India: +15,1% la produzione industriale a febbraio

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un altro gigante che sta accellerando...


In India la produzione industriale è salita a febbraio del 15,1% annuo. Si tratta del sesto rialzo consecutivo sopra il 10%, anche se la crescita è inferiore al 16,7% di gennaio e al 16% atteso dagli analisti. Gli esperti, comunque, giudicano il dato indiano sinonimo di un'industria robusta e vedono aumentare le pressioni sulla Banca centrale per innalzare i tassi di interesse.
 
Il call center indiano sceglie gli Usa


Imprenditori indiani e mercato del lavoro negli Stati Uniti? Un idillio appena nato. A far sbocciare la strana intesa ci ha pensato la crisi economica in America: la ripresa che stenta a decollare e i tassi di disoccupazione saliti alle stelle hanno dato un brutto taglio ai salari nei settori americani più a basso costo. Tra questi c’è anche quello dei Call center dove, negli ultimi due anni, le già misere paghe si sono abbassate ancora di più.

La tendenza non è sfuggita agli imprenditori indiani del settore che ora vogliono trasferire parte della propria forza lavoro in America. Fino a poco tempo fa le rotte del lavoro seguivano il percorso inverso, ma la crisi ha cambiato anche questi percorsi. Oggi sono gli indiani ad approfittare dei bassi livelli di reddito in Usa e possono già speculare sugli altri probabili tagli all’orizzonte americano. In più trasferendosi Oltreoceano riusciranno anche a sfuggire ai progressivi rincari dei salari nel proprio Paese. Qui, a differenza di quanto succede nella gran parte dei Paesi industrializzati, le paghe sono in costante crescita. Del resto l’economia indiana la crisi non l’ha quasi vista. Anzi. Nell’ultimo trimestre il Paese ha messo a segno una crescita boom che è stata più del doppio di quella americana con un incremento dell’8,6% e che, stando alle stime, proseguirà allo stesso ritmo anche negli anni a venire.

Tra gli effetti della robusta dinamica c’è anche quello di un rincaro degli stipendi in molti settori. In quello dei Call-center la tendenza è già in corso: solo da gennaio c’è stato un aumento dei salari del 10% che va a sommarsi ai tanti rialzi che c’erano già stati negli anni precedenti. I callcenteristi indiani rischiano quindi di diventare troppo cari. I loro capi settore già costano più che negli Usa.

Per questo, pochi giorni fa, Pramod Bhasin, numero uno di Genpact, la più grande società indiana di outsourcing, in un intervista al Financial Times ha detto di voler spostare i posti di lavoro negli Stati Uniti. Nei prossimi due anni, il manager indiano, assumerà in America 5 mila nuovi callcenteristi. Non è il solo ad aver preso questa strada. Sresh Vaswani, della società tecnologica indiana Wipro Technologies, gli ha subito fatto eco dicendo che già nei prossimi due anni più della metà dei suoi lavoratori sarà impiegato fuori dai confini dell’India, e possibilmente negli Usa.

Una piccola cura asiatica per un Paese che sta cercando di rianimare il proprio mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione negli Usa oggi è al 9,5% ma secondo gli analisti il livello dei senza lavoro sarebbe ben più alto e arriverebbe fino a quota 17% se nel calcolo si sommano anche tutti quelli che hanno ormai rinunciato a cercare un impiego.

Intanto ieri l’Ocse ha lanciato un nuovo allarme sull’occupazione. Secondo l’organizzazione parigina, per riportare il mercato occupazionale dei Paesi industrializzati ai livelli precedenti alla crisi servono 15 milioni di posti di lavoro, entro il 2011. In alcuni Paesi, ha sottolineato l’Ocse, stanno crescendo i timori su una ripresa «senza lavoro» e su una disoccupazione che diventi «strutturale nel lungo periodo».

A questo punto una soluzione potrebbe arrivare proprio dalle economie emergenti, tanto più che gli indiani all’assalto del mercato del lavoro Usa hanno spacciato la loro avanzata come una sorta di «aiuto allo sviluppo» all’America. «Viste le difficoltà economiche, bisogna aver compassione degli americani e dar loro una mano», ha detto l’imprenditore indiano Bhasin.

