La nuova utopia saudita: Neom e piu diritti - Formiche.net
Simone Bonzano - 28/10/2017
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Revisione della spesa a favore di investimenti concreti, apertura del mercato azionario locale alle imprese straniere, ma, soprattutto, la conversione dell’Arabia Saudita, paese simbolo del petrolio, all’energia solare. Un progetto, nato nel 2012, che prevede la costruzione di un impianto da 300 megawatt nel centro del paese “atto a produrre l’energia solare meno cara del pianeta”.
L’obiettivo? Cancellare la dipendenza del paese dal petrolio.
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Per anni, il pilastro del potere saudita è stato l’OPEC, l’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, un potente cartello in grado di manipolare in maniera autonoma i prezzi del greggio. Dopo più di sessant’anni di dominio quasi incontrastato, nel 2017 questo non è più il caso.
OPEC 'no longer in control' of oil prices - May. 18, 2017 I nuovi padroni sarebbero, infatti, la Russia e gli Stati Uniti.
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I principali effetti della perdita del controllo del prezzo del petrolio si sono visti nel 2014, con la crisi dei prezzi del greggio, dovuta in parte al deflagrare del conflitto siro-iracheno e in parte proprio all’aumento di produzione dello shale oil statunitense. Tale crisi ha messo in luce la debolezza dell’Arabia Saudita, che ha visto il proprio rapporto deficit-pil passare dal 12% del 2011 al -17.2% del 2016.
A questo si uniscono le nuove tensioni con l’Iran. Teheran, guarda caso con i “nuovi nemici” del Qatar e l’Oman – altro paese riluttante ad accettare la supremazia regionale di Riyadh – controlla il traffico mercantile dello stretto di Hormuz dove passano 18.5 milioni di barili di petrolio saudita al giorno: più del triplo di quanto ne passino dal canale di Suez (5.5 milioni). A fronte dell’espansionismo iraniano in Siria, Iraq e Yemen, i Sauditi si sono così trovati sempre più isolati in Medio-Oriente e, soprattutto, sempre più a rischio di un “controllo” di Teheran sul proprio export.
Arabia Saudita 2.0.
Differenziare la propria economia è diventata così una necessità più che una possibilità per i Sauditi soprattutto dopo aver assistito al “trionfo” in materia di immagine degli Emirati Arabi (su tutti Dubai) e del Qatar, entrambi poli attrattivi per i grandi poli finanziari oltre a “esempi”, nonostante le tante zone d’ombra dei rispettivi sistemi, di uno sviluppo economico complementare al petrolio.
Come a Dubai, infatti, la nuova “rotta” economica saudita dovrà passare, come ha descritto bin Salman, anche dall’emancipazione femminile. Le donne, pur fra le mille limitazioni imposte dalla Sharia, rappresentano il maggior numero di laureati in Arabia Saudita.
Sarebbero loro la chiave per potenziare il mercato interno necessario per sostenere un’economia non più limitata al commercio petrolifero. Proprio da questo potrebbe nascere il principale ostacolo di Bin Salman arriva, però, dall’interno del paese, ovvero il tradizionalismo popolare legato al Wahhabismo, ancora forte in molti strati della popolazione. Solo se il futuro sovrano riuscirà ad arginare queste tendenze ed evitare che si trasformino in una nuova ondata terrorista, l’Arabia Saudita potrà cambiare.
Per ora rimangono le critiche ad un regime autoritario, scarsamente democratico. Il rischio è che le “riforme” rimangano una facciata, un supporto “mediatico” ad una politica estera più aggressiva, oltre che un modo per salvare il trono saudita.
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