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di Francesco Cancellato - 3 Giugno 2017 - 08:30
No, a Veronica De Romanis i luoghi comuni non piacciono granché. E evidentemente, nemmeno le favole di chi racconta che l’Italia volerebbe se non fosse per il rigore imposto dall’Europa e dai suoi padroni teutonici. Economista formata tra la Sapienza e la Columbia University, docente alla Luiss e alla sede dell’Università di Stanford a Firenze, De Romanis ha appena dato alle stampe “L’austerità fa crescere” (Marsilio, 2017), un volume che prova a dimostrare, con dovizia di numeri e dettagli, perché quelle dell’austerità eccessiva, recessiva, imposta, ingiusta, inutile e responsabile dell’ascesa dei populisti siano panzane auto-assolutorie. E che invece, se ben attuato, il rigore nei conti pubblici sia un vettore di crescita economica, oltre che un segno di responsabilità e solidarietà verso le nuove generazioni e gli altri Paesi che appartengono all’Unione Europea.
Partiamo da un altro luogo comune, De Romanis, quello per cui evocare tagli e rigore faccia perdere le elezioni. Emanuel Macron, in piena campagna elettorale, ha annunciato un taglio di sessanta miliardi alla spesa pubblica francese. Eppure oggi è all’Eliseo…
Ha fatto ancora di più, Macron. In uno dei dibattiti televisivi ha detto a Marine Le Pen che il deficit non era una buona cosa per la Francia. Parliamo di un Paese che non rispetta le regole da nove anni e che non ha mai ottenuto una sanzione per questo. A dimostrazione che le regole non sono così rigide come si vuol dar credere. Poteva starsene zitto, e invece ha infranto un tabù.
E ha pure vinto le elezioni…
Questa cosa che l’austerità sia responsabile dell’ascesa dei populisti è una bufala da smontare. Non è il primo Macron, a vincere promettendo rigore economico.
Sì ok, la Germania, i Paesi del nord Europa…
Non solo. Anche gli spagnoli hanno rieletto per due volte Mariano Rajoy, uno che diceva che la Spagna dovesse continuare con il consolidamento fiscale, mentre hanno punito Podemos, che prometteva più spesa pubblica. E in Portogallo, nonostante al governo per un gioco di alleanze ora ci sia il socialista Costa - che peraltro ha ricevuto l'investitura dal presidente della repubblica uscente solo promettendo di rispettare i patti con i creditori internazionali - era stato il premier uscente Coelho a prendere più voti di tutti, un altro difensore dell’austerità. Persino in Grecia i sondaggi attuali danno Nea Demokratia, altro partito del rigore, in netto vantaggio su Syriza. Parliamo di Paesi che hanno fatto sacrifici duri. Se fossero stati inutili, non crede si sarebbero ribellati a chi glieli ha imposti?
Evidentemente non lo sono.
Certo che no, visto che Spagna, Irlanda e Portogallo sono tra i Paesi che crescono maggiormente in Europa, sicuramente più di Italia e Francia che oggi crescono meno della media dell'area Euro, che l’austerità non sanno nemmeno cosa sia, in confronto.
Oddio, da noi c’è stato Monti…
Sì, quel governo è l'unico che ha fatto l'austerità. Del resto è stato chiamato proprio per fare il lavoro sporco, ossia mettere i conti in sicurezza, quello che i politici non hanno voluto prendersi la responsabilità di fare. Il governo tecnico è anomalia tutta italiana.
E dopo?
C’è un modo per misurare austerità: surplus primario al netto del ciclo. Durante il governo Monti questo surplus è aumentato dall’1% circa al 3,7%. Con Renzi alla fine del 2016 era già tornato al 2,5%. Ma per dire che abbiamo attuato una politica espansiva, in questi ultimi anni, basterebbe osservare la spesa pubblica, che non ha fatto che aumentare.
Davvero?
Tra il 2013 e il 2016 la spesa totale è cresciuta di quasi 10 miliardi, quello che è stato tagliato sono gli investimenti fissi lordi, la parte più produttiva della spesa pubblica. Per tre miliardi, a voler essere precisi. Quel che non è cresciuto è il Pil, a dimostrazione che non basta spendere, ma bisogna spendere bene.
