CREDIT SUISSE senior bonds thread

Quasi quasi ce lo metto pure io il cippino...

La Credit Suisse - Fix Float Cap 26nv25 è la piu' liquida...

Segnalo che sull'EuroTLX ci sono anche queste poco scambiate:
Credit Suisse-Fix Float Cap 07gn24 - USD 1K - SENIOR
Credit Suisse-Fix Float Cap 30mz24 - EUR 1K - SENIOR
Credit Suisse-Fix Float Cap 07gn26 - GBP 1K - SENIOR
Credit Suisse 3.5% 26ge26 - USD 1K - SENIOR (qualcosa in piu' scambia..)
Credit Suisse - Fix Float 26fb26 USD 1K - SENIOR
Credit Suisse-Fix Float Floor 13lg26 USD 1K - SENIOR
Credit Suisse-Fix Float Floor 14st26 AUD 1K - SENIOR
Credit Suisse-Fix Float Cap&Floor 21fb27 USD 1K - SENIOR
Credit Suisse-Fix Float Cap 15mz27 GBP 1K - SENIOR
Credit Suisse-Fix Float Cap 29ap26 USD 1K - SENIOR
 
avevo messo un ordine a 85 ma niente...quindi mi sa che ho perso il treno sulla svizzera...già si parla di intervento della banca centrale
 
Secondo me la durata breve è un aspetto positivo... più passa il tempo, più il rischio di default aumenta...
 
presi 5K nel primo pomeriggio a 86.00
 
che ne pensate di questa XS1392459381 ha scambiato adesso a 80
 
sinceramente sono ormai tutte abbastanza distressed ...dunque opta magari per quelle con cash price più basso
 
XS2387463610 ha scadenza 08/02/2024 e quota a 90 (sospesa)
 
Mi sono accodato due volte al prezzo d'asta (per eccesso di ribasso e di chiusura) di quella in USD gen26, ma non mi ha eseguito...
 
domani se resta a questi livelli ne prendo un cippino......sperando che cs non salti come una veneto banca qualsiasi........
 
Secondo me la durata breve è un aspetto positivo... più passa il tempo, più il rischio di default aumenta...
Solo se la scadenza e a poche settimane/mesi, altrimenti in caso di ipotesi default conta solo il PMC, e una scadenza anche 2024 o 2025 per il mercato conta come una 2099...
 
Posto notizie che leggo in giro: chi non è interessato salti o mi metta in ignore

«Svizzera redditizia e centrale nel futuro di Credit Suisse»

L'intervista«Svizzera redditizia e centrale nel futuro di Credit Suisse»
Marzio Grassi, direttore della Regione Ticino, ricorda come l'entità nazionale sia una realtà bancaria solida

Marzio Grassi, capo della attività del Credit Suisse per il Sud delle Alpi.
Generoso Chiaradonna
GENEROSO CHIARADONNA
15.03.2023 06:00

Da qualche mese il Gruppo Credit Suisse ha l’attenzione di media e analisti. Spesso però si dimentica che le attività nazionali della seconda banca svizzera registrano risultati positivi in netta controtendenza rispetto a quelle internazionali. Ne abbiamo parlato con Marzio Grassi, responsabile regionale del Credit Suisse.


L’entità svizzera, come è stato riconosciuto anche alla presentazione dei conti 2022 del Gruppo, non perde soldi. Cosa ci può dire del contributo che il Ticino dà a questi dati?
«Swiss Bank ha un ruolo centrale nel nuovo Credit Suisse e nel 2022 ha fatto registrare un utile ante imposte di 1,429 miliardi, ottenendo il riconoscimento di Euromoney come “Best private bank for mass & super affluent and HNW clients”, ed è riconosciuto come leader nelle funzioni di online/mobile banking sul mercato nazionale. Anche la Regione Ticino dà il suo fattivo contributo al raggiungimento dei risultati con la sua offerta completa per la clientela commerciale, per i clienti private banking e per i gestori patrimoniali indipendenti, oltre all’offerta digitale con CSX, il prodotto faro che ormai ha superato i 300 mila clienti in Svizzera».

