MUSICA, VIDEO, FILM e l'ARTE CONTEMPORANEA

Altra Opera di un Artista "individuata" in un film. In "Sei mai stata sulla luna?" del 2015 con Raoul Bova e ben inquadrata un Opera di Federico Guerri, un artista che seguo e stimo da anni.

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Ho appena visto "Happy Family"an un film del 2010 diretto da Gabriele Salvatores con Fabio De Luigi.

Nella casa di De Luigi si riconoscono ben due (belle) Opere di Marco Petrus e una forse di Alessandro Bellucco.
 
Ho avuto il piacere di visitare oggi a Bologna Van Gogh Alive – The Experience | Bologna un esperienza che ti coinvolge a 360°, in cui circondato da arte & musica capisci o comprendi sempre più quanto i colori possano essere al pari delle note sul pentagramma, musica per lo spirito quando stese abilmente sulla tela.

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Discoteche in mostra al Vitra Design Museum - LivingCorriere

Il Vitra Design Museum celebra l’architettura e gli interni dei più celebri club del mondo. Dal leggendario Studio 54 di New York a Les Bains Douches di Parigi

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Il 17 marzo ha inaugurato al Vitra Design Museum di Weil am Rhein Night Fever. Designing Club Culture 1960 – Today. In mostra, architