Truffa Etruria..!!...CAP. 3

  • Due nuove obbligazioni Societe Generale, in Euro e in Dollaro USA

    Societe Generale porta sul segmento Bond-X (EuroTLX) di Borsa Italiana due obbligazioni, una in EUR e una in USD, a tasso fisso decrescente con durata massima di 15 anni e possibilità di rimborso anticipato annuale a discrezione dell’Emittente.

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FLASH NEWS: -
lunedì 08 maggio 2017

“Le giuste esigenze dei dipendenti, con la FABI e tutti i sindacati in prima linea, si possono raccordare benissimo con le aspettative di tutti gli “stakeholder”; è opportuna ora unità e compattezza, per dimostrare a UBI Banca la forza di un vero gioco di squadra, ciascuno nel suo ruolo”.
Redazione Arezzo Notizie 5 maggio 2017 19:12 | Pubblicato in Economia, Arezzo


Dichiarazione di Fabio Faltoni, dipendente e sindacalista in Nuova Banca Etruria e segretario provinciale della FABI – Federazione Autonoma Bancari Italiani.

Si apprende che la settimana prossima sarà quella decisiva per la chiusura dell’operazione di vendita a UBI di Nuova Banca Etruria; non solo, si legge – e aspettiamo presto comunicazioni ufficiali – di un immediato avvicendamento dei CdA e anche al massimo vertice della direzione generale. Segno che si stanno sistemando le caselle di questo “puzzle” che è diventata nel tempo la vendita della banca aretina – e delle altre due – a UBI Banca; un vero e proprio “puzzle”, per quante e variegate sono state le parti che hanno dovuto faticosamente comporsi o che ancora si stanno componendo, proprio in queste ore.

Quando tutto sarà a posto (viene ipotizzato in settimana prossima) e chiuso con il passaggio di proprietà, sarà di fondamentale importanza conoscere il Piano Industriale del Gruppo UBI, quel piano che comprenderà per la prima volta anche le tre Good Bank e che riguarderà anche il nostro e tutti i territori che vedono la presenza della banca. Un Piano che è atteso con ansia dai lavoratori, e immaginiamo anche dal “territorio”, cioè dagli enti locali, politici, categorie economiche e clienti.
I lavoratori, che hanno dovuto subìre – e ancora non è finita – ogni sorta di vicissitudine, meritano certezze sul futuro lavorativo, sulla mobilità territoriale e sulle prospettive professionali. Lavoratori che, lo ricordiamo, sono in totale millecinquecento, la metà circa dei quali nella nostra provincia, con il grande centro direzionale.

Le giuste esigenze dei dipendenti, con la FABI e tutti i sindacati in prima linea, si possono raccordare benissimo con le aspettative di tutti gli “stakeholder”; è opportuna ora unità e compattezza, per dimostrare a UBI Banca la forza di un vero gioco di squadra, ciascuno nel suo ruolo.
 
I dipendenti di Etruria denunciano i truffati È una guerra tra poveri

Gli ex funzionari della banca fallita fanno causa ai risparmiatori che li hanno accusati
Redazione - Lun, 08/05/2017 - 08:59
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Come era prevedibile, è finito tutto a scatafascio. I responsabili sono rimasti impuniti, nessuno (per ora) è stato sanzionato, i dirigenti di Banca Etruria, a cominciare dal suo ultimo vice presidente Pier Luigi Boschi, padre del sottosegretario Maria Elena, hanno mantenuto i loro privilegi, senza perdere nemmeno un euro.

Gli unici a rimetterci, come al solito, i disgraziati.

Siano essi i risparmiatori truffati dalla banca che gli ex dipendenti dell'istituto, in parte trasferiti, in parte liquidati. Sono 500 i fascicoli aperti per truffa: uno per ogni esposto. Ad ottobre inizierà il primo processo per una quindicina di funzionari.

Questa infelice guerra tra poveri ha un triste epilogo: come in un malinconico film western, gli ultimi si fanno fuori tra di loro. Una gazzarra informe che vede gli uni contro gli altri, e i sindacati degli uni contro quelli degli altri. In fondo, non poteva che finire così una storia, che già in partenza, aveva contorni così squallidi.

Adesso i dipendenti dell'ex Banca Etruria, accusati per mesi di essere dei truffatori incalliti, sono passati al contrattacco e hanno controdenunciato i risparmiatori azzerati che a loro volta avevano citato in giudizio alcuni dipendenti della banca aretina. Scene pietose. Mentre i responsabili di questo scempio sono a spasso indisturbati (assolto l'ex presidente Giuseppe Fornasari, l'ex direttore generale Luca Bronchi e il dirigente David Canestri dall'accusa di ostacolo alla vigilanza), senza che i loro patrimoni sia stati minimamente intaccati, gli ultimi si danno battaglia. L'udienza preliminare per bancarotta fraudolenta è in calendario il 22 giugno: davanti al giudice 20 dei 22 finiti nel mirino dei pm.

Alcuni ex funzionari Etruria si sono rivolti alla Cisl di Arezzo che non ha esitato a schierarsi contro i risparmiatori. «Le accuse di quegli obbligazionisti che, vistisi azzerati gli investimenti, hanno cercato un capro espiatorio nei lavoratori, facendo loro causa, si rivolteranno come un boomerang contro gli accusatori che hanno dichiarato il falso o hanno simulato reati inesistenti», la spara grossa la Cisl. Il punto cardine è sempre quel maledetto questionario Mifid fatto compilare ai clienti. Il sindacato sostiene che i risparmiatori non rilasciarono i questionari ai dipendenti oggi sotto processo, come dichiarato dai querelanti, bensì ad altri funzionari, diversi mesi prima della conclusione dell'investimento. «In pratica - dice la Cisl -, i supposti raggiri, consistenti nell'ingannevole attribuzione di un profilo di rischio al cliente, sono inesistenti, in quanto non furono posti in essere dagli imputati». Allora, non è stato nessuno. I profili di rischio sono piovuti dal cielo. E la guerra si scatena tra gli indigenti.

