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Basilico ha sempre intrecciato il suo instancabile lavoro fotografico sulla morfologia e le trasformazioni della città e del paesaggio contemporaneo con attività seminariali, lezioni, conferenze, riflessioni condotte anche attraverso la parola scritta. Il suo pensiero è stato raccolto e sintetizzato nel 2007 nel volume Gabriele Basilico. Architettura, città, visioni, a cura di Andrea Lissoni, mentre nel 2012 ha pubblicato Leggere le fotografie in dodici lezioni.
L'opera
Le trasformazioni del paesaggio contemporaneo, la forma e l’identità delle città e delle metropoli, sono stati gli ambiti di ricerca privilegiati di Gabriele Basilico. Su questi temi ha pubblicato oltre sessanta libri personali. Tra le molte città metodicamente affrontate vi sono Amburgo, Barcellona, Bari, Beirut, Berlino, Bilbao, Francoforte, Genova, Graz, Istanbul, Lisboa, Liverpool, Losanna, Madrid, Montecarlo, Mosca, Napoli, Nizza, Palermo, Parigi, Roma, Rio de Janeiro, Rotterdam, San Francisco, San Sebastian, Shanghai, Torino, Trieste, Valencia, Zurigo. Ha partecipato a innumerevoli progetti di committenza pubblica su incarico di importanti istituzioni ed è stato insignito di molti premi. Le sue fotografie fanno parte di prestigiose collezioni pubbliche e private italiane e internazionali. All’interno della sua vasta opera di riflessione sulle trasformazioni dei territori urbanizzati nel passaggio dall’era industriale a quella postindustriale, il tema della città come complesso e raffinato prodotto dell’economia e della storia occupa un posto centrale. Guidato da una passione sincera e da una viva ammirazione per le architetture e tutti i manufatti che nel tempo hanno dato forma alle città, egli ha scelto il rigore dello stile documentario per raccontarne il costante processo di stratificazione e ibridazione che le modella, in un lavoro di indagine del rapporto tra l’uomo e lo spazio costruito durato quasi quarant’anni. Con metodi diversi ma sempre fedeli allo stile descrittivo, ha creato una ininterrotta narrazione dei luoghi, indagando le singole città e al tempo stesso ponendole in relazione tra loro, restituendo la straordinaria articolazione degli scenari urbani nei quali vive l’uomo contemporaneo.
La città di Basilico non è mai fatta di “immagini rubate”, come è nello stile dei reporter, non è quella affollata di William Klein, che egli pure ha ammirato all’inizio della sua carriera così come Bill Brandt, non è quella raccontata dal fotografo italiano che ha considerato il suo primo maestro, Gianni Berengo Gardin. Egli ha adottato invece quel modo analitico che segna la grande fotografia documentaria del Novecento, e che troviamo in Eugène Atget, Charles Marville, nella Neue Sachlichkeit, in Albert Renger Patzsch, in August Sander. Un modo che è alla base dello sguardo aperto e democratico di Walker Evans, suo maestro, e caratterizza la metodicità concettuale di Bernd e Hilla Becher oppure l’indagine di Lewis Baltz. Un modo sul quale hanno avuto influenza la fissità delle città disabitate di Giorgio De Chirico e l’attenzione alle volumetrie urbane delle periferie dipinte da Mario Sironi, oppure il disegno dello spazio prospettico di Canaletto o Bellotto, tutti pittori che amava[.
Ha costruito così un metodo compatto e coerente, irrobustito da quel tornare e ritornare sui luoghi, quel continuo guardare e riguardare il paesaggio antropizzato che ha orientato quella vasta area della fotografia contemporanea che ha come vocazione l’osservazione del mondo in trasformazione.