Sandra Riccio
 
Rimane senza risposta la seguente domanda:
i callcenteristi USA..sono sfruttati o no ?
o in altre parole: avremo gli Epifani americani
reclamare contro questo sfruttamento ?
 
Rimane senza risposta la seguente domanda:
i callcenteristi USA..sono sfruttati o no ?
o in altre parole: avremo gli Epifani americani
reclamare contro questo sfruttamento ?

---> i callcenter di lingua inglese (fra cui quelli americani) *da tempo* sono state ridislocate in india ed altre nazioni emergenti del commonwealth...se chiedi gli orari ferroviari negli stati unti ti risponde molto probabilmente un telefonista indiano o delle bermude...
 
---> i callcenter di lingua inglese (fra cui quelli americani) *da tempo* sono state ridislocate in india ed altre nazioni emergenti del commonwealth...se chiedi gli orari ferroviari negli stati unti ti risponde molto probabilmente un telefonista indiano o delle bermude...

senti..sono stato il primo a postare che gli esami clinici made in UK
venivano inviati in India per i referti.
Quindi cos'è la delocalizzazione o cmq l'uso di lavoro a prezzi
inferiori lo so bene.
La mia domanda è: i callcenteristi USA pagati più o meno come
quelli indiani....sono dei lavoratori sfruttati...nè più neè meno
di quanto si dice in Italia dei nostri callcenteristi ?
 
Un enorme problema di Cina e India è che non hanno terre arabili a sufficienza per un incremento dei consumi delle loro popolazioni, e neanche acqua.
 
Il call center indiano sceglie gli Usa


Imprenditori indiani e mercato del lavoro negli Stati Uniti? Un idillio appena nato. A far sbocciare la strana intesa ci ha pensato la crisi economica in America: la ripresa che stenta a decollare e i tassi di disoccupazione saliti alle stelle hanno dato un brutto taglio ai salari nei settori americani più a basso costo. Tra questi c’è anche quello dei Call center dove, negli ultimi due anni, le già misere paghe si sono abbassate ancora di più.

La tendenza non è sfuggita agli imprenditori indiani del settore che ora vogliono trasferire parte della propria forza lavoro in America. Fino a poco tempo fa le rotte del lavoro seguivano il percorso inverso, ma la crisi ha cambiato anche questi percorsi. Oggi sono gli indiani ad approfittare dei bassi livelli di reddito in Usa e possono già speculare sugli altri probabili tagli all’orizzonte americano. In più trasferendosi Oltreoceano riusciranno anche a sfuggire ai progressivi rincari dei salari nel proprio Paese. Qui, a differenza di quanto succede nella gran parte dei Paesi industrializzati, le paghe sono in costante crescita. Del resto l’economia indiana la crisi non l’ha quasi vista. Anzi. Nell’ultimo trimestre il Paese ha messo a segno una crescita boom che è stata più del doppio di quella americana con un incremento dell’8,6% e che, stando alle stime, proseguirà allo stesso ritmo anche negli anni a venire.

Tra gli effetti della robusta dinamica c’è anche quello di un rincaro degli stipendi in molti settori. In quello dei Call-center la tendenza è già in corso: solo da gennaio c’è stato un aumento dei salari del 10% che va a sommarsi ai tanti rialzi che c’erano già stati negli anni precedenti. I callcenteristi indiani rischiano quindi di diventare troppo cari. I loro capi settore già costano più che negli Usa.

Per questo, pochi giorni fa, Pramod Bhasin, numero uno di Genpact, la più grande società indiana di outsourcing, in un intervista al Financial Times ha detto di voler spostare i posti di lavoro negli Stati Uniti. Nei prossimi due anni, il manager indiano, assumerà in America 5 mila nuovi callcenteristi. Non è il solo ad aver preso questa strada. Sresh Vaswani, della società tecnologica indiana Wipro Technologies, gli ha subito fatto eco dicendo che già nei prossimi due anni più della metà dei suoi lavoratori sarà impiegato fuori dai confini dell’India, e possibilmente negli Usa.

Una piccola cura asiatica per un Paese che sta cercando di rianimare il proprio mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione negli Usa oggi è al 9,5% ma secondo gli analisti il livello dei senza lavoro sarebbe ben più alto e arriverebbe fino a quota 17% se nel calcolo si sommano anche tutti quelli che hanno ormai rinunciato a cercare un impiego.

Intanto ieri l’Ocse ha lanciato un nuovo allarme sull’occupazione. Secondo l’organizzazione parigina, per riportare il mercato occupazionale dei Paesi industrializzati ai livelli precedenti alla crisi servono 15 milioni di posti di lavoro, entro il 2011. In alcuni Paesi, ha sottolineato l’Ocse, stanno crescendo i timori su una ripresa «senza lavoro» e su una disoccupazione che diventi «strutturale nel lungo periodo».

A questo punto una soluzione potrebbe arrivare proprio dalle economie emergenti, tanto più che gli indiani all’assalto del mercato del lavoro Usa hanno spacciato la loro avanzata come una sorta di «aiuto allo sviluppo» all’America. «Viste le difficoltà economiche, bisogna aver compassione degli americani e dar loro una mano», ha detto l’imprenditore indiano Bhasin.

Sandra Riccio
lol!
 
Il call center indiano sceglie gli Usa


Imprenditori indiani e mercato del lavoro negli Stati Uniti? Un idillio appena nato. A far sbocciare la strana intesa ci ha pensato la crisi economica in America: la ripresa che stenta a decollare e i tassi di disoccupazione saliti alle stelle hanno dato un brutto taglio ai salari nei settori americani più a basso costo. Tra questi c’è anche quello dei Call center dove, negli ultimi due anni, le già misere paghe si sono abbassate ancora di più.

La tendenza non è sfuggita agli imprenditori indiani del settore che ora vogliono trasferire parte della propria forza lavoro in America. Fino a poco tempo fa le rotte del lavoro seguivano il percorso inverso, ma la crisi ha cambiato anche questi percorsi. Oggi sono gli indiani ad approfittare dei bassi livelli di reddito in Usa e possono già speculare sugli altri probabili tagli all’orizzonte americano. In più trasferendosi Oltreoceano riusciranno anche a sfuggire ai progressivi rincari dei salari nel proprio Paese. Qui, a differenza di quanto succede nella gran parte dei Paesi industrializzati, le paghe sono in costante crescita. Del resto l’economia indiana la crisi non l’ha quasi vista. Anzi. Nell’ultimo trimestre il Paese ha messo a segno una crescita boom che è stata più del doppio di quella americana con un incremento dell’8,6% e che, stando alle stime, proseguirà allo stesso ritmo anche negli anni a venire.

Tra gli effetti della robusta dinamica c’è anche quello di un rincaro degli stipendi in molti settori. In quello dei Call-center la tendenza è già in corso: solo da gennaio c’è stato un aumento dei salari del 10% che va a sommarsi ai tanti rialzi che c’erano già stati negli anni precedenti. I callcenteristi indiani rischiano quindi di diventare troppo cari. I loro capi settore già costano più che negli Usa.

Per questo, pochi giorni fa, Pramod Bhasin, numero uno di Genpact, la più grande società indiana di outsourcing, in un intervista al Financial Times ha detto di voler spostare i posti di lavoro negli Stati Uniti. Nei prossimi due anni, il manager indiano, assumerà in America 5 mila nuovi callcenteristi. Non è il solo ad aver preso questa strada. Sresh Vaswani, della società tecnologica indiana Wipro Technologies, gli ha subito fatto eco dicendo che già nei prossimi due anni più della metà dei suoi lavoratori sarà impiegato fuori dai confini dell’India, e possibilmente negli Usa.

Una piccola cura asiatica per un Paese che sta cercando di rianimare il proprio mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione negli Usa oggi è al 9,5% ma secondo gli analisti il livello dei senza lavoro sarebbe ben più alto e arriverebbe fino a quota 17% se nel calcolo si sommano anche tutti quelli che hanno ormai rinunciato a cercare un impiego.

Intanto ieri l’Ocse ha lanciato un nuovo allarme sull’occupazione. Secondo l’organizzazione parigina, per riportare il mercato occupazionale dei Paesi industrializzati ai livelli precedenti alla crisi servono 15 milioni di posti di lavoro, entro il 2011. In alcuni Paesi, ha sottolineato l’Ocse, stanno crescendo i timori su una ripresa «senza lavoro» e su una disoccupazione che diventi «strutturale nel lungo periodo».

A questo punto una soluzione potrebbe arrivare proprio dalle economie emergenti, tanto più che gli indiani all’assalto del mercato del lavoro Usa hanno spacciato la loro avanzata come una sorta di «aiuto allo sviluppo» all’America. «Viste le difficoltà economiche, bisogna aver compassione degli americani e dar loro una mano», ha detto l’imprenditore indiano Bhasin.

Sandra Riccio

pochi mesi fa ho sentito una mia ex collega indiana che ha fatto il dottorato in chimica in Germania con me per farle gli auguri per la sua discussione di tesi. Mi ha detto che finito il dottorato aveva già un accordo per tornare in India a lavorare e che il suo primo stipendio sarebbe stato l'equivalente di circa 1800 euro netti al mese. Quindi, anche se l'articolo ovviamente un po' mi stupisce, diciamo che un po' ci ero preparato.
 
un altro gigante che sta accellerando...


In India la produzione industriale è salita a febbraio del 15,1% annuo. Si tratta del sesto rialzo consecutivo sopra il 10%, anche se la crescita è inferiore al 16,7% di gennaio e al 16% atteso dagli analisti. Gli esperti, comunque, giudicano il dato indiano sinonimo di un'industria robusta e vedono aumentare le pressioni sulla Banca centrale per innalzare i tassi di interesse.

ecco se la cina è stato l'inizio della fine, l'india sarà la nostra fine
prezzi cinesi, apertura alle idee occidentali, lingua inglese ...

prepariamoci, al peggio non c'è mai fine ...
 
ecco se la cina è stato l'inizio della fine, l'india sarà la nostra fine
prezzi cinesi, apertura alle idee occidentali, lingua inglese ...

prepariamoci, al peggio non c'è mai fine ...

solo per sistemare una città come Calcutta
non basteranno 50 anni di crescita indiana...
ma per favore...
 
Ci siete mai stati in India???????
Se volete vedere cosa è l'inferno prima del tempo, fateci un viaggetto e la puzza dell'India non ve la scrollerete di dosso mai......
 
Ci siete mai stati in India???????
Se volete vedere cosa è l'inferno prima del tempo, fateci un viaggetto e la puzza dell'India non ve la scrollerete di dosso mai......

ecco un altro che ci deve andare...
io ho visto in tv..mi è bastato.
Ma Teresa di Calcutta....i lebrosi...i morti per strada..le fogne
a cielo aperto...
occorre vederli dal vivo..o basta la tv ?
 
Un enorme problema di Cina e India è che non hanno terre arabili a sufficienza per un incremento dei consumi delle loro popolazioni, e neanche acqua.


No problem...

Si stanno comprando l'Africa...
 
Metà dell'India, metà, non ha l'energia elettrica.
 
Metà dell'India, metà, non ha l'energia elettrica.

---> come l'italia prima del boom economico...quindi solo di domanda interna hanno almeno altri 100 anni di sviluppo del PIL...
 
Ultima modifica:
Per decretare la fine della supremazia economia occidentale non serve che tutta la cina e l'india raggiungano il 60 % del nostro tenore di vita, è sufficente che ci riesca un terzo.
L'estate è finita, ora inizia l'autunno
 
Ci siete mai stati in India???????
Se volete vedere cosa è l'inferno prima del tempo, fateci un viaggetto e la puzza dell'India non ve la scrollerete di dosso mai......

Ci sono stato parecchie volte fra il 90 e il 2001 per lavoro e per vacanza, è un caleidoscopio che non si liquida in 4 parole.

La situazione migliorava di volta in volta, sempre meno mendicanti e sempre più middle class con tendenze occidentali, slum alle periferie cittadine sempre più ridotti, attività commerciali e industriali in continua crescita.
Certo che se vai tra i villaggi dell'orissa è terzo mondo, se passi per bangalore sembra la silicon valley anche dal punto di vista urbanistico.
 
non va dimenticato che sia la cina, sia l'india hanno singolarmente una popolazione maggiore che tutta l'europa o tutta l'africa.

E' normale che su un numero così grosso di persone restino e resteranno, anche con condizioni medie in netto miglioramento, grosse quantità di poveri e zone arretrate.

Direi che in nessuna parte del mondo esiste un'area geografica che raggruppa un miliardo o un miliardo e mezzo di persone senza grosse sacche di povertà.
 
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