La strategia per riportare il Gruppo nelle cifre nere passa anche da risparmi che toccano la Svizzera. La rete delle succursali, per esempio, è stata ridimensionata. Sono previsti altri interventi in questo campo anche a Sud delle Alpi?
«Osserviamo costantemente come i nostri clienti utilizzano i nostri servizi e adattiamo di conseguenza la nostra offerta e la rete di succursali. Negli ultimi anni si è accelerato l’utilizzo di carte di debito, di credito come pure i pagamenti tramite smartphone. E anche oggi notiamo che sempre meno clienti si recano agli sportelli per le tradizionali operazioni bancarie. Quindi adattiamo le filiali come, per esempio, quella in piazza della Riforma con postazioni di co-working, zona eventi per i clienti e un digital bar. Inoltre, recentemente abbiamo chiuso gli sportelli ad Ascona poiché mostravano una frequenza in costante diminuzione. Restiamo comunque presenti nello stabile in viale Papio, a disposizione della clientela che desidera una consulenza personalizzata».

Le abitudini della clientela, con la digitalizzazione dei servizi, sono cambiate: si va di meno in banca. Una frase attribuita a Bill Gates dice che «l’economia avrà sempre bisogno di servizi finanziari, ma non per forza di banche». Un modo per dire che altri attori non bancari (le neo-banche) sono pronti a prendere il posto delle banche classiche. Lo crede realistico?
«L’avvento delle neo-banche ha rimescolato le carte sulla scena finanziaria e ha accelerato la digitalizzazione dei servizi. Sono fermamente convinto che il nostro punto forte è – e resterà anche in futuro – la consulenza personalizzata alla clientela. I nostri servizi digitali sono perfetti per le operazioni quotidiane. Per transazioni più complesse, penso a una successione aziendale e a una pianificazione finanziaria completa, è indispensabile incontrarsi ed esplorare insieme le varie opzioni per giungere poi alla soluzione migliore per tutte le parti coinvolte. Questo processo contiene una forte componente emotiva, soprattutto per chi ha creato la propria azienda e ora deve lasciarla: impensabile da gestire con un semplice formulario o premendo un pulsante».


In seguito alla globalizzazione abbiamo già assistito a una delocalizzazione e alla creazione di centri di competenza in località dove è garantita la presenza di collaboratori altamente qualificati. Tuttavia, in Ticino abbiamo il vantaggio di avere a disposizione spazi a costi nettamente inferiori se confrontati con i maggiori centri in Svizzera
Sempre a proposito di digitalizzazione, anche le distanze geografiche negli ultimi anni si sono ridotte. Quanto ciò è un rischio o un’opportunità? Mi spiego: molte funzioni possono essere svolte da altre zone della Svizzera o dal Ticino verso altre regioni. Oppure a livello internazionale. Come può essere letta questa delocalizzazione digitale?
«In seguito alla globalizzazione abbiamo già assistito a una delocalizzazione e alla creazione di centri di competenza in località dove è garantita la presenza di collaboratori altamente qualificati. Tuttavia, in Ticino abbiamo il vantaggio di avere a disposizione spazi a costi nettamente inferiori se confrontati con i maggiori centri in Svizzera, un’ottima rete ferroviaria che ci permette di raggiungere Zurigo in due ore e ampie possibilità di formazione ad alto livello grazie alla presenza dell’Università della Svizzera italiana (USI) e della Supsi. Questi vantaggi ci hanno permesso di mantenere in Ticino un Customer Service Center, per tutta la Svizzera, e anche un dipartimento IT (informatica, ndr) con un centinaio di collaboratori, attivo per la banca a livello globale da più di 30 anni».

