jmk78
Life is too short to feed the trolls
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Lunghetto ( ma non noioso ) e interessante, gli ultimi 2 capoversi identificano perfettamente lo spirito del thread ( o almeno, il mio ).Torno sul tema “value” e “growth”.
Per decomporre i concetti, può essere opportuno tornare all’origine del pensiero “value investing”, che però va contestualizzato.
Graham, il padre del value investing, era convinto che fosse possibile assegnare un valore a ciascun titolo (il valore intrinseco”). E che l’investitore saggio avrebbe acquistato i titoli che presentavano un “margin of safety”, ovvero che quotavano un prezzo al di sotto di tale valore. Mi fermerei qui (anche perché poi il lavoro seminale di graham e Dodd si focalizza, per identificare le migliori opportunità, su metriche che oggi apparirebbero bizzarre). Badate bene che questo punto non lo leggerei come "pagare il meno possibile" ma come "pagare il prezzo che assicura un margine il più elevato possibile rispetto al valore intrinseco". credo che questo punto nel tempo sia stato un po' travisato dai "value investor" che hanno esasperato l'aspetto del P/E. ci torniamo più sotto.
Siamo d’accordo che ogni investitore, growth, value, quality o quello che volete voi, in modo più o meno esplicito applica questo processo mentale?
Se sì, cari amici, allora di base facciamo tutti la stessa cosa. ovvero assegnare un valore al titolo e cercare di pagare meno di quel valore, indipendentemente da quale sia il P/E. in altre parole, lo sconto non dipende dal P/E in quanto tale. se il valore intrinseco è P/E = 10, vorrò pagarlo 8, se è P/E = 50 vorrò pagarlo 40.
Tuttavia occorre fare un nuovo passaggio: rispetto a quei tempi, il mercato è enormemente più trasparente. Le imprese pubblicano dati contabili ogni tre mesi, rilasciano guidance, comunicano costantemente con analisti più o meno capaci e specializzati che gli fanno pelo e contropelo.
Siamo d’accordo che oggi rispetto a cento anni fa, grazie alla maggiore trasparenza, il mercato sia in grado di prezzare in modo molto più efficiente le prospettive dell’azienda rispetto alle informazioni disponibili?
Se la risposta è sì , allora la possibilità di identificare un vero margin of safety elevato è molto più risicata che in passato. Se si ammette che il mercato prezza efficientemente, in base alle informazioni disponibili, i titoli di una società, allora individuare un elevato margin of safety richiederebbe di possedere informazioni non pubbliche ovvero di trovarsi in una situazione di momentaneo squilibrio dei prezzi per eventi contingenti (es. la divergenza fra petroliferi e tech durante covid). Non è un caso che battere gli indici di mercato sia difficilissimo e che pure Warren Buffett oggi abbia abbandonato il value estremo per acquisti più mirati (vedi apple).
se mi state seguendo, abbiamo marcato due punti importanti:
- tutti gli investitori desiderano acquistare a sconto rispetto al valore intrinseco
- il prezzo di mercato oggi approssima in modo efficiente il valore intrinseco, pertanto questo sconto è oggi difficile da rintracciare in assenza di informazioni riservate o situazioni di squilibrio momentaneo
in queste condizioni abbiamo quindi stabilito credo due corollari: a) il "value investor" che acquista solo titoli a basso P/E, senza tener conto della crescita, con buona probabilità, sta pervicacemente investendo su titoli scadenti, in turnaround o su business con poche prospettive alla ricerca delle poche opportunità di effettivo guadagno. b) il "growth investor" che acquista solo titoli ad alta crescita ma altissimo P/E, sta di fatto facendo una scommessa sul futuro assumendosi rischi gravissimi, perché b.1) i flussi di cassa futuri potrebbero non realizzarsi e b.2) in ogni caso il valore dei flussi di cassa futuri è soggetto ad ampia variabilità (vedi rialzo tassi). Entrambi sono presumibilmente esposti a un significativo costo opportunità.
e allora che si fa? qui entra in gioco la valutazione della "qualità" del business. il valore intrinseco è necessariamente influenzato da diversi fattori (in particolare quelli già evidenziati in altri post) attinenti alla stabilità del business, alla posizione di mercato, alla presenza di un "moat", elementi che contribuiscono a portare avanti un business profittevole, in grado di crescere a tassi anche non elevati ma con costanza, con margini elevati, mantenendo equilibrio finanziario e patrimoniale. un business di questo tipo può comandare anche P/E elevati. Individuare questi business consente di "scremare" il portafoglio dai titoli senza prospettive o senza concretezza, dando (a mio giudizio) maggiori probabilità di battere il mercato nel lungo periodo (proprio perché il mercato, in quanto strumento efficiente di "pesatura" del valore, riconoscerà la qualità dei titoli in portafoglio: non è un caso che i titoli che capitalizzano di più siano sovente proprio i titoli di maggior qualità). Riconoscere la qualità di un titolo è peraltro molto più facile e oggettivo che individuare un margine di sicurezza.
In questa logica, siamo tutti "quality investors", perché tutti determiniamo, implicitamente o esplicitamente, un valore intrinseco che è funzione della qualità del business. siamo tutti "value investors", perché nessuno di noi vuole pagare più del valore intrinseco. siamo tutti "growth investors", perché nessuno di noi vuole comprare un business che non è in grado di crescere (altrimenti, sul lungo periodo, meglio i bond).
a conclusione di questo lungo e noioso post, la mia personale lettura è che le etichette non hanno senso, in un certo senso sono fuorvianti, e seguire strategie non fondate in primo luogo sulla qualità dei titoli può portare l'investitore ad assumere inconsapevolmente alcuni rischi, implicitamente illudendosi di "saperne più del mercato".