Werner Büttner

  • Ecco la 65° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Nell’ultima settimana ha prevalso il sentiment positivo sui principali listini internazionali, in un clima di rinnovata propensione al rischio con l’attenuarsi dei rischi geopolitici, mentre l’attenzione torna a focalizzarsi sui dati macro e sugli utili societari. Gli operatori hanno seguito da vicino le trimestrali delle big tech americane (5 titoli dei Magnifici 7). I conti di Tesla hanno deluso le aspettative ma il titolo è balzato in scia alla promessa di nuovi veicoli elettrici più economici. I risultati solidi di Microsoft e Alphabet hanno poi spinto l’indice S&P 500 a registrare la sua settimana migliore da novembre 2023. Per continuare a leggere visita il link

Stefano Perrini

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Ciao a tutti!

Come mi ero ripromesso di fare al termine della ricognizione su Koberling, vorrei proporvi un altro artista tedesco che, a mio modo di vedere, è sottovalutato. Si tratta di Werner Büttner, classe 1954.

Nelle tendenze neo-espressioniste tedesche, volendo mantenere la distinzione che fa ad esempio Barilli, c’è una “prima ondata” (che precede di molti anni la Transavanguardia!) con i nomi più famosi (Baselitz, Kiefer, Penck, Lüpertz, Immendorf, ecc.) e poi una “seconda ondata” di artisti più giovani (tra cui Fetting, Middendorf, Salomé, ecc.), alla quale appartiene anche Büttner. Il quale, con i suoi più stretti compagni di strada, persegue un’arte di tipo diverso, anche se tutta questa generazione di artisti tedeschi sembra assomigliarsi e fare cose simili, sotto una generica etichetta di “Bad Painting”, cioè “cattiva pittura”. E qui sta il punto: i compagni di strada di Büttner sono Martin Kippenberger e Albert Oehlen. Kippenberger, senza dubbio un fuoriclasse, nonché il più importante artista di quella generazione, purtroppo morto giovane, ha un record in asta di oltre sedici milioni di euro. Albert Oehlen ha un record d’asta di circa cinque milioni e seicentomila euro. Büttner ha un record di € 70.000. Ora, non faccio il televenditore e quindi non sostengo che se uno ha conosciuto Picasso, allora è automaticamente un grande artista. Di quella generazione di artisti che hanno studiato arte ed erano molto preparati, Büttner è l’unico, insieme a Peter Bömmels, ad essere un autodidatta ed è sicuramente, dal punto di vista pittorico, più “scarso” di Martin Kippenberger e di Albert Oehlen. Dal punto di vista intellettuale, però, era (ed è tuttora) molto sveglio e ha prodotto cose molto interessanti. Io credo che sia giusto che costi meno (anche molto meno) rispetto agli altri due compagni di viaggio, ma la distanza mi sembra eccessiva e i suoi valori assoluti decisamente bassi.

Il problema di aprire una discussione su di lui (ma lo sarebbe anche su Kippenberger) è che è molto difficile fare un discorso organico, c’è troppa varietà di temi e non ci sono cicli o cronologie molto utili a cui appoggiarsi. Proverò, senza una cadenza fissa, a proporre alcuni argomenti e alcune opere, sperando che il quadro complessivo risulti più utile che caotico.

La mia fonte principale sarà la grande monografia, credo l’unica in lingua inglese, pubblicata nel 2016.
Tale fonte mi pare non includa nella selezione delle mostre a cui ha partecipato l’artista alcuna esperienza italiana. Credo, dunque, che l’artista si sia visto molto poco in Italia. Comprensibilmente, artprice non riporta alcun passaggio nelle case d’aste nostrane, neppure per una grafica.
 
“Nato a Jena alle Idi di Marzo del 1954, precisamente 1999 anni dopo l’assassinio di Cesare, il giorno del parricidio, e concepito nove mesi prima, il 17 giugno 1953, il giorno della rivolta nazionale nella Repubblica Democratica Tedesca, la parte orientale della Germania un tempo divisa in due”.

Così Büttner amava presentarsi ai suoi nuovi studenti. Un simile modo di porsi contiene già una serie di elementi per capire il tipo. Senz’altro, una buona dose d’ironia. Poi, la questione della nascita e della Germania divisa. Lui nasce nella Germani Est, a Jena, ma a sette anni si trasferisce a Monaco con i genitori, prima del completamento del Muro. Poi si sposta a Berlino dal 1968 per studiare giurisprudenza, ed infine si stabilisce ad Amburgo, dove incontra Martin Kippenberger e Albert Oehlen, che sono studenti di Sigmar Polke. Fino alla riunificazione, rimarrà sempre un testimone del collettivismo della Germania Est che però opera all’interno del contesto capitalistico della Germania Ovest.

I punti di riferimento di Büttner sono soprattutto filosofici e letterari: lo scetticismo di Montaigne, convinto che non esistano verità assolute, ma solo incostanza e contraddizioni, e i grandi scrittori satirici come Rabelais e Swift. I pittori che ama di più sono gli “spagnoli” El Greco e Goya.

Per cominciare a vedere qualche quadro, si può iniziare da una delle prime opere vendute con successo da Büttner: “Autoritratto mentre si masturba al cinema”, del 1981.

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Il tema dell’autoritratto è molto frequentato dall’artista. In questo caso, la riflessione è sull’auto-esposizione, perfino oscena, con cui l’artista si offre completamente, senza vergogna, al proprio pubblico. D’altra parte, in una tradizione che va da Las Meninas di Velázquez a Giovane che guarda Lorenzo Lotto di Paolini, la posizione dello spettatore diventa protagonista dell’opera. Noi osservatori siamo nella posizione dello schermo del cinema e l’artista si sta eccitando perché noi stiamo guardando la sua opera.
 
