Tutti via dagli Emergenti...la saga continua

Il tracollo degli emergenti dicono sia solo l'inizio...
 
dicono che sia solo l'inizio ....penso di sì...se pensiamo a venezuela.brasile,turchia ecc.ecc...........io nel frattempo ho venduto tutti i fondi mercati emrgenti è li ho swich ati su europa.....male che vada non perdo quello che hanno guadagnato.
 
Mmmmmm....oggi sono stato a sentire Andrew Harmstone, un gestore di Morgan Stanley.

Convinzioni interessanti. E finalmente fuori dal coro.

Riassumendo (male) quello che ho capito (e già siamo fuori strada) secondo lui gli emergenti sono in una fase di massima sfiducia nel sentiment degli investitori che non trova corrispondenza nella reale situazione. Per cui è lungo di azionario emegente. E pure di obbligazionario emergente in valuta locale anche se dire il vero si è un po' parato il didietro dicendo "in chiave tattica" (che non vuol dire un gran che). Meglio prendere rischio li che sugli High Yield europei e americani che tutti sembrano scoprire in queste ultime settimane. Praticamente un sovversivo.

E udite udite....ho visto anche una piccola posizione short sull'azionario europeo all'interno del Global Balanced Risk Controlled. Che oltretutto in questo momento è fortemente sovrappesato sull'azionario (71%).
E per completare il quadro devo dire che mentre esponeva le sue "bizzarre" argomentazioni (se confrontate con la messa cantata dei più) sorrideva felice. Mica come quella mandria di promotori tristi e proccupati che lo ascoltava.

Interessante anche una teoria su una certa ciclicità bimensile dei picchi di volatilità nell'ultimo anno e mezzo. Pare siamo nel mezzo di uno di questi. Forse. Ma in finanza il forse è d'obbligo.
 
By Kathleen Hays and Veronica Navarro Espinosa
feb. 05, 2014 4:15 AM EST

The worst start for emerging-market stocks in four years is creating a buying opportunity, according to Jim O’Neill, the former Goldman Sachs Asset Management chairman who coined the term BRIC in 2001.

“Some places in the emerging world have got some real problems, but that to be described as some kind of emerging-market crisis is frankly kind of ridiculous,” O’Neill said yesterday in an interview on Bloomberg Radio. “We probably are closer to a good opportunity to buy some of these things rather than join in the panic.”

O

Secondo Jim O’Neill probabilmente è vicina una buona opportunità per fare acquisti sugli emergenti, almeno una parte di essi
 
Ragionamento contrarian

Se ti riferisci al mio direi più che altro ragionamento contorten, ma o l'attenunate dell'ora tarda.

Se invece ti riferisci a Harmstone.....è pur sempre uno dei gestori di Morgan Stanley. Dovrebbe rappresentare il famoso pensiero condiviso imperante.

Più che altro, ma sarebbe un discorso troppo lungo, ultimamente mi sembra che molti operatori abbiano verificato che commercialmente paga di più assecondare il mercato piuttosto che portare avanti idee diciamo più difficili da digerire.
E quindi dicono alla plebe quello che queta preferisce sentirsi dire. Con qualche voce fuori dal coro.
 
Il guaio con i mercati emergenti

Nouriel Robini, 31 gennaio 2014

LAGOS
...
molti mercati emergenti sono davvero in difficoltà.

La lista include l’India, l’Indonesia, il Brasile, la Turchia ed il Sudafrica – soprannominati “I cinque fragili”, perché hanno tutti deficit gemelli, nelle finanze pubbliche e nei conti correnti [2], tassi di crescita in discesa, inflazione sopra gli obbiettivi ed incertezze politiche derivanti da imminenti elezioni parlamentari e/o presidenziali nell’anno in corso. Ma cinque altri significativi paesi – l’Argentina, il Venezuela, l’Ucraina, l’Ungheria e la Tailandia – sono anch’essi vulnerabili. Il rischio politico e/o elettorale può essere rinvenuto in ognuno di essi, una politica facile della finanza pubblica in molti e crescenti squilibri con l’estero e rischi di insolvenza sovrana .

Poi ci sono i tanto pubblicizzati paesi del gruppo BRICS, che stanno tornando alla realtà. Tre di loro cresceranno quest’anno più lentamente degli Stati Uniti, con un PIL reale (corretto per l’inflazione) che salirà per meno del 2,5 per cento, mentre le economie degli altri due (Cina ed India) stanno rallentando bruscamente. In effetti il Brasile, l’India e il Sudafrica fanno parte del gruppo dei “Cinque fragili”, e il declino demografico in Cina e in Russia metterà a repentaglio il potenziale di crescita di entrambi i paesi.

