con la promessa di porre fine alla "deflazione" (stabilità dei prezzi) tra gli applausi della fratellanza keynesiana globale. Negli ultimi 12 mesi, il Giappone non solo ha fatto registrare il più grande deficit fiscale, ma la sua banca centrale ha sperimentato uno degli aumenti più veloci del bilancio in tutto il mondo sviluppato. Se qualcuno ha provato l'approccio "bombardamento a tappeto" di Münchau, questo è stato il Giappone.
Ecco di nuovo il Wall Street Journal:
"I dati rivisti [...] hanno mostrato che il prodotto interno lordo del paese si è contratto del 7.1% nel trimestre aprile-giugno rispetto a quello precedente, poiché le imprese ed i consumatori si sono spaventati dopo che il governo ha aumentato le imposte sulle vendite."
Che cosa? – Dopo 20 anni di stimolo fiscale e stampa monetaria a tavoletta, un aumento del 3% della tassa sulle vendite fa schiantare l'economia?
"Anche se era una conclusione scontata che l'impatto negativo della tassa incidesse sul forte calo del PIL, gli analisti esprimono ancora preoccupazione. [...] 'Tutto sta calando – consumi, spese in conto capitale, investimenti in abitazioni ed infrastrutture. Non va affatto bene', ha detto in un'intervista Etsuro Honda, consigliere economico dell'amministrazione Abe."
Si parla ora di rinviare il prossimo aumento delle tasse, che tra l'altro non risolverà il vero problema del Giappone: un fardello di debito crescente.
Ma hey, perché non inaugurare qualche altro "investimento pubblico" extra per stimolare l'economia?
Sorpresi? Non dovreste
Non posso escludere che tutta questa folle iperattività possa causare un trimestre strano mostrando un po' di crescita. Forse i giapponesi vedranno esaudito il loro desiderio di una maggiore inflazione, rendimenti più elevati ed una moneta svalutata. (Meglio stare attenti a ciò che si desidera!) Possiamo escludere con sicurezza che questo programma keynesiano libererà un giorno gli spiriti animali giapponesi e condurrà l'economia su un sentiero di crescita equilibrata ed autosufficiente. Queste politiche sono parte del problema, non sono la soluzione.
Niente di tutto questo dovrebbe lasciarvi sorpresi. Il keynesismo fallirà, ma non lo sappiamo grazie al Giappone. Basta solo uno sguardo ai suoi fondamenti teorici deboli. Questo è ciò che fece un giornalista più di 50 anni fa: l'incomparabile Henry Hazlitt, che era il principale editorialista su finanza ed economia presso il New York Times (1934-1946), e che nel 1959 pubblicò la sua dissezione critica della Teoria Generale di Keynes. Hazlitt spiegò perché le politiche keynesiane falliscono inesorabilmente. Quelli sì che erano bei tempi per il giornalismo, non oggi con tutta questa implacabile propaganda sulla necessità di un maggiore "stimolo".
Ciò che probabilmente irrita di più delle tesi keynesiane, ostentate con una certa sfacciataggine dai più illusi, è che questi commentatori evocano lo spettro di un "decennio perduto in stile Giappone" anche in Europa se i loro consigli cadranno nel vuoto. E' allucinante.
Nonostante il nuovo amore tra Draghi ed i keynesiani, credo che ci sia ancora resistenza alle tesi keynesiane in Germania e tra il contingente settentrionale della zona Euro. Questi paesi restano del parere (ragionevole) che senza cambiamenti strutturali in Francia e in Italia, senza riforme che aumentino la loro competitività, senza la riduzione del loro tasso di disoccupazione e senza la stabilizzazione delle loro prospettive di bilancio, Germania e Co. rischiano di pagare per eventuali problemi fiscali in questi Paesi. Il mercato è del parere che il carico di debito è già stato condiviso in gran parte tramite la BCE. Ricordate la promessa pericolosa di Draghi di "fare tutto il necessario", essa è profondamente impopolare in Germania. Inoltre non è così semplice. Quando uno dei grandi Paesi affronterà il suo momento greco, Draghi scoprirà che dopo tutto non potrà fare più di tanto. Credo che il governo tedesco riuscirà ad ottenere ciò che vuole: i governi francese ed italiano devono fare i compiti. C'è poco appetito per una qualsiasi avventura fiscale à la Keynes.
Ma Wolf e Münchau non dovrebbero disperarsi. Possono sempre godere dei meravigliosi successi del Keynesismo ogni qual volta che guardano al Giappone.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli
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