Pensioni, sindacati e scontro generazionale

Sir Wildman ha scritto:
In effetti ha del grottesco che per mesi si sia parlato di capital gain manco

E' perfettamente logico invece... :yes:

si colpisce una categoria indefinita, si fa demagogia contro la maledetta speculazione, si raccolgono voti da chi si beve le fregnacce mediatiche, si cerca di dare la mancetta ai parassiti di confindustria che già reclamano almeno il 75% del taglio del cuneo per investire di più.

Certo, però negli immobili o cercando di entrare nei cda delle banche come sta provando a fare mr. Caltagirone. Ci ha pensato il genero, con i suoi sodali di partito, spianando la strada con le magiche parole:

equità fiscale

;)
 
FaGal ha scritto:
11 maggio 2006
Il rapporto della magistratura consegnato al Parlamento invita ad accorciare i tempi del risanamento: squilibri esauriti solo nel 2070

"Intervenire di nuovo sulle pensioni"


Allarme della Corte dei Conti: si spende troppo, giovani penalizzati



"Le aliquote contributive sono già alte, vanno contenute le uscite"
"L´Italia è al secondo posto con il 13,8% del Pil, superata solo dall´Austria"

ROBERTO MANIA

ROMA - Ci vuole una nuova riforma delle pensioni. Il "suggerimento" al governo che si sta per insediare arriva dalla Corte dei Conti nel suo Rapporto sulla finanza previdenziale, messo a punto alla fine dello scorso anno e consegnato al Parlamento all´inizio di maggio.
Netta l´analisi dei giudici contabili: il sistema previdenziale non è in grado di mantenere in equilibrio le entrate e le uscite. Ogni anno, infatti, lo Stato deve ripianare il deficit pensionistico. Nel 2004, per esempio, agli istituti previdenziali sono stati trasferiti 69 miliardi di euro (52 per le pensioni di invalidità, vecchiaia e superstiti), ben 11 miliardi in più del disavanzo complessivo delle amministrazioni pubbliche. Così che proprio il deficit previdenziale finisce per pesare in maniera determinante sulle finanze pubbliche, già alle corde anche per la bassa crescita del Pil. Scrive la Corte dei Conti: «I conti pubblici presenterebbero un apprezzabile avanzo se quelli del comparto pensioni fossero in pareggio».
Le strade classiche per correggere la dinamica della spesa previdenziale sono - sulla carta - almeno due: aumentare le aliquote contributive, oppure ridurre la spesa. La Corte sposa con decisione la seconda, ricordando che sul lavoro dipendente grava già un´aliquota del 32,70 per cento, che non ha pari in Europa, tanto che Prodi ha promesso un taglio di cinque punti del cuneo fiscale e contributivo nel primo anno della legislatura, proprio per rilanciare la competitività delle imprese italiane. È sulla spesa, dunque, che si deve intervenire, considerando che l´Italia con il 13,8 per cento del rapporto fra spesa pensionistica e prodotto è seconda solo all´Austria ed è di oltre tre punti sopra il livello medio dei Paesi dell´Unione europea.
Certo, le riforme degli anni Novanta (a cominciare da quella Dini del 1995) hanno impedito il rischio che il sistema esplodesse, ma non sono state sufficienti, soprattutto per la lentezza dell´andata a regime, a impedire la corsa della spesa che nel 2038 raggiungerà (secondo le proiezioni della Ragioneria generale dello Stato) il picco (la famosa "gobba") del 15,5 per cento del Pil, per calare gradualmente fino al 2070 quando non si sentiranno più gli effetti negativi del vecchio sistema di calcolo retributivo. A spingere in alto la spesa è innanzitutto l´invecchiamento della popolazione (l´effetto "baby-boom"), che si cumula con la crescita zero dell´economia negli ultimi anni. Insomma, non c´è altra via da imboccare che quella di «ulteriori interventi correttivi per contenere il flusso della spesa pensionistica». Anche perché - e qui la Corte introduce un altro elemento di analisi - l´attuale sistema previdenziale finisce per penalizzare le giovani generazioni di lavoratori più soggette alla discontinuità dei rapporti di lavoro per via dei contratti cosiddetti atipici. Si calcola, infatti, che mentre oggi si va in pensione con circa il 70 per cento dell´ultima retribuzione, chi andrà con il sistema contributivo riceverà un trattamento inferiore anche del 30 per cento. Da qui l´ultimo "suggerimento
Repubblica


