Ho ripescato dal mio HD un file del 2003, tratto dal FOL
E ve lo ripropongo perchè mi piacque molto.
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Lorenzo vi racconta, a puntate, una storia vera, la storia di un amico.
E' (molto sinteticamente) la storia dell'uomo che mi fece conoscere la borsa
Quando proprio non avete niente da fare potete anche leggerla
Un sogno lungo una vita (una vita dissoluta)
Ero un ragazzo come tanti, vivevo (e vivo) in un comune alle porte di Milano. La scuola, gli amici l’oratorio, il calcio erano il mio mondo, il mondo di un adolescente.
Ma con la scuola il feeling non era buono e così, dopo i primi 2 anni di liceo, mollai il colpo.
Non so neanche io per quale storica ragione, al mio paese risiedesse un alto concentrato di operatori di borsa. A tutti i livelli, dall’Agente di cambio al portaborse. Sta di fatto che era così. Come sta di fatto che al mio paese vivesse un uomo, che tutti si chiamava “il Cavaliere” (lo era veramente per meriti di guerra), la cui influenza si estendeva dall’area cattolica a quella social comunista senza distingui.
Cattolicissimo, il cavaliere era un uomo povero ma politicamente potente. Un favore a lui non si rifiutava mai e lui usava questa sua forza principalmente per fini di bene.
Tre giorni dopo che mio padre, che non ne poteva più di vedermi bighellonare tutto il giorno, chiese al cavaliere una mano per sistemarmi, avevo un lavoro.
Così anch’io come tanti miei amici prima e come altri che sarebbero arrivati dopo mi ritrovai a lavorare nel mondo della finanza e degli affari, assunto come ragazzo tuttofare presso un agente di cambio.
Per me, senza neanche un diploma in mano, fu il massimo.
Assunto per compiacenza, all’inizio non sapevano neanche cosa farmi fare. Al mattino, quando le contrattazioni erano aperte, restavo in ufficio a girare i pollici poi, al rientro dei colleghi dalle grida, iniziavo a dar loro un mano con le pratiche da svolgere……più che altro mettevo ordine alle carte e archiviavo, robetta da poco.
Ero comunque un ragazzo di buona volontà e col tempo dimostrai interesse e attitudine al lavoro. Quando c’era bisogno, e c’era spesso, restavo fino a tarda ora senza mai negarmi. Iniziai a studiare questo strano mondo in cui ero capitato dove giravano cifre da capogiro e dove tutti quelli che gravitavano intorno a me sembravano arricchirsi con facilità.
La cosa bella poi era ascoltare i racconti dei più anziani, le storie dei miti e delle leggende di Piazza Affari, come quella dell’Aldone, Aldo Ravelli.
Si diceva che quando lui entrava nel parterre per un attimo suoni e rumori lasciassero spazio al silenzio più assoluto. Poi parlava l’Aldone e tutti si accodavano. Si narrava che un giorno l’Aldone, incallito ribassista, entrò alle grida e disse”Vendo tutto”. Fu panico generale e la borsa crollò in pochi minuti. Poi l’Aldone spiegò che doveva andare in crociera con la moglie e preferiva andarci da liquido, e così piano piano, chiarito l’equivoco, l’indice si riprese.
O le storie del fuochista, Luigi Palermo. Lui, al contrario dell’Aldone, caldeggiava sempre i rialzi, e anche lui come l’aldone era gettonatissimo. In più alle spalle aveva il Credito Italiano e pertanto quando parlava lui, gli altri si adeguavano. Tutti, meno l’Aldone. Tra i due era guerra dichiarata.
Così, mentre i miei coetanei crescevano tra libri di scuola e fumetti, io crescevo all’ombra dei racconti dell’aldone e del fuochista. Erano loro il mio fumetto preferito
Il massimo della felicità lo raggiunsi il giorno che per la prima volta misi piedi in Piazza Affari, per portare dei documenti ad un collega. Ero diventato ufficialmente un galoppino, il ragazzo che faceva su è giù dalle grida all’ufficio.
Entrato in sala contrattazioni, un brivido mi percorse lungo la schiena. Rimasi completamente assorbito dalla scena, da quella scena che avevo visto solo in televisione o sentito raccontare dai colleghi. Era il caos più totale. Immaginai per un attimo che entrasse l’Aldone e calasse il silenzio.
Avevo 18 anni, era il 1973. Non sapevo ancora che da quel giorno la mia vita sarebbe cambiata per sempre.
Fu forse l’ultimo mio giorno da adolescente. Rientrai in ufficio con una sola idea nella testa: diventare uno di loro, diventare più bravo di loro, diventare ricco. I sogni si possono scegliere, ed io scelsi quello.
Negli anni che seguirono diedi il meglio di me stesso, e fu l’ultima volta che diedi qualcosa di buono.
Sveglio ero sveglio. Studiavo molto i movimenti di Piazza Affari, e cominciai a farmi delle idee mie sui possibili andamenti di alcuni titoli.
Non osavo certo parlarne con gli altri. Le tenevo per me e ne controllavo attentamente l’esito.
Buono. L’esito era spesso buono. In un mercato morto, dove a metà degli anni settanta con poche miglia di miliardi, 5 se non ricordo male, ti potevi comprare tutto il listino, io riuscivo a fare delle operazioni (ipotetiche) che davano buoni risultati.
Decisi così alla fine di sbilanciarmi e di buttare giù le mie idee ad alta voce. Mi intromettevo nelle discussioni degli altri e dicevo la mia. I “va a ca.gare”, più o meno detti scherzosamente, in genere si sprecavano, ma tanto sta che alla fine qualcuno si accorse che tanto stupido non ero, e quel qualcuno altro non era che il grande boss, che mi prese presto in simpatia, fino a prospettarmi una crescita professionale all’interno di quella piccola azienda di famiglia.
Diventai, per sua stessa ammissione, come un figlio per lui. Io ripagai. Prima presi il diploma di Ragioniere, poi superai con merito l’esame per la Procura. Diventai nel mio piccolo uno di loro, ed arrivarono anche le prime soddisfazioni economiche.
Ma insieme ai soldi arrivarono presto anche i primi guai, perché il mio cervello si spappolò completamente e partì per una tangente tutta sua.
Il tempo dell’oratorio era ormai un tempo lontano, ed al Dio che avevo pregato lì fu chiesto di farsi da parte per uno nuovo, il Dio denaro, che a differenza del primo, mi regalava soddisfazioni a quel tempo molto più tangibili e apprezzabili.
Vestivo come una copertina di Vogue, mi concedevo ogni genere di lusso, giravo con una bella automobile. Spendevo regolarmente tutto quello che guadagnavo, arrivando a fine mese sempre tirato, ma felice. Finchè non conobbi Roul.
Con lui ci si vedeva alle grida. Lavorava per un agente di cambio piemontese, ed era completamente fuori di testa, genio e sregolatezza. Fui attratto subito dalla sua forte personalità, dai suoi modi di fare decisi e sicuri, ma soprattutto dalla sua spregiudicatezza nel compiere operazioni di borsa.
Al contrario di me, prudente e regolare nel gestire i soldi sia miei che degli altri, Roul azzardava, azzardava molto. Fu lui che mi trasmise il concetto che in borsa non si investiva, ma si speculava, si azzardava e basta. La borsa è un grande casinò, mi ripeteva in continuazione.
Già, Roul azzardava, ma non solo in borsa. Lui azzardava dappertutto. Cavalli carte casinò. Dove c’era un gioco c’era lui. E presto al suo fianco ci sarei stato anch’io.
La nostra amicizia si consolidò definitivamente il giorno che Roul mi chiese di sco.pare la sua ragazza
Già proprio così. A differenza di me Roul aveva una donna e godeva nel guardare la sua ragazza farsi sco.pare dagli altri. La sua ragazza accettava di buon grado, anche perché era come lui, la dissolutezza in persona. Io accettai, stordito imbarazzato e al tempo stesso eccitato. Così eccitato che quando arrivò il giorno e fu il momento eiaculai ancora prima di metterglielo dentro.
Per Roul e la sua ragazza la cosa fini con una risata, ma per me no. Per me non fu uno scherzo, ma un vero e proprio trauma.
Non avevo mai avuto una ragazza nella mia vita, bloccato dalla timidezza, dalla convinzione di essere brutto e dal tempo, tanto tempo, esclusivamente dedicato al lavoro, (e in ufficio, tolto un paio di segretarie già avanti con l’età eravamo tutti uomini).
Non so se fossi veramente brutto o cosa. Il fisico non era male, ma la mia faccia non mi piaceva. Un naso troppo grosso, dei lineamenti estremamente marcati su un viso troppo lungo. Con le donne ero una frana, e dopo un paio di 2 picche presi ancora ragazzo, neanche ci provai più.
Forse per le reminescenze di estrazione cattolica, i rapporti mercenari non erano mai stati presi in considerazione, e pertanto le mie voglie venivano soddisfatte solo attraverso una masturbazione frequente.
Ma uscito da casa di Roul quella sera ruppi il ghiaccio. In macchina non riuscivo a pensare altro che alla figuraccia rimediata, ma non solo. Le cosce aperte di lei…le avevo sempre davanti agli occhi. Mi fermai in Corso Buenos Aires e caricai la prima che trovai.
Forse sarebbe stato meglio non farlo. Perché iniziai ad andare a put.tane sistematicamente, anche 2 volte nella stessa sera.
E pagavo pagavo profumatamente togliendomi ogni libidine di cui ne avessi voglia. Nello stesso tempo, trascinato da Roul, iniziai a giocare.
In pochi mesi la mia vita fu completamente stravolta. Nei week end e ogni qual volta fosse possibile anche di sera nei feriali, si giocava.
Si giocava a Poker e si giocava pesante. Interminabili serate trascorse a casa di Roul, tra fumo bottiglie di whiskey e bestemmie, tante bestemmie. Troppe direi oggi.
Scoprii presto di essere un perdente. E avrei capito solo molto più tardi che non ero lì per caso, e che non era solo sfortuna la mia, ma che, a quel tavolo, ero la vittima predestinata. Quanto Roul fosse compiacente in questa cosa non lo so. Certo anche lui perdeva, ma tra vincite e perdite si barcamenava, mentre i miei erano continui bagni di sangue.
E poi quando lui perdeva spesso pagava lei. Offerta con la compiacente libidine di Roul alla nostra mercè, lei non disdegnava affatto, arrivando ad accoppiarsi contemporaneamente con 2 persone sotto gli occhi di tutti..
E visto che io raramente ero uno di quelli, uscito da casa di Roul con il morale sotto i tacchi, altro non restava che infilarmi in una camera d’albergo con una tro.ia qualsiasi.
Ma non c’era solo il Poker. C’era anche il Casinò e c’era l’ippodromo di San Siro.
Il nostro week end tipico iniziava a casa di Roul con le carte al venerdì. Poi, al sabato pomeriggio, c’erano i cavalli ad aspettarci. Non ci si perdeva una corsa. Si giocava su S.Siro ma si giocava anche sugli altri campi. Era un continuo alternarsi di emozioni. Un attimo su, tre corse dopo giù. Un po’ su ed un po’ giù, ma a fine serata poi i conti non tornavano quasi mai in positivo.