La vicenda, però, ha aspetti ancora più grotteschi. Come Matteo Renzi che dice ai suoi collaboratori «dobbiamo inchiodare i grillini sui vaccini. Questa deve essere la loro Banca Etruria». Il coraggio non gli è mai mancato, soprattutto nel dire castronerie.

L'altra cosa sono gli arbitrati. Il Consiglio di Stato ha dato l'ok. «Ma è una presa di giro - dice Letizia Giorgianni, presidente dell'Associazione Vittime del Salva Banche -, solo un modo per prendere altro tempo. Da qui che usciranno nella Gazzetta Ufficiale faranno in tempo ad inserirci anche i risparmiatori Mps e di altre banche».

Come diceva lo scrittore francese Paul Brulat: «Niente costa tanto caro come essere poveri».
 
Politica Italia
Maria Elena Boschi, Maurizio Gasparri: “Analfabeta e incompetente”
di Redazione Blitz
Pubblicato il 6 maggio 2017 19:59
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Maria Elena Boschi, Maurizio Gasparri: "Analfabeta e incompetente"

Maria Elena Boschi, Maurizio Gasparri: “Analfabeta e incompetente”

ROMA – “Che la Boschi avesse dei familiari ingombranti lo abbiamo scoperto con lo scandalo di Banca Etruria. Che fosse presuntuosa e incompetente lo abbiamo visto con la patetica gestione della riforma costituzionale culminata con la sconfitta al referendum”. Il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri non usa mezzi termini per attaccare Maria Elena Boschi, in particolar modo sulla legge elettorale.

“Che fosse bugiarda lo si è poi appreso quando, dopo aver detto come Renzi che in caso di sconfitta al referendum si sarebbe ritirata dalla politica, si è invece aggrappata a poltrone di potere con ambizione e arroganza da vecchia politicante. Ora sappiamo che è anche analfabeta – attacca Gasparri – Afferma infatti che il suo partito, il Pd, aspetta di conoscere le proposte delle opposizioni in materia di riforma elettorale. Se sapesse leggere potrebbe tranquillamente consultare la proposta che Forza Italia ha presentato da tempo alla Camera.

Quindi Gasparri prosegue: “Un testo molto preciso e chiaro, che prevede il premio alla coalizione, la soglia del 40 per cento e molti altri utili dettagli. Ma anche quando avrà imparato a leggere credo che la Boschi non riuscirà a capire. Ma in mano a che gente siamo?”.
 
che bello, si è svegliato !!!

Titolo: CONSOB 2017: Vegas, correggere quanto prima retroattivita' bail-in
Ora: 08/05/2017 11:31
Testo:
MILANO (MF-DJ)--"Il primo e provvisorio bilancio del bail-in non puo'
dirsi positivo", dato che ha "introdotto elementi fortemente distorsivi"
in particolare "si e' rivelata infelice e poco ponderata la scelta di
adottare la nuova disciplina con effetto retroattivo".

Lo ha affermato Giuseppe Vegas, nel suo ultimo discorso da presidente
Consob, durante l'incontro annuale con la comunita' finanziaria,
aggiungendo che "le stesse regole che l'Europa si e' data per assicurare
stabilita' si sono rivelate in questo caso un fattore di instabilita'.
Alla prova dei fatti, l'idea di circoscrivere ai soli investitori di una
banca i costi del salvataggio si sta mostrando illusoria. La gestione
delle crisi bancarie puo' richiedere interventi tempestivi, talvolta
fulminei, incompatibili con i meccanismi decisionali sull'asse
Francoforte-Bruxelles".

Secondo il presidente, la normativa va quindi "corretta quanto prima",
anche perche' "si e' rivelato uno shock normativo che ha che ha
contribuito a minare la fiducia nel sistema bancario".
fch

(fine)

MF-DJ NEWS
0811:30 mag 2017
 
E Bravo

che bello, si è svegliato !!!

Titolo: CONSOB 2017: Vegas, correggere quanto prima retroattivita' bail-in
Ora: 08/05/2017 11:31
Testo:
MILANO (MF-DJ)--"Il primo e provvisorio bilancio del bail-in non puo'
dirsi positivo", dato che ha "introdotto elementi fortemente distorsivi"
in particolare "si e' rivelata infelice e poco ponderata la scelta di
adottare la nuova disciplina con effetto retroattivo".

Lo ha affermato Giuseppe Vegas, nel suo ultimo discorso da presidente
Consob, durante l'incontro annuale con la comunita' finanziaria,
aggiungendo che "le stesse regole che l'Europa si e' data per assicurare
stabilita' si sono rivelate in questo caso un fattore di instabilita'.
Alla prova dei fatti, l'idea di circoscrivere ai soli investitori di una
banca i costi del salvataggio si sta mostrando illusoria. La gestione
delle crisi bancarie puo' richiedere interventi tempestivi, talvolta
fulminei, incompatibili con i meccanismi decisionali sull'asse
Francoforte-Bruxelles".

Secondo il presidente, la normativa va quindi "corretta quanto prima",
anche perche' "si e' rivelato uno shock normativo che ha che ha
contribuito a minare la fiducia nel sistema bancario".
fch

(fine)

MF-DJ NEWS
0811:30 mag 2017

Ma ste cose i veri banchieri e politici di rango le sanno capire subito . Non diciotto mesi dopo ....Anzi prima di subito !!
 
Il comitato Risparmiatori Azzerati dal Salva-Banche manifesta la mattina del 5 maggio davanti alla procura di Arezzo. Sostengono che in questi mesi poco è stato fatto, a fronte di silenzi disarmanti da parte della Procura e nonostante inchieste su conflitti di interessi tra procura ed indagati e imbarazzanti articoli comparsi sulla stampa nazionale che legano la mala gestio di Banca Etruria a nomi di spicco della politica e dell’imprenditoria italiana. Il Comitato si dice decisamente preoccupato per le modalità e soprattutto per le tempistiche con cui le diverse procure, ma in particolar modo quella di Arezzo, stanno conducendo le indagini. Su molti filoni la prescrizione è dietro l’angolo...
 
tutto vero, una vera rapina alla luce del sole studiata nei minimi dettagli !!!


