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B.Mps: con addio Viola piano slitta a 2017 (Mess)

ROMA (MF-DJ)--Il ribaltone al vertice di B.Mps con l'addio dell'a.d.,
Fabrizio Viola, portera' allo slittamento del piano di risanamento al 2017.

Lo scrive Il Messaggero aggiungendo che la nomina di Marco Morelli, in
pole position come nuovo a.d., dovrebbe avvenire in tempi brevi. C'e' un
cda gia' fissato per lunedi' 19 settembre e per quella data, salvo riunioni
anticipate, il presidente di B.Mps, Massimo Tononi, dovrebbe raccogliere
l'imprimatur della Bce.

Le dimissioni di Viola, prosegue il giornale, sarebbero maturate due
giorni fa. Un'uscita conseguente al pressing esercitato da Jp Morgan, uno
dei global coordinator dell'aumento di capitale fino a 5 mld e in cabina
di regia anche nel bridge da 6 mld necessario per favorire la
cartolarizzazione di 9,2 mld netti di Npl.

Mercoledi' 7, aggiunge il quotidiano, un interlocutore istituzionale
esterno avrebbe fatto intendere a Viola l'opportunita' di farsi da parte
per favorire la realizzazione del piano di ristrutturazione destinato a
cambiare nella tempistica e nella struttura.