Quali i progetti e le prospettive di occupazione in Ticino?
«Prevediamo nel corso dei prossimi anni di investire nelle filiali orientandole alla consulenza e molto meno alle tradizionali operazioni di sportello. È chiaro che siamo in una fase di riduzione dei costi e ciò ha, nostro malgrado, anche un impatto sul numero di collaboratori attivi in Ticino. Stiamo facendo il possibile per ridurre questo impatto, in particolare sfruttando la normale fluttuazione del personale e sostenendo attivamente i collaboratori toccati dalla ristrutturazione con il nostro collaudato piano sociale».


La BNS ha abbandonato la politica dei tassi negativi. Al di là delle motivazioni di carattere monetario, dopo tanti anni si torna a incentivare il risparmio rispetto all’investimento finanziario. Come sta impattando ciò sulla vostra attività sia di raccolta e sia di impiego (crediti commerciali e ipotecari)?
«Siamo ritornati alla normalità dopo un periodo di ben sette anni durante i quali al cliente non restava che investire la propria liquidità per non pagare interessi negativi sopra una certa soglia. Sul mercato immobiliare abbiamo assistito a tassi di interesse sotto l’1 % rispetto a una media storica del 4 %. Oggi il mercato del reddito fisso sta diventando di nuovo attrattivo e siamo tornati a versare interessi sugli averi in conto. In pratica, però, l’interesse non compensa per intero l’inflazione, mantenendo quindi attrattivi gli investimenti».

Il mercato ipotecario rallenta
«Sul fronte ipotecario assistiamo a un rallentamento delle richieste. L’aumento dei tassi d’interesse ha causato un netto calo della domanda di abitazioni di proprietà. Inoltre, in seguito all’aumento dei prezzi delle abitazioni, un numero minore di famiglie può permettersi un’abitazione di proprietà. I nostri economisti prevedono che la Banca nazionale svizzera potrebbe aumentare il tasso guida fino all’1,75% entro la fine dell’anno, facendo così rincarare soprattutto le ipoteche Saron (che hanno sostituito quelle Libor, ndr)».
 
Il mercato non dà tregua a Credit Suisse

L'editoriale Il mercato non dà tregua a Credit Suisse
Si continua a non voler vedere l’elefante nella stanza: l’elevata liquidità immessa negli ultimi quindici anni dalle banche centrali che è andata ad alimentare – via sistema bancario - più che l’economia reale, l’ennesima bolla finanziaria fatta di una montagna di debito

Generoso Chiaradonna
GENEROSO CHIARADONNA
15.03.2023 19:06
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Prima la liquidazione forzata di due banche negli Stati Uniti, poi la bufera su Credit Suisse la cui azione nella sola giornata di oggi è crollata del 24,24% scendendo a poco più di 1,67 franchi. Meno di un caffè, per intenderci. Una settimana che si è aperta con toni gravi e che potrebbe chiudersi ancora peggio. È chiaro, un conto è il valore di mercato, variabile per definizione, e un altro quello dei mezzi propri che alla fine dello scorso anno era ancora del 14,1% per l’intero gruppo, mentre per la sola banca svizzera era del 13,2%. Si tratta di una quota di capitalizzazione ben superiore ai requisiti stabiliti dagli enti regolatori. Questo però non mette al riparo dalla cattiva reputazione che negli ultimi anni il Gruppo si è guadagnato all’estero, soprattutto nell’ambito dell’investment banking. Per la normale opinione pubblica non è sempre facile distinguere tra quanto accade a livello internazionale e quanto in patria. Ancora oggi pubblicavamo un’intervista al direttore regionale per il Ticino di Credit Suisse Marzio Grassi che ricordava gli ottimi risultati finanziari ottenuti dall’entità svizzera in un anno difficilissimo per l’istituto. E non c’è ragione di dubitare che ciò non sia vero. Il mercato interno è già oggi un’ancora di salvezza per Credit Suisse e potrebbe diventarlo di più per il futuro.

