Gino De Dominicis

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Come diavolo si fa a trovare un appiglio contemporaneo, riguardo ad un personaggio che per gran parte della sua esistenza anelò all’immortalità? Gino De Dominicis, nacque ad Ancona il primo d’aprile del 1947 e già questa data, uno scherzo ittico che lasciò il segno nel mondo dell’arte (allora) contemporanea, pare il giusto pretesto per tornare a parlarne. Presentatosi al pubblico con il proprio annuncio funebre nel 1969, Il baffuto ed elegante marchigiano – un dandy trasferitosi a Roma, con tanto di Jaguar e stuolo di donzelle al seguito, nell’Italia dei cortei operai e dei capelloni contestatori – sfugge a qualsiasi inquadramento, proprio per la tendenza all’irreperibilità, nonché per aver reso parodia la propria vocazione concettuale.
Questo sigillo – abborrito dall’artista, assieme a quell’altro: Arte povera – resta come sospeso a discapito nei paraggi, stante l’intenzione del protagonista di equipararsi ai grandi maestri del passato, dai quali le catalogazioni inevitabilmente seguono, senza che loro ne prendano direttamente parte. Da Michelangelo nacque il manierismo, da De Dominicis prese le mosse Maurizio Cattelan.

A De Dominicis si deve con tutta probabilità anche l’ispirazione del celebre episodio Le vacanze intelligenti, con Alberto Sordi e Anna Longhi nei panni di due sprovveduti visitatori alla Biennale di Venezia. Nella scena del film, la corpulenta Augusta, dopo aver girovagato col marito tra pretenziosi interventi concettuali, s’accomoda ignara su una sedia di vimini, sotto ad una palma, venendo così scambiata da saccenti collezionisti per un’installazione vivente. Ebbene, qui c’è parecchio del sarcasmo caratteristico della prima parte dell’avventura artistica di De Dominicis; pensiamo alla famosa Mozzarella in carrozza – tautologia che rassomiglia maggiormente ad una freddura british, piuttosto che ad un’opera d’arte –, allo scheletro gigante in pattini a rotelle (Calamita cosmica, 1990, quanto è in debito Cattelan?) oppure alla Seconda soluzione d'Immortalità, (L'Universo è Immobile), installazione che diede scandalo a causa del coinvolgimento sulla scena di un uomo affetto dalla sindrome down. Era il 1972 e della bellezza interessava poco a molti.

Si dirà: le solite provocazioni. In realtà, oltre alla necessaria contestualizzazione cinquant’anni addietro, alcuni elementi risultano parecchio interessanti ancora oggi.
Anzitutto la trasposizione di tematiche cosmogoniche ed esoteriche, riconducibili alle civiltà scomparse.
I Sumeri con il re Gilgamesh, ad esempio, furono per De Dominicis ben più che fonte d’ispirazione artistica: geometrie alchemiche, prolungamenti fallici, suggestioni siderali, morte e vanitas, derive gnoseologiche, si mescolano bizzarramente all’ufologia complottista, agli esotismi salvifici, financo alla convinta avversità nel tenere in piedi il teatrino dialettico Artista-Spettatore, entrambi giudicati superflui per la ricerca della verità. Egli, qui mostrando l’aspetto migliore di sé, proibì la predisposizione di cataloghi monografici, venendo però tradito dai posteri in occasione della recente retrospettiva al MAXXI di Roma, allorquando i promotori diedero alle stampe un corposo tomo, al solito agiografico. Seguirono diatribe da pollaio tra ortodossi negazionisti e divulgativi possibilisti.

Ecco, di fronte ad una selva di febbricitanti artisti (e curatori) egomaniaci, in perenne processione per elemosinare un’apparizione a catalogo, De Dominicis seppe opporre tutto il rococò del protagonismo, ovvero l’assenteismo.
Una sparizione enigmatica, una irreperibilità destabilizzante, intollerabile per il ripetitivo bon ton dei circuiti museali. Infatti, inquadrato suo malgrado nel cascame avanguardista, egli volle liberarsene passando alla pittura. Come già fece De Chirico, negandosi qualsiasi progenie con pennelli e cavalletto, pure De Dominicis fece un passo indietro – o forse a lato – inaugurando una serie di misteriosi ritratti. Valga, come epitaffio ludico alla memoria, la definizione che l’artista diede del concettuale: “Il termine arte concettuale in Italia è molto piaciuto forse perché ricorda nomi molto diffusi come Concetta, Concezione, Concettina”.:D:D:D