vs
(fine) MF-DJ NEWS 09/09/2016 08:42
 
di Occhio di lince| 09 Settembre 2016 Fabrizio Viola, amministratore delegato dimissionario di Mps. Fabrizio Viola, amministratore delegato dimissionario di Mps. Tanto tuonò che piovve. Era da più di un mese che alcuni giornalisti si erano resi grancassa – chissà se tutti inconsapevolmente – degli interessi che volevano sbarazzarsi di Fabrizio Viola per fare di Mps un solo boccone. «Si dimette», «sta per lasciare», «il mercato reclama facce nuove»: questi e altri simili erano i rumor che con cadenza quasi quotidiana venivano offerti al pubblico, con l’effetto di mettere in allarme i risparmiatori e creare le condizioni perché il titolo della banca senese, già sofferente, prendesse sonore legnate in Borsa. L'AD NON PENSAVA ALLE DIMISSIONI. Il vostro Occhio (di Lince), puntato come un faro sulla vicenda, è però rimasto aperto e non si è bevuto l’intruglio confezionato nel retrobottega di qualche banca d’affari e in alcune stanze di palazzi romani. Tant’è che vi abbiamo già raccontato – in compagnia del solo Giorgio Meletti del Fatto Quotidiano, va detto per onestà – di come andavano le cose: Viola non aveva alcuna intenzione di dimettersi, né alcuno gli aveva chiesto (fino all'8 settembre) di farlo, ma, tant’è, dirlo avrebbe finito per trasformare una non notizia in una vera news. A casa mia si chiama tecnica di logoramento: racconti una cosa falsa fino renderla vera contando sul cedimento di nervi del soggetto preso a bersaglio. Così sono andate le cose. Con una variante decisiva, però: Viola non si è dimesso perché non ne poteva più delle illazioni che lo riguardavano, ma è stato dimissionato. Con tatto formale, per carità, ma non per questo non senza sostanziale brutalità. Costretto ad arrendersi. A chi? PER ORA SOLO SILENZIO SULLA VICENDA. Lui si è chiuso in un comprensibile silenzio, che forse romperà più avanti (non lo auguro ai suoi nemici) dopo che avrà terminato la fase di transizione che con spirito di servizio ha messo a disposizione della banca, e dunque non lo ha rivelato neppure ai suoi più stretti collaboratori. Ma, per come sono andate le cose fin qui, non è difficile intuirlo: si è arreso a chi ha fatto presente a lui e al consiglio di amministrazione della banca – chissà su quali basi e in possesso di quali informazioni – che con Viola al comando, il Montepaschi l’aumento di capitale e più in generale il piano di risanamento messo a punto (cessione delle sofferenze e ricapitalizzazione) non li avrebbe potuti portare in porto. E chi è titolato, almeno sulla carta, a sapere che il non meglio identificato “mercato” richiederebbe questa discontinuità gestionale? Anche qui si va per intuizione, ma si rischia di sbagliare poco o nulla se si pensa a coloro, JP Morgan e Mediobanca in testa, che a suo tempo sono stati scelti per formare il cordone sanitario (sic!) intorno a Mps e portare a compimento le operazioni previste dal piano di definitiva messa in sicurezza dell’istituto. E a chi possono aver raccontato questa storia se non alle massime istituzioni? «È gente di mercato, figuriamoci se non ha orecchie buone per ascoltare il tam-tam di chi dovrà mettere i soldi nella ricapitalizzazione», avrà pensato qualcuno a cui è stato fatto il punto della situazione. Sì, ma chi? Bankitalia? Mah. Ormai conta poco, e vi posso assicurare per averlo sentito con le mie orecchie che il governatore Ignazio Visco e il vicedirettore Fabio Panetta (gli unici che hanno voce in capitolo) hanno una tale stima di Viola che mai si sarebbero sognati di fare una cosa simile. La Bce? Non certo Mario Draghi. Primo perché non si occupa di questioni come questa. E secondo perché ha stima di Viola non meno dei suoi ex colleghi di via Nazionale. Forse quei discolacci della Vigilanza? A parte che se fossero stati loro a dire a Viola di togliersi di torno perché il mercato vuole altro, avrebbero creato un precedente micidiale, ma in questi anni mai un rilievo è stato fatto da parte loro nei confronti di Viola, consapevoli del fatto che il disastro era stato creato dai predecessori e che il banchiere chiamato quattro anni fa con Alessandro Profumo a raddrizzare le gambe al morto senese aveva compiuto il miracolo di tenere aperta una banca virtualmente fallita. Vien da domandarsi: fosse stato il Tesoro? Ma se il buon Padoan non ha mai preso una decisione una da quando fa il ministro! Suvvia, come si fa a pensare che sia stato lui a raccogliere e accogliere le voci di chi paventava che con Viola alla tolda di comando la nave Mps avrebbe fatto la fine della Costa Concordia al Giglio? No, impossibile. Sì, è vero, abbiamo scritto proprio qui che qualcuno al ministero dell’Economia coltivava ambizioni e faceva giochetti strani, ma è gente che poteva abbaiare, non mordere. L'OMBRA DI PALAZZO CHIGI SULLA MANOVRA. E allora non rimane che pensare a palazzo Chigi. Certo, Renzi è andato a Porta a Porta a dire che lui di banche non se ne occupa. Ma non sarebbe la prima volta che Matteino racconta bugie. E poi c’è quel pranzo a palazzo Chigi – il 6 luglio, se non ricordo male – con ospite d’onore il numero uno della JP Morgan, Jamie Dimon, alla presenza dell’ex ministro Vittorio Grilli (che offre i suoi servigi alla banca americana) e al presidente della Cdp Claudio Costamagna, che ha la sua neo moglie (casata Brivio Sforza) appena approdata in JP Morgan proprio grazie a Grilli. Lì, secondo quanto riferito da un articolo (mai smentito) di Meletti, furono gettate le basi per consentire a Jp Morgan di mettere le mani su Mps (che evidentemente interessa, a riprova che questi quattro anni di risanamento non sono passati invano). Fino al punto di ascoltare la richiesta di togliere dai piedi Viola, non prono a quel disegno, e di mettere al suo posto un soldato fidato, quel Marco Morelli, oggi in Merrill Lynch ma a lungo in Jp Morgan, che i giornali giustamente segnalano come il nuovo amministratore delegato, anche a costo di ignorare che ha lavorato con Mussari e che in tutti i casi a capo di Mps ci vuole un banchiere commerciale e non d’affari. D’altra parte, che Renzi fosse **** e camicia con Jp Morgan lo si sapeva fin da prima che diventasse presidente del Consiglio. Il primo giugno 2012, infatti, Dimon organizzò una cena a palazzo Corsini a Firenze per l’allora sindaco della città, auspice Tony Blair, che da quando ha smesso di fare il primo ministro è diventato consulente-lobbysta della banca. E sempre l’ex premier inglese è stato l’organizzatore di una seconda cena conviviale Dimon-Renzi, questa volta a Londra, nell’aprile del 2014, ospiti dell’ambasciatore Pasquale Terracciano. Cosa notata dal quotidiano britannico Daily Mirror, che scriveva lapidario: «Renzi è il Blair italiano non solo nelle intenzioni politiche, ma anche nelle alleanze economiche. Un esempio? La JpMorgan». Con buona pace di Fabrizio Viola. 27 © RIPRODUZIONE RISERVATA TAG: fabrizio viola - mps - renzi jp morgan
 