Büttner conosce Albert Oehlen e fonda con lui la fantomatica “Liga zur Bekämpfung des widersprüchlichen Verhaltens” (Lega per combattere i comportamenti contraddittori), a seconda delle fonti, nel 1974 o nel 1976. Nel 1977, anno in cui Büttner si stabilisce ad Amburgo, i due incontrano Martin Kippenberger. Possiamo far risalire a quell’anno gli inizi dell’avventura artistica di Büttner, anche se le prime mostre si realizzano un paio di anni dopo, nel 1979.

È opportuno dare un’idea, anche se solo iper-semplificata, della situazione dell’arte tedesca all’epoca.

Tutte le avanguardie e le grandi rivoluzioni artistiche sono finite. Gli anni Sessanta hanno esteso i confini dell’arte all’interazione e alla partecipazione. Beuys, da Düsseldorf, ha mostrato che l’arte non è limitata ai pittori, ma è fatta da filosofi, sciamani, antropologi, scienziati, ecc. A questa estrema spinta avanguardistica, segue un riflusso, che coinvolge alcune delle altre principali città tedesche sedi di prestigiose università. Se l’ultima avanguardia aveva perseguito l’“uscita dal quadro”, è forse tempo di rientrarci dentro. Si sviluppano, così, gruppi di cosiddetti “Nuovi Selvaggi”, che utilizzano prevalentemente la pittura, a Berlino, a Colonia e , per l’appunto, ad Amburgo, ai quali andrebbero aggiunti anche gruppi minori in altre città tedesche e i gruppi sorti in Svizzera e in Austria.

Nel 1975 esce il fortunato libro “The Painted Word” del giornalista e scrittore americano Tom Wolfe, un attacco ai critici e all’Arte Concettuale. In sintesi, Wolfe rimpiange il progressivo abbandono di colori e pennello, mentre stigmatizza il fatto che per l’esistenza di certe opere sia indispensabile la presenza di una spiegazione scritta:

“L’Arte Moderna della fine del XX secolo stava per compiere il suo destino, che era: diventare niente meno che Letteratura pura e semplice”.

Sempre iper-semplificando, si può dire che molti artisti di quella generazione abbiano preso molto sul serio questa critica e si siano dati come scopo di produrre opere dipinte che fossero auto-esplicative e non avessero bisogno del “libretto di istruzioni”.

Il gruppo di Büttner, al contrario, non vuole rinunciare alla parola scritta. Anzi, il titolo di un’opera è di primaria importanza, così come i testi di accompagnamento, scritti dagli artisti stessi. Come suggerisce lo storico dell’arte Werner Hofmann, l’opera dipinta diventa il companatico nel sandwich formato dagli elementi testuali costituiti da titolo e spiegazione scritta.

Faccio una pausa, visto che il post è già abbastanza lungo, e vi propongo, a titolo di esempio, un paio di opere in cui il titolo gioca un ruolo fondamentale (nel secondo caso, è addirittura riportato sul quadro).


I problemi del minigolf nella pittura europea No.9, 1982
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Si può capire l’arte moderna, ma non il mondo moderno, 1985
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Il nucleo del gruppo di Amburgo è costituito da Büttner, Kippenberger e Albert Oehlen. Volendo tipizzare, Büttner è il teorico del gruppo, Kippenberger è quello pratico e Oehlen è il più pittore di tutti ed il depositario dello stile. Attorno a loro gravitano altri artisti, come Georg Herold (record in asta circa € 119k), Hubert Kiecol, oggi considerato un minore, ed il fratello di Albert, Markus Oehlen (record in asta circa € 60k).

Büttner, nel definire l’apparato teorico, ritiene che nell’epoca postrivoluzionaria l’arte possa essere solo uno strumento tattico per la mera sopravvivenza. Chi non possiede nulla di proprio deve rifugiarsi nella tattica, sfruttando gli errori e le lacune dell’ordine prevalente. I dipinti non sono dunque espressione di bellezza, aura o autenticità, ma espressione (tattica) di quell’”astuzia della ragione” teorizzata da Hegel (dal Dizionario De Mauro: “processo attraverso cui la ragione si serve delle passioni degli esseri umani per raggiungere i propri fini”). Büttner utilizza, così, i dipinti come armi per attaccare tutto e tutti, inclusi sé stesso e la pittura. Nelle sue parole, i suoi lavori sono “propaganda contro tutto”, “re-interpretazioni ribelli di verità spiacevoli”.

In tale contesto, i titoli, come detto, sono importantissimi, costituiscono metà della battaglia. Senza un titolo, il quadro sarebbe privo di significato. D’altra parte, il titolo ha bisogno dell’immagine. Büttner è, tra i pittori, uno dei più prolifici nell’accompagnare i propri lavori con aforismi, commenti, interviste, manifesti, saggi.

Per cambiare un po’, concludo questo denso post con qualche foto.