Al link sotto il testo del documento
http://www.corteconti.it/Ricerca-e-...sp/Referti/rapporto-sulla-previdenza-2006.pdf
 
La gestione finanziaria dell'INPS nel 2004

Le valutazioni della Corte dei conti sulla gestione finanziaria 2004 dell'Inps mettono in luce dati finanziari ed economici globali migliorativi rispetto agli esercizi passati ed in particolare rispetto al 2003 (un avanzo finanziario di competenza di 3.912 milioni di euro e un avanzo economico di 5.264 milioni di euro). Le ragioni del trend positivo sono da ricercare, soprattutto, nell'incremento delle entrate contributive, nell'accertamento di contributi evasi, nell'istituzione di un apposito fondo per la gestione associati in partecipazione, nell'aumento delle percentuali dei contributi per diverse gestioni, nella riscossione di crediti contributivi, di cui 3.549 mln\? per effetto della cartolarizzazione, e in una diminuzione del numero di pensioni del Fondo previdenza lavoratori dipendenti. Ma, avverte la Sezione, il 2004 ha goduto "di fattori congiunturali e straordinari non facilmente ripetibili" (come la cartolarizzazione degli immobili Inpdai). Per il 2005 e il 2006, infatti, già sembra emergere un ridimensionamento dei risultati, soprattutto economico-patrimoniali. Inoltre, sia l'allarmante fenomeno dell'evasione dei contributi, sia la disciplina dei rapporti conseguenti alla recente imputazione, all'Istituto, delle competenze residuali in materia di invalidi civili, dal rilevante impatto sui costi di gestione richiedono "precise iniziative legislative". La Corte indica, poi, come opportune la ridefinizione dei compiti dei Comitati territoriali, per evitare il lievitare dei costi e la sovrapposizione dei ruoli rispetto alla tecnostruttura e al Consiglio d'amministrazione, e la razionalizzazione dell'area del contenzioso.
Delibera n. 29/2006 della Sezione controllo enti e testo della Relazione(mns)
http://www.corteconti.it/Ricerca-e-...e/Anno-2006/documenti/Det.29-2006.doc_cvt.htm
 
Presentata stamane dal presidente della Covip Luigi Scimia
la Relazione Annuale 2005 sulla previdenza complementare

Fondi pensione, rendono più del Tfr
ma le adesioni sono ferme al 13%
Il rendimento medio dei prodotti di nuova istituzione è stato
l'anno scorso dell'8,5%, contro il 2,6% del trattamento di fine rapporto
di ROSARIA AMATO

ROMA - Sono ancora poco diffusi, ma ogni anno fruttano di più. E infatti nel 2005 il rendimento medio dei fondi pensione di nuova istituzione ha superato di oltre tre volte la rivalutazione del Tfr (trattamento di fine rapporto): l'8,5% rispetto al 2,6%. Lo ha detto stamane il presidente della Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) Luigi Scimia, in occasione della presentazione della Relazione annuale 2005. I fondi aperti (riservati ai lavoratori autonomi), ha precisato Scimia, hanno avuto un rendimento dell'11,5%, contro il 7,4% dei fondi negoziali (riservati ai lavoratori dipendenti).

I buoni rendimenti però al momento non attraggono più di tanto. "La diffusione della previdenza complementare - ha osservato Scimia - è ancora troppo modesta rispetto alle potenzialità che il settore può offrire. L'incertezza legislativa che ha accompagnato l'iter della riforma del settore e il rinvio al 2008 delle nuove norme di attuazione non hanno certo giovato alla crescita delle adesioni".

Dall'entrata in vigore della riforma le cose dovrebbero cambiare: "Dal 2008, saper accogliere i flussi di Tfr dei lavoratori dipendenti sarà la sfida principale che il sistema si troverà ad affrontare", ha detto Scimia, aggiungendo che per "dare nuovo impulso allo sviluppo del secondo pilastro pensionistico" sarà opportuno introdurre "regole volte ad innalzare il livello di concorrenza nel settore e ad ampliare così gli spazi di scelta, a livello sia collettivo, sia individuale, in un quadro di rafforzata tutela per gli aderenti".