Poi arrivava la febbre del sabato sera. Un cinema come tutti gli altri? No sarebbe stato troppo banale. La nostra febbre era il gioco, era ormai la nostra malattia. Ci definivamo i lebbrosi e ci compiacevamo di esserlo. M quale cinema. Giacca e cravatta, destinazione Campione d’Italia o S.Vincent. Cena e poi via a testa bassa sui tavoli.
Almeno lì, posso dire con orgoglio, qualche colpo lo facevo. Alla roulette la fortuna girava spesso dalla mia parte, ripagandomi in parte delle altre perdite. Strano ma vero, uscivo dal casinò più da vincitore che da perdente, anche se le vincite finivano quasi sempre nelle tasche di Roul e soci, di cui ero debitore.
La donna di Roul era la più lebbrosa di tutte e dilapidava a chemin de fer veri e propri patrimoni.
Il lavoro per fortuna girava dalla nostra e sul lavoro tenevo bene, operando sempre con coscienza e con rischio moderato. Il big boss era contento di me ed i premi non mancavano. Tra stipendio, premi extra e operazioni che facevo per mio conto alla fine del mese, e parlo di inizio anni 80, portavo a casa tra i 3 ed i 4 milioni. In quegli anni con venticinque milioni, ti compravi un trilocale in una palazzina nuova, tanto per dare un'idea del rapporto.
Giù alle grida ritornavo me stesso, ritornavo il ragazzo intelligente e preparato che ero. Prendevo qualche piccola scoppola, come tutti, ma mai niente di eclatante. Il lavoro era la fonte che alimentavo tutti i miei vizi, ne ero cosciente. Perso quello sarebbe stato un problema. E poi c’era lui il big boss, non potevo tradire la fiducia che aveva riposto in me.
Ma fuori da lì era un dramma. Ero entrato nel circolo vizioso del gioco. Il gioco era la mia passione, la mia vita. Non esagero quando vi dico che se a S.Vincent buttava male, si usciva e si imboccava l’autostrada per Venezia. 460 km a velocità folle per arrivare prima della chiusura del casinò.
E se non si arrivava in tempo nessun problema. Si dormiva a Venezia, a qualunque prezzo, e si aspettava l’apertura della domenica pomeriggio per ributtarci sui tavoli verdi
E non era solo il gioco comunque. Era tutto l’insieme che mi dava una carica di adrenalina altrimenti impensabile. L’alcool, il fumo, il sesso mercenario ripetuto quasi come un’ossessione anche se poi, passato l’effetto, ti sentivi spesso svuotato, stanco e schifosamente puzzolente dentro.
Quando arrivavano quei momenti, cercavo immediatamente di scacciare ogni pensiero lontano da me, chiudendo gli occhi nella speranza di risvegliarmi al mattino come se nulla fosse successo.
Ma la coscienza si sa, ha il brutto vizio di non lasciarti mai in pace. Al contrario sbuca fuori all’improvviso e inizia a martellare dove il dente duole, proprio quando tu sei psicologicamente più fragile.
“stai facendo una vita di *******” mi ripeteva in continuazione, “una vita di *******”
Io capivo che lei aveva ragione, e provavo a reagire. E soprattutto pensavo. “sul lavoro sono bravo, se voglio posso essere migliore di tanti altri. Posso veramente diventare qualcuno”. In fondo era proprio per diventare il migliore che era iniziato tutto questo. E mi chiedevo: “lo sto ancora inseguendo o no questo sogno?”
Non erano poche le volte che poi che in piena notte scoppiavo a piangere come un bambino e dicevo:” da domani basta, da domani cambio vita”.
In quelle occasioni ritornavo al “circolo” a scambiare due chiacchere con gli amici di un tempo. Ci ritornavo quando ero depresso, o quando non avevo più una lira in tasca. Già perché nel frattempo cominciava a capitare che a volte i soldi finissero prima della fine del mese.
ma Roul era più forte delle antiche amicizie e della mia coscienza.
mi diceva “La tua coscienza? fai come me. Cerca dove si nasconde e sparagli, vivrai molto meglio dopo”
E così feci. Ma forse la colpii solo di striscio, e capirete più avanti perché
La colpii solo di striscio ma la colpii, tant’è che di li a poco le cose sarebbero andate precipitando.
Una sera, più rabbioso e perdente che mai, uscito da casa di Roul puntai dritto verso la circonvallazione alla ricerca del solito rapporto mercenario. Mi imbattei in una ragazza che avevo già notato ma che però non ero mai riuscito a caricare prima. Quella sera invece era lì sul marciapiede senza il solito trenino di macchine davanti. Sembrava fosse lì ad aspettarmi.
La caricai immediatamente e la cosa mi mise di buon umore.
Cuki, così si chiamava, era argentina. Capii subito che non era come le altre, anche perché mi chiese 5.000 lire più del prezzo abituale di mercato. S’informò sul mio nome con un bel sorriso e si dimostrò subito piacevolmente allegra. Non solo, arrivati in camera si spogliò completamente **** senza chiedere nessun extra, a differenza di molte sue colleghe che una volta in camera si spogliavano a metà, e se le volevi tutte nude dovevi tirare fuori altri soldi. La cosa che mi mandava in bestia era quando trovavo quelle che si toglievano la gonna e rimanevano con i collant con il buco, e giù a pagare per farli togliere.
Cuki iniziò a baciarmi, altra cosa alquanto insolita, ed accarezzarmi proprio come in un rapporto normale tra fidanzati.
La mia eccitazione andò alle stelle. Provai una sensazione completamente nuova, non sembrava neanche un rapporto mercenario, sembrava di stare insieme alla propria ragazza, almeno io così immaginavo che fosse, non avendone mai avuta una.
Poi cuki all’improvviso mi chiese se volessi penetrarla anche nel sedere, ed io, nel sentire pronunciare quelle parole, venni immediatamente alla sola idea di farlo.