1 · 29 aprile alle ore 22:17
Giacomo Matteucci
Giacomo Matteucci Al di là di colpire i singoli direttori di filiale, il vero bubbone è nel CDA e nei non controlli dei Revisori e degli organi controllori. Come azionista mi sento rapinato in quanto ho acquistato AZIONI su falsi bilanci e fraudolente informazioni. DOBBIAMO riavere i NOSTRI risparmi 👿👿👿👿👿
1 · 29 aprile alle ore 23:01
Michele Accatino
Michele Accatino E bravo .... Il buco degli Npl è sbucano fuori all'improvviso . Da un giorno all'alto la banca è risultata praticamente fallita . Dopo che erano mesi e mesi che gli ispettori di Bdi ravanavano nei conti di
 
non solo erano mesi e mesi che studiavano i conti, ma banca d' italia pretese degli ulteriori accantonamenti per gli npl che ne determinaroni il fallimento, quando già aveva una copertura molto alta al 55%, rispetto alla media delle altre banche.
Una cosa inspiegabile, mai vista prima, molto molto difficile da digerire.
 
Vecchia Banca Etruria, 200 pagine per motivare l’assoluzione per ostacolo alla vigilanza

Le copie ieri mattina sono state ricevute dai pool di magistrati guidati dal procuratore capo Roberto Rossi e dai legali degli imputati.
Nadia Frulli

9 maggio 2017 6:14 | Pubblicato in Cronaca, Arezzo


Una motivazione che conta 200 pagine. E’ quella depositata dal gup per la sentenza di assoluzione dall’accusa di ostacolo alla vigilanza per l’ex presidente Giuseppe Fornasari, l’ex direttore generale Luca Bronchi e il dirigente David Canestri. Le copie ieri mattina sono state ricevute dai pool di magistrati guidati dal procuratore capo Roberto Rossi e dai legali degli imputati.
La Procura di Arezzo sta adesso studiando, pagina dopo pagina, quanto scritto dal Gip Annamaria Loprete: l’ottica è quella di ricorrere in appello ed il lavoro adesso sarà soprattutto quello valutare punto per punto quando asserito e formulare un’istanza dettagliata.

Intanto trapela soddisfazione da parte dei difensori degli imputati. “Il giudice ha motivato in modo minuzioso la sua decisione, prendendo in esame tutti i documenti presentati, comprese le perizie e le relazioni dei consulenti che abbiamo presentato – ha commentato il legale Antonio Bonacci, che assiste Bronchi – . Un peso importante lo hanno avuto, si evince, anche le dichiarazioni degli imputati. Elementi estremamente tecnici che sono riusciti a dimostrare come e perché siano avvenuti determinati passaggi di tipo finanziario considerati invece dall’accusa fumosi. Il giudice ha abbracciato l’ipotesi della difesa anche sulle critiche mosse verso l’operato di Banca d’Italia”.
PUBBLICITÀ

Per gli imputati il procuratore della Repubblica di Arezzo Roberto Rossi e il pm Julia Maggiore avevano chiesto, nell’ordine, due anni e otto mesi per Fornasari e Bronchi. e due anni per Canestri, mentre Bankitalia aveva presentato istanza di risarcimento danni per 320mila euro.

ALTRI PROCEDIMENTI

Nel frattempo proseguono i procedimenti giudiziari a carico dell’ex dirigenza: l’udienza preliminare è in calendario per il 22 giugno. A comparire davanti al giudice saranno 20 dei 22 che erano finiti nel mirino della magistratura. Solo su dieci di questi pende l’accusa di bancarotta fraudolenta, per gli altri invece si profila la bancarotta semplice. In quella data Federconsumatori ha annunciato di volersi costituire parte civile. Stessa cosa hanno intenzione di fare gli oltre cento azionisti, provenienti da tutta Italia, rappresentati dal legale Riziero Angeletti.
 
Banca Etruria, closing di Ubi sulle 3 good bank 09 maggio 2017 11:35 Economia e Lavoro Arezzo AddThis Sharing Buttons Share to FacebookFacebookShare to TwitterTwitterShare to WhatsAppWhatsAppShare to Google+Google+Share to E-mailE-mail banca_etruria_protesta_VINCI_SOVIGLIANA_delegazione_empolese_valdelsa_2016_04_27_2 Il perfezionamento dell’operazione che porterà le tre ‘good bank’ sotto il definitivo controllo di Ubi è fissato per domani e a guidare Nuova Banca Marche, Nuova banca Etruria e Nuova Carichieti sarà un “presidente bergamasco doc”. E’ quanto scrive oggi il Corriere della Sera (edizione di Bergamo) precisando che si tratta dell’ex direttore generale della (ex) Popolare di Bergamo e membro del consiglio di gestione Osvaldo Ranica. Il closing, precisa il Corsera, avverrà domani, “dopo che tutte le caselle, tra autorizzazioni e accordi vari, sono andate al loro posto, nel rispetto dei parametri fissati”. Il quotidiano ricorda tra l’altro che gli impegni del venditore prevedono un patrimonio netto contabile pari ad almeno 1.010 milioni di euro e un indice di patrimonializzazione Cet 1 ratio non inferiore al 9,1%, mentre da parte di Ubi, per mantenere un Cet 1, comprensivo anche dell’integrazione delle tre banche ad un livello superiore all’11% già a partire da quest’anno, è stato previsto un aumento di capitale di 400 milioni di euro, proposto e deliberato nell’assemblea del 7 aprile scorso. P
 
Risparmiatori azzerati dal Salva-Banche
8 h ·

#bancaetruria controquerele in parole povere:

Si il Mifid è alterato ma la colpa è del cane che si è mangiato una pagina e in base a questo presentiamo controquerela.