E com’è che si spende bene?
Il nostro Paese dovrebbe spendere in formazione per i giovani, in un sistema duale di alternanza scuola-lavoro come quello tedesco, efficiente e molto costoso. E ancora, spendere per le politiche attive del lavoro: dovrebbero essere i centri per l’impiego a trovare lavoro ai giovani, non le conoscenze e le amicizie. Noi per le politiche attive spendiamo un decimo di quel che spende l’austera Germania. Infine, per permettere alle donne di lavorare: un tasso di occupazione femminile di 14 punti inferiore all’area euro grida vendetta.
E invece…
E invece abbiamo speso per dare 80 euro al mese al ceto medio, cosa che non è servita nemmeno a rilanciare i consumi visto che gli italiani se li sono messi sotto il materasso. E abbiamo offerto la decontribuzione ai nuovi contratti di lavoro, che ha drogato il mercato per un anno, un intervento costato oltre 12 miliardi, risorse che se messe nel taglio strutturale del cuneo fiscale avrebbero avuto un impatto ben diverso sulla crescita.
Buone o cattive, come le finanzi queste maggiori spese, se non a debito?
Riducendo deduzioni e detrazioni fiscali, ad esempio, un insieme di oltre settecento voci che riducono la trasparenza del bilancio, peraltro. E poi facendo revisione della spesa. Che non vuol dire semplicemente tagliare: appena arrivata alla Cancelleria, Angela Merkel ha portato avanti una spending review molto seria, ma non ha toccato né la scuola, né la sanità, né la attività di ricerca e sviluppo, cui invece ha aumentato in budget. Lo sostengo da anni: una buona spending review è esito di scelte politiche. Per questo deve farla il ministro dell’economia, non i commissari tecnici, che infatti vengono mandati regolarmente a casa, mentre le loro proposte finiscono a prendere polvere nei cassetti.
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http://www.linkiesta.it/it/article/...a-crescere-leconomia-e-protegge-i-piu-/34458/
di Francesco Cancellato - 3 Giugno 2017 - 08:30
No, a Veronica De Romanis i luoghi comuni non piacciono granché. E evidentemente, nemmeno le favole di chi racconta che l’Italia volerebbe se non fosse per il rigore imposto dall’Europa e dai suoi padroni teutonici. Economista formata tra la Sapienza e la Columbia University, docente alla Luiss e alla sede dell’Università di Stanford a Firenze, De Romanis ha appena dato alle stampe “L’austerità fa crescere” (Marsilio, 2017), un volume che prova a dimostrare, con dovizia di numeri e dettagli, perché quelle dell’austerità eccessiva, recessiva, imposta, ingiusta, inutile e responsabile dell’ascesa dei populisti siano panzane auto-assolutorie. E che invece, se ben attuato, il rigore nei conti pubblici sia un vettore di crescita economica, oltre che un segno di responsabilità e solidarietà verso le nuove generazioni e gli altri Paesi che appartengono all’Unione Europea.
Partiamo da un altro luogo comune, De Romanis, quello per cui evocare tagli e rigore faccia perdere le elezioni. Emanuel Macron, in piena campagna elettorale, ha annunciato un taglio di sessanta miliardi alla spesa pubblica francese. Eppure oggi è all’Eliseo…
Ha fatto ancora di più, Macron. In uno dei dibattiti televisivi ha detto a Marine Le Pen che il deficit non era una buona cosa per la Francia. Parliamo di un Paese che non rispetta le regole da nove anni e che non ha mai ottenuto una sanzione per questo. A dimostrazione che le regole non sono così rigide come si vuol dar credere. Poteva starsene zitto, e invece ha infranto un tabù.
E ha pure vinto le elezioni…
Questa cosa che l’austerità sia responsabile dell’ascesa dei populisti è una bufala da smontare. Non è il primo Macron, a vincere promettendo rigore economico.