Rientrai a casa sereno. Farlo con cuki era stato davvero bello e almeno lei l’extra me lo aveva chiesto per un qualcosa di cui ne valeva la pena.
Il giorno dopo, fuori dalle grida, parlai di Cuki a Roul, ma no solo di Cuki. Gli espressi i miei dubbi sugli amici del Poker. “Non è possibile che io perda sempre e non è possibile che quei due vincano sempre, guarda Roul, qui c’è sotto qualcosa che non và, ne sono sicuro”
Ma Roul trovò la mia ipotesi alquanto fantasiosa e passò anzi al contrattattacco. “Vedi, tu sei un perdente perché non ti concentri, perché non controlli le tue emozioni, perché ti si leggono in faccia le carte” “Devi fare qualcosa per restare più lucido. Dopo un paio d’ore di gioco sei stanco e perdi di lucidità, e diventa un gioco da ragazzi spennarti.”
“guarda me invece. Io sono sempre lo stesso, sempre lucido e determinato, così alle grida come al Poker, e sono un fantasista, cosa di cui tu manchi”
“E come fai ad essere sempre così” gli chiesi
“Mi aiuto”
“E come?”
Mi prese sottobraccio e mi sussurrò nell’orecchio: “Con la neve”
la sera stessa feci la mia prima sniffata e corsi subito dopo a sco.pare Cuki
Trovai di nuovo la cosa bella ed eccitante, tante bella ed eccitante che cuki diventò presto l’unica prostituta che mi andasse di frequentare. E se non c’era lei non si scopa.va. Punto e basta.
Che cuki mi stesse entrando nel cuore era evidente, ma con le ultime briciole di orgoglio che mi rimanevano cercavo di negare a me stesso nel modo più assoluto questa possibilità.
Ma capii che non si poteva nascondere l’evidenza il giorno che sferrai all’improvviso un pugno a Roul quando lui allegramente mi disse: “sai che avevi ragione, sono stato con quella cuki che dicevi, è proprio una tro.ia incredibile”
Roul rimase sbigottito. Talmente era stata grande e inaspettata la sorpresa che non trovò neppure la forza emotiva di reagire fisicamente. Si limitò a pronunciare uno sconcertato:”ma che cazzzo fai?”
Già, che cazzzo stavo facendo? Mi ero comportato come uno che scopre che l’amico del cuore si tromba la sua ragazza. Ma Cuki non era la mia ragazza, Cuki era una prostituta, e come la dava a me, l’aveva data anche a Roul…e la dava a tutti.
Roul, di fronte al mio silenzio fece presto a fare due più due e pronunciò l’impronunciabile: “non ci posso credere…….ti sei innamorato di una putt.ana qualsiasi.”
Non avrei mai voluto sentire pronunciare quelle parole.
Con Roul finì con le mie scuse e con un abbraccio, anche perché se ne uscì con una storia che mi fece ritrovare il buonumore. Mi disse” Me se sono dovute scopa.re due prima di trovare Cuki”
“Cioè?” chiesi io.
“ Tutto quello che sapevo era dove lavorava e che fosse sudamericana, e così l’altra sera sono andato là. C’era una ragazza con accento spagnolo, e l’ho caricata. Quando in camera gli ho chiesto di sco.parla anche nel sedere mi ha detto no, allora gli ho chiesto: ma non sei Cuki?”
“No, non sono Cuki, Cuki lavora dall’altra parte, in direzione opposta”
“Comunque ormai ero lì e ho finito di scop.arla. Poi sono uscito, ho girato con la macchina e mi sono fermato dall’altra parte dove c’era un’altra putt.ana. Solo che mi suonavano dietro e l’ho caricata di tutta fretta. Parlava anche lei spagnolo e lì per lì mi sono tranquillizzato. Invece neanche lei si chiamava Cuki. Gli ho spiegato che avevo sbagliato persona e che la riportavo al posto immediatamente, ma secondo lei ormai l’avevo caricata e dovevo dargli i soldi lo stesso perché gli avevo fatto perdere un altro cliente. A quel punto, pagare per pagare, me la sono scop.ata.”
“Poi ieri sera sono stato più accorto, e finalmente ho caricato questa benedetta Cuki”
Ma se con Roul finì con una mezza risata, dentro di me non finì proprio allo stesso modo. Il fatto di essermi innamorato di una ragazza di strada non era così irrilevante. Se poi ci aggiungevo il resto, il quadro era veramente desolante. A 27 anni, queste erano le mie certezze:
nel tempo libero ero totalmente dedito al gioco d’azzardo, ed ero un perdente
sniffavo ormai regolarmente cocaina
mi ero innamorato di una ragazza di strada, anzi chiamiamola con il suo nome, di una tro.ia
Non solo, a gennaio 1982, per la prima volta, dovetti chiedere un anticipo al big boss, perché con il mio stipendio non riuscivo più a coprire il tenore di vita che stavo facendo. L’arrivo della cocaina e l’arrivo di Cuki, che oltre a pagare per le prestazioni riempivo di regali più o meno importanti, facevano ormai pendere l’ago della bilancia tra entrate ed uscite decisamente in negativo.
Ed al big boss quella richiesta di anticipo, suonò molto strana.
Non mi disse ne sì ne no, mi disse ne parliamo più tardi. A tarda ora, rimasti soli in ufficio, mi chiamò alla sua scrivania.
Davanti a lui i tabulati con le mie operazioni; quelle personali, quelle fatte per la mia famiglia e quelle fatte per i clienti. Di fronte alla mia richiesta, la prima cosa di cui istintivamente si era preoccupato, era che non avessi fatto cazzzate strane in borsa.
I casi di operatori del settore che si rovinavano erano frequenti, a tutti i livelli, ma soprattutto nei giovani, trascinati dall’ansia di arricchirsi presto e bene.