Analizziamo nel dettaglio la mossa del sindacato CISL dipendenti bancari contro due obbligazionisti degli oltre 500 che hanno presentato querela in merito alla vendita delle obbligazioni subordinate azzerate.
In pratica riguardano entrambi la correttezza del profilo Mifid, ma attenzione non si nega che tale profilo sia incoerente con il cliente della banca, ma solo ed esclusivamente che tale profilo era stato compilato in precedenza da un altro collega bancario. Quindi non si negano i fatti ma si cercano di scaricare ad altri colleghi.
Riporto testo comunicato CISL a riprova:

“Tratto comune delle controdenunce depositate attiene alle dichiarazioni rese dai querelanti in ordine al rilascio del cosiddetto questionario Mifid. Dalle evidenze documentali, emerge che i clienti non rilasciarono tali questionari ai dipendenti oggi sottoposti a un ingiusto procedimento penale, come invece dichiarato dai querelanti, bensì ad altri lavoratori diversi mesi prima della conclusione dell’investimento. La circostanza è oltremodo rilevante anche alla luce del fatto che i questionari non furono oggetto di modifica, né prima, né contestualmente alla conclusione delle operazioni di acquisto o sottoscrizione delle obbligazioni subordinate. Pertanto, i lavoratori sottoposti ad azione penale, nei casi in commento non hanno influito in alcun modo nella determinazione del profilo di rischio degli investitori”.
 
Boschi chiese a UniCredit di comprare la banca del papà
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Boschi chiese a UniCredit di comprare la banca del papà
Nel libro "Poteri forti (o quasi)" Ferruccio De Bortoli rivela la richiesta della ministra, che ha sempre smentito di essersi interessata a Banca Etruria, di cui il padre era vice-presidente
09/05/2017 16:14 CEST | Aggiornato 1 ora fa

Huffington Post

Agf

Pubblichiamo alcuni stralci dell'ultimo libro di Ferruccio De Bortoli, "Poteri forti (o quasi). Memorie di oltre quarant'anni di giornalismo" (edizione I Fari), in uscita l'11 maggio. In un passaggio, De Bortoli parla del ruolo dell'allora ministra per le Riforme, Maria Elena Boschi, nella vicenda di Banca Etruria, di cui il padre era vicepresidente. La ministra, secondo quanto scrive De Bortoli, chiese all'allora amministratore delegato di UniCredit, Federico Ghizzoni, di valutare una possibile acquisizione della banca aretina.

Scrive De Bortoli:

"L'allora ministra delle Riforme, nel 2015, non ebbe problemi a rivolgersi direttamente all'amministratore delegato di Unicredit. Maria Elena Boschi chiese quindi a Federico Ghizzoni di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria. La domanda era inusuale da parte di un membro del governo all'amministratore delegato di una banca quotata. Ghizzoni, comunque, incaricò un suo collaboratore di fare le opportune valutazioni patrimoniali, poi decise di lasciar perdere".

Così continua De Bortoli

L'industriale delle scarpe Rossano Soldini mi ha raccontato di aver avuto molti sospetti sul ruolo della massoneria locale nella gestione dell'istituto. Elio Faralli, che ne fu padre-padrone per circa 30 anni, fino al momento in cui fu costretto a lasciare il timone a Giuseppe Fornasari, era notoriamente un massone. Soldini fece molte domande scomode, in particolare sul ruolo del consigliere Alberto Rigotti, il cui voto, probabilmente invalido, fu decisivo per eleggere Fornasari. Rigotti ebbe prestiti dalla banca, mai rientrati, e finì in bancarotta con il suo gruppo editoriale. I consiglieri dell'Etruria godettero di affidamenti per un totale di 220 milioni. Gli organi statutari erano del tutto ornamentali.

Non sarebbe il caso di chiedersi se anche legami massonici o di altra natura non trasparente siano stati all'origine della concessione di troppi crediti facili e della distruzione di molti piccoli risparmi? A maggior ragione ora che alcuni istituti di credito vengono salvati con i soldi dei contribuenti? Alessandro Profumo, ex presidente del Monte dei Paschi, il 15 giugno 2016, durante la presentazione del libro di Fabio Innocenzi Sabbie mobili. Esiste un banchiere per bene? (Codice, 2016) rispondendo a una domanda sul tracollo del Monte dei Paschi se ne uscì con questa frase: «La colpa è tutta della massoneria». Se ne parlò poco. Profumo mi spiegherà poi di avere avuto sempre la sensazione che ci fossero fili sotterranei, strane appartenenze. E che il sospetto dei legami massonici emergesse soprattutto quando si trattava di assumere qualcuno, constatando i diffusi malumori per un no inaspettato. E ha usato un esempio dalla Settimana Enigmistica. Unisci i puntini e scopri il disegno. Ma quanti sono i puntini? E qual è il disegno?

D'Alema, Cuccia e il futuro di Mediobanca

La privatizzazione di Telecom, nel 1997, può essere considerata un punto di svolta nella storia industriale del Paese. Era la condizione per poter entrare nell' Unione monetaria. Il ticket dell' ammissione. Salato. Prevista dall' accordo Andreatta-Van Miert. Il gruppo Agnelli vi partecipò distrattamente, con l' Ifil che ebbe una quota modesta del cosiddetto «nocciolino». Cesare Romiti era favorevole a una maggiore diversificazione del gruppo torinese: «Ma Agnelli voleva concentrarsi sull' auto e la famiglia temeva che fosse un modo attraverso il quale avrei potuto espropriare l' azienda».

«Telecom all' epoca era la migliore d' Europa», ricorda Fabiano Fabiani, amministratore delegato della Finmeccanica, «dava lavoro a centomila persone, non aveva debiti, fu la prima a introdurre la fibra ottica». E, aggiungiamo noi, aveva contribuito a rendere l' Italia - insieme alla Omnitel generata dalla Olivetti - il Paese europeo più avanzato, competitivo ed efficiente nel settore della telefonia cellulare.