Da sinistra a destra: Georg Herold (tagliato) Günther Förg, Meuser, Werner Büttner, Martin Kippenberger, Albert Oehlen, Hubert Kiecol e (coperto dietro quest’ultimo) il gallerista Max Hetzler.
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Max Hetzler e Werner Büttner (a destra) che cavalcano sculture di Markus Oehlen

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Kippenberger e Büttner a braccio di ferro

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Kippenberger e Büttner cantano
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Agli inizi, tra il 1977 e il 1979, Büttner e Albert Oehlen pubblicano, in qualcosa come 25 copie, Dum-Dum, il bollettino ufficiale della loro “Lega per combattere i comportamenti contraddittori”. È più una collaborazione letteraria, ma è una miscela verbo-visuale che contiene un po’ di tutto. Il motto è “Polke è scemo e mente”, poi ci sono testi che spaziano dall’appunto di vita quotidiana al nonsense, oltre a schizzi e a collage. Nel 1980, insieme a Georg Herold, i due fondano la “Banca del seme per i profughi della Repubblica Democratica Tedesca”. Le loro azioni sono caratterizzate dallo sberleffo, dalla voglia di infrangere i tabù e da quella che oggi chiameremmo scorrettezza politica. Nel 1982, Büttner, Albert Oehlen e Herold pubblicano una specie di manifesto dal titolo Facharbeiterficken, neologismo che vuole più o meno dire “scopare un operaio specializzato”. Büttner conia questa parola in un contesto in cui il sesso è la merce su cui si guadagna di più.

Ma forse l’apice della collaborazione tra Büttner e Oehlen avviene con un trittico dipinto congiuntamente nel 1983, che s’intitola Triumphgeschrei, cioè “Urlo di trionfo”. L’opera è stata recentemente esposta al museo di Wolfsburg in una mostra, terminata a settembre, dedicata alle opere a più mani. Sfortunatamente, la foto dal sito del museo non lascia vedere bene l’opera:

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Anche la composizione di due foto prese da Kunstforum non è il massimo, ma spero che si riesca ad avere un’idea:

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L’opera, nel 1983, veniva accompagnata da un catalogo dal titolo Jenseits konstanter Bemühungen um braven Erfolg, che in italiano suonerebbe: “Al di là degli sforzi costanti per un successo beneducato”. Il titolo vuole prendere le distanze da chi cerca di raggiungere il successo facendo mille compromessi, cercando di farsi tollerare e di non offendere nessuno. La copertina è alquanto sfacciata e contiene un forte elemento pornografico, quindi evito di riportarla per non offendere la sensibilità di nessuno. All’interno, vengono ripubblicati anche diversi numeri di Dum-Dum.

Ma mi soffermo un attimo sull’opera, sulla quale si potrebbero scrivere interi libri.

L’elemento più a sinistra del trittico è un ritratto di Erich Mielke. Forse non così noto da noi, è, viceversa, molto famoso, o famigerato, in Germania. Iscritto al Partito Comunista fin dal 1921, nel 1931 uccide con un complice due capitani della polizia berlinese e ripara a Mosca, accolto come un eroe. Per questa azione sarà processato e condannato dopo la caduta del Muro, dieci anni dopo la realizzazione di questo ritratto. Mielke partecipa da volontario alla Guerra Civile in Spagna e dopo la fine del conflitto mondiale si stabilisce a Berlino Est, dove fonda il nucleo di servizi segreti che diventerà la Stasi, della quale diventa Segretario di Stato dal 1950 al 1957. In seguito, è Ministro per la Sicurezza, praticamente fino alla fine della DDR.

L’elemento mediano del trittico è un paesaggio che fa riferimento a Nietzsche, che, secondo la tradizione, arrivò all’idea dell’“eterno ritorno dell’uguale” attraverso una rivelazione mentre contemplava una roccia sul lago di Sils, in Engadina.

L’elemento a destra rappresenta una urna del gioco del lotto “6 aus 49”, in cui ogni giocatore segna sulla schedina sei numeri di una serie da 1 a 49; l’estrazione di sei numeri dall’urna determina quelli vincenti.

La cosa affascinante di questo trittico è che, di primo acchito, sembra che non ci sia alcun filo rosso che giustifichi l’accostamento di tali immagini. Una volta stimolata la riflessione, però, le possibili chiavi di lettura sembrano non finire mai. La cosa che sembra incontrovertibile è che siano immagini profondissimamente tedesche.

Il post è già molto lungo, quindi fornisco solo alcuni temi, che possono essere interpolati per ottenere alcune possibili interpretazioni.

Mielke può rappresentare: la Germania Est, il sistema comunista, un uomo molto potente, il potere dello Stato, il controllo sui cittadini, un assassino, il genere pittorico del ritratto, ecc.

Il pannello centrale può rappresentare: la Natura, l’Eterno Ritorno, il Superuomo, la volontà di potenza, la neutrale Svizzera, il genere pittorico del paesaggio, ecc.

Il pannello di destra può rappresentare: la Germania Ovest, il sistema capitalistico, il caso, la tecnologia, una macchina celibe, la pittura d’avanguardia, ecc.

E perché “Urlo di trionfo?”. Mielke può essere trionfante perché ha fatto comunque carriera e l’ha fatta franca? Nietzsche per l’illuminazione che ha avuto? Il vincitore del lotto perché ha indovinato i sei numeri?

Di sicuro, l’opera non si esaurisce alla sola immagine del quadro.
 
La troika anarco-punk formata da Büttner, Kippenberger e Oehlen utilizza i materiali più disparati per proporre un’arte libera da una certa seriosità e pomposità tipicamente teutonica. L’ironia, il sarcasmo e un umorismo anche caustico vengono utilizzati per perseguire questo scopo.