Ma le logiche di mercato però sono guidate anche da altro. La dichiarazione del principale azionista, la Saudi National Bank, che non fornirà ulteriore capitale oltre a quello già sottoscritto lo scorso autunno (1,5 miliardi di franchi) in caso di necessità, ha mandato in fibrillazione i listini di mezzo mondo: dall’Europa, agli Stati Uniti. L’ordine per i titoli bancari, già stressati dalla vicenda Silicon Valley Bank, era uno solo: vendere. L’affermazione del presidente di SNB Ammar Al Khudairy a una precisa domanda di Bloomberg TV è stata perentoria più per i toni che per le parole usate: «La risposta è assolutamente no, per molte ragion oltre a quelle più semplici, che sono di tipo regolatorie e statutarie».

Apparentemente è stato l’«assolutamente no» di Al Khudairy a scatenare il panico su Credit Suisse e poi su tutto il comparto bancario internazionale che era già nervoso dalla vicenda, apparentemente minore e risolta d’imperio, della Silicon Valley Bank. Ma si continua a non voler vedere l’elefante nella stanza, per usare un’espressione anglosassone per chi si ostina a non vedere una verità palese: l’elevata liquidità immessa negli ultimi quindici anni dalle banche centrali che è andata ad alimentare – via sistema bancario - più che l’economia reale, l’ennesima bolla finanziaria fatta di una montagna di debito. Pubblico o privato che sia, è indifferente. Le crisi finanziarie derivano sempre da un eccesso di debito, o meglio da un debito non più sostenibile in termini di rimborso e interessi. Questi strumenti sono finiti nei bilanci delle banche e di altre istituzioni finanziarie e ora – con l’operazione contraria, ovvero di riduzione della liquidità degli istituti di emissione – si sono fortemente svalutati. Gli operatori di mercato che non sono entità astratte (ci sono anche i fondi pensioni di tutti noi), temono quindi che con l’inasprirsi della politica monetaria, la solvibilità dei grandi debitori non sia più la stessa. Non si spiegherebbe altrimenti la presa di posizione della Banca centrale europea che ha invitato i suoi vigilati a valutare la loro esposizione verso la banca svizzera.

Ma quello che sorprende, nel caso di Credit Suisse che bisogna ricordarlo è un istituto sistemico, cioè troppo grande per fallire e che chiama alla mente l’intervento pubblico, è l’assenza di prese di posizione da parte dei regolatori svizzeri: Finma e BNS (Banca nazionale svizzera). I vertici della banca – come scritto dal Financial Times – avrebbero chiesto una dichiarazione pubblica di sostegno che non è arrivata nemmeno a Borse chiuse. Un caso o una precisa volontà di voler far risolvere la pendenza al mercato?
 
Credit Suisse: la BNS fornirà liquidità in caso di bisogno

BancheCredit Suisse: la BNS fornirà liquidità in caso di bisogno
La Banca nazionale svizzera è pronta ad aiutare l'istituto in difficoltà

©Jakub Porzycki/NurPhoto
Red. Online
RED. ONLINEeATS
15.03.2023 20:36
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(In aggiornamento) In caso di emergenza la Banca nazionale svizzera (BNS) metterà liquidità a disposizione di Credit Suisse.

In un comunicato congiunto, la Banca nazionale svizzera (BNS) e l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA) affermano che «alla luce delle attuali turbolenze sul mercato bancario statunitense, non sussistono indizi di un pericolo diretto di contagio per gli istituti svizzeri. Secondo la regolamentazione svizzera, tutte le banche devono disporre di riserve di capitale e di liquidità corrispondenti o superiori alle esigenze minime degli standard di Basilea. Inoltre, le banche di rilevanza sistemica sono tenute a soddisfare esigenze particolari in materia di capitale e di liquidità. Ciò consente di assorbire gli effetti negativi di gravi crisi e shock. Nei giorni scorsi, il valore borsistico e il valore dei titoli di debito di Credit Suisse sono stati fortemente influenzati dalle reazioni sul mercato. La FINMA intrattiene contatti molto stretti con la banca e dispone di tutte le informazioni rilevanti secondo il diritto in materia di vigilanza. In tale contesto, la FINMA conferma che Credit Suisse adempie le esigenze particolari in materia di capitale e liquidità per le banche di rilevanza sistemica. Inoltre, in caso di emergenza la BNS metterà liquidità a disposizione della banca attiva a livello globale. La FINMA e la BNS seguono molto attentamente gli sviluppi e al riguardo intrattengono un assiduo scambio con il Dipartimento federale delle finanze al fine di garantire la stabilità finanziaria».
 