Adesioni ferme al 13%. Al momento le adesioni rimangono piuttosto basse, soprattutto se confrontate con quelle di altri Paesi: attualmente in Italia, secondo i dati pubblicati stamani dalla Covip, gli iscritti alle forme pensionistiche complementari rappresentano circa il 13% degli occupati, mentre le risorse complessivamente destinate a questo tipo di prestazioni costituiscono l'equivalente del 3% del Pil.

Il confronto con gli altri Paesi. Mentre negli Stati Uniti, ha ricordato Scimia, "aderisce alla previdenza complementare il 50% degli occupati e le attività gestite dai fondi pensione equivalgono all'ammontare del Pil", e nel Regno Unito "le adesioni interessano circa il 60% degli occupati e le attività gestite dai fondi pensione rappresentano circa il 70% del Pil".

I rendimenti negli anni. Se fino a qualche anno fa i rendimenti dei fondi pensione apparivano stentati, adesso anche i confronti pluriennali con il Tfr mostrano delle performance di tutto rispetto. Infatti, secondo i dati della Relazione Covip 2005, dal gennaio 2003 al dicembre 2005 il rendimento generale dei fondi pensione è stato del 19,2%, rispetto a una valutazione netta del Tfr dell'8,2%. I fondi negoziali hanno reso il 17,8% e i fondi aperti il 22,9%.

Fondi preesistenti e Pip. Positivi anche i rendimenti dei fondi pensione preesistenti, che sono stati, si legge nella Relazione, del 6,7% e quasi del 18% nel triennio scorso. Così come sono positivi i rendimenti delle polizze pensionistiche individuali (PIP): sono arrivati al 14,4% nel 2005 e al 22,4% nell'ultimo triennio. Il dato si riferisce però ai PIP di tipo innovativo (le cosiddette polizze unit linked, che consentono al cliente di definire la tipologia dell'investimento sottostante scegliendo tra diversi tipi di fondi, dal più conservativo al più aggressivo, o per differenziando per area geografica). Per le gestioni tradizionali i rendimenti sono inferiori: +3,3% nel 2005 e +11% nel triennio.

I costi di gestione: meglio i fondi negoziali. La Relazione della Covip permette anche di valutare le differenze di rendimento dei vari tipi di fondi pensione in base ai costi di gestione. "Sotto tale aspetto - si legge nel documento - i fondi pensione negoziali confermano una posizione di vantaggio: gli oneri complessi di gestione in rapporto al patrimonio di fine esercizio si mantengono al di sotto dello 0,5%". Più alti quelli dei fondi aperti, che variano dall'1,9% all'1,2% del patrimonio. Mentre per i PIP i costi rimangono decisamente più elevati: nel caso di tre anni di partecipazione superano il 5% del patrimonio, anche se poi scendono al 2,3% se il periodo di riferimento è di 35 anni.

(21 giugno 2006)
 
Fondi pensione, rendono più del Tfr
ma ci avrà a che fare il rialzo della borsa durante il 2005?
o che altro? una riga su come sono investiti quei soldi
avrebbe fatto comodo.....anche per capire se quel
trend è possibile x il futuro o no
p.s. la domanda è oltremodo legittima visto che da qualche
altra parte del forum di parla di 'disastro prossimo venturo ecc. ecc.'
 
L'ho postato apposta per te questo post.
Pero' le tue domande mi sbalordiscono e spero che siano solo di circostanza...
 
affermare che i fondi hanno reso più del tfr (ed io sono
favorevole a tutto..tfr..fondi..tutto..purchè frutto di una
scelta con.sa.pe.vo.le dell'interessato)
in un anno in cui la borsa è salita del 20-25% (non ricordo)
proprio mentre in questi giorni c'è stata una correzione ?
del 10 e più % ...
la domanda è più che legittima...
ma come, si chiede trasparenza alle banche...accusandole
di vendere prodotti che hanno reso (hanno..nel passato)
tot per cento...mancando di segnalare che tale reddito
potrebbe non essere valido per il futuro..
insomma è possibile sapere in cos'hanno investito
questi fondi per rendere più del tfr? (non che ci voglia
molto..)
 
effettivamente non ci voleva molto se solo avevano un pò di azioni.
ma , tanto per far polemica sia con luigir sia (mi pare di aver capito) con ramirez , voi la borsa la disdegnate!
Chiaro che far riferimento ad un anno buono in tutto il mondo per le borse ,senza accennare al fatto che può essere episodico, come giornalismo finanziario è criminale , altro che la borsa!
 