Büttner dà una bella definizione della parola “ironia” quando dice che “è la tecnica per tenere il mondo in tutta la sua sordidezza a debita distanza”. L’artista viene da lui definito come “un setaccio nel quale viene setacciato l’ambiente. Trattiene le informazioni dell’ambiente della dimensione precisa di cui ha bisogno. Ora può lavorare”.

Oehlen aggiunge: “Fondamentalmente, siamo a malapena coinvolti dall’intera faccenda. Leggiamo i giornali la mattina e dipingiamo all’ora di pranzo. Sono le autorità statali che sono responsabili del risultato”.

Qui si sottolinea un’altra differenza con la maggior parte dell’arte apparentemente simile del periodo: l’artista afferma sì il proprio disimpegno, ma le immagini che produce sono strettamente legate all’attualità e al dibattito politico.

La mancanza di dedizione alla pittura, già sottintesa nelle parole di Oehlen, è confermata anche da Büttner, quando in un’intervista di molti anni dopo dice: “Il mio percorso è iniziato negli anni ’80, quando ho iniziato a fare degli schizzi, a dipingere grossolanamente, alla prima (nota mia: in italiano nell’originale) e seguendo il motto: un quadro si deve fare in un giorno, perché ho altro da fare”.

Vi propongo un paio di quadri di quei primi anni che potrebbero essere ispirati alla micro-cronaca locale.

Cabine telefoniche vandalizzate, 1982
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Per favore, svegliatemi alle 20, 1982
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Il gruppo di cui fa parte Büttner viene inserito in un’importante mostra che compie una ricognizione sulla giovane scena tedesca: siamo nel 1981, presso la galleria di Stoccarda di Max Hetzler. Alla fine dell’anno, nella stessa galleria, si ha la prima importante personale di Büttner. Nell’archivio del sito della galleria sono ancora visibili due opere:

WERNER BÜTTNER - Stuttgart: Schwabstraße 2 - 4 December 1981 – 16 January 1982

Nel 1982 c’è la prima mostra collettiva importante per il gruppo, sempre da Max Hetzler, sempre a Stoccarda. Partecipano, oltre a Büttner, Kippenberger e Albert Oehlen, anche Ina Barfuß, Georg Herold, Markus Oehlen e Thomas Wachweger Il titolo della mostra è “Über sieben Brücken mußt Du gehen — mußten wir auch”, cioè “Devi attraversare sette ponti, anche noi abbiamo dovuto farlo”.

Il titolo, che allude ad un famoso problema che si studia nella teoria dei grafi, si riferisce ad una hit dei Karat, una band della DDR. Questa canzone d’amore nasce nel 1978 e spopola l’anno successivo anche in Germania Ovest. Gli artisti che partecipano alla mostra intendono così criticare apertamente il fatto che in Germania Ovest vengano suonate canzoni pop quasi esclusivamente in lingua inglese. Il regime dell’Est è comunque in grado di sviluppare una cultura popolare in lingua tedesca, anche se le élite dell’Ovest disprezzano questo tipo di produzione. Nell’ambito artistico tedesco, poi, il riferimento ai “ponti” non può non far pensare al gruppo Die Brücke dei primi anni del Novecento, che rimane uno dei punti di riferimento della Nuova Pittura portata avanti da quelle generazioni attive negli anni Ottanta.

Nel 1983, Büttner ha un’altra personale da Max Hetzler, questa volta a Colonia: “I problemi del minigolf nella pittura europea”. Avevo già condiviso un quadro di questa serie; eccone un altro:

I problemi del minigolf nella pittura europea No.7, 1982
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Con questa serie, Büttner si “toglie la voglia” di avventurarsi nell’arte astratta (si fa per dire). Come dice in un’intervista: “Conosco molti colleghi che sono andati nel deserto dell'astrazione e hanno sofferto e pianto per tutta la vita. E segretamente tutti sognano di dipingere un narciso, una margherita o una tetta bollente”.
 
Ultima modifica:
Dal 4 febbraio all'11 marzo 1984, Büttner, Kippenberger e Oehlen sono i protagonisti di una mostra al Museum Folkwang di Essen, dal titolo “Wahrheit ist Arbeit” (Verità è lavoro).

Il catalogo di accompagnamento è considerato il manifesto artistico del gruppo. È pubblicato in 2.000 copie, una delle quali conservata al MoMA. Si tratta di un insieme di testi ed immagini, anche in prestito da altri autori, complessivamente di difficile interpretazione.

Büttner ripubblica alcuni testi suoi sulla scena artistica di Amburgo. Oltre a quelle dei tre artisti, figurano in catalogo delle riproduzioni di opere di altri artisti, quali Peter Weibel (morto proprio quest’anno), Timm Ulrichs, Markus Oehlen, Rosemarie Trockel, Günther Förg, Hubert Kiecol e Georg Herold.

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L’illustrazione in copertina riproduce un maglio e un martello da minatore, che pare siano un riferimento al padre di Kippenberger, che era Direttore della miniera di carbone Katharina, proprio nei pressi di Essen. Attorno a tali attrezzi volano in maniera ordinata delle mosche. In combinazione con il titolo, l’illustrazione può essere variamente interpretata, ad esempio gli attrezzi come simbolo del lavoro e le mosche come ricerca della Verità.

Sembra qui riproporsi la dialettica Est/Ovest, che era già presente nel neologismo “Facharbeiterficken”, che univa l’operaio dell’immaginario comunista al verbo “fottere” dell’edonismo occidentale, o nel titolo della mostra collettiva, ripreso da una canzone pop della DDR. Qui il termine “lavoro” sembra alludere al modello materialistico orientale e “verità” a quello idealistico occidentale. Büttner è nato nell’Est, ma vive nell’Ovest e ha il privilegio di riuscire a vedere i difetti e le storture di entrambi i sistemi.