La designazione del primo presidente della Telecom privata, Gian Mario Rossignolo («un estraneo al business», lo definisce Fabiani), fu la prova della scarsa volontà dei nuovi azionisti, che in totale controllavano solo il 6 per cento. Insomma, dei privatizzatori controvoglia. Con il braccio corto.

E scelsero la persona sbagliata. La debolezza azionaria esporrà il gruppo alla famosa scalata dei «capitani coraggiosi», guidati da Roberto Colaninno che, nel febbraio del 1999, lanciò un' Opa da 100 mila miliardi di lire. Il presidente del consiglio, Massimo D' Alema, convocò una riunione con il ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, il titolare dell' Industria, Pier Luigi Bersani e quello delle Finanze, Vincenzo Visco. Era stato chiesto alla Guardia di finanza di indagare sui componenti della cordata, senza trovare nulla.

Si decis e, con una lettera di Ciampi all' allora direttore generale del Tesoro Mario Draghi, l' atteggiamento che il governo, in parte azionista, avrebbe avuto nella vicenda. Un' operazione di mercato, certo. Ma avventata perché caricava inesorabilmente di debiti, per il 70 per cento dell' Opa, la società.

Un' operazione finanziata con il debito bancario e con l' incasso ottenuto dalla cessione di Omnitel e di Infostrada ai tedeschi di Mannesmann e con un aumento di capitale della Olivetti per 2,6 miliardi di euro.

Un ruolo decisivo lo ebbe, come advisor , Mediobanca. Ricordo, come esemplare di una nuova era un po' muscolare e aggressiva, l' episodio del tappo di champagne che esce da una finestra di Mediobanca, durante i festeggiamenti per il successo dell' offerta.

Carlo Mario Guerci, economista consulente dell' operazione, ne andava fiero: «Si sono aperte le finestre del capitalismo». Potevano tenerle chiuse, risposi.

Qui si compie un passaggio decisivo nel cambiamento di pelle dell' istituto di via Filodrammatici. Un segno del declino, anche nel giudizio di Cesare Geronzi che di Mediobanca sarà poi presidente. Massimo D' Alema, presidente del Consiglio dal 1998 al 2000, aveva avuto l' opportunità di conoscere Cuccia a casa di Alfio Marchini.

E negli incontri si era parlato anche del futuro dell' istituto e della determinazione del presidente onorario di vedere il proprio delfino, Vincenzo Maranghi, come suo naturale successore. Il potere peraltro lo aveva già di fatto in mano. Cuccia andò una volta a trovare D' Alema a Palazzo Chigi, insieme a Maranghi, ma decise di non farlo entrare nello studio del capo del governo.

Lo lasciò fuori. «Sì è vero», ricorda D' Alema, «volle parlare a tu per tu con me. Discutemmo del futuro di Mediobanca. Io gli proposi come presidente Mario Draghi. A mio parere, l' istituto doveva cambiare pelle e ridisegnare il capitalismo italiano. Non poteva limitarsi a essere la cassaforte che garantiva il controllo di pochi grandi gruppi. Gli dissi: normalizzatevi e la persona giusta è Draghi». E il presidente onorario di Mediobanca come reagì?

«Apprezzava Draghi ma difese Maranghi, con affetto quasi paterno, mi descrisse il suo carattere di uomo mite ma determinato. E poi mi chiese di farlo entrare».

Cuccia morirà poco dopo, il 23 giugno 2000. Nella ricostruzione di Geronzi, Cuccia accettò di sostenere l' Opa dei «capitani coraggiosi» in cambio della continuità di Mediobanca. «Io non chiesi a Cuccia di sostenere Colaninno», aggiunge D' Alema, «e ci tengo a dire in questa circostanza, perché di leggende sulla Telecom ne ho lette molte, che non conoscevo nessuno dei protagonisti dell' Opa.

Colaninno l' ho conosciuto in seguito. Cuccia mi disse che la situazione era insostenibile, che l' azienda andava malissimo, senza una vera proprietà. Cuccia riteneva insopportabile l' arroganza di Umberto Agnelli. Volevano che impedissi l' Opa. Chiedemmo un parere al Consiglio di Stato, c' era un problema di normative europee. La scelta del governo, anche per la propria quota, fu di neutralità. Né aderire né sabotare. Si scatenò il finimondo. De Benedetti, in odio a Colaninno, fece il diavolo a quattro. E sa chi fu l' unico a non fare pressioni? L' avvocato Agnelli, il quale mi disse che l' establishment di questo Paese, mediocre e vendicativo, lo definì così, me l' avrebbe fatta pagare».

Nel 2001 la quota degli scalatori, con un' ingente plusvalenza, verrà rilevata dalla Pirelli di Marco Tronchetti Provera e da Edizione dei Benetton. A un prezzo elevato, seppur in linea con i multipli dell' epoca, corretto dopo lo choc planetario delle Torri Gemelle. Tronchetti fu sfortunato, non amato dal centrosinistra, ma commise anche degli errori. «Gli dissi un giorno», ricorda ancora Geronzi, «che non era un imprenditore. Era un buon manager e ha trattato bene con i cinesi di ChemChina, salvaguardando il suo ruolo».

Il debito di Telecom al 30 settembre 2001 era di 22,6 miliardi, mentre quello di Olivetti era di 17,8. Complessivamente gravava sul gruppo un debito di 40,4 miliardi. (...) Nel 2007, al termine della gestione Tronchetti, era di 35,7 miliardi. Gilberto Benetton ammette oggi che l' investimento in Telecom fu un grosso errore. «Ma può capitare».

La perdita? Circa due miliardi. Del resto il suo gruppo è stato il protagonista delle privatizzazioni meglio riuscite. (...) «Ricordo che un giorno», continua Benetton, «chiamai Umberto Agnelli perché noi volevamo solo Autogrill, la grande distribuzione non ci interessava. E lui mi rispose che Autogrill l' aveva già promessa a un fondo inglese. Ma non era vero, era solo un modo per tenerci lontani. Il gruppo Agnelli, nelle privatizzazioni, non aveva molta voglia di pagare». (...)