Se prendiamo per buono Samuelson (i mkt salgono più di quanto non scendono) i fondi pensione maggiormente pesati con l'azionario sulla carta devono rendere meglio di un tfr.
Giudicare quelli italiani è difficile, troppo giovani...

Dove li usano da tempo, i rendimenti come sono stati sul lungo periodo ?
 
manx ha scritto:
effettivamente non ci voleva molto se solo avevano un pò di azioni.
ma , tanto per far polemica sia con luigir sia (mi pare di aver capito) con ramirez , voi la borsa la disdegnate!
Chiaro che far riferimento ad un anno buono in tutto il mondo per le borse ,senza accennare al fatto che può essere episodico, come giornalismo finanziario è criminale , altro che la borsa!
nient'affatto. Io sono 'investito' e opero in derivati...che ritengo
un'ottima forma di investimento (soprattutto nel lungo periodo)
(aldilà delle scelte sbagliate che faccio...)
Però ho la sensazione che la borsa italiana sia un tantino
'manovrata'...ecco perchè, essendo difficile capire quale sarà
il titolo 'giusto', preferisco i derivati che offrono molte
'strategie' anche difensive..
 
avevo capito male
 
++CORTE CONTI: NON BASTA RIFORMA PENSIONI,NUOVI INTERVENTI++

(ANSA) - ROMA, 28 giu - "Nonostante le importanti correzioni introdotti con le riforme delle pensioni avviate fin dagli anni '90, nei prossimi decenni l'Italia subirà i pensati riflessi dell'invecchiamento della popolazione sulla spesa". E' l'allarme lanciato dalla Corte dei Conti che suggerisce "un'attenta valutazione di possibili ulteriori interventi correttivi".
"Il lungo periodo di transizione necessario perché entri pienamente a regime l'assetto pensionistico che discende dalle riforme adottate - sottolinea la Corte nella relazione sul rendiconto generale dello Stato - non consente di compensare gli effetti espansivi sulla spesa prodotti dalla pressione dei fattori demografici". Per i magistrati contabili, dunque, "la questione della sostenibilità macroeconomica della spesa pensionistica è da considerare tutt'altro che risolta".
Del resto le previsioni parlano chiaro: "Tutte le proiezioni sulle tendenze dei prossimi cinquant'anni - sottolinea la Corte - prevedono, per un periodo ancora lungo, un continuo aumento della quota percentuale della spesa pensionistica sul Pil, che dovrebbero raggiungere intorno al 2038 il livello massimo del 15,5%. Ci sarebbe dunque una crescita, rispetto al 2001, di oltre due punti di Pil, a causa essenzialmente di fattori demografici".
Nella Relazione, quindi, si spiega come "grazie alle riforme operate fin dagli anni '90 l'Italia registrerà a regime un incremento degli oneri previdenziali inferiori ad altri importanti paesi europei. Ma l'azione riformatrice - aggiungono
i giudici contabili - non raggiunge in pieno i suoi obiettivi.
Anche le recenti correzioni, infatti, pur ponendosi nella giusta direzione di contrasto della crescita della spesa, non appaiono pienamente adeguate alle esigenze della sua stabilizzazione in un arco di breve-medio periodo". Per questo la Corte suggerisce "un accorciamento significativo del percorso di
stabilizzazione, da conseguire con un'attenta valutazione dei possibili ulteriori interventi correttivi. A questi - si legge ancora nella Relazione - dovrebbe essere assegnato il duplice compito di evitare ulteriori tensioni sui conti pubblici negli anni futuri ed eccessive penalizzazioni per le generazioni più
giovani".
La Corte infine boccia "la decisione di rinviare al 2008 non solo gli interventi relativi al primo pilastro previdenziale, ma anche l'entrata in vigore delle norme che dovrebbero consentire il decollo della previdenza complementare".
 