E ve lo ripropongo perchè mi piacque molto.
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Lorenzo vi racconta, a puntate, una storia vera, la storia di un amico.
E' (molto sinteticamente) la storia dell'uomo che mi fece conoscere la borsa
Quando proprio non avete niente da fare potete anche leggerla
Un sogno lungo una vita (una vita dissoluta)
Ero un ragazzo come tanti, vivevo (e vivo) in un comune alle porte di Milano. La scuola, gli amici l’oratorio, il calcio erano il mio mondo, il mondo di un adolescente.
Ma con la scuola il feeling non era buono e così, dopo i primi 2 anni di liceo, mollai il colpo.
Non so neanche io per quale storica ragione, al mio paese risiedesse un alto concentrato di operatori di borsa. A tutti i livelli, dall’Agente di cambio al portaborse. Sta di fatto che era così. Come sta di fatto che al mio paese vivesse un uomo, che tutti si chiamava “il Cavaliere” (lo era veramente per meriti di guerra), la cui influenza si estendeva dall’area cattolica a quella social comunista senza distingui.
Cattolicissimo, il cavaliere era un uomo povero ma politicamente potente. Un favore a lui non si rifiutava mai e lui usava questa sua forza principalmente per fini di bene.
Tre giorni dopo che mio padre, che non ne poteva più di vedermi bighellonare tutto il giorno, chiese al cavaliere una mano per sistemarmi, avevo un lavoro.
Così anch’io come tanti miei amici prima e come altri che sarebbero arrivati dopo mi ritrovai a lavorare nel mondo della finanza e degli affari, assunto come ragazzo tuttofare presso un agente di cambio.
Per me, senza neanche un diploma in mano, fu il massimo.
Assunto per compiacenza, all’inizio non sapevano neanche cosa farmi fare. Al mattino, quando le contrattazioni erano aperte, restavo in ufficio a girare i pollici poi, al rientro dei colleghi dalle grida, iniziavo a dar loro un mano con le pratiche da svolgere……più che altro mettevo ordine alle carte e archiviavo, robetta da poco.
Ero comunque un ragazzo di buona volontà e col tempo dimostrai interesse e attitudine al lavoro. Quando c’era bisogno, e c’era spesso, restavo fino a tarda ora senza mai negarmi. Iniziai a studiare questo strano mondo in cui ero capitato dove giravano cifre da capogiro e dove tutti quelli che gravitavano intorno a me sembravano arricchirsi con facilità.
La cosa bella poi era ascoltare i racconti dei più anziani, le storie dei miti e delle leggende di Piazza Affari, come quella dell’Aldone, Aldo Ravelli.
Si diceva che quando lui entrava nel parterre per un attimo suoni e rumori lasciassero spazio al silenzio più assoluto. Poi parlava l’Aldone e tutti si accodavano. Si narrava che un giorno l’Aldone, incallito ribassista, entrò alle grida e disse”Vendo tutto”. Fu panico generale e la borsa crollò in pochi minuti. Poi l’Aldone spiegò che doveva andare in crociera con la moglie e preferiva andarci da liquido, e così piano piano, chiarito l’equivoco, l’indice si riprese.
O le storie del fuochista, Luigi Palermo. Lui, al contrario dell’Aldone, caldeggiava sempre i rialzi, e anche lui come l’aldone era gettonatissimo. In più alle spalle aveva il Credito Italiano e pertanto quando parlava lui, gli altri si adeguavano. Tutti, meno l’Aldone. Tra i due era guerra dichiarata.
Così, mentre i miei coetanei crescevano tra libri di scuola e fumetti, io crescevo all’ombra dei racconti dell’aldone e del fuochista. Erano loro il mio fumetto preferito
Il massimo della felicità lo raggiunsi il giorno che per la prima volta misi piedi in Piazza Affari, per portare dei documenti ad un collega. Ero diventato ufficialmente un galoppino, il ragazzo che faceva su è giù dalle grida all’ufficio.
Entrato in sala contrattazioni, un brivido mi percorse lungo la schiena. Rimasi completamente assorbito dalla scena, da quella scena che avevo visto solo in televisione o sentito raccontare dai colleghi. Era il caos più totale. Immaginai per un attimo che entrasse l’Aldone e calasse il silenzio.
Avevo 18 anni, era il 1973. Non sapevo ancora che da quel giorno la mia vita sarebbe cambiata per sempre.
Fu forse l’ultimo mio giorno da adolescente. Rientrai in ufficio con una sola idea nella testa: diventare uno di loro, diventare più bravo di loro, diventare ricco. I sogni si possono scegliere, ed io scelsi quello.
Negli anni che seguirono diedi il meglio di me stesso, e fu l’ultima volta che diedi qualcosa di buono.
Sveglio ero sveglio. Studiavo molto i movimenti di Piazza Affari, e cominciai a farmi delle idee mie sui possibili andamenti di alcuni titoli.
Non osavo certo parlarne con gli altri. Le tenevo per me e ne controllavo attentamente l’esito.
Buono. L’esito era spesso buono. In un mercato morto, dove a metà degli anni settanta con poche miglia di miliardi, 5 se non ricordo male, ti potevi comprare tutto il listino, io riuscivo a fare delle operazioni (ipotetiche) che davano buoni risultati.
Decisi così alla fine di sbilanciarmi e di buttare giù le mie idee ad alta voce. Mi intromettevo nelle discussioni degli altri e dicevo la mia. I “va a ca.gare”, più o meno detti scherzosamente, in genere si sprecavano, ma tanto sta che alla fine qualcuno si accorse che tanto stupido non ero, e quel qualcuno altro non era che il grande boss, che mi prese presto in simpatia, fino a prospettarmi una crescita professionale all’interno di quella piccola azienda di famiglia.
