Signori, io credo che siamo troppo duri con la cirinnà. Sta passando momenti duri, difficili: la sua collaboratrice domestica l'ha lasciata.
Dobbiamo capire il dramma che questa donna sta affrontando: pulire casa, magari preparare qualcosa da mangiare, lavare i piatti... etc...
abbiate compassione
Grosseto: scuse social Cirinna su collaboratrice domestica, 'parole errate, momento difficile' – Libero Quotidiano
Cosa aveva detto la Cirinnà:
"Ero già nei pasticci di mio, nelle ultime settimane. Nei pochi giorni di ferie, cinque per la precisione, sto facendo la lavandaia, l'ortolana, la cuoca. Tutto questo perché la nostra cameriera, strapagata e messa in regola con tutti i contributi Inps, ci ha lasciati da un momento all'altro. Volete sapere il motivo? Mi ha telefonato un pomeriggio e mi ha detto, di punto in bianco: 'Me ne vado perché mi annoio a stare da sola col cane'"... Cidenti: ha raccolto un paio di pomodori dall'orto, ha attaccato l' irrigazione automatica, ha fatto una lavatrice e udite udite avrà preparato pure una pastasciutta ... Chissà come avrà fatto a sopravvivere con così tanto lavoro duro...
Interessante il commento di Selvaggia Lucarelli (a me nn garba moltissimo, però talvolta la dice giusta)
Più che tutta la surreale vicenda del cane che dormiva in un caveau, mi ha colpito questo passaggio dell’intervista del Corriere alla Cirinnà. Un passaggio illuminante da un punto di vista sociologico, di quelli da nuovo "lavoro salariato e capitale” in salsa maremmana.
La Cirinnà ci spiega che era “nei pasticci” perché, causa dimissione della “cameriera” ora, in vacanza, fa LA LAVANDAIA, L’ORTOLANA, LA CUOCA.
Curioso definire normali lavori domestici adottando un lessico dal sapore verghiano, trasformando banali mansioni casalinghe in vecchi mestieri, ci mancava solo che lamentasse di dover fare anche il cocchiere e la carbonaia.
Dá l’idea che la sua concezione di lavoro dipendente sia vagamente superata, sembrano parole della borghesia di altri tempi che immagina il mondo del lavoro fatto di manualità e fatica come una sorta di presepe vivente. Col ciabattino illuminato dallo stoppino acceso della lanterna a olio.
La lavandaia una che carica le lavatrici. Lavandaia, cameriera, ortolana. A sapere che avevo tutti questi titoli mi sarei messa le medagliette sul petto come Figliuolo. Vabbè.
Poi c’è quel sottolineare che lei la cameriera la pagava eh, era in regola eh, le pagava i contributi eh. Si avverte lo stupore pure nelle virgole. È stupita di se stessa, della sua magnanimità. Poteva non pagarla e farla dormire nella cuccia col cane, su un giaciglio di banconote che, per carità, lei e il quadrupede avrebbero perfino potuto dare alle fiamme, nel caso a Capalbio l’inverno si fosse fatto rigido. E invece.
C’è però un altro passaggio che trovo insuperabile. Quello in cui la Cirinnà si lamenta che la cameriera (che dunque ha un’infinità di mansioni) si sia licenziata perché si annoiava sola col cane.
Intanto fa sorridere che l’ortolana-lavandaia-cuoca diventi “cameriera” a seconda di quello che si racconta. Se è la Cirinnà a dover lavorare, si scomodano Verga e i vecchi mestieri perché lei è COSTRETTA A SVOLGERE MANSIONI FATICOSE IN VACANZA. Se si parla della sua dipendente che li svolge abitualmente è “una cameriera”. STRAPAGATA, sottolinea. E mi piacerebbe molto sapere cosa intende la Cirinnà per strapagata.
Insomma. Una cameriera si è licenziata perché forse di spadellare, accudire il giardino, lavare, stirare in una villa in campagna a Capalbio sola come un cane e senza neppure una cuccia caveau non aveva più voglia e la Cirinnà lo trova bizzarro. Trova bizzarro che magari possa lavorare e ambire pure a una vita sociale. Il pane e le rose, la cuccia e le banconote.
Quante bizze, questo proletariato.
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