skymap ha scritto:
++CORTE CONTI: NON BASTA RIFORMA PENSIONI,NUOVI INTERVENTI++

(ANSA) - ROMA, 28 giu - "Nonostante le importanti correzioni introdotti con le riforme delle pensioni avviate fin dagli anni '90, nei prossimi decenni l'Italia subirà i pensati riflessi dell'invecchiamento della popolazione sulla spesa". E' l'allarme lanciato dalla Corte dei Conti che suggerisce "un'attenta valutazione di possibili ulteriori interventi correttivi".
"Il lungo periodo di transizione necessario perché entri pienamente a regime l'assetto pensionistico che discende dalle riforme adottate - sottolinea la Corte nella relazione sul rendiconto generale dello Stato - non consente di compensare gli effetti espansivi sulla spesa prodotti dalla pressione dei fattori demografici". Per i magistrati contabili, dunque, "la questione della sostenibilità macroeconomica della spesa pensionistica è da considerare tutt'altro che risolta".
Del resto le previsioni parlano chiaro: "Tutte le proiezioni sulle tendenze dei prossimi cinquant'anni - sottolinea la Corte - prevedono, per un periodo ancora lungo, un continuo aumento della quota percentuale della spesa pensionistica sul Pil, che dovrebbero raggiungere intorno al 2038 il livello massimo del 15,5%. Ci sarebbe dunque una crescita, rispetto al 2001, di oltre due punti di Pil, a causa essenzialmente di fattori demografici".
Nella Relazione, quindi, si spiega come "grazie alle riforme operate fin dagli anni '90 l'Italia registrerà a regime un incremento degli oneri previdenziali inferiori ad altri importanti paesi europei. Ma l'azione riformatrice - aggiungono
i giudici contabili - non raggiunge in pieno i suoi obiettivi.
Anche le recenti correzioni, infatti, pur ponendosi nella giusta direzione di contrasto della crescita della spesa, non appaiono pienamente adeguate alle esigenze della sua stabilizzazione in un arco di breve-medio periodo". Per questo la Corte suggerisce "un accorciamento significativo del percorso di
stabilizzazione, da conseguire con un'attenta valutazione dei possibili ulteriori interventi correttivi. A questi - si legge ancora nella Relazione - dovrebbe essere assegnato il duplice compito di evitare ulteriori tensioni sui conti pubblici negli anni futuri ed eccessive penalizzazioni per le generazioni più
giovani".
La Corte infine boccia "la decisione di rinviare al 2008 non solo gli interventi relativi al primo pilastro previdenziale, ma anche l'entrata in vigore delle norme che dovrebbero consentire il decollo della previdenza complementare".

Ma se Draghi ha gia' detto che siamo al 15.4% ora ... :rolleyes:

"He said Italy spent 15.4 per cent of GDP on pensions and it was necessary that the average pensionable age, which for many Italians is due to rise to 60 from 57 in 2008, should be increased even more."

http://www.msnbc.msn.com/id/13062809/

Io l'ho letta in italiano a suo tempo e diceva la stessa cosa ... ma ora non la trovo.
 
Ultima modifica:
e i sindacati, i sindacati cosa dicono? :D
 
Pensioni e precariato: le bugie sul welfare
di Giuliano Cazzola


Le cronache del "giovedì nero" si sono lungamente diffuse su di un burrascoso colloquio svoltosi alla buvette del Senato tra Lamberto Dini e Tiziano Treu, a lungo "compagni di strada" (Treu è stato ministro di Dini) in Rinnovamento Italiano, poi nella Margherita, prima che la nascita del Pd (il solo Treu ha aderito) dividesse i loro percorsi.

