La verita' e' che con il regime di Al Sisi (che su alcuni giornali Italiani e' raccontato come una specie di Hitler) l'Egitto ha fatto notevoli passi avanti.
Viaggiavo, fino a prima della crisi attuale, in Egitto piu' volte all'anno per ragioni di lavoro e il cambiamento dal 2014 ad oggi e' abbastanza impressionante.
Tra tutti questi paesi piu o meno sgarrupati (Tunisia, Turchia, Marocco ecc.) e' l'unico su cui punterei qualche soldo.
Se mi posso permettere, sono tutti paesi economicamente, socialmente, politicamente condannati.
Ma mentre se riprendesse un minimo di turismo e si stabilizzassero, Tunisia e Marocco potrebbero avere un pò di speranza, l'Egitto potrebbe essere quello più disgraziato.
Sostanzialmente, si tratta di 100 milioni in una scatola di sabbia, concentrati intorno ad un fiume (che tra qualche decennio neppure si sa se, per effetto di dighe a monte, apporterà ancora sufficiente acqua).
Appena nel 2000, appena 20 anni fa, erano 70 milioni.
Questa popolazione deriva per 99% da contadini. Unico collante l'esercito, farraginoso e, sostanzialmente, inutile per l'esterno.
Di cosa dovrebbe vivere questa popolazione, a parte delle rimesse degli emigranti, i fellahin che in Europa occupano le posizioni più umili della società?
Esportano in totale circa 40 miliardi di dollari e importano per il doppio.
Più tragico cosa esportano. Pochi prodotti agricoli e pochi prodotti di basso valore aggiunto. L'1% delle esportazioni è carta da cesso, in senso letterale, cioè carta igienica. Oppure mutande e calzini di cotone, quelli che in Italia si vendono al mercato. Ma con la carta da cesso riescono appena a coprire le importazioni annuali per le macchine per le radiografie e le ecografie.
Sul versante delle importazioni sono infatti costretti ad importare apparecchi elettronici, autoveicoli, medicinali, semiconduttori, persino carburanti raffinati, ossia tutto ciò che è ad alto valore aggiunto e necessita di tecnologia avanzata per essere prodotto.
Il 10% delle importazioni devono destinarli ad alimenti di base, come il latte, l'olio di palma, che è a buon mercato e soprattutto il grano non lavorato, che malgrado 100 milioni di abitanti, non avendo più terra arabile sufficiente, sono costretti ad importare.
Potevano contare però sul turismo, almeno posti di lavoro in camerieri (per i connazionali meno istruiti) e impiegati (per quelli istruiti), etc. A basso valore aggiunto, ma dava respiro. Dopodiché dapprima sono arrivati gli islamici, poi il Covid.
La metà del settore manifatturiero, quello che produce i calzini e la carta da cesso, è costituita da costruzioni. In pratica, producono palazzine di cemento che continuano a erodere il terreno abitabile rimanente, palazzine che poi rivendono alle nuove famiglie, che le acquistano con le rimesse dei fellahin all'estero. La Grande Cairo è arrivata oggi a 20 milioni di abitanti.
Ma la parte più tragica non è neppure questa.
Sui settori dove qualcosa esportano hanno la concorrenza di tutti i paesi di nuova industrializzazione, ora non solo il Vietnam, ma persino paesi come la Cambogia. Quando non hanno concorrenza di questi paesi, devono fare i conti con i paesi islamici, per primo il Pakistan, anch'esso produce calzini, mutande di cotone, etc., ma ha ancora più fame, con 215 milioni di abitanti, ed è disposto ad accettare salari più stracciati. E, a livello industriale, per organizzazione, contesto sociale e logistica, tra i produttori di calzini vietnamiti e quelli egiziani, quelli egiziani hanno poche possibilità, se non ridurre ulteriormente i salari.
Il Governo è quindi disperato. Non può ridurre la spesa pubblica, perchè già ora è forse insufficiente per evitare un esplosione della bomba demografica. Così dal 2009 aumenta ogni anno il debito pubblico. Dovrebbero essere arrivati ora, almeno secondo le cifre ufficiali, al 90 per cento.
Comunque anche io da ragazzo viaggiavo un pò. Nel 1995 ricordo un paio di giorni a spasso con amici, non molto distante dal confine siriano. Non esisteva islamismo. In un'altra città me ne andavo anche in giro con una ragazza turca. Escluderei che oggi sia possibile fare lo stesso, probabilmente.