di Occhio di lince| 09 Settembre 2016 Fabrizio Viola, amministratore delegato dimissionario di Mps. Fabrizio Viola, amministratore delegato dimissionario di Mps. Tanto tuonò che piovve. Era da più di un mese che alcuni giornalisti si erano resi grancassa – chissà se tutti inconsapevolmente – degli interessi che volevano sbarazzarsi di Fabrizio Viola per fare di Mps un solo boccone. «Si dimette», «sta per lasciare», «il mercato reclama facce nuove»: questi e altri simili erano i rumor che con cadenza quasi quotidiana venivano offerti al pubblico, con l’effetto di mettere in allarme i risparmiatori e creare le condizioni perché il titolo della banca senese, già sofferente, prendesse sonore legnate in Borsa. L'AD NON PENSAVA ALLE DIMISSIONI. Il vostro Occhio (di Lince), puntato come un faro sulla vicenda, è però rimasto aperto e non si è bevuto l’intruglio confezionato nel retrobottega di qualche banca d’affari e in alcune stanze di palazzi romani. Tant’è che vi abbiamo già raccontato – in compagnia del solo Giorgio Meletti del Fatto Quotidiano, va detto per onestà – di come andavano le cose: Viola non aveva alcuna intenzione di dimettersi, né alcuno gli aveva chiesto (fino all'8 settembre) di farlo, ma, tant’è, dirlo avrebbe finito per trasformare una non notizia in una vera news. A casa mia si chiama tecnica di logoramento: racconti una cosa falsa fino renderla vera contando sul cedimento di nervi del soggetto preso a bersaglio. Così sono andate le cose. Con una variante decisiva, però: Viola non si è dimesso perché non ne poteva più delle illazioni che lo riguardavano, ma è stato dimissionato. Con tatto formale, per carità, ma non per questo non senza sostanziale brutalità. Costretto ad arrendersi. A chi? PER ORA SOLO SILENZIO SULLA VICENDA. Lui si è chiuso in un comprensibile silenzio, che forse romperà più avanti (non lo auguro ai suoi nemici) dopo che avrà terminato la fase di transizione che con spirito di servizio ha messo a disposizione della banca, e dunque non lo ha rivelato neppure ai suoi più stretti collaboratori. Ma, per come sono andate le cose fin qui, non è difficile intuirlo: si è arreso a chi ha fatto presente a lui e al consiglio di amministrazione della banca – chissà su quali basi e in possesso di quali informazioni – che con Viola al comando, il Montepaschi l’aumento di capitale e più in generale il piano di risanamento messo a punto (cessione delle sofferenze e ricapitalizzazione) non li avrebbe potuti portare in porto. E chi è titolato, almeno sulla carta, a sapere che il non meglio identificato “mercato” richiederebbe questa discontinuità gestionale? Anche qui si va per intuizione, ma si rischia di sbagliare poco o nulla se si pensa a coloro, JP Morgan e Mediobanca in testa, che a suo tempo sono stati scelti per formare il cordone sanitario (sic!) intorno a Mps e portare a compimento le operazioni previste dal piano di definitiva messa in sicurezza dell’istituto. E a chi possono aver raccontato questa storia se non alle massime istituzioni? «È gente di mercato, figuriamoci se non ha orecchie buone per ascoltare il tam-tam di chi dovrà mettere i soldi nella ricapitalizzazione», avrà pensato qualcuno a cui è stato fatto il punto della situazione. Sì, ma chi? Bankitalia? Mah. Ormai conta poco, e vi posso assicurare per averlo sentito con le mie orecchie che il governatore Ignazio Visco e il vicedirettore Fabio Panetta (gli unici che hanno voce in capitolo) hanno una tale stima di Viola che mai si sarebbero sognati di fare una cosa simile. La Bce? Non certo Mario Draghi. Primo perché non si occupa di questioni come questa. E secondo perché ha stima di Viola non meno dei suoi ex colleghi di via Nazionale. Forse quei discolacci della Vigilanza? A parte che se fossero stati loro a dire a Viola di togliersi di torno perché il mercato vuole altro, avrebbero creato un precedente micidiale, ma in questi anni mai un rilievo è stato fatto da parte loro nei confronti di Viola, consapevoli del fatto che il disastro era stato creato dai predecessori e che il banchiere chiamato quattro anni fa con Alessandro Profumo a raddrizzare le gambe al morto senese aveva compiuto il miracolo di tenere aperta una banca virtualmente fallita. Vien da domandarsi: fosse stato il Tesoro? Ma se il buon Padoan non ha mai preso una decisione una da quando fa il ministro! Suvvia, come si fa a pensare che sia stato lui a raccogliere e accogliere le voci di chi paventava che con Viola alla tolda di comando la nave Mps avrebbe fatto la fine della Costa Concordia al Giglio? No, impossibile. Sì, è vero, abbiamo scritto proprio qui che qualcuno al ministero dell’Economia coltivava ambizioni e faceva giochetti strani, ma è gente che poteva abbaiare, non mordere. L'OMBRA DI PALAZZO CHIGI SULLA MANOVRA. E allora non rimane che pensare a palazzo Chigi. Certo, Renzi è andato a Porta a Porta a dire che lui di banche non se ne occupa. Ma non sarebbe la prima volta che Matteino racconta bugie. E poi c’è quel pranzo a palazzo Chigi – il 6 luglio, se non ricordo male – con ospite d’onore il numero uno della JP Morgan, Jamie Dimon, alla presenza dell’ex ministro Vittorio Grilli (che offre i suoi servigi alla banca americana) e al presidente della Cdp Claudio Costamagna, che ha la sua neo moglie (casata Brivio Sforza) appena approdata in JP Morgan proprio grazie a Grilli. Lì, secondo quanto riferito da un articolo (mai smentito) di Meletti, furono gettate le basi per consentire a Jp Morgan di mettere le mani su Mps (che evidentemente interessa, a riprova che questi quattro anni di risanamento non sono passati invano). Fino al punto di ascoltare la richiesta di togliere dai piedi Viola, non prono a quel disegno, e di mettere al suo posto un soldato fidato, quel Marco Morelli, oggi in Merrill Lynch ma a lungo in Jp Morgan, che i giornali giustamente segnalano come il nuovo amministratore delegato, anche a costo di ignorare che ha lavorato con Mussari e che in tutti i casi a capo di Mps ci vuole un banchiere commerciale e non d’affari. D’altra parte, che Renzi fosse **** e camicia con Jp Morgan lo si sapeva fin da prima che diventasse presidente del Consiglio. Il primo giugno 2012, infatti, Dimon organizzò una cena a palazzo Corsini a Firenze per l’allora sindaco della città, auspice Tony Blair, che da quando ha smesso di fare il primo ministro è diventato consulente-lobbysta della banca. E sempre l’ex premier inglese è stato l’organizzatore di una seconda cena conviviale Dimon-Renzi, questa volta a Londra, nell’aprile del 2014, ospiti dell’ambasciatore Pasquale Terracciano. Cosa notata dal quotidiano britannico Daily Mirror, che scriveva lapidario: «Renzi è il Blair italiano non solo nelle intenzioni politiche, ma anche nelle alleanze economiche. Un esempio? La JpMorgan». Con buona pace di Fabrizio Viola. 27 © RIPRODUZIONE RISERVATA TAG: fabrizio viola - mps - renzi jp morgan

