La mega-ciclovia sospesa sul lago di Garda: costava 64 milioni, servirà un miliardo
“Dicono: perché no, se ci sono i soldi?!» Il soprintendente di Brescia Luca Rinaldi non sa se ridere o spararsi quando racconta degli amministratori pubblici che non si capacitano della sua ostilità allo stupro paesaggistico delle
coste del Garda con quelle mostruose passerelle d’acciaio a sbalzo sulle falesie, tremende come un cazzotto in faccia: «Ma perché no, se ci sono i soldi?».
Aveva ragione, 101 anni fa, Luigi Parpagliolo, autore de
La Difesa delle bellezze naturali d’Italia: «I maggiori pregiudizi nei riguardi della conservazione delle bellezze naturali si sono avuti e si avranno, assai più che per l’incuria, il capriccio e l’avidità dei privati, per l’esecuzione di lavori pubblici o per inconsulte concessioni governative». Parole d’oro, scrisse Ugo Ojetti. E non aveva visto
la megalomane ciclovia del più celebre lago d’Italia.
Era partita nel 2016, ricorda l’allora ministro Graziano Delrio, come «una cosa bella e buona destinata a chi ama un turismo sereno e sostenibile». Sì, ciao. Meno sostenibili si rivelarono subito i costi:
64 milioni di euro per 161 chilometri: 397 mila al chilometro, il doppio d’una ciclabile normale. A febbraio 2021 il Progetto Fattibilità Tecnico-Economica saliva già a 292 milioni, a novembre 2022 si impennava a 344 ma «in base ai provvedimenti esecutivi e definitivi finora adottati che dimostrano un costo medio di 8,5 milioni di euro al chilometro», accusa il Coordinamento che unisce tutti gli ambientalisti da Italia Nostra al Wwf a Legambiente che si ritrovano oggi per una manifestazione a Riva del Garda, «la proiezione dei costi medi su tutto l’anello comporta una stima prudenziale al ribasso
di un miliardo e 222 milioni». Diciannove volte più del previsto.
Un delirio, conferma Paolo Pileri, docente di progettazione al Politecnico di Milano e teorico della mobilità lenta: «Se in media i costi sono 9 volte più alti del normale, sul tratto trentino aggrappato alla parete sono stratosferici e per di più incalcolabili a causa dei problemi di messa in sicurezza e successiva manutenzione. Ero nella commissione tecnica e mi rifiutai di firmare il progetto: “Siete matti”, dissi, “il professore di geologia ci portava in visita esattamente lì, sulla costa sopra Limone, per spiegarci quanto fossero situazioni vulnerabili e praticamente insanabili”. Fare una ciclovia lì è un rischio gigantesco. Vengono giù le frane, lì. Da sempre. Anche recentemente. Per non dire dell’offesa al paesaggio. Quelle falesie a picco sull’acqua blu sono tra le immagini iconiche delle bellezze d’Italia. E il tratto già fatto della ciclovia a Limone le ha rigate come un chiodo riga un’opera d’arte».
Parole simili nella stroncatura di Rinaldi,
durissimo contro le orrende «passerelle metalliche» e la «massiccia manomissione di un elemento paesaggistico di grande valore riconosciuto dalla tutela oggi vigente e nel passato dai visitatori (anche illustri) di tutta Europa».
«Sarà una delle piste ciclabili più spettacolari forse del mondo», titolò entusiasta nel 2017 un giornale locale. E giù applausi sul «sogno degli amanti delle due ruote» e «lo sviluppo ecosostenibile» e l’inno alle «tradizioni eno-gastronomiche» e via blablablando... Scusate, chiese Paolo Biondani su l’Espresso, il Garda non ha problemi più urgenti come un eccesso di lottizzazioni e il sistema fognario che «è nato male, negli anni ’70, ed è in crisi da sempre» e «se un turista tira l’acqua a Salò, i liquami risalgono chilometri di tubazioni fino a Toscolano, sprofondano nelle condotte a metà lago, riemergono a Brancolino di Torri e poi discendono la riviera veronese fino al depuratore di Peschiera che li riversa nel Mincio»? Uffa: i soliti criticoni! Come quelli di Sat 1, il canale tv visto in Germania, Austria e Svizzera, rei d’aver chiesto a vari amministratori locali notizie su possibili irregolarità nello smaltimento delle acque. «Domande inopportune, improprie e fuorvianti», ha risposto l’assessora lombarda a Turismo, Marketing e Moda Barbara Mazzali: «Sono pronta a chiedere una diffida della messa in onda». Non hanno forse, quelle acque, le bandierine blu?
Guai a toccarlo, il turismo. Nel 2023, scrive il
Corriere di Brescia, «sommando i dati della sponda bresciana, veronese e trentina, sono state raggiunte le 25 milioni di presenze». Delle quali 7 milioni su quella lombarda, 4 sulla trentina, 14 sui 57 chilometri di sponda veronese: 244 presenze a metro lineare. Un sovraccarico che rischia, col progressivo esodo degli abitanti che cedono case e terreni per spostarsi nell’entroterra, di stravolgere l’anima dei luoghi. Il boom immobiliare è tale che il Comune di Costermano, a tre chilometri dal lago, ha votato per cambiar nome: Costermano sul Garda. Per vendere,
c’est plus facile.
Ma
vale la pena d’insistere sulla mega-ciclovia a costo di storpiare i vigneti e asfaltare viottoli col «conglomerato bituminoso albino» e segare cipressi secolari e scavalcare stradine di campagna con cavalcavia ciclistici e progettare piazzole stradali per ciclo-grill? E tutto senza che certe scelte raccapriccianti siano state vagliate dalla Valutazione d’Impatto Ambientale perché questa fu pensata per centrali nucleari e raffinerie, elettrodotti e interporti e mai per le «ciclabili» data l’idea che fossero ovviamente «leggere»?
Alla faccia della leggerezza! Via via che l’ambizione d’una ciclabile spettacolare da
piazzare sul mercato dello show-tourism s’è impossessata degli amministratori, ogni senso della misura è sparito. E così ogni cautela. Col risultato, per dire, che il presidente della provincia di Trento Maurizio Fugatti e i suoi sodali, così terrorizzati dagli orsi rei d’aver ucciso un runner nell’ultimo secolo da impuntarsi sugli abbattimenti per «non correre il minimo rischio» sono tranquillizzanti su una ciclabile appigliata alle pareti a strapiombo di un’area ad alto rischio idrogeologico a causa di frane, frane, frane. Basterà piazzare sulla testa dei ciclisti dei ciclopici para-massi sorretti da mastodontici supporti conficcati nelle friabili falesie rinforzate con robuste siringate di cemento armato. Evviva la natura... E la poesia.