Donato Novellini

fonte : Fiori del male
 

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Come diavolo si fa a trovare un appiglio contemporaneo, riguardo ad un personaggio che per gran parte della sua esistenza anelò all’immortalità? Gino De Dominicis, nacque ad Ancona il primo d’aprile del 1947 e già questa data, uno scherzo ittico che lasciò il segno nel mondo dell’arte (allora) contemporanea, pare il giusto pretesto per tornare a parlarne. Presentatosi al pubblico con il proprio annuncio funebre nel 1969, Il baffuto ed elegante marchigiano – un dandy trasferitosi a Roma, con tanto di Jaguar e stuolo di donzelle al seguito, nell’Italia dei cortei operai e dei capelloni contestatori – sfugge a qualsiasi inquadramento, proprio per la tendenza all’irreperibilità, nonché per aver reso parodia la propria vocazione concettuale.
Questo sigillo – abborrito dall’artista, assieme a quell’altro: Arte povera – resta come sospeso a discapito nei paraggi, stante l’intenzione del protagonista di equipararsi ai grandi maestri del passato, dai quali le catalogazioni inevitabilmente seguono, senza che loro ne prendano direttamente parte. Da Michelangelo nacque il manierismo, da De Dominicis prese le mosse Maurizio Cattelan.

A De Dominicis si deve con tutta probabilità anche l’ispirazione del celebre episodio Le vacanze intelligenti, con Alberto Sordi e Anna Longhi nei panni di due sprovveduti visitatori alla Biennale di Venezia. Nella scena del film, la corpulenta Augusta, dopo aver girovagato col marito tra pretenziosi interventi concettuali, s’accomoda ignara su una sedia di vimini, sotto ad una palma, venendo così scambiata da saccenti collezionisti per un’installazione vivente. Ebbene, qui c’è parecchio del sarcasmo caratteristico della prima parte dell’avventura artistica di De Dominicis; pensiamo alla famosa Mozzarella in carrozza – tautologia che rassomiglia maggiormente ad una freddura british, piuttosto che ad un’opera d’arte –, allo scheletro gigante in pattini a rotelle (Calamita cosmica, 1990, quanto è in debito Cattelan?) oppure alla Seconda soluzione d'Immortalità, (L'Universo è Immobile), installazione che diede scandalo a causa del coinvolgimento sulla scena di un uomo affetto dalla sindrome down. Era il 1972 e della bellezza interessava poco a molti.

Si dirà: le solite provocazioni. In realtà, oltre alla necessaria contestualizzazione cinquant’anni addietro, alcuni elementi risultano parecchio interessanti ancora oggi.
Anzitutto la trasposizione di tematiche cosmogoniche ed esoteriche, riconducibili alle civiltà scomparse.
I Sumeri con il re Gilgamesh, ad esempio, furono per De Dominicis ben più che fonte d’ispirazione artistica: geometrie alchemiche, prolungamenti fallici, suggestioni siderali, morte e vanitas, derive gnoseologiche, si mescolano bizzarramente all’ufologia complottista, agli esotismi salvifici, financo alla convinta avversità nel tenere in piedi il teatrino dialettico Artista-Spettatore, entrambi giudicati superflui per la ricerca della verità. Egli, qui mostrando l’aspetto migliore di sé, proibì la predisposizione di cataloghi monografici, venendo però tradito dai posteri in occasione della recente retrospettiva al MAXXI di Roma, allorquando i promotori diedero alle stampe un corposo tomo, al solito agiografico. Seguirono diatribe da pollaio tra ortodossi negazionisti e divulgativi possibilisti.

Ecco, di fronte ad una selva di febbricitanti artisti (e curatori) egomaniaci, in perenne processione per elemosinare un’apparizione a catalogo, De Dominicis seppe opporre tutto il rococò del protagonismo, ovvero l’assenteismo.
Una sparizione enigmatica, una irreperibilità destabilizzante, intollerabile per il ripetitivo bon ton dei circuiti museali. Infatti, inquadrato suo malgrado nel cascame avanguardista, egli volle liberarsene passando alla pittura. Come già fece De Chirico, negandosi qualsiasi progenie con pennelli e cavalletto, pure De Dominicis fece un passo indietro – o forse a lato – inaugurando una serie di misteriosi ritratti. Valga, come epitaffio ludico alla memoria, la definizione che l’artista diede del concettuale: “Il termine arte concettuale in Italia è molto piaciuto forse perché ricorda nomi molto diffusi come Concetta, Concezione, Concettina”.:D:D:D

Donato Novellini

fonte : Fiori del male

:clap:
 
Grande rappresentante di sè medesimo, leader del "nascondismo", alla foggia del subcomandante Marcos che scomparì all'apparire della suo inespressivo ed anonimo faccione.

Per uno che manco tollerava la riproduzione delle sue operette, l'archivio è palesemente un controsenso, un'assurdità, una sciagura.

Immaginare i suo disegnini ispirati ad una civiltà mista tra Kolosimo e gli assiri, tutti insieme, uno più inutile dell'altro, mi fa venire l'orticaria solo a pensarci!

GdD è stato un grande nella presa per il c ulo di tutti quelli che lo presero
( mai verbo più adeguato) sul serio!!
 
Che dire del GDD....come pochi segni possano esprimere cose così simboliche sullo stato del pensiero .Le opere di GDD trattano dell'immanenza dei fatti ,dell'assolutezza dell'evento ,del grado zero della vita ,del suo non senso o della perdita di contemporaneità delle cose .Gino era persona eternamente interessata all'esplorazione della linea sottile che divide il visibile dall'invisibile .Il tempo dall'eternità .Il reale dall'irreale .La mortalità dall'immortalità .Possedeva la consapevolezza dell'istante giusto e del momento giusto ,nello spazio e nel tempo
 

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GdD aveva un rispetto assoluto dell'opera, considerata come creatura vivente e autoreferente, dotata di energia propria e di autonoma volontà .Come tale l'opera d'arte non trattabile come "cosa".Per questo era contrario alla riproduzione .Secondo GdD un opera d'arte doveva essere datata con il momento in cui era nata essendo irrilevante quando venisse esposta per la prima volta .Non a caso egli ha giocato fin dal suo esordio la carta dell' invisibilità ,la quale postula che,per esistere l'opera non ha bisogno di essere visto e tanto meno descritto .
 
Come diavolo si fa a trovare un appiglio contemporaneo, riguardo ad un personaggio che per gran parte della sua esistenza anelò all’immortalità? Gino De Dominicis, nacque ad Ancona il primo d’aprile del 1947 e già questa data, uno scherzo ittico che lasciò il segno nel mondo dell’arte (allora) contemporanea, pare il giusto pretesto per tornare a parlarne. Presentatosi al pubblico con il proprio annuncio funebre nel 1969, Il baffuto ed elegante marchigiano – un dandy trasferitosi a Roma, con tanto di Jaguar e stuolo di donzelle al seguito, nell’Italia dei cortei operai e dei capelloni contestatori – sfugge a qualsiasi inquadramento, proprio per la tendenza all’irreperibilità, nonché per aver reso parodia la propria vocazione concettuale.
Questo sigillo – abborrito dall’artista, assieme a quell’altro: Arte povera – resta come sospeso a discapito nei paraggi, stante l’intenzione del protagonista di equipararsi ai grandi maestri del passato, dai quali le catalogazioni inevitabilmente seguono, senza che loro ne prendano direttamente parte. Da Michelangelo nacque il manierismo, da De Dominicis prese le mosse Maurizio Cattelan.

A De Dominicis si deve con tutta probabilità anche l’ispirazione del celebre episodio Le vacanze intelligenti, con Alberto Sordi e Anna Longhi nei panni di due sprovveduti visitatori alla Biennale di Venezia. Nella scena del film, la corpulenta Augusta, dopo aver girovagato col marito tra pretenziosi interventi concettuali, s’accomoda ignara su una sedia di vimini, sotto ad una palma, venendo così scambiata da saccenti collezionisti per un’installazione vivente. Ebbene, qui c’è parecchio del sarcasmo caratteristico della prima parte dell’avventura artistica di De Dominicis; pensiamo alla famosa Mozzarella in carrozza – tautologia che rassomiglia maggiormente ad una freddura british, piuttosto che ad un’opera d’arte –, allo scheletro gigante in pattini a rotelle (Calamita cosmica, 1990, quanto è in debito Cattelan?) oppure alla Seconda soluzione d'Immortalità, (L'Universo è Immobile), installazione che diede scandalo a causa del coinvolgimento sulla scena di un uomo affetto dalla sindrome down. Era il 1972 e della bellezza interessava poco a molti.

Si dirà: le solite provocazioni. In realtà, oltre alla necessaria contestualizzazione cinquant’anni addietro, alcuni elementi risultano parecchio interessanti ancora oggi.
Anzitutto la trasposizione di tematiche cosmogoniche ed esoteriche, riconducibili alle civiltà scomparse.
I Sumeri con il re Gilgamesh, ad esempio, furono per De Dominicis ben più che fonte d’ispirazione artistica: geometrie alchemiche, prolungamenti fallici, suggestioni siderali, morte e vanitas, derive gnoseologiche, si mescolano bizzarramente all’ufologia complottista, agli esotismi salvifici, financo alla convinta avversità nel tenere in piedi il teatrino dialettico Artista-Spettatore, entrambi giudicati superflui per la ricerca della verità. Egli, qui mostrando l’aspetto migliore di sé, proibì la predisposizione di cataloghi monografici, venendo però tradito dai posteri in occasione della recente retrospettiva al MAXXI di Roma, allorquando i promotori diedero alle stampe un corposo tomo, al solito agiografico. Seguirono diatribe da pollaio tra ortodossi negazionisti e divulgativi possibilisti.

Ecco, di fronte ad una selva di febbricitanti artisti (e curatori) egomaniaci, in perenne processione per elemosinare un’apparizione a catalogo, De Dominicis seppe opporre tutto il rococò del protagonismo, ovvero l’assenteismo.
Una sparizione enigmatica, una irreperibilità destabilizzante, intollerabile per il ripetitivo bon ton dei circuiti museali. Infatti, inquadrato suo malgrado nel cascame avanguardista, egli volle liberarsene passando alla pittura. Come già fece De Chirico, negandosi qualsiasi progenie con pennelli e cavalletto, pure De Dominicis fece un passo indietro – o forse a lato – inaugurando una serie di misteriosi ritratti. Valga, come epitaffio ludico alla memoria, la definizione che l’artista diede del concettuale: “Il termine arte concettuale in Italia è molto piaciuto forse perché ricorda nomi molto diffusi come Concetta, Concezione, Concettina”.:D:D:D

Donato Novellini

fonte : Fiori del male

Grazie AlessandroOK! Uno dei artisti piu' sottovalutati degli ultimi cent'anni!
 
Che dire del GDD....come pochi segni possano esprimere cose così simboliche sullo stato del pensiero .Le opere di GDD trattano dell'immanenza dei fatti ,dell'assolutezza dell'evento ,del grado zero della vita ,del suo non senso o della perdita di contemporaneità delle cose .Gino era persona eternamente interessata all'esplorazione della linea sottile che divide il visibile dall'invisibile .Il tempo dall'eternità .Il reale dall'irreale .La mortalità dall'immortalità .Possedeva la consapevolezza dell'istante giusto e del momento giusto ,nello spazio e nel tempo

:yes::yes::yes:
 
Nato oggi, il Maestro Gino de Dominicis avrebbe 69 anni:'(
 

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assoluto....l'arte,girar per roma, nei suoi ristoranti, e sentir le storie che parlano di lui e per lui, sublime.
 
Alcune foto che ho fatto alla Galleria Nazionale l'estate scorsa. Gino De Dominicis per me è D'io:bow:
 

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"Oggi, tra i tanti rovesciamenti, si perpetua anche nell'arte una percezione del tempo rovesciata; l’arte e gli artisti contemporanei infatti si considerano e sono considerati moderni, mentre venendo dopo tutto ciò che li precede, dovrebbero sapere di essere più antichi"


(Gino De Dominicis)
 
"Oggi, tra i tanti rovesciamenti, si perpetua anche nell'arte una percezione del tempo rovesciata; l’arte e gli artisti contemporanei infatti si considerano e sono considerati moderni, mentre venendo dopo tutto ciò che li precede, dovrebbero sapere di essere più antichi"


(Gino De Dominicis)

:ave:
 
GDD è come le sue opere, sempre in diretta. ;):yes:
 
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