Una fusione tra CS e UBS? L'esperto bancario: «Questo non accadrà»

Il titolo Credit Suisse è sceso a un nuovo minimo storico. A questo punto alla banca svizzera non rimane altra scelta che fondersi con il secondo grande istituto elvetico, ossia UBS? Ne abbiamo parlato con il professore di scienze bancarie Peter V. Kunz.

Di Gabriela Beck

15.3.2023

In seguito ai vari scandali che hanno coinvolto il Credit Suisse negli ultimi mesi, gli investitori e i clienti hanno ritirato il loro denaro in massa. E le attuali scosse nel settore finanziario statunitense alimentano ulteriore l'incertezza.

Di conseguenza, le azioni della banca svizzera, in difficoltà, da giorni sono state in caduta libera e oggi sono scese per la prima volta sotto la soglia dei 2 franchi.

Signor Kunz, i media stanno parlando di una possibile fusione tra le due grandi banche svizzere CS e UBS. Quanto è probabile questo scenario, secondo lei?

Negli ultimi anni si è più volte speculato su una fusione di questo tipo. Sempre più spesso da quando CS ha problemi. E, senza sorpresa, anche ora, dopo il calo del prezzo delle sue azioni. Queste speculazioni possono essere divertenti per i giornalisti e per il pubblico, ma ritengo altamente improbabile che si arrivi davvero a tanto.

Il motivo è che la Commissione della concorrenza in Svizzera, ossia la COMCO, non potrebbe approvare la posizione dominante sul mercato di un gigante bancario. Ci sarebbero problemi di antitrust. Ma anche l'autorità svizzera di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA) solleverebbe un'obiezione.

Entrambe le banche sono di importanza sistemica, troppo grandi per fallire («Too big to fail», ndr). Se dovessero fondersi oggi, la nuova entità non solo sarebbe «too big to fail», ma a mio avviso sarebbe «too big to be rescued» (troppo grande per essere salvata). Semplicemente non si potrebbe salvare un gigante del genere, sarebbe davvero troppo per l'economia. E se un'azienda è «too big to be rescued», non si può permettere che accada.

In questo contesto, una fusione sarebbe quindi concepibile solo se UBS e CS venissero notevolmente ridimensionate.

Cosa potrebbe succedere a CS?

Non credo sia impossibile che ci sia un'acquisizione, ma non da parte di UBS, bensì eventualmente di una banca straniera. Una banca europea o del mondo arabo sarebbe fuori discussione, ma potrei immaginare che una grande banca americana possa essere interessata.

Al momento, anche lo stesso settore bancario americano è piuttosto in subbuglio.

Non credo che l'attuale turbamento scatenerà una crisi bancaria, né negli Stati Uniti né a livello globale. L'intero settore fintech è un po' scosso e quindi anche gli istituti bancari che vi sono coinvolti. La cosa potrebbe durare qualche giorno e poi calmarsi di nuovo.

Ma un'acquisizione del Credit Suisse non avviene in due o tre giorni, non si tratta di una fusione d'emergenza. In questo caso, una banca americana non avrebbe alcun interesse. Stiamo parlando di un'acquisizione basata su considerazioni commerciali, che potrebbero essere messe in discussione se una banca americana fosse interessata all'attività di asset management. Ma questo richiede settimane o addirittura mesi.

CS accetterebbe una tale «offerta»?