L’oggetto della disputa ha riguardato il disegno di legge su welfare e mercato del lavoro e segnatamente il capitolo pensioni, che è poi quello più a rischio sul versante dei conti pubblici. Il piano finanziario a corredo del pacchetto Damiano prevede una copertura di 10 miliardi dal 2008 al 2017 (si noti che i risparmi cumulati garantiti dall’effetto scalone entro il 2018 sarebbero stati pari ad oltre 65 miliardi). Dei 10 miliardi di maggiori oneri, 7,48 miliardi vengono attribuiti alla revisione dello scalone (mediante un sistema che agisce – è visibile la mano della RGS – sulle c.d. quote ovvero sulla somma del requisito contributivo e di quello anagrafico e su di una serie di scalini consistenti in un requisito minimo di età); 2,52 miliardi servono invece per finanziare il Fondo per i lavori usuranti, materia sulla quale, nella trasformazione del testo del protocollo del 23 luglio in norma del disegno di legge è "saltato" il riferimento a 5mila pensioni all’anno, rendendo ancor più inconsistenti gli strumenti di difesa del sistema contro l’assalto dei prepensionamenti di massa "sospinto" da una disciplina troppo generosa del lavoro usurante. Il Governo ha ampliato a dismisura la platea (sono previsti 1,4 milioni di lavoratori, ma saranno di più).

Si tenga conto – è l’unico precedente in materia – che lo "stralcio Salvi", nel 2000, consentì di liquidare, con le tutele previste per le mansioni usuranti, 6mila trattamenti. Ma ci vollero 250 miliardi di vecchie lire.

La nuova normativa, infatti, oltre a riconoscere a troppe condizioni lavorative la fattispecie di lavori usuranti, non si limita ad intervenire sugli anni di effettivo svolgimento di attività disagiate (come è avvenuto nel caso dell’esposizione ad amianto), ma riconosce una sorta di status di lavoratore usurato, che è possibile acquisire – e non perdere più neppure se cambiasse profondamente il tipo di lavoro - in relazione al tempo in cui la persona – semel usuratus semper usuratus - è stata adibita alle fatidiche mansioni usuranti.

Il requisito anagrafico è ridotto di tre anni rispetto a quello previsto (con un minimo di 57 anni) purché i richiedenti "abbiano svolto tale attività a regime per almeno la metà del periodo di lavoro complessivo o (nel periodo transitorio) almeno sette anni negli ultimi dieci di attività lavorativa". E’ in quest’ultima parte il veleno dell’operazione consumata dall’Esecutivo e dai sindacati, con la regia delle frazioni comuniste. Grazie alle maggiori facilitazioni concesse, appunto, nel periodo transitorio, molti lavoratori avranno la possibilità di aggirare nei prossimi anni il pur graduale innalzamento del requisito anagrafico per la pensione di anzianità. Per altro, ad essere onesti, occorre riconoscere che tutta la materia dei lavori usuranti – per come è stata definita – è una trappola da cui è difficile liberarsi, anche se venisse reintrodotto il riferimento dei 5mila casi all’anno. Se viene riconosciuto – sulla base di requisiti accertati – che un lavoratore ha diritto al bonus per il lavoro usurante, non lo si può mettere in lista di attesa, qualora sia stato superato il massimale di legge. Qualunque giudice gli riconoscerebbe un diritto soggettivo ad avvalersene.

Così, nel protocollo, il combinato disposto tra l’indicazione di un riferimento numerico (le 5mila unità annue) e di una copertura finanziaria (252 milioni medi all’anno) era stato introdotto dall’Economia al solo scopo di investire il Parlamento del problema di dover rifinanziare la misura in caso di sfondamento degli stanziamenti previsti. Si tratta, dunque, di una sorta di Triangolo delle Bermude da cui non si può uscire facilmente, neppure ripristinando il riferimento delle 5mila unità. Ma con questa soluzione il sistema pensionistico è seduto sul classico barile di tritolo.

Come se non bastasse, in modo del tutto improprio rispetto ai contenuti del protocollo, il Governo, nel ddl, ha riaperto i termini per le domande di trattamento agevolato per esposizione all’amianto che è già costato al sistema la bellezza di centomila prepensionamenti (con proiezioni economiche future devastanti: 13,5 miliardi nel 2015). Della tragica esperienza dell’esposizione all’amianto - riguardante una platea più ridotta e tardivamente ridimensionata – il Governo non ha tenuto conto per nulla nel definire la nuova normativa. L’emergenza lavori usuranti ha messo la sordina all’altro corno del dilemma-pensioni: la trasformazione dello scalone in un mix di gradini e quote. Va detto subito che la cifra di 7,48 miliardi è sottostimata.

