John Hillerman
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«Questa è la telefonata del presidente»: i racconti delle sevizie sessuali dei russi
«Le autorità d’occupazione russe torturano in modo metodico gli uomini che rifiutano di fare il servizio militare. E per tanti sono sevizie sessuali continue, con elettroshock ai genitali e ogni tipo di violenza immaginabile.
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Uno dei motivi di rinuncia per le famiglie con neonati [di lasciare le zone occupate dai russi]è che Mosca considera russi i bambini nati sotto occupazione. S’impone così l’ultimatum fondato sul ricatto dei sentimenti. «Se volete andare in Ucraina siete libere, ma i vostri figli restano qui e verranno adottati da famiglie russe»: è il diktat che angoscia le madri chiamate a scegliere in pochi minuti tra l’amore per la patria e la libertà, oppure per i figli.
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Per gli uomini sopra i 18 anni il motivo più frequente che induce a partire è la lettera di precetto. «L’ho ricevuta a fine luglio. Era l’ordine di presentarmi al distretto militare di Lugansk entro il primo agosto. Avrei dovuto andare a combattere contro i miei compatrioti ucraini. In caso contrario, sarei stato arrestato come disertore», dice il 30enne Artiom, appena arrivato a Kharkiv con la moglie 29enne Anastasia e i loro quattro bambini di età compresa tra 4 e 11 anni. «I russi erano arrivati al nostro villaggio di Starobelsk il primo marzo 2022. All’inizio ci hanno ignorato, credevano di vincere facile. Poi la situazione è cambiata gradualmente, sono iniziate le perquisizioni e le minacce, specie da parte dei soldati ceceni e dei volontari filorussi locali. Gente violenta, che entra in casa e ruba a piacimento, specie se capisce che non hai il passaporto russo.
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Il mio amico Evgenii è stato rapito e torturato per essersi rifiutato di andare militare», aggiunge Artiom. Per Anastasia il problema è cresciuto quando la sanità locale ha rifiutato qualsiasi assistenza medica ai figli, se non con la promessa che sarebbero diventati cittadini russi entro la fine dell’anno.
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Ma la storia più drammatica la raccontano la 39enne Irina Golovko e il marito Grigori di 40 anni, appena arrivati con i due figli di 3 e 6 anni. Piangono, si rassicurano, ogni tanto sorridono. Lui è stato in carcere per 7 mesi. «Gli aguzzini torturano con l’elettricità. Lo fanno su tutto il corpo degli uomini, specie ai genitali. A giovani e vecchi, più volte al giorno. Ci odiano, dicono che siamo gay depravati schiavi degli europei. L’unico modo per essere libero è stato accettare di farmi riprendere in un video dove denuncio il nazismo ucraino», dice lui.
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Vengono dal villaggio di Golapristan, sulla sponda orientale del Dnipro, che venne devastato dall’inondazione provocata dall’attacco russo contro la diga di Nova Kachovka il 6 giugno. Grigori dopo la liberazione ha visitato brevemente Goalpristan. Mostra le foto della loro casa devastata e dice: «Tutto è stato distrutto dalle acque, i russi non hanno fatto nulla per aiutare la gente. Ci sono centinaia di cadaveri insepolti. Esigono che gli ucraini diventino russi: oppure morti o profughi. Ci hanno lasciati partire perché non ci vogliono più».
«Le autorità d’occupazione russe torturano in modo metodico gli uomini che rifiutano di fare il servizio militare. E per tanti sono sevizie sessuali continue, con elettroshock ai genitali e ogni tipo di violenza immaginabile.
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Uno dei motivi di rinuncia per le famiglie con neonati [di lasciare le zone occupate dai russi]è che Mosca considera russi i bambini nati sotto occupazione. S’impone così l’ultimatum fondato sul ricatto dei sentimenti. «Se volete andare in Ucraina siete libere, ma i vostri figli restano qui e verranno adottati da famiglie russe»: è il diktat che angoscia le madri chiamate a scegliere in pochi minuti tra l’amore per la patria e la libertà, oppure per i figli.
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Il racconto delle torture inflitte ai civili ucraini da parte dei russi: «Chiamavano l’elettroshock ai testicoli ‘la telefonata al presidente’»
.................Per gli uomini sopra i 18 anni il motivo più frequente che induce a partire è la lettera di precetto. «L’ho ricevuta a fine luglio. Era l’ordine di presentarmi al distretto militare di Lugansk entro il primo agosto. Avrei dovuto andare a combattere contro i miei compatrioti ucraini. In caso contrario, sarei stato arrestato come disertore», dice il 30enne Artiom, appena arrivato a Kharkiv con la moglie 29enne Anastasia e i loro quattro bambini di età compresa tra 4 e 11 anni. «I russi erano arrivati al nostro villaggio di Starobelsk il primo marzo 2022. All’inizio ci hanno ignorato, credevano di vincere facile. Poi la situazione è cambiata gradualmente, sono iniziate le perquisizioni e le minacce, specie da parte dei soldati ceceni e dei volontari filorussi locali. Gente violenta, che entra in casa e ruba a piacimento, specie se capisce che non hai il passaporto russo.
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Il mio amico Evgenii è stato rapito e torturato per essersi rifiutato di andare militare», aggiunge Artiom. Per Anastasia il problema è cresciuto quando la sanità locale ha rifiutato qualsiasi assistenza medica ai figli, se non con la promessa che sarebbero diventati cittadini russi entro la fine dell’anno.
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Ma la storia più drammatica la raccontano la 39enne Irina Golovko e il marito Grigori di 40 anni, appena arrivati con i due figli di 3 e 6 anni. Piangono, si rassicurano, ogni tanto sorridono. Lui è stato in carcere per 7 mesi. «Gli aguzzini torturano con l’elettricità. Lo fanno su tutto il corpo degli uomini, specie ai genitali. A giovani e vecchi, più volte al giorno. Ci odiano, dicono che siamo gay depravati schiavi degli europei. L’unico modo per essere libero è stato accettare di farmi riprendere in un video dove denuncio il nazismo ucraino», dice lui.
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Vengono dal villaggio di Golapristan, sulla sponda orientale del Dnipro, che venne devastato dall’inondazione provocata dall’attacco russo contro la diga di Nova Kachovka il 6 giugno. Grigori dopo la liberazione ha visitato brevemente Goalpristan. Mostra le foto della loro casa devastata e dice: «Tutto è stato distrutto dalle acque, i russi non hanno fatto nulla per aiutare la gente. Ci sono centinaia di cadaveri insepolti. Esigono che gli ucraini diventino russi: oppure morti o profughi. Ci hanno lasciati partire perché non ci vogliono più».