Diventai, per sua stessa ammissione, come un figlio per lui. Io ripagai. Prima presi il diploma di Ragioniere, poi superai con merito l’esame per la Procura. Diventai nel mio piccolo uno di loro, ed arrivarono anche le prime soddisfazioni economiche.
Ma insieme ai soldi arrivarono presto anche i primi guai, perché il mio cervello si spappolò completamente e partì per una tangente tutta sua.
Il tempo dell’oratorio era ormai un tempo lontano, ed al Dio che avevo pregato lì fu chiesto di farsi da parte per uno nuovo, il Dio denaro, che a differenza del primo, mi regalava soddisfazioni a quel tempo molto più tangibili e apprezzabili.
Vestivo come una copertina di Vogue, mi concedevo ogni genere di lusso, giravo con una bella automobile. Spendevo regolarmente tutto quello che guadagnavo, arrivando a fine mese sempre tirato, ma felice. Finchè non conobbi Roul.
Con lui ci si vedeva alle grida. Lavorava per un agente di cambio piemontese, ed era completamente fuori di testa, genio e sregolatezza. Fui attratto subito dalla sua forte personalità, dai suoi modi di fare decisi e sicuri, ma soprattutto dalla sua spregiudicatezza nel compiere operazioni di borsa.
Al contrario di me, prudente e regolare nel gestire i soldi sia miei che degli altri, Roul azzardava, azzardava molto. Fu lui che mi trasmise il concetto che in borsa non si investiva, ma si speculava, si azzardava e basta. La borsa è un grande casinò, mi ripeteva in continuazione.
Già, Roul azzardava, ma non solo in borsa. Lui azzardava dappertutto. Cavalli carte casinò. Dove c’era un gioco c’era lui. E presto al suo fianco ci sarei stato anch’io.
La nostra amicizia si consolidò definitivamente il giorno che Roul mi chiese di sco.pare la sua ragazza
Già proprio così. A differenza di me Roul aveva una donna e godeva nel guardare la sua ragazza farsi sco.pare dagli altri. La sua ragazza accettava di buon grado, anche perché era come lui, la dissolutezza in persona. Io accettai, stordito imbarazzato e al tempo stesso eccitato. Così eccitato che quando arrivò il giorno e fu il momento eiaculai ancora prima di metterglielo dentro.
Per Roul e la sua ragazza la cosa fini con una risata, ma per me no. Per me non fu uno scherzo, ma un vero e proprio trauma.
Non avevo mai avuto una ragazza nella mia vita, bloccato dalla timidezza, dalla convinzione di essere brutto e dal tempo, tanto tempo, esclusivamente dedicato al lavoro, (e in ufficio, tolto un paio di segretarie già avanti con l’età eravamo tutti uomini).
Non so se fossi veramente brutto o cosa. Il fisico non era male, ma la mia faccia non mi piaceva. Un naso troppo grosso, dei lineamenti estremamente marcati su un viso troppo lungo. Con le donne ero una frana, e dopo un paio di 2 picche presi ancora ragazzo, neanche ci provai più.
Forse per le reminescenze di estrazione cattolica, i rapporti mercenari non erano mai stati presi in considerazione, e pertanto le mie voglie venivano soddisfatte solo attraverso una masturbazione frequente.
Ma uscito da casa di Roul quella sera ruppi il ghiaccio. In macchina non riuscivo a pensare altro che alla figuraccia rimediata, ma non solo. Le cosce aperte di lei…le avevo sempre davanti agli occhi. Mi fermai in Corso Buenos Aires e caricai la prima che trovai.
Forse sarebbe stato meglio non farlo. Perché iniziai ad andare a put.tane sistematicamente, anche 2 volte nella stessa sera.
E pagavo pagavo profumatamente togliendomi ogni libidine di cui ne avessi voglia. Nello stesso tempo, trascinato da Roul, iniziai a giocare.
In pochi mesi la mia vita fu completamente stravolta. Nei week end e ogni qual volta fosse possibile anche di sera nei feriali, si giocava.
Si giocava a Poker e si giocava pesante. Interminabili serate trascorse a casa di Roul, tra fumo bottiglie di whiskey e bestemmie, tante bestemmie. Troppe direi oggi.
Scoprii presto di essere un perdente. E avrei capito solo molto più tardi che non ero lì per caso, e che non era solo sfortuna la mia, ma che, a quel tavolo, ero la vittima predestinata. Quanto Roul fosse compiacente in questa cosa non lo so. Certo anche lui perdeva, ma tra vincite e perdite si barcamenava, mentre i miei erano continui bagni di sangue.
E poi quando lui perdeva spesso pagava lei. Offerta con la compiacente libidine di Roul alla nostra mercè, lei non disdegnava affatto, arrivando ad accoppiarsi contemporaneamente con 2 persone sotto gli occhi di tutti..
E visto che io raramente ero uno di quelli, uscito da casa di Roul con il morale sotto i tacchi, altro non restava che infilarmi in una camera d’albergo con una tro.ia qualsiasi.
Ma non c’era solo il Poker. C’era anche il Casinò e c’era l’ippodromo di San Siro.
Il nostro week end tipico iniziava a casa di Roul con le carte al venerdì. Poi, al sabato pomeriggio, c’erano i cavalli ad aspettarci. Non ci si perdeva una corsa. Si giocava su S.Siro ma si giocava anche sugli altri campi. Era un continuo alternarsi di emozioni. Un attimo su, tre corse dopo giù. Un po’ su ed un po’ giù, ma a fine serata poi i conti non tornavano quasi mai in positivo.
