sempre a cercare di colpevolizzarsi , con pseudomoralismo suicida , anche quando è chiaro che l'euro è stato un progetto del "centro" a scapito della periferia .
posto dal prof Bagnai ( che posto perchè non dice le solite banalità conformiste di regime)
La natura della crisi è descritta da Sergio Cesaratto in questo e-book: un film già visto, il cui titolo potrebbe essere tratto da un lavoro di Taylor (1998): “Liberalizzazione, rigidità del cambio, e destabilizzazione guidata dai mercati”. Due i protagonisti: un paese sviluppato (il “centro”), con una forte base finanziaria e industriale, e un paese, o un gruppo di paesi, relativamente arretrato (la “periferia”). Il centro “suggerisce” alla periferia la liberalizzazione dei movimenti di capitale e l’adozione di un tasso di cambio fisso. Ottiene così due vantaggi: intanto, visto che in periferia i tassi di interesse sono più alti, il centro può prestarle i propri capitali (i movimenti di capitali sono liberalizzati), lucrando la differenza senza patire rischio di cambio (il cambio è fisso). Per la periferia questa liquidità è relativamente a buon mercato, e qui subentra il secondo vantaggio: drogando coi propri capitali la crescita dei redditi della periferia, il centro si assicura un mercato di sbocco per i propri beni, che i cittadini della periferia possono ora acquistare grazie agli effetti diretti e indiretti di un più facile accesso al credito. La periferia si gonfia come una bolla, perché i mercati, allettati dalla sua crescita, convogliano verso di essa capitali in misura sempre maggiore, tanto più che la crescita drogata dal debito privato (i capitali esteri prestati a famiglie e imprese) causa un miglioramento delle finanze pubbliche: il rapporto debito pubblico/Pil si stabilizza o scende. I grulli (o i furbi?) per i quali “l’unico debito è quello pubblico” sono così rassicurati. Ma nell’economia drogata sale la febbre: l’accesso al credito facile fa salire l’inflazione, e se all’inizio ci si rivolgeva all’estero per comprare beni di lusso, col tempo i prodotti esteri diventano competitivi anche sulle fasce più basse, il deficit commerciale si approfondisce, e occorrono nuovi capitali esteri per finanziarlo.
Trovare impieghi produttivi per masse enormi e crescenti di capitali non è facile, e gli afflussi di capitali, dei quali i nostri politici tanto lamentano la carenza in Italia, sono, per il paese che li riceve, debiti esteri, che occorrerà rimborsare. Chi presta questo lo sa. A un certo punto, per un motivo x (ad esempio lo scoppio di una recessione), il centro comincia a dubitare della capacità della periferia di rimborsarlo: esige il pagamento di interessi più alti a copertura del rischio, lo spread decolla, la periferia si avvita nella spirale del debito estero, e per sapere il seguito basta aprire un giornale. Non è un happy end.
La destabilizzazione, Taylor docet, è guidata dai mercati, perché questi ci guadagnano: nel periodo delle vacche grasse incassano begli interessi, e se poi alla fine qualche banca rimane col cerino acceso in mano, a ripianarne i bilanci ci pensano i contribuenti, attraverso l’austerità loro imposta, e gli Stati, accollandosi il debito privato via salvataggi bancari. Nella favola dei media il cattivo è il bilancio pubblico. In realtà sono le banche private che hanno prestato molto e male: ma la soluzione ideologica viene additata nella riduzione dell’“impronta dello Stato”, che deve fare un passo indietro, così che al prossimo giro le banche possano prestare troppo e peggio! Anche gli industriali del centro e della periferia hanno il loro tornaconto: quelli del centro lucrano profitti vendendo beni alla periferia, e quelli della periferia, ci ricorda Acocella (2005), ricorrono allo spauracchio del vincolo esterno per “disciplinare” i sindacati: compressione dei salari più aumento della produttività uguale aumento dei profitti. Quante volte, dal 1979, cioè da quando l’Italia ha iniziato il suo percorso in quella che Carlucci (2008) chiama l’area del marco allargata (prima come Sistema Monetario Europeo – SME – poi come EZ) ci siamo sentiti dire “l’Europa lo vuole”? Come resistere a questo richiamo patriottico?
Le opportunità di profitto, a ben vedere, dipendono dalle diversità fra i protagonisti: diversi tassi di interesse e di inflazione, diversi livelli di reddito, ecc. La morale del film già visto quindi è molto semplice e ognuno la comprende: non è una buona idea aggiogare sotto una moneta comune paesi diversi. Più esattamente: non è una buona idea per i più deboli (anche se è un’ottima idea per alcune classi sociali di questi paesi, come di quelli più forti).