Le privatizzazioni tutti le chiedevano, tra gli industriali, pochi però erano pronti a mettere mano al portafoglio e rischiare in proprio. Afferma Fulvio Coltorti, ex direttore dell' ufficio studi di Mediobanca, che le privatizzazioni furono viste da gran parte dell' impresa privata italiana come un affare eminentemente finanziario, raramente industriale.
 
Boschi chiese a UniCredit di comprare la banca del papà.

Boschi chiese a UniCredit di comprare la banca del papà
Nel libro "Poteri forti (o quasi)" Ferruccio De Bortoli rivela la richiesta della ministra, che ha sempre smentito di essersi interessata a Banca Etruria, di cui il padre era vice-presidente
09/05/2017 16:14 CEST | Aggiornato 1 ora fa

Huffington Post

Pubblichiamo alcuni stralci dell'ultimo libro di Ferruccio De Bortoli, "Poteri forti (o quasi). Memorie di oltre quarant'anni di giornalismo" (edizione I Fari), in uscita l'11 maggio. In un passaggio, De Bortoli parla del ruolo dell'allora ministra per le Riforme, Maria Elena Boschi, nella vicenda di Banca Etruria, di cui il padre era vicepresidente. La ministra, secondo quanto scrive De Bortoli, chiese all'allora amministratore delegato di UniCredit, Federico Ghizzoni, di valutare una possibile acquisizione della banca aretina.

Scrive De Bortoli:

"L'allora ministra delle Riforme, nel 2015, non ebbe problemi a rivolgersi direttamente all'amministratore delegato di Unicredit. Maria Elena Boschi chiese quindi a Federico Ghizzoni di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria. La domanda era inusuale da parte di un membro del governo all'amministratore delegato di una banca quotata. Ghizzoni, comunque, incaricò un suo collaboratore di fare le opportune valutazioni patrimoniali, poi decise di lasciar perdere".

Così continua De Bortoli

L'industriale delle scarpe Rossano Soldini mi ha raccontato di aver avuto molti sospetti sul ruolo della massoneria locale nella gestione dell'istituto. Elio Faralli, che ne fu padre-padrone per circa 30 anni, fino al momento in cui fu costretto a lasciare il timone a Giuseppe Fornasari, era notoriamente un massone. Soldini fece molte domande scomode, in particolare sul ruolo del consigliere Alberto Rigotti, il cui voto, probabilmente invalido, fu decisivo per eleggere Fornasari. Rigotti ebbe prestiti dalla banca, mai rientrati, e finì in bancarotta con il suo gruppo editoriale. I consiglieri dell'Etruria godettero di affidamenti per un totale di 220 milioni. Gli organi statutari erano del tutto ornamentali.

Non sarebbe il caso di chiedersi se anche legami massonici o di altra natura non trasparente siano stati all'origine della concessione di troppi crediti facili e della distruzione di molti piccoli risparmi? A maggior ragione ora che alcuni istituti di credito vengono salvati con i soldi dei contribuenti? Alessandro Profumo, ex presidente del Monte dei Paschi, il 15 giugno 2016, durante la presentazione del libro di Fabio Innocenzi Sabbie mobili. Esiste un banchiere per bene? (Codice, 2016) rispondendo a una domanda sul tracollo del Monte dei Paschi se ne uscì con questa frase: «La colpa è tutta della massoneria». Se ne parlò poco. Profumo mi spiegherà poi di avere avuto sempre la sensazione che ci fossero fili sotterranei, strane appartenenze. E che il sospetto dei legami massonici emergesse soprattutto quando si trattava di assumere qualcuno, constatando i diffusi malumori per un no inaspettato. E ha usato un esempio dalla Settimana Enigmistica. Unisci i puntini e scopri il disegno. Ma quanti sono i puntini? E qual è il disegno?





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"Nessun dolo e prestiti corretti": ostacolo alla vigilanza, perché assolti Fornasari & c.

Le motivazioni della sentenza sull’ex presidente Bpel, Bronchi e Canestri. Per il Gup «non c’è penale, solo sanzioni amministrative». Sofferenze:«Non volevano nasconderle»
di Salvatore Mannino
Ultimo aggiornamento: 9 maggio 2017
Luca Bronchi e Giuseppe Fornasari
Luca Bronchi e Giuseppe Fornasari
4 min

Arezzo, 9 maggio 2017 - Non ci fu dolo, cioè tentativo di nascondere la vera situazione finanziaria di Banca Etruria, nella sottovalutazione dei crediti deteriorati nel bilancio 2012. E lo spin-off con il quale nello stesso bilancio fu portata a termine l’operazione Palazzo della Fonte di cessione di gran parte del patrimonio immobiliare di via Calamandrei era una vendita reale, non fittizia. Di più: i finanziamenti concessi da Bpel a quattro degli imprenditori partecipanti al consorzio di acquisto furono normali operazioni di mercato e in ogni caso non avrebbero ostacolato la corretta rappresentazione dell’affare a Banca d’Italia.

Eccola la sentenza con la quale il Gup Anna Maria Lo Prete giustifica le assoluzioni dell’ex presidente Giuseppe Fornasari, dell’ex direttore generale Luca Bronchi e del direttore centrale, tuttora responsabile del Risk Management David Canestri dall’accusa di ostacola alla vigilanza di via Nazionale.

Ecco le motivazioni che i protagonisti attendendevano ansiosamente dal 30 novembre in cui fu pronunciato il clamoroso verdetto, in contrasto con tutte le aspettative della vigilia, che lasciò attoniti i Pm del pool che indaga sul caso Etruria e l’avvocato di Banca d’Italia che si era costituita parte civile. Il giudice Lo Prete, che a fine aprile ha lasciato l’ufficio Gip per tasferirsi al civile, ha depositato la sua sentenza venerdì scorso, ma i protagonisti ne hanno preso visione solo ieri, alla riapertura del Palazzo di giustizia. Ora scattano i termini per la presentazione dell’appello.