Poi arrivava la febbre del sabato sera. Un cinema come tutti gli altri? No sarebbe stato troppo banale. La nostra febbre era il gioco, era ormai la nostra malattia. Ci definivamo i lebbrosi e ci compiacevamo di esserlo. M quale cinema. Giacca e cravatta, destinazione Campione d’Italia o S.Vincent. Cena e poi via a testa bassa sui tavoli.
Almeno lì, posso dire con orgoglio, qualche colpo lo facevo. Alla roulette la fortuna girava spesso dalla mia parte, ripagandomi in parte delle altre perdite. Strano ma vero, uscivo dal casinò più da vincitore che da perdente, anche se le vincite finivano quasi sempre nelle tasche di Roul e soci, di cui ero debitore.
La donna di Roul era la più lebbrosa di tutte e dilapidava a chemin de fer veri e propri patrimoni.
Il lavoro per fortuna girava dalla nostra e sul lavoro tenevo bene, operando sempre con coscienza e con rischio moderato. Il big boss era contento di me ed i premi non mancavano. Tra stipendio, premi extra e operazioni che facevo per mio conto alla fine del mese, e parlo di inizio anni 80, portavo a casa tra i 3 ed i 4 milioni. In quegli anni con venticinque milioni, ti compravi un trilocale in una palazzina nuova, tanto per dare un'idea del rapporto.
Giù alle grida ritornavo me stesso, ritornavo il ragazzo intelligente e preparato che ero. Prendevo qualche piccola scoppola, come tutti, ma mai niente di eclatante. Il lavoro era la fonte che alimentavo tutti i miei vizi, ne ero cosciente. Perso quello sarebbe stato un problema. E poi c’era lui il big boss, non potevo tradire la fiducia che aveva riposto in me.
Ma fuori da lì era un dramma. Ero entrato nel circolo vizioso del gioco. Il gioco era la mia passione, la mia vita. Non esagero quando vi dico che se a S.Vincent buttava male, si usciva e si imboccava l’autostrada per Venezia. 460 km a velocità folle per arrivare prima della chiusura del casinò.
E se non si arrivava in tempo nessun problema. Si dormiva a Venezia, a qualunque prezzo, e si aspettava l’apertura della domenica pomeriggio per ributtarci sui tavoli verdi
E non era solo il gioco comunque. Era tutto l’insieme che mi dava una carica di adrenalina altrimenti impensabile. L’alcool, il fumo, il sesso mercenario ripetuto quasi come un’ossessione anche se poi, passato l’effetto, ti sentivi spesso svuotato, stanco e schifosamente puzzolente dentro.
Quando arrivavano quei momenti, cercavo immediatamente di scacciare ogni pensiero lontano da me, chiudendo gli occhi nella speranza di risvegliarmi al mattino come se nulla fosse successo.
Ma la coscienza si sa, ha il brutto vizio di non lasciarti mai in pace. Al contrario sbuca fuori all’improvviso e inizia a martellare dove il dente duole, proprio quando tu sei psicologicamente più fragile.
“stai facendo una vita di *******” mi ripeteva in continuazione, “una vita di *******”
Io capivo che lei aveva ragione, e provavo a reagire. E soprattutto pensavo. “sul lavoro sono bravo, se voglio posso essere migliore di tanti altri. Posso veramente diventare qualcuno”. In fondo era proprio per diventare il migliore che era iniziato tutto questo. E mi chiedevo: “lo sto ancora inseguendo o no questo sogno?”
Non erano poche le volte che poi che in piena notte scoppiavo a piangere come un bambino e dicevo:” da domani basta, da domani cambio vita”.
In quelle occasioni ritornavo al “circolo” a scambiare due chiacchere con gli amici di un tempo. Ci ritornavo quando ero depresso, o quando non avevo più una lira in tasca. Già perché nel frattempo cominciava a capitare che a volte i soldi finissero prima della fine del mese.
ma Roul era più forte delle antiche amicizie e della mia coscienza.
mi diceva “La tua coscienza? fai come me. Cerca dove si nasconde e sparagli, vivrai molto meglio dopo”
E così feci. Ma forse la colpii solo di striscio, e capirete più avanti perché
La colpii solo di striscio ma la colpii, tant’è che di li a poco le cose sarebbero andate precipitando.
Una sera, più rabbioso e perdente che mai, uscito da casa di Roul puntai dritto verso la circonvallazione alla ricerca del solito rapporto mercenario. Mi imbattei in una ragazza che avevo già notato ma che però non ero mai riuscito a caricare prima. Quella sera invece era lì sul marciapiede senza il solito trenino di macchine davanti. Sembrava fosse lì ad aspettarmi.
La caricai immediatamente e la cosa mi mise di buon umore.
Cuki, così si chiamava, era argentina. Capii subito che non era come le altre, anche perché mi chiese 5.000 lire più del prezzo abituale di mercato. S’informò sul mio nome con un bel sorriso e si dimostrò subito piacevolmente allegra. Non solo, arrivati in camera si spogliò completamente **** senza chiedere nessun extra, a differenza di molte sue colleghe che una volta in camera si spogliavano a metà, e se le volevi tutte nude dovevi tirare fuori altri soldi. La cosa che mi mandava in bestia era quando trovavo quelle che si toglievano la gonna e rimanevano con i collant con il buco, e giù a pagare per farli togliere.
Cuki iniziò a baciarmi, altra cosa alquanto insolita, ed accarezzarmi proprio come in un rapporto normale tra fidanzati.
La mia eccitazione andò alle stelle. Provai una sensazione completamente nuova, non sembrava neanche un rapporto mercenario, sembrava di stare insieme alla propria ragazza, almeno io così immaginavo che fosse, non avendone mai avuta una.
Poi cuki all’improvviso mi chiese se volessi penetrarla anche nel sedere, ed io, nel sentire pronunciare quelle parole, venni immediatamente alla sola idea di farlo.