Riporto alcune pagine del catalogo che contengono opere di Büttner, dal sito dakunstbuch.at:

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L’opera di Büttner riprodotta alla pagina 31 che riporto qui sotto ha come titolo il passo biblico del Libro di Giobbe (14, 1) che descrive la misera condizione umana: “L'uomo, nato di donna, vive pochi giorni, e sazio d'affanni”.

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Seguono dei disegni sotto il comune titolo “Il terrore della democrazia”:
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Nel catalogo è presente anche un breve saggio di Diedrich Diederichsen sul ruolo della donna nel sistema capitalistico. I tre artisti pubblicano anche i ritratti fotografici delle rispettive madri. Questa è la madre di Werner Büttner:

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Nel 1985, Büttner e Albert Oehlen fondano una casa editrice. Costruiscono con una tavola di legno e gli attrezzi uno scaffale a muro che lascia uno spazio d’appoggio lungo un metro. Il loro progetto è di pubblicare abbastanza titoli da riempire di libri lo scaffale. Per questo, il nome scelto per la casa editrice è Meterverlag. Effettivamente, andranno vicini a realizzare l’obiettivo, pubblicando non solo testi propri, ma anche di altri autori.

Il primo libro che pubblicano, risultando anche come autori esclusivi, “Angst vor Nice (Fear of ‘nice’)”, non è altro che una traduzione in inglese del precedente “Wahrheit ist Arbeit”.

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C’è un calembour con il filosofo Nietzsche, ma anche l’affermazione della “bad painting” nel rifiuto del “piacevole”, del “carino” espresso da quel termine “nice”. Il sottotitolo, poi, allude a un altro filosofo, Ludwig Wittgenstein. In particolare, gli artisti sono interessati alle sue speculazioni sulle percezioni umane e su come il linguaggio non sia in grado di catturarle: possiamo costruire parole che descrivono le sensazioni, ma non esiste una precisa corrispondenza fra le percezioni e questi tentativi di esprimerle a parole.

Nel 1986 Büttner e Oehlen pubblicano con Georg Herold, ma per un'altra casa editrice, il catalogo di una mostra che viene allestita prima al Kunstverein di Amburgo e poi all’Institute of Contemporary Arts di Londra. Il titolo recita: “Forse possiamo riavere nostra madre!”. Il catalogo si chiude con un saggio del critico e professore Bazon Brock con un titolo che in italiano suonerebbe più o meno: “Donne e madri tedesche: personale volutamente riservato del regno della follia come logica”.

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Lo stesso anno Büttner pubblica con la sua Meterverlag un libro di poesie in inglese, “In lode agli strumenti e alle donne”:

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Nel 1987 viene pubblicato anche un importante libro del terzo membro del gruppo, Kippenberger, rimasto esterno rispetto al progetto di casa editrice:

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Oltre ai libri di Büttner, di Oehlen e di Kippenberger, la Meterverlag pubblica altri volumi interessanti, tra i quali “Plakat und Praxis” di Michael Schirner, complesso testo che mischia un saggio sul manifesto pubblicitario ad un racconto di finzione:

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Tra le altre pubblicazioni notevoli c'è anche una raccolta di scritti sull’arte del critico e giornalista Diedrich Diederichsen:

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Grazie Stefano, artista interessante ora me lo studio un pò
 
Grazie Stefano, artista interessante ora me lo studio un pò
Ciao e grazie a te.

Proseguo, proponendo un quadro.

Russi che fanno il bagno, 1982
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Questo è uno dei dipinti di Büttner più riprodotti. Mostra delle uniformi di soldati, piegate ordinatamente in riva al mare. Non si vedono i soldati. Leggendo il titolo, immaginiamo che siano andati a nuotare. In tedesco l'espressione baden gehen, letteralmente "andare a nuotare", viene utilizzata, con in mente uno che non tocchi con i piedi e affoghi, per quando si è di fronte ad un’impresa fallimentare, a un’idea che non funziona, magari perché si è perso il contatto con la realtà. In un’intervista, Büttner ha dichiarato che questo dipinto preconizza in qualche modo la fine dell’Unione Sovietica, che lui colloca, con la consueta ironia, prima del crollo del Muro, esattamente il 17 maggio 1985, il giorno in cui Gorbaciov “tentò di vietare l’alcol”. Se vogliamo, in italiano Büttner che “manda a fare un bagno” i soldati russi assume un ulteriore significato.

Oltre a riproporre il tema Est/Ovest, questo quadro è un perfetto esempio del metodo adottato da Büttner. L’immagine dipinta degli stivaloni e delle uniformi sulla spiaggia non sarebbe sufficiente per capire la situazione. Il titolo ci aiuta ad interpretare l’immagine, ma non basterebbe da solo, perché solo guardando il dipinto si capisce che si tratta di soldati e non di russi qualsiasi. È necessario un ulteriore elemento - la spiegazione del modo di dire tedesco - per capire che l’opera allude al destino segnato per il regime sovietico.
 
Nel 1985 Büttner ritorna sul tema dei due sistemi, a Est e a Ovest, con una serie dedicata alla Rivoluzione Russa, significativamente annotata “per sentito dire e ad olio”. L’artista sottolinea di non essere stato, ovviamente, un testimone diretto degli avvenimenti. Il “sentito dire” è il risultato delle opposte propagande. Vale poi la pena sottolineare che solo di pittura ad olio si tratta, non di foto e tantomeno di reperti. Qui ritorna il generale scetticismo dell’artista, che Büttner deriva da Motaigne. Ma il modello a cui si riferisce è uno degli artisti preferiti da Büttner: Goya, con le sue famose serie.

