Dottrina Giorgetti. Tre indizi fanno una prova: torna l'austerity (di L. Bianco)
Fratelli d’Italia che aggira Forza Italia
con la furbata del senatore aggiuntivo in commissione Finanze al Senato per garantirsi i numeri sul decreto Superbonus non è un semplice segnale politico della premier Giorgia Meloni nei confronti degli alleati. Ma è anche una chiara dimostrazione di quella che è la linea del rigore assoluto, inaugurata in queste settimane dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, in difesa dei conti pubblici e della sostenibilità del debito italiano. Dai bonus edilizi tagliati agli ottanta euro in tredicesima rinviati a gennaio fino al duello al cardiopalma con Antonio Tajani
sulla sugar tax. L’economista e direttore dell’Osservatorio dei Conti Pubblici della Cattolica di Milano, Giampaolo Galli, spiega ad
HuffPost perché il titolare del Tesoro ha optato per l’approccio senza sconti: “Se concedi qualche milione di euro, poi ti verranno chieste allo stesso modo mille altre micro-misure. Il mondo intorno all’Italia però è cambiato: il debito pubblico del nostro paese è un osservato speciale dei mercati”. E va tenuto sotto controllo.
Dopo mille rinvii, la tassa sulla Coca-Cola (e sulle altre bevande zuccherate), doveva entrare in vigore il prossimo primo luglio, sebbene in forma dimezzata. Ma dopo le proteste di imprese del settore, associazioni di consumatori e Forza Italia, fonti governative
fanno sapere che Palazzo Chigi e Mef “sono al lavoro per trovare una soluzione che consenta di posticiparla al 2025”. In particolare, il governo “è adesso al lavoro per trovare la copertura”. Insomma, il negoziato tra gli alleati di governo, tra Meloni, Salvini e Tajani, non è incentrato su grandi misure di politica economica, ad esempio il varo della manovra di bilancio, decine di miliardi in gioco. Si tratta semplicemente di una piccola imposta: neanche cento milioni di euro di copertura per rinviarla di sei mesi, secondo i calcoli della Ragioneria generale dello Stato. Un copione andato in scena anche poche settimane fa, quando il governo ha prima individuato un centinaio di milioni di euro da dedicare – in chiave elettorale – a un bonus di ottanta euro da inserire nelle tredicesime dei lavoratori con reddito medio-basso, per poi prendersi una settimana per trattative e ricalcoli del Tesoro decidendo infine di spostare il bonus al nuovo anno, a gennaio, per non far ricadere la norma sui conti del 2024.
Da ultimo,
la linea dura di Giorgetti sul Superbonus: chiudere i rubinetti, per recuperare due miliardi di euro sul debito pubblico, disponendo persino la retroattività ai primi mesi del 2024 della norma che obbliga i detentori di crediti fiscali legati al 110% a spalmarli su dieci invece che su quattro anni: “Si tratta di un intervento – fa notare Galli – che avrà effetti sul debito, ma non sul deficit. L’Italia entrerà presto in procedura d’infrazione europea per deficit eccessivo. Dovremo ridurlo dello 0,5% l’anno. Solo dopo essere rientrati sotto il 3%, allora dovremo intervenire sul debito. Un intervento correttivo come quello del decreto in esame al Senato non era necessario. L’impressione è che Giorgetti voglia mandare un segnale chiaro ai mercati, mostrando la grinta di chi tiene sotto controllo i conti pubblici. Arrivando persino a scalfire il rapporto di fiducia che il contribuente ha nei confronti dello Stato quando detiene un credito fiscale”.
La linea del rigore assoluto sui conti pubblici si esplica persino in manovre parlamentari che rappresentano un inedito per l’attuale maggioranza di governo. Il leader azzurro e vicepremier Tajani annuncia il voto contrario sull’emendamento ‘spalma-Superbonus’ se non sarà ritirato o riformulato, e la premier Meloni, a poche ore dal voto, fa aumentare la truppa di Fratelli d’Italia in commissione Finanze di un membro – il senatore Salvatore Salemi – per garantirsi i voti necessari a far passare l’emendamento del rigore anche a costo di tagliare fuori Forza Italia dal perimetro della maggioranza a Palazzo Madama. Un chiaro segnale che, senza l’artifizio da regolamento parlamentare alla mano, il governo avrebbe rischiato di andare sotto sulla difesa dei conti pubblici.
Tutto questo avviene perché “il contesto economico è cambiato profondamente rispetto a poco tempo fa” continua l’economista della Cattolica: “Negli anni scorsi si poteva e si doveva spendere per sostenere famiglie e aziende contro Covid e caro-energia. Si poteva fare debito. I mercati comprendevano il senso di queste politiche”. Ora però la musica è cambiata: “Bisogna tirare i remi in barca”. Giorgetti lo sa, glielo hanno detto agli spring meetings del Fondo Monetario Internazionale, pochi giorni fa: “A Washington si sono resi conto che l’economia mondiale non va poi così male, l’inflazione scende più velocemente del previsto, ma c’è comunque un problema di debito pubblico in tanti paesi: una decina è già finita in default. Una novantina hanno programmi di risanamento in corso con l’Fmi”. Tra i paesi avanzati, l’Italia è quello considerato più a rischio: “Persino il debito pubblico della Grecia, ad oggi superiore a quello italiano, è destinato a scendere in percentuale al di sotto del nostro nei prossimi anni”. Il ministro del Tesoro, e la premier, sanno benissimo cosa questo significhi. Ed ecco perché preferiscono perfino aggirare un alleato di governo, Forza Italia, piuttosto che dare il segnale sbagliato a chi ci presta i soldi.