L’aumento Montepaschi slitta al 2017 - La Stampa
 
B.Mps: con Unicredit alla prova dell'aumento (Mi.Fi.)

MILANO (MF-DJ)--Mps e Unicredit sono attese dall'ultimo, impegnativo e
decisivo banco di prova. Hanno gia' portato avanti negli ultimi anni piani
di ristrutturazione, chiusure di filiali e tagli di personale. Ed entrambe
si sono rivolte gia' al mercato chiedendo complessivamente al mercato
oltre 2 miliardi di euro. Ora Mps ne chiede altri 5 e Unicredit potrebbe
chiamare un rafforzamento compreso tra 5 e 9 miliardi. Il tutto
accompagnato da una complessa e articolata operazione di smobilizzo e
cessione dei non performing loan, soprattutto per Siena. Con in cabina di
regia due nuovi amministratori delegati.

E' comune, spiega Milano Finanza, il futuro prossimo venturo di
Unicredit e Monte dei Paschi di Siena, due dei principali istituti di
credito del Paese. Anzi, rischia di incrociarsi sul mercato. L'unica cosa
che differenzia le due banche in questione e' che Piazza Aulenti ha da
meta' luglio il nuovo ad, il francese Jean Pierre Mustier, ma non ha
ancora definito completamente la strategia d'azione, abbozzata nella sua
parte generale ma non tramutata ancora in un documento ufficiale e
formale; mentre il Monte ha un il progetto ben delineato e vidimato dalla
Bce, mentre deve affrontare ancora il cambio ai vertici, visto che proprio
nella giornata di giovedi' 8 settembre, dopo settimane di indiscrezioni,
Fabrizio Viola, il top manager in sella dal 2011, ha lasciato la banca. Un
terremoto in piena regola, anche se nell'aria per le divergenze con alcune
della banche registe del consorzio che deve garantire il processo di
ristrutturazione e rafforzamento patrimoniale (ossia Jp Morgan, Mediobanca
, Credit Suisse, Citi, Santander, Bofa Merrill Lynch, Goldman Sachs e
Deutsche Bank ), che dovrebbe riportare nel giro di pochi giorni, il
banchiere Marco Morelli (ora capo di Merrill Lynch in Italia) sulla tolda
di comando di Mps dopo l'esperienza da vice dg dal 2006 al 2010.
red/lab
(fine) MF-DJ NEWS 12/09/2016 08:09
 
B.Mps: le gran fatiche di Viola (Mi.Fi.)