Con questo ciclo di lavori, in qualche modo Büttner si appropria dei temi e dell’iconografia del Realismo Socialista, senza celebrazioni o trionfalismi, ma anzi mostrando tutte le proprie perplessità di fronte agli esiti prodotti dalla Rivoluzione.


La Rivoluzione Russa – Per sentito dire e ad olio. L’assalto al Palazzo d’Inverno, 1985 (immagine originale su doppia pagina)
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La Rivoluzione Russa – Per sentito dire e ad olio. Mito, 1985
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La Rivoluzione Russa – Per sentito dire e ad olio. Mano rivoluzionaria, 1985
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La Rivoluzione Russa – Per sentito dire e ad olio. Libertà, 1985
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La Rivoluzione Russa – Per sentito dire e ad olio. Crocifisso gettato via, 1985
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La Rivoluzione Russa – Per sentito dire e ad olio. Luce e denti, 1985
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La Rivoluzione Russa – Per sentito dire e ad olio. Tumulto, 1985
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La Rivoluzione Russa – Per sentito dire e ad olio. Totalmente marcio, 1985
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Nella Germania Est gli artisti utilizzavano i temi biblici, l’iconografia cristiana e i miti dell’antichità classica per parlare dei problemi sociali e per riuscire ad avanzare critiche nei confronti del regime. L’utilizzo di stilemi tradizionali era l’unico modo per rendere accettabili certe prese di posizione poco ortodosse. Tra i campioni di questo sistema c’è stato Wolfgang Mattheuer, che potremmo considerare parte di una prima generazione di quella Scuola di Lipsia che noi conosciamo soprattutto per artisti delle generazioni successive, come Neo Rauch. Non voglio aprire troppi fronti, ma anche qui ci sarebbe da indagare se il divario tra il record d’asta di Rauch (oltre un milione e centomila euro) e quello di Mattheuer (€ 180k) sia pienamente giustificato. Uno dei maestri di Rauch di quella stessa generazione, Bernhard Heisig, non arriva a centomila euro.

Ad ogni modo, Wolfgang Mattheuer realizza dipinti come questi:

Sisifo scolpisce la pietra, 1974, Museum Albertinum, Dresda
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La fuga di Sisifo, 1972, Museum Albertinum, Dresda
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Il mito di Sisifo viene reinventato: Sisifo si ribella e si libera.

Anche Büttner utilizza temi religiosi e mitologici come gli artisti della DDR, ma in maniera del tutto diversa: non per lanciare un messaggio politico, ma per evidenziarne in maniera cinica gli aspetti ridicoli.

Il mito di Sisifo già presente in Mattheuer viene reinterpretato da Büttner in una linoleografia del 1989:

Sisifo viceversa, 1989
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È Sisifo, in questa versione, che poi è un autoritratto dell’artista, ad essere portato su per la montagna, come un oggetto privo di volontà, dalla roccia.

Un altro mito molto popolare nella DDR era quello di Icaro, una metafora delle velleità progressiste del comunismo e delle nefaste conseguenze che ne derivano.

Büttner propone una versione “stupida” di Icaro in un grande quadro del 1987, con ali da libellula ed in precario equilibrio su un barile:

Icaro stupido, 1987 (immagine originale su doppia pagina)
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Come esempio di dipinto a tema religioso, si può considerare questa versione di Adamo ed Eva, identificati solo dall’iniziale del nome:

A e E, 1985
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Sono figure abbastanza improbabili, di sapore quasi sironiano, che sembrano scavate nel fango. A differenza dell’iconografia tradizionale, le figure non si stagliano sul bucolico paesaggio del Giardino dell’Eden, ma sembrano emergere da una materia grigia.
In un colpo solo, Büttner mette in discussione l’ingenuità del racconto biblico e il canone dell’arte occidentale.
 
Uno dei temi ricorrenti è quello dell’autoritratto. Ho già condiviso nel post #2 l’autoritratto con masturbazione al cinema, ma Büttner si ritrae in diverse altre situazioni. In un’epoca in cui si costruisce la mitologia dell’artista (si pensi a Joseph Beuys), l’intento di Büttner sembra essere quello di mostrarne le debolezze e le inadeguatezze umane. Büttner si fa una risata, insieme allo spettatore, a proposito della mitizzazione della figura dell’artista.

Autoritratto con borsa del ghiaccio e quattro assi, 1983
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Autoritratto con bambole vestite da suore, 1986
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Autoritratto con gallo e tromba, 1986
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Autoritratto come carrierista, 1986
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In questo dipinto, la futilità dell’ambizione artistica viene rappresentata con un autoritratto in forme scimmiesche, mentre l’artista, sanguinante, è intento ad arrampicarsi su un’improbabile scala di cui non si vede la fine, probabilmente aspirando a raggiungere l’immortalità.

Dal mio letto d’ospedale, saluto tutte le persone oneste, 1988
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Autoritratto con sette teste, 1988
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Autoritratto come Angioletto dell’Odio, 1988
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Autoritratto in una posa come de Chirico, 1989
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Nel 1989 Büttner diventa professore alla Hochschule für bildende Künste Hamburg. Questo gli garantisce l’indipendenza da un mercato che in quel momento sta attraversando un momento di crisi, dopo anni di relativa euforia. Il modo in cui Büttner racconta della sua nomina è arguto e divertente.