E fin da ora si può dare per scontato quello dei Pm, ancora convinti che l’ostacolo alla vigilanza ci sia stato eccome. Non è però il parere del Gup cui toccava il verdetto, che impiega 104 pagine per spiegare perchè ha assolto, equamente divise fra i due capi di imputazione: quello per la non corretta rappresentazione dei deteriorati, che le due ispezioni di Banca d’Italia corressero decisamente al rialzo e quelle sulla Palazzo della Fonte. Cominciamo da quest’ultimo, il più spinoso, e anche quello su cui la procura si sentiva più sicura.

C’erano infatti quattro linee di prestito dalla banca ai soci del consorzio sui quali Banca d’Italia e Pm non avevano dubbi: è ostacolo alla vigilanza. No, ribatte il giudice: i crediti a Farmagest,Mineco Srl e Cogim furono concessi a normali tassi di mercato e dopo istruttorie corrette, non affrettate e strumentali come riteneva l’accusa. Quanto a quello a Gema 96 è addirittura difficile ricondurlo all’operazione di spin off. E poi sono comunque 6,4 milioni, ben lontani dalla soglia di 8,7 su 87 dell’affare (il 10%) che non inficiano la plusvalenza ai fini del patrimonio di vigilanza.

Ancora: sbagliava l’ispettore di via Nazionale Emanuele Gatti a ritenere l’operazione fittizia, ordinandone il congelamento sul bilancio. Fu invece, sempre secondo il giudice, una true sale, una vendita reale, che oltretutto non implicava per Etruria il mantenimento del ruolo di controllo sul consorzio (autopilot). «Non vi è riscontro alcuno di un’informazione decettiva a Banca d’Italia a carico dei dirigenti di Banca Etruria incriminati, non sussiste neppure la ragion d’essere o la motivazione remota della presunta condotta di ostacolo...nessuna falsa informazione è stata resa a Banca Italia circa l’adeguatezza delle proprie condizioni patrimoniali in esito allo spin off». Il Gup Lo Prete si ferma qui, ma c’è da giurare che non finisce così.
 
Allora... come procedono le attività di recupero...??? Io come ho sempre detto sono molto scettico...!!!
 
Se Unicredit avesse comprato Etruria, ora saremmo molto piu' ricchi....
 
Ministra Boschi, senza pudore, senza vergogna, famiglia torbida.

L' avvocato del ragazzo della mia amica, gli avrebbe detto che si riesce a recuperare fino al 90% dell' investimento perso, più risarcimento dei danni.

Quindi un saluto a tutti i combattenti, la guerra è appena cominciata.

L' importante è non fare tornare Renzi al potere, ma mandarlo nei campi a zappare la terra.
 
Maria Elena Boschi, dal governo difesa debole. Bersani: “Chiarezza o dimissioni”. L’incontro “facilitato” Rosi-Ghizzoni
L'esecutivo Gentiloni, secondo Repubblica, è consapevole che la sottosegretaria potrebbe dover lasciare se l'ex ad di Unicredit non smentirà la ricostruzione del libro di de Bortoli, secondo cui l'allora ministro avrebbe chiesto al numero uno di piazza Gae Aulenti di comprare Banca Etruria. La Stampa racconta di un incontro tra lui e l'ex presidente dell'istituto aretino nel gennaio 2015

Non solo i 5 Stelle e la Lega. Anche Mdp chiarisce che la linea sul nuovo “caso Etruria” scatenato dalle anticipazioni del libro dell’ex direttore del Corriere Ferruccio de Bortoli è decisa: o la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi fa “chiarezza” o l’unica strada sono le dimissioni. “Sì, è quello che ha detto Speranza, la nostra linea è questa”, ha sancito Pier Luigi Bersani parlando con i cronisti a Montecitorio. Tacciono, per ora, gli orlandiani e i sostenitori di Michele Emiliano. Forza Italia dal canto suo conferma il “garantismo a 360 gradi”, ma chiede che l’ex numero uno di Unicredit Federico Ghizzoni sia audito dalla commissione Finanze della Camera “per capire se davvero il sottosegretario Maria Elena Boschi quando era ministro per le Riforme abbia chiesto all’ex ad di comprare la banca del suo babbo”. La Boschi stavolta pare davvero a rischio. Non a caso, racconta Repubblica, l’esecutivo Gentiloni sta a guardare “con preoccupazione“.

A Palazzo Chigi c’è la consapevolezza che “lo spettro delle dimissioni” della sottosegretaria “potrebbe affacciarsi nitidamente” se Ghizzoni – cui secondo de Bortoli l’allora ministra delle Riforme e braccio destro di Matteo Renzi chiese direttamente di “valutare una possibile acquisizione” dell’Etruria – continua a tacere. Non smentendo la ricostruzione. La banca si è limitata a diffondere un comunicato in cui nega “pressioni di carattere politico nell’esame dei dossier di altre banche”. La Boschi dal canto suo ha smentito di aver mai avanzato richieste del genere e ha annunciato querele, ma nei confronti dei 5 Stelle che attaccano “il suo nome e il suo onore”. E questo non basta, fanno notare voci dell’esecutivo citate dal quotidiano di largo Fochetti: “Occorre querelare anche de Bortoli, se si vuole dare forza alla linea difensiva” di Boschi. Che in passato ha sempre smentito qualsiasi ipotesi di conflitto di interessi nella gestione della vicenda Etruria da parte del governo Renzi e mercoledì durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi è sbottata: “La misura è colma”.