Sì ok, la Germania, i Paesi del nord Europa…
Non solo. Anche gli spagnoli hanno rieletto per due volte Mariano Rajoy, uno che diceva che la Spagna dovesse continuare con il consolidamento fiscale, mentre hanno punito Podemos, che prometteva più spesa pubblica. E in Portogallo, nonostante al governo per un gioco di alleanze ora ci sia il socialista Costa - che peraltro ha ricevuto l'investitura dal presidente della repubblica uscente solo promettendo di rispettare i patti con i creditori internazionali - era stato il premier uscente Coelho a prendere più voti di tutti, un altro difensore dell’austerità. Persino in Grecia i sondaggi attuali danno Nea Demokratia, altro partito del rigore, in netto vantaggio su Syriza. Parliamo di Paesi che hanno fatto sacrifici duri. Se fossero stati inutili, non crede si sarebbero ribellati a chi glieli ha imposti?
Evidentemente non lo sono.
Certo che no, visto che Spagna, Irlanda e Portogallo sono tra i Paesi che crescono maggiormente in Europa, sicuramente più di Italia e Francia che oggi crescono meno della media dell'area Euro, che l’austerità non sanno nemmeno cosa sia, in confronto.
Oddio, da noi c’è stato Monti…
Sì, quel governo è l'unico che ha fatto l'austerità. Del resto è stato chiamato proprio per fare il lavoro sporco, ossia mettere i conti in sicurezza, quello che i politici non hanno voluto prendersi la responsabilità di fare. Il governo tecnico è anomalia tutta italiana.
E dopo?
C’è un modo per misurare austerità: surplus primario al netto del ciclo. Durante il governo Monti questo surplus è aumentato dall’1% circa al 3,7%. Con Renzi alla fine del 2016 era già tornato al 2,5%. Ma per dire che abbiamo attuato una politica espansiva, in questi ultimi anni, basterebbe osservare la spesa pubblica, che non ha fatto che aumentare.
Davvero?
Tra il 2013 e il 2016 la spesa totale è cresciuta di quasi 10 miliardi, quello che è stato tagliato sono gli investimenti fissi lordi, la parte più produttiva della spesa pubblica. Per tre miliardi, a voler essere precisi. Quel che non è cresciuto è il Pil, a dimostrazione che non basta spendere, ma bisogna spendere bene.
E com’è che si spende bene?
Il nostro Paese dovrebbe spendere in formazione per i giovani, in un sistema duale di alternanza scuola-lavoro come quello tedesco, efficiente e molto costoso. E ancora, spendere per le politiche attive del lavoro: dovrebbero essere i centri per l’impiego a trovare lavoro ai giovani, non le conoscenze e le amicizie. Noi per le politiche attive spendiamo un decimo di quel che spende l’austera Germania. Infine, per permettere alle donne di lavorare: un tasso di occupazione femminile di 14 punti inferiore all’area euro grida vendetta.
E invece…
E invece abbiamo speso per dare 80 euro al mese al ceto medio, cosa che non è servita nemmeno a rilanciare i consumi visto che gli italiani se li sono messi sotto il materasso. E abbiamo offerto la decontribuzione ai nuovi contratti di lavoro, che ha drogato il mercato per un anno, un intervento costato oltre 12 miliardi, risorse che se messe nel taglio strutturale del cuneo fiscale avrebbero avuto un impatto ben diverso sulla crescita.
Buone o cattive, come le finanzi queste maggiori spese, se non a debito?
Riducendo deduzioni e detrazioni fiscali, ad esempio, un insieme di oltre settecento voci che riducono la trasparenza del bilancio, peraltro. E poi facendo revisione della spesa. Che non vuol dire semplicemente tagliare: appena arrivata alla Cancelleria, Angela Merkel ha portato avanti una spending review molto seria, ma non ha toccato né la scuola, né la sanità, né la attività di ricerca e sviluppo, cui invece ha aumentato in budget. Lo sostengo da anni: una buona spending review è esito di scelte politiche. Per questo deve farla il ministro dell’economia, non i commissari tecnici, che infatti vengono mandati regolarmente a casa, mentre le loro proposte finiscono a prendere polvere nei cassetti.
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http://www.linkiesta.it/it/article/...a-crescere-leconomia-e-protegge-i-piu-/34458/