Prima che la trattativa conclusasi con la stipula del protocollo prendesse il via, l’Economia divulgò delle ipotesi di spalmatura dello scalone con i relativi costi. Quella che partiva da 58 anni nel 2008 per arrivare ai 62 negli anni successivi – articolata sulla base di scalini rigidi - avrebbe richiesto (per ammissione della RGS) 9,5 miliardi di copertura come dato cumulato fino al 2016. La soluzione trovata – scalini più quote - è senz’altro più flessibile e quindi maggiormente onerosa. Come possa <costare> oltre 2 miliardi in meno rimane un mistero.

E la copertura ? Le misure proposte sono aleatorie o inique. Prendiamo il caso dei 3,6 miliardi derivanti dall’incremento di 3 punti (uno all’anno) dell’aliquota contributiva dei lavoratori parasubordinati in via esclusiva. Questo intervento è particolarmente maledetto perché colpisce il settore più svantaggiato del mercato del lavoro (quegli atipici per i quali la sinistra piange amare lacrime da coccodrillo), già penalizzato dalla batosta consistente nell’aumento di 6 punti contenuto nella legge finanziaria (e già assorbito nel quadro della manovra per l’anno in corso). In sostanza, questi lavoratori, nell’arco temporale di un quadriennio (2007-2010), subiranno un salasso di ben 9 punti di aliquota contributiva che i committenti preleveranno, alla fine, dai loro modesti redditi. Viene poi penalizzata la rivalutazione automatica delle pensioni più elevate, alla faccia di quanti reclamavano il recupero del potere d’acquisto mortificato.

Ma la cosa più curiosa riguarda le misure per la razionalizzazione degli enti previdenziali a cui si attribuiscono 3,5 miliardi di euro di risparmi. Se questo risultato non sarà raggiunto scatterà, dal 2011, un prelievo contributivo aggiuntivo dello 0,9% a carico di tutte le categorie di lavoratori. Come si vede le uniche indicazioni – per altro abbastanza incerte – dotate di una qualche credibilità riguardano percorsi di maggiori entrate attraverso incrementi del prelievo contributivo. Col paradosso che tra qualche anno l’aliquota contributiva di un cocopro sarà superiore di ben 6 punti rispetto a quella di un artigiano o di un commerciante. Infine, i puristi abbacinati dal calcolo contributivo, che per tanto tempo hanno accusato la legge Maroni di violare i sacri principi della legge Dini del 1995, si saranno accorti che di quell’impianto è rimasto ben poco. I coefficienti di trasformazione sono stati contemporaneamente definiti e rinviati.

Inoltre aleggia - inutile come un buon proposito, falsa come una bugia - la promessa, derivante da una strana alchimia, di un tasso di sostituzione del 60% ai giovani di oggi e pensionati di domani.
 
PENSIONI: RGS; SPESA CRESCE, SUD AL TOP PER ASSISTENZA
(di Manuela Tulli)

