Tim, maxi rimborso in arrivo Per i conti bonus da 1 miliardo
Telecom trova un tesoro da un miliardo, utile a compensare il debito in più che, nelle more del passaggio della rete a Kkr, gli analisti non avevano messo in conto. Un regalo dal passato che ha impiegato un quarto di secolo per essere recapitato. È arrivato dalla Corte d’Appello di Roma che ha ordinato la restituzione alla società telefonica del canone di concessione pagato in anticipo nel 1998, a valere sull’intero anno, quando ormai il settore era in regime di liberalizzazione.
Telecom è ricorsa alla giustizia amministrativa, poi alla giustizia civile, ottenendo alla fine la restituzione della somma non dovuta con interessi legali e rivalutazione, calcolati sugli ultimi 15 anni, dalla sentenza del 2008 del Tar del Lazio (sfavorevole alla società), partendo dalla cifra di 528.711.476,152 euro. Comunque i 529 milioni di euro iniziali (386 milioni di canone pagato da Telecom Italia e 143 milioni di canone pagato dall’ex Tim-Telecom Italia mobile, pari al 3% del fatturato di allora delle due società) sono raddoppiati a circa un miliardo.
Nel comunicare la notizia, la società ha precisato che «la sentenza è immediatamente esecutiva» e che «avvierà da subito le procedure per il recupero dell’importo in questione». Ma il Governo ha subito frenato: a stretto giro la Presidenza del Consiglio ha fatto sapere che «proporrà ricorso in Cassazione e chiederà la sospensione degli effetti esecutivi della pronuncia».
Nel ’98 non era stata solo Telecom a pagare il canone, ma anche l’altro operatore su piazza, Omnitel, la società di telefonia mobile poi assorbita in Vodafone. Proprio quest’ultima nel 2020 era riuscita ad averla vinta in Cassazione (ordinanza 18.603 depositata il 7 settembre) sul ricorso promosso allora dai ministeri dell’Economia e dello Sviluppo economico, ottenendo il rimborso dei 49 milioni versati nel 1998 a titolo di canone di concessione per l’esercizio dell’attività di telecomunicazioni.
Sulla vicenda, ricorda la nota Tim di ieri, è già intervenuta più volte la Corte di Giustizia dell’Unione europea, segnalando il contrasto tra la direttiva sulla liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni e le norme nazionali che avevano prorogato per il 1998 l’obbligo di pagamento del canone a carico dei concessionari di settore. In particolare nel 2020, precisa Tim, «la magistratura europea ha stabilito che il sistema normativo comunitario non consentiva a una normativa nazionale di prorogare per l’esercizio 1998 l’obbligo imposto a un’impresa di telecomunicazioni, precedentemente concessionaria, di versare un canone calcolato in funzione del fatturato, ma permetteva soltanto la richiesta di pagamento dei costi amministrativi connessi al rilascio, alla gestione, al controllo e all’attuazione del regime di autorizzazioni generali e di licenze individuali».
Dopo aver pagato Telecom aveva fatto subito ricorso al Tar del Lazio, ma nonostante la Corte di Giustizia europea avesse ritenuto il canone incompatibile con la direttiva Ue del 10-4-1997, il Consiglio di Stato a fine 2009 aveva confermato la bocciatura dell’istanza. Sul piano civile il primo grado nel 2015 si era concluso con il rigetto del ricorso Tim per motivi di ammissibilità. La Cassazione nel 2018 si era espressa a favore della società sul punto, c’era stato quindi un nuovo intervento della Corte di giustizia europea nel 2020, e si è arrivati così alla sentenza d’Appello civile di ieri, che ancora però non metterà la parola fine alla vicenda.