Non credo che sarebbe molto contento di un'acquisizione perché sono coinvolti grandi investitori del mondo arabo. Ma in fin dei conti il Credit Suisse non avrebbe nulla da ridire, perché non può decidere chi compra o vende le azioni. Sarebbe quindi possibile che una banca americana, ad esempio, faccia un'offerta a quattro franchi per azione. Infine, ogni azionista può decidere individualmente se accettarla.

A questo proposito, credo che CS non lo voglia necessariamente, ma a differenza di una fusione, in cui è la società stessa ad avere voce in capitolo, in un'acquisizione è l'azionista a decidere. Se l'investitore ha sofferto molto, potrebbe essere propenso a vendere.

Tuttavia, ipotizziamo una fusione tra UBS e CS. Cosa significherebbe per la piazza finanziaria svizzera, per i clienti delle banche e per gli azionisti?

Non credo che avere una sola grande banca sia un vero problema per la piazza finanziaria svizzera. Questa realtà esiste anche in altri Paesi. Ma di certo non sarebbe positivo per la sua reputazione. L'immagine della Svizzera beneficia infatti del fatto che abbiamo due grandi banche internazionali.

Per i clienti della banca si tratterebbe di una situazione neutrale. Come ho detto, non si tratterebbe di una fusione d'emergenza, perché UBS non sarebbe d'accordo. I clienti delle banche che attualmente si sentono insicuri nei confronti del Credit Suisse potrebbero addirittura essere felici di avere un nuovo ente funzionante.

Per quanto riguarda gli azionisti, questa è forse la previsione più difficile. Ho letto nei commenti dei giornalisti che gli azionisti potrebbero essere i grandi beneficiari. Ma nessuno può prevederlo, perché non si sa a quali condizioni avverrebbe una fusione del genere. Sicuramente farebbe salire un po' il prezzo delle azioni, perché la domanda aumenterebbe. Ma non ci si aspetta un grande guadagno, perché le azioni di CS hanno subito un enorme calo di prezzo negli ultimi un anno e mezzo.

Quindi per recuperare effettivamente le perdite contabili degli ultimi due anni, dovreste rimanere in azienda per qualche anno e sperare che il prezzo delle azioni CS torni a salire.

Un salvataggio da parte dello Stato sarebbe un'alternativa?

Nel 2009 e nel 2010 abbiamo creato in Svizzera un sistema specifico che rende superfluo un salvataggio. Se le cose si mettessero davvero male, ci sarebbe una scissione interna. Una parte potrebbe fallire, ma le parti di importanza sistemica continuerebbero automaticamente a esistere. I piccoli risparmiatori in Svizzera non dovrebbero quindi avere paura.

In qualità di professore eccentrico, mi permetto persino di affermare che, se dovesse succedere il peggio, la Banca nazionale svizzera salverebbe il CS. Ma non è molto realistico pensare che la Confederazione permetta alle banche di fallire.

Secondo lei, CS è in grado di superare la crisi da solo?

Ne sono convinto. Come ho detto, molte persone sopravvalutano l'importanza delle azioni. Il prezzo di queste ultime è spiacevole per gli azionisti, che ora sono stressati, ovviamente. Ma in fin dei conti, quando le hanno acquistate, si sono assunti il rischio che potessero crollare.
 
entrato con cippetto d'ordinanza su XS1280111961 a 86,6 :sperem::cool:
 
ringraziate la banca naz svizzera altrimenti avreste perso tutto
 
ringraziate la banca naz svizzera altrimenti avreste perso tutto
Finora sono rimasto out dai titoli CS. Forse ho indugiato troppo.
Cmq, premesso quanto sopra, ritengo che la ragione vera e fondamentale per cui CS verrà salvata è che la Svizzera non fa parte della UE e quindi le sue banche non dipendono dalla BCE. Altrimenti, gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati sarebbero stati azzerati, mentre gli obbligazionisti senior avrebbero subito un devastante taglio del nominale dei bond.
 
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