(ANSA) - ROMA, 19 NOV - Corre la spesa previdenziale in Italia: in un anno l'esborso per le pensioni è cresciuto del 3,6%, mentre quello per prestazioni assistenziali del 5% (+8,6% solo per l'indennità di disoccupazione). Per quanto riguarda la distribuzione della spesa a livello regionale al primo posto figura, per le sue dimensioni, la Lombardia, mentre al secondo e terzo posto ci sono Lazio e Piemonte. Ma se dai dati si estrapolano solo le tabelle sull'assistenza (dagli assegni al nucleo familiare ai trattamenti di disoccupazione) la classifica si scompagina e ai primi posti, sempre dopo la Lombardia, svettano le regioni del Sud (Campania, Sicilia e Puglia).
Sono alcuni dei dati contenuti nel dossier della Ragioneria Generale dello Stato ("La spesa statale regionalizzata. Anno 2005") appena pubblicato.
Nel complesso, rispetto all'anno 2004, la spesa per pensioni risulta cresciuta del 3,6%; "ha influito - spiega la Ragioneria - sia l'andamento del numero delle pensioni sia gli incrementi per perequazione automatica per l'anno 2005". Per ciò che riguarda, invece, la spesa per pensioni ed indennità di accompagnamento agli invalidi civili, ciechi e sordomuti, essa é risultata pari a 12.660 milioni di euro, con un incremento del 5% rispetto all'anno 2004. Nell'ambito della spesa per trattamenti di fine rapporto (Tfr), ammontante a 4.283 milioni di euro, la parte più rilevante è stata sostenuta dall'ex Inadel (1.110 milioni di euro) e dall' ex Enpas (2.848 milioni di euro).
Le voci più significative della spesa per "altre prestazioni" sostenute dall'Inps (in pratica la spesa assistenziale), pari a 14.676 milioni di euro, sono costituite dagli assegni al nucleo familiare (4.939 milioni), dai trattamenti di disoccupazione (3.362 milioni), di malattia e maternità (3.934 milioni), dai trattamenti di mobilità (1.039 milioni di euro) e di cassa integrazione (918 milioni dieuro). Nel complesso tale spesa è risultata superiore a quella del 2004 (+5%) e "tale aumento è da ricondursi essenzialmente - scrive sempre la Ragioneria Generale dello Stato - alla crescita registrata dal trattamento dell'indennità didisoccupazione, che da solo è cresciuto di circa l'8,6%". Alla
spesa assistenziale dell'Inps bisogna infine aggiungere 884 milioni di euro di spesa sostenuta da altri enti.

Ecco due tabelle con le classifiche a livello regionale del totale della spesa previdenziale e del totale della spesa solo per "altre prestazioni" che riassumono la spesa per assistenza (assegni al nucleo familiare, trattamenti di disoccupazione, malattia e maternità, trattamenti di mobilità, cassa integrazione). I dati sono in milioni di euro.
Fonte: Ragioneria Generale dello Stato

---------------------------------------------------------------
REGIONI TOT.SPESA PREVIDENZIALE REGIONI SPESA ASSISTENZA
Lombardia 41.457 Lombardia 2.304
Lazio 22.633 Campania 1.734
Piemonte 20.539 Sicilia 1.622
Emilia Romagna 19.697 Puglia 1.481
Veneto 17.912 Lazio 1.177
Campania 16.733 Piemonte 1.082
Toscana 16.295 Emilia Romagna 1.065
Sicilia 15.443 Veneto 1.028
Puglia 13.642 Toscana 758
Liguria 8.617 Calabria 754
Calabria 6.626 Sardegna 439
Marche 6.290 Abruzzo 369
Friuli V.Giulia 5.933 Marche 362
Sardegna 5.867 Friuli V.Giulia 313
Abruzzo 4.866 Liguria 306
Umbria 3.933 Trentino A.A. 244
Trentino A.A. 3.664 Basilicata 207
Basilicata 1.964 Umbria 203
Molise 1.100 Molise 75
Valle d'Aosta 549



http://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONE-I/Finanza-Pu/Rendiconto/Spesa-stat/index.asp
 
ecco qua, questo thread ha 8 anni e mezzo.
Tutto noto, tutto previsto.
 
Sorprendente: ne capisce più il Forum che la Troika!
 
Tra l'altro faccio notare che nel 2006 dicevano .... nel picco raggiungera'
il 15,5% del pil (e io dicevo che era una farsa perche' eravamo gia' al 15,4%) ...
oggi (2014) siamo al 16% ... altro che 2038.

Il gioco e' solo prendere tempo ... ogni giorno che passa solo soldi in tasca
ai parassiti rubati a chi lavora.
 
ecco qua, questo thread ha 8 anni e mezzo.
Tutto noto, tutto previsto.

Tra l'altro faccio notare che nel 2006 dicevano .... nel picco raggiungera'
il 15,5% del pil (e io dicevo che era una farsa perche' eravamo gia' al 15,4%) ...
oggi (2014) siamo al 16% ... altro che 2038.

Il gioco e' solo prendere tempo ... ogni giorno che passa solo soldi in tasca
ai parassiti rubati a chi lavora.

:bow:
 
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