MILANO (MF-DJ)--Giudicare l'operato di Fabrizio Viola alla guida del
Monte dei Paschi solo alla luce dei due aumenti di capitale da 5 e 3
miliardi chiamati dalla banca rispettivamente a giugno del 2014 e a giugno
del 2015 e' perlomeno strumentale. Un po' come giudicare un libro dalla
copertina. Le due ricapitalizzazioni sono stati due passaggi obbligati in
un percorso che ha portato la banca fuori dalle secche in cui era finita
con la gestione Mussari/Vigni.

Spostando l'attenzione dalla capitalizzazione di mercato ai dati
relativi alla performance e alla solidita' patrimoniale, scrive Milano
Finanza, si ha uno scenario differente. Il Cet1, il Common Equity Tier 1
ratio, evidenzia una solidita' crescente e che passa dall'8,8% del 2011
(allora il dato di riferimento era il Core Tier 1) al 12,1% che su base
annualizzata e' stato registrato alla fine del primo semestre
dell'esercizio in corso. La solidita' del coefficiente patrimoniale e'
stata mantenuta nonostante siano stati interamente ripagati, in anticipo
rispetto a quanto previsto, i 4,1 miliardi di aiuti di Stato ottenuti nel
2013 dal ministero dell'Economia. Tre miliardi di euro sono stati
restituiti dalla banca nel giugno del 2014 e gli altri 1,1 miliardi dodici
mesi dopo, nel giugno del 2015. Va ancora meglio se si guarda agli
indicatori di redditivita'. Il cost/income e' passato dal 64% del 2011 al
55% del dato annualizzato al 30 giugno. Una performance che e' gia'
interessante in termini assoluti, ma diventa ancora piu' qualificante se
si pensa che alla voce income contribuiscono il margine d'interesse e il
margine di intermediazione che sono endemicamente in calo in questi anni.
La messa in sicurezza dei conti e' passata attraverso un robusto derisking
che ha comportato una riduzione degli asset finanziari in portafoglio di
19,5 miliardi di euro negli ultimi cinque anni, passati dai 55,5 miliardi
del 2011 ai 36 miliardi del primo semestre dell'anno.
red/lab

(fine) MF-DJ NEWS 12/09/2016 08:43
 
B.Mps: mercoledi' Cda per nomina Morelli (fonte)

MILANO (MF-DJ)--E' stato convocato per mercoledi' il Cda per la nomina
di Marco Morelli alla guida di Banca Mps.

Secondo quando ha appreso Mf-DowJones, domani e' in programma un vertice
con la Bce a cui parteciperanno il presidente del Monte, Massimo Tononi e
il presidente del comitato nomine, Alessandro Falciai. Poi il Cda
procedera' alla nomina nella riunione di mercoledi', a meno di una
settimana dalle dimissioni dell'attuale a.d. Fabrizio Viola.
dc/fch

(fine) MF-DJ NEWS 12/09/2016 15:23
 
B.Mps: Morelli, Tononi e Falciai in Bce per discutere vertice e strategie (MF)

MILANO (MF-DJ)--E' in agenda stamattina un incontro in Bce tra il
presidente di B.Mps Massimo Tononi, insieme al presidente del comitato
nomine Alessandro Falciai per l'ufficializzazione della candidatura di
Morelli (che comunque nel corso del fine settimana avrebbe gia' incassato
il via libera informale dell'Eurotower) e soprattutto per ridiscutere il
complesso piano di risanamento messo in cantiere dalla banca.

Gia' da qualche settimana, si legge su MF, gli advisor Jp Morgan e
Mediobanca hanno rimesso mano alle strategie presentate al mercato il 29
luglio, proprio nel giorno degli stress test.

Rispetto al progetto iniziale di un aumento di capitale monstre da 5
miliardi, oggi i consulenti sarebbero orientati verso un'operazione mista
che comprenda la conversione volontaria dei bond subordinati in mano agli
investitori istituzionali e l'intervento di anchor investor per 1,5-2
miliardi. Si tratta insomma di qualcosa di molto simile a quel piano che
alla fine di luglio Passera e Ubs avevano presentato senza risultato al
cda del Monte. Il nodo comunque resta quello della tempistica, con la
spada di Damocle del referendum costituzionale che pende sull'esito
dell'operazione.
fch

(fine) MF-DJ NEWS 13/09/2016 08:44
 
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