Intanto si chiarisce il quadro della presunta pressione o “moral suasion” su Ghizzoni, finita in un nulla di fatto dato che dopo un’istruttoria l’ipotesi fu scartata da piazza Gae Aulenti. Secondo Libero e La Stampa a incontrare il banchiere per discutere della possibile acquisizione fu Lorenzo Rosi, che dell’istituto aretino era presidente. Mentre Pier Luigi Boschi, padre della ministra, aveva la poltrona di vicepresidente. Rosi, ora imputato per bancarotta fraudolenta, non conosceva Ghizzoni: l’incontro tra i due, secondo il quotidiano torinese, fu “facilitato da qualcuno” evidentemente molto in alto. Era il gennaio 2015: siamo dunque un mese prima del commissariamento dell’Etruria da parte di Bankitalia, i cui ispettori stavano già passando al setaccio i conti della banca. Il 20 il governo Renzi, di cui la Boschi era un ministro chiave, avrebbe varato la riforma delle popolari che ne disponeva la trasformazione in spa, facendo schizzare le quotazioni della banca di Arezzo.

Fu Bankitalia, aggiunge La Stampa citando un anonimo “testimone delle convulse settimane che precedettero il commissariamento della banca aretina”, a “convincere i potenziale acquirenti a desistere dall’operazione”. La vicenda rimase poi sotto traccia fino al 22 novembre 2015, quando l’Etruria, insieme a Banca Marche, Cariferrara e Carichieti, fu messa in risoluzione per decreto azzerando i risparmi di azionisti e obbligazionisti subordinati e trasferendo gli attivi a quattro “good bank”. Proprio oggi, 10 maggio, è atteso il via libera all’acquisizione da parte di Ubi di Nuova Banca Etruria, Nuova Carichieti e Banca Marche, mentre Cariferrara è stata acquisita da Bper.
 
Fu Bankitalia, aggiunge La Stampa citando un anonimo “testimone delle convulse settimane che precedettero il commissariamento della banca aretina”, a “convincere i potenziale acquirenti a desistere dall’operazione”.

Probabile che dopo la pubblicazione di questo libro, chi sa veramente le cose gli venga voglia di parlare una volta per tutti. Sono ancora molte le cose tenute artatamente nascoste.

Si tratta di rompere un muro, una volta rotto, arriverà una cascata di acqua, che fa cadere il governo, e fa processare sul serio i veri responsabili.
 
Unicredit e Banca Etruria: la notizia di de Bortoli, la reazione di Boschi, il silenzio di Ghizzoni
Bruno Guarini Palazzi
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Unicredit e Banca Etruria: la notizia di de Bortoli, la reazione di Boschi, il silenzio di Ghizzoni

Governo appeso a un cenno di Federico Ghizzoni che non arriva, anzi il silenzio dell’ex capo di Unicredit è sempre più assordante e mette a rischio la permanenza di Maria Elena Boschi nell’esecutivo. Il libro in uscita domani di Ferruccio de Bortoli contiene una notizia che sta scuotendo i palazzi della politica e in particolare Palazzo Chigi.
L’ex direttore del Corriere della Sera nel libro “Poteri forti (o quasi)”, nel capitolo su «Matteo Renzi, ovvero la bulimia del potere personale», scrive che l’allora ministra delle Riforme, Maria Elena Boschi, attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, nel 2015, chiese all’allora amministratore delegato di Unicredit, Ghizzoni, «di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria», poi scartata. Accusa pesante che la sottosegretaria respinge: «Mai fatto una richiesta del genere, è un’ennesima campagna di fango». Il sottosegretario Boschi, il cui padre Pier Luigi è stato vicepresidente della banca di Arezzo, ha dato mandato ai legali «per tutelare il mio nome e il mio onore» anche perché da sempre sostiene di non essersi mai interessata personalmente della Popolare dell’Etruria.
L’episodio riguarda i tentativi di salvare l’ex Popolare dell’Etruria, al cui vertice c’era il papà di Boschi, Pierluigi, vicepresidente dell’istituto all’epoca: la banca è stata commissariata dalla vigilanza di Bankitalia nel febbraio 2015 e nove mesi dopo ammessa alla risoluzione, con capitale e bond subordinati azzerati. E la figlia ministra – scrive de Bortoli nel suo libro – «nel 2015, non ebbe problemi a rivolgersi direttamente all’ad di Unicredit» per chiedergli «di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria. La domanda era inusuale da parte di un membro del governo all’ad di una banca quotata. Ghizzoni, comunque, incaricò un suo collaboratore di fare le opportune valutazioni patrimoniali, poi decise di lasciar perdere».
Secondo Libero e La Stampa a incontrare il banchiere per discutere della possibile acquisizione fu Lorenzo Rosi, che dell’istituto aretino era presidente. Mentre Pier Luigi Boschi, padre della ministra, aveva la poltrona di vicepresidente. Rosi non conosceva Ghizzoni: l’incontro tra i due, secondo il quotidiano torinese, fu “facilitato da qualcuno” evidentemente molto in alto. Era il gennaio 2015: siamo dunque un mese prima del commissariamento dell’Etruria da parte di Bankitalia, i cui ispettori stavano già passando al setaccio i conti della banca, ricostruisce il Fatto Quotidiano. Il 20 il governo Renzi, di cui la Boschi era un ministro chiave, avrebbe varato la riforma delle popolari che ne disponeva la trasformazione in spa, facendo schizzare le quotazioni della banca di Arezzo. Fu Bankitalia, aggiunge La Stampa citando un anonimo “testimone delle convulse settimane che precedettero il commissariamento della banca aretina”, a “convincere i potenziale acquirenti a desistere dall’operazione”.
Unicredit ieri sera ha fatto sapere che «non ha subito pressioni politiche per esaminare dossier bancari, compreso questo». Il “collaboratore” di Ghizzoni – si legge in una ricostruzione del quotidiano Repubblica oggi – potrebbe essere Marina Natale, all’epoca vice dg di Unicredit e da poco uscita.
A questo punto, le sorti del sottosegretario Boschi sono appese a Ghizzoni: il silenzio del banchiere vale un assenso sull’indiscrezione di de Bortoli.
 
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