La Cina, l’economia maggiore dei BRICS, fa fronte ad un rischio aggiuntivo derivante da un eccessivo indebitamento dei governi locali, delle imprese a proprietà statale e delle società immobiliari che indebolisce i portafogli delle banche e del sistema delle ‘banche ombra’. Gran parte delle bolle del credito così ampie hanno finito col provocare un difficile atterraggio dell’economia, e l’economia delle Cina è improbabile ne esca indenne, in particolare se, come è probabile, le riforme per riequilibrare la crescita dai risparmi elevati e dagli investimenti fissi ai consumi privati saranno implementate troppo lentamente, dati gli interessi potenti che sono coalizzati contro di esse.

Inoltre, le cause profonde del disordine dell’anno passato nei mercati emergenti non sono scomparse. Solo per dirne una, il rischio di un atterraggio [3] complicato in Cina costituisce una seria minaccia per l’Asia emergente, per gli esportatori di materia prime in tutto il mondo ed anche per le economie avanzate.

Allo stesso tempo, l’assottigliamento da parte della Fed degli acquisti di asset a lungo termine è per davvero già iniziato, con i tassi di interesse che si sono disposti ad una ascesa. Di conseguenza, i flussi dei capitali verso i mercati emergenti negli anni della elevata liquidità e degli alti rendimenti nelle economie avanzate stanno ora abbandonando molti paesi nei quali il denaro aveva indotto le politiche della finanza pubblica, monetarie e creditizie a diventare troppo facili.

Un’altra causa profonda della attuale volatilità è che è terminato il super-ciclo delle materie prime. Questo non solo perché la Cina sta rallentando; gli anni dei prezzi elevati hanno portato a investimenti verso una nuova capacità produttiva e ad un incremento dell’offerta di molte materie prime. Nel frattempo, gli esportatori di materie prime dei mercati emergenti non sono stati capaci nel passato decennio di avvantaggiarsi dei guadagni inattesi e di mettere in atto riforme strutturali orientate al mercato; al contrario, molti di loro si sono volti al capitalismo di stato, consegnando un ruolo troppo grande alle imprese di proprietà statale ed alle banche.

Questi rischi non sono affatto destinati a diminuire rapidamente. La crescita cinese è improbabile che aumenti ed alzi i prezzi delle materie prime; la Fed ha incrementato il ritmo della sua restrizione della ‘facilitazione quantitativa’; le riforme strutturali non sono probabili sino al dopo elezioni ed i Governi in carica si sono mostrati allo stesso modo diffidenti sugli effetti depressivi sulla crescita di politiche restrittive della spesa pubblica, monetarie e creditizie. In effetti, l’incapacità di molti governi dei mercati emergenti per politiche macroeconomiche adeguatamente restrittive ha portato ad un altro giro di svalutazioni monetarie, che rischia di alimentare una maggiore inflazione e di mettere a rischio la possibilità per quei paesi di finanziare i debiti gemelli della finanza pubblica e verso l’estero.

Ciononostante, minacce vere e proprie per la valuta e i debiti sovrani e crisi bancarie restano modeste, per varie ragioni, anche per i “Cinque Fragili”. Hanno tutti tassi di cambio flessibili, ampi fondi di emergenza per mettersi al riparo da assalti alle loro monete ed alle banche, e minori asimmetrie valutarie (quali sarebbero, ad esempio, pesanti debiti in moneta straniera per finanziare gli investimenti in asset in valuta locale). In molti hanno anche sistemi bancari più sani, mentre i loro tassi di indebitamento pubblico e privato, per quanto in crescita, sono ancora bassi, con un rischio di insolvenza modesto.

L’ottimismo sui mercati emergenti, col tempo, probabilmente si rivela corretto. In molti hanno fondamentali macroeconomici, finanziari e politici sani. Inoltre, alcuni dei fondamentali a medio termine per gran parte dei mercati emergenti, inclusi quelli instabili, restano forti: l’urbanizzazione, l’industrializzazione, una crescita che si emancipa da bassi livelli di reddito procapite, il vantaggio demografico, l’emergere di una classe media più stabile, l’avvento di una società dei consumi e le opportunità per incrementi più rapidi nella produzione una volta che saranno attuate le riforme strutturali. Non è dunque giusto racchiudere tutti i mercati emergenti in una unica categoria; è necessario fare delle distinzioni.

Ma i compromessi della politica a breve termine dinanzi ai quali molti di questi paesi si trovano – condannati sia che restringano la politica monetaria e della spesa pubblica, sia che non la restringano – restano sgradevoli. I rischi macroeconomici interni ed esterni e le vulnerabilità strutturali con cui fanno i conti continueranno ad annebbiare le loro prospettive immediate. Il prossimo anno e quello successivo saranno un periodo travagliato per molti mercati emergenti, prima che governi più stabili e più orientati al mercato attuino politiche più sane.

Il guaio con i mercati emergenti, di Nouriel Robini (Project Syndicate, 31 gennaio 2014) | La Fata Turchina
 
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