Parte da una confessione (ricordo che lui era un autodidatta): “Stranamente, per diventare professore d’arte uno non deve aver studiato o essere studiato. È sufficiente figurare nel dibattito del tempo. Qualità costitutive per essere in grado di venire nominati professori sono la vendita di importanti quadri più la volontà di sottomettersi alla tradizione”.

Büttner aveva venduto bene due quadri di cui s’era parlato molto e di cui abbiamo già detto, l’Autoritratto mentre si masturba al cinema e Russi che fanno il bagno. In più, aveva degli agganci.
Infatti, Büttner si appoggia a Franz Erhard Walther, il grande artista concettuale che insegna ad Amburgo dal 1971. L’abbiamo conosciuto meglio alla Biennale del 2017 (l’edizione con Griffa, Guarneri e Lai, per intenderci); qui qualche mia foto dalla mostra all’Arsenale:

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Come dice Büttner, “L’efficacia degli agganci aumenta aggiungendo alcol”. Ragion per cui i due si incontrano in un bar, dove passano la nottata a parlare e bere. Verso le quattro del mattino, Büttner recita la poesia “Fine del mondo” di Jakob van Hoddis, poeta espressionista trucidato dai Nazisti nel 1942 in quanto “ebreo neuropatico”. La poesia in italiano recita più o meno così:

Il cappello del cittadino vola dalla sua testa a punta,
In tutta l'aria si spandono come delle grida,
Le tegole cadono e vanno in frantumi.
E sulle coste – si legge – la marea sta salendo.

La tempesta è qui, i mari agitati saltano
Sulla terra per schiacciare spesse dighe.
La maggior parte delle persone ha il raffreddore.
Le ferrovie cadono dai ponti.


Recitando questa poesia, magari senza rendersene pienamente conto, Büttner aveva pagato il necessario tributo alla tradizione: il posto era suo.

Sul biglietto da visita il titolo che gli viene conferito è: “Professore per l’intrattenimento della specie”.

“Come autodidatta, non avevo altra scelta che insegnare ciò che avevo imparato fuori dalla scuola. Avevo scoperto un metodo di insegnamento che mi si addiceva nella botanica. La vernalizzazione (che nel suono ricorda anche il mio nome) significa ‘accelerare lo sviluppo delle piantine con uno shock di esposizione al freddo’. Questo metodo era adatto al mio carattere”.

Secondo Büttner, l’insegnante deve essere un “commentatore spassionato” che lascia gli studenti nel “deserto della libertà” e che, crudelmente, deve astenersi da indicare vie d’uscita e di salvezza.

Büttner ha avuto molti studenti in oltre trent’anni di insegnamento, tra i quali artisti che oggi hanno molto successo come Daniel Richter e Jonathan Meese. Per festeggiare il suo pensionamento, la Kunsthalle di Amburgo ha ospitato una grande retrospettiva dal 15 ottobre 2021 al 16 gennaio 2022; al link della mostra si accede anche ad un breve video di presentazione:

Last Lecture Show
 
Attorno al 2000, Büttner innova il suo modo di lavorare. Inizia ad utilizzare il collage, ma molto raramente il lavoro finale è effettivamente un collage: i ritagli vengono infatti adoperati per trovare una combinazione sorprendente di forme e di temi, salvo poi riprodurli con la pittura, anziché incollarli. Büttner spiega i motivi in una conversazione-intervista con Oliver Zybok:

“Il collage può sorprenderti più dello schizzo fantasioso. Sposti le immagini ritagliate avanti e indietro finché non ottieni un risultato in cui dici: "Wow, non era prevedibile". Perché la tua immaginazione è prevedibile, finita, condizionata. Ma se lavori con le fantasie ritagliate di altre persone, aumenti le possibilità di ottenere un risultato visivo sorprendente. Puoi superare i tuoi limiti e andare più lontano. Non sembra allettante?”.

Negli aneddoti “alla Beuys” più o meno verosimili che Büttner ama diffondere, l’idea del collage gli sarebbe venuta casualmente, grazie all’incontro con le riviste della prima moglie dalla quale aveva divorziato in quel periodo.

Nel collage tradizionale, i vari elementi sono “condannati” al colore con cui sono stati creati in origine. Il mezzo pittorico consente all’artista di intervenire con sfumature, ombre e tonalità e di riportare tutto ad uno stesso materiale. Scrive la critica d’arte Gilda Williams:

“Il collage – come i Surrealisti amavano vantarsi – era l’unico mezzo che permettesse “l’incontro casuale di un ombrello e di una macchina per cucire su un tavolo di dissezione”. Con Werner Büttner è come se – grazie al medium pittorico – dopo l’iniziale incontro la macchina da cucire e l’ombrello potessero fissare un secondo appuntamento, innamorarsi appassionatamente, avere dei bambini e unirsi materialmente, insieme, per sempre. Nei dipinti di Büttner gli animali, le persone e le cose si abbracciano letteralmente, s’immischiano, si avvolgono l’uno con laltro (…). È il medium della pittura stessa che consente questa commistione: il collage può consentire prossimità meravigliosamente assurde, ma mai lo spillamento che avviene nella pittura”.

Ecco qualche esempio:

Apparizione ammonitrice, 2007
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Il castello interiore
, 2007
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Farfalla resistente alle intemperie, 2008
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Diverse forme seducenti, 2011
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Demoni autostradali, 2012
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L’opera più significativa della produzione degli anni Duemila è forse L’avanguardia da dietro, realizzata nel 2009 (l’immagine originale è su due pagine):

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La storica dell’arte Melanie Ohnemus, oggi direttrice del museo di Glarus qui in Svizzera, ha acutamente messo quest’opera a confronto con l’opera di Asger Jorn del 1962 L’avanguardia non si arrende, che riproduco qui dal sito del Centre Pompidou dove l’opera è conservata (qui il link alla scheda nel sito del museo):

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Una discussione approfondita di quest’opera ci porterebbe molto OT. Forse varrebbe la pena riparlarne nella discussione su Jorn, dove ci eravamo fermati alle soglie dell’Internazionale Situazionista (IS). Giusto per dare qualche riferimento, tra il 1957 e il 1962 Jorn produce una serie di Modifications, di cui fa parte anche quest’opera: l’artista dipinge dei graffiti sopra alcuni quadri trovati nei mercatini delle pulci. Qualcuno ha parlato di “vandalismo strategico”. I membri dell’IS ritenevano che tutte le opere e le idee ritenute all’inizio rivoluzionarie e sovversive subissero un processo di “recupero” che finiva con assimilarle al discorso dominante (quello che oggi si direbbe il mainstream). Erano dunque fautori di una pratica che chiamavano di “Détournement” che consisteva nel prendere un prodotto artistico mercificato dal sistema capitalistico e modificarlo, per stravolgerne completamente il senso.

La posizione di Jorn e di quest’opera in tale contesto situazionista, tra “recupero” e “détournement”, è complessa e non si può discuterne qui. È però chiaro che già nel 1962 l’idea di avanguardia è messa fortemente in dubbio. In epoca post-tutto, anche Büttner, come Jorn, parte da un’immagine che non è stata creata da lui. Tuttavia, mentre Jorn è ancora fortemente impegnato in una battaglia ancora da combattere, in cui “l’avanguardia non si arrende”, l’artista tedesco è distaccato: se la battaglia c’è ancora, la guarda comunque dalle retrovie. Non è ben chiaro se si tratti di un’inutile parata di soldati o ci sia effettivamente una battaglia e quest’avanguardia sia allo sbaraglio, pronta a farsi ammazzare. Tuttavia, l’artista non ha più alcun interesse a farne parte; resta indietro, con la cara e vecchia pittura.
 
Büttner ha prodotto, soprattutto in anni recenti, quadri che richiamano in maniera più o meno esplicita altri artisti. Ha scritto l’artista: “Entusiasmarsi per le opere degli altri è un atto di saggezza esistenziale. Promuovere la propria apoteosi è un atto di lungimiranza artistica”.
L’omaggio e il dialogo con il passato servono non solo a riconoscere i meriti degli artisti canonizzati, ma anche ad inserire il proprio lavoro in un certo contesto, che consente di acquisire legittimità ed autorevolezza.

Büttner ringrazia, tra gli altri, la Francia, in un quadro che unisce le pitture rupestri di Lascaux, dove l’arte ha avuto inizio, sottoterra, nelle grotte, alla pittura all’aria aperta degli Impressionisti che ha impresso una svolta alla storia dell’arte.

Grazie Francia (per Monsieur Monet e la grotta di Lascaux), 2017
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Tra gli artisti richiamati da Büttner c’è senz’altro Magritte, ammirato soprattutto per tre pamphlet scritti e pubblicati subito dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Factum brutum (Che solitudini sono tutti questi corpi umani), 2020
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Nell’omaggio a James Ensor, Büttner fa riferimento alla produzione grafica dell’artista belga e riproduce i suoi “insetti singolari”.

Omaggio a James Ensor, 2020
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La capra di Picasso è riprodotta insieme ad un ammiratore (e il ferro battuto che fa da sfondo a me sembra un richiamo a Matisse, ma magari sbaglio):

Capra con ammiratore, 2004
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Altre volte l’omaggio non è esplicito. Nel quadro seguente, la torre rossa presente in molti quadri di de Chirico (artista già omaggiato negli autoritratti) proietta un’ombra che investe quelle che sembrano delle bagnanti ed evoca in qualche modo anche i “bagni misteriosi”. Il titolo rende esplicite le allusioni sessuali dell’immagine.

Ragazze grigie di fronte a forma fallica, 2018
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Anche se non ho trovato espliciti riscontri, mi è difficile credere che il quadro che segue non sia un omaggio ad Aldo Mondino e ai suoi dervisci rotanti, che avevano acquisito una risonanza internazionale grazie alla presentazione alla Biennale di Venezia del 1993.

Vorticoso spirito del mondo, 2020
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Concludo questo approfondimento su Büttner con i link che rimandano, con un grande numero di immagini, alle ultime due mostre che gli sono state dedicate dalla Galerie Max Hetzler di Berlino.

Nell’autunno del 2022, ci si è concentrati sui fondamentali anni Ottanta:

WERNER BÜTTNER, Berlin: Goethestraße 2/3, 16 September – 22 October 2022

L’estate scorsa è stata presentata un’antologica complessiva:

WERNER BÜTTNER, Malerei 1981–2022, Berlin: Bleibtreustraße 45, 23 June – 19 August 2023
 
Per chi ha il coraggio di mettersi in casa un soggetto a dir poco ostico (e che sarà sempre difficile da rivendere), l’opera “Scheletro con stella marina” ha datazione e provenienza ottime, oltre ad essere molto rappresentativa dell’artista.
È proposta da Christie’s Amsterdam, nell’asta online con chiusura il 23 aprile:

Lotto 16
 
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