Rientrai a casa sereno. Farlo con cuki era stato davvero bello e almeno lei l’extra me lo aveva chiesto per un qualcosa di cui ne valeva la pena.
Il giorno dopo, fuori dalle grida, parlai di Cuki a Roul, ma no solo di Cuki. Gli espressi i miei dubbi sugli amici del Poker. “Non è possibile che io perda sempre e non è possibile che quei due vincano sempre, guarda Roul, qui c’è sotto qualcosa che non và, ne sono sicuro”
Ma Roul trovò la mia ipotesi alquanto fantasiosa e passò anzi al contrattattacco. “Vedi, tu sei un perdente perché non ti concentri, perché non controlli le tue emozioni, perché ti si leggono in faccia le carte” “Devi fare qualcosa per restare più lucido. Dopo un paio d’ore di gioco sei stanco e perdi di lucidità, e diventa un gioco da ragazzi spennarti.”
“guarda me invece. Io sono sempre lo stesso, sempre lucido e determinato, così alle grida come al Poker, e sono un fantasista, cosa di cui tu manchi”
“E come fai ad essere sempre così” gli chiesi
“Mi aiuto”
“E come?”
Mi prese sottobraccio e mi sussurrò nell’orecchio: “Con la neve”
la sera stessa feci la mia prima sniffata e corsi subito dopo a sco.pare Cuki
Trovai di nuovo la cosa bella ed eccitante, tante bella ed eccitante che cuki diventò presto l’unica prostituta che mi andasse di frequentare. E se non c’era lei non si scopa.va. Punto e basta.
Che cuki mi stesse entrando nel cuore era evidente, ma con le ultime briciole di orgoglio che mi rimanevano cercavo di negare a me stesso nel modo più assoluto questa possibilità.
Ma capii che non si poteva nascondere l’evidenza il giorno che sferrai all’improvviso un pugno a Roul quando lui allegramente mi disse: “sai che avevi ragione, sono stato con quella cuki che dicevi, è proprio una tro.ia incredibile”
Roul rimase sbigottito. Talmente era stata grande e inaspettata la sorpresa che non trovò neppure la forza emotiva di reagire fisicamente. Si limitò a pronunciare uno sconcertato:”ma che cazzzo fai?”
Già, che cazzzo stavo facendo? Mi ero comportato come uno che scopre che l’amico del cuore si tromba la sua ragazza. Ma Cuki non era la mia ragazza, Cuki era una prostituta, e come la dava a me, l’aveva data anche a Roul…e la dava a tutti.
Roul, di fronte al mio silenzio fece presto a fare due più due e pronunciò l’impronunciabile: “non ci posso credere…….ti sei innamorato di una putt.ana qualsiasi.”
Non avrei mai voluto sentire pronunciare quelle parole.
Con Roul finì con le mie scuse e con un abbraccio, anche perché se ne uscì con una storia che mi fece ritrovare il buonumore. Mi disse” Me se sono dovute scopa.re due prima di trovare Cuki”
“Cioè?” chiesi io.
“ Tutto quello che sapevo era dove lavorava e che fosse sudamericana, e così l’altra sera sono andato là. C’era una ragazza con accento spagnolo, e l’ho caricata. Quando in camera gli ho chiesto di sco.parla anche nel sedere mi ha detto no, allora gli ho chiesto: ma non sei Cuki?”
“No, non sono Cuki, Cuki lavora dall’altra parte, in direzione opposta”
“Comunque ormai ero lì e ho finito di scop.arla. Poi sono uscito, ho girato con la macchina e mi sono fermato dall’altra parte dove c’era un’altra putt.ana. Solo che mi suonavano dietro e l’ho caricata di tutta fretta. Parlava anche lei spagnolo e lì per lì mi sono tranquillizzato. Invece neanche lei si chiamava Cuki. Gli ho spiegato che avevo sbagliato persona e che la riportavo al posto immediatamente, ma secondo lei ormai l’avevo caricata e dovevo dargli i soldi lo stesso perché gli avevo fatto perdere un altro cliente. A quel punto, pagare per pagare, me la sono scop.ata.”
“Poi ieri sera sono stato più accorto, e finalmente ho caricato questa benedetta Cuki”
Ma se con Roul finì con una mezza risata, dentro di me non finì proprio allo stesso modo. Il fatto di essermi innamorato di una ragazza di strada non era così irrilevante. Se poi ci aggiungevo il resto, il quadro era veramente desolante. A 27 anni, queste erano le mie certezze:
nel tempo libero ero totalmente dedito al gioco d’azzardo, ed ero un perdente
sniffavo ormai regolarmente cocaina
mi ero innamorato di una ragazza di strada, anzi chiamiamola con il suo nome, di una tro.ia
Non solo, a gennaio 1982, per la prima volta, dovetti chiedere un anticipo al big boss, perché con il mio stipendio non riuscivo più a coprire il tenore di vita che stavo facendo. L’arrivo della cocaina e l’arrivo di Cuki, che oltre a pagare per le prestazioni riempivo di regali più o meno importanti, facevano ormai pendere l’ago della bilancia tra entrate ed uscite decisamente in negativo.
Ed al big boss quella richiesta di anticipo, suonò molto strana.
Non mi disse ne sì ne no, mi disse ne parliamo più tardi. A tarda ora, rimasti soli in ufficio, mi chiamò alla sua scrivania.
Davanti a lui i tabulati con le mie operazioni; quelle personali, quelle fatte per la mia famiglia e quelle fatte per i clienti. Di fronte alla mia richiesta, la prima cosa di cui istintivamente si era preoccupato, era che non avessi fatto cazzzate strane in borsa.
I casi di operatori del settore che si rovinavano erano frequenti, a tutti i livelli, ma soprattutto nei giovani, trascinati dall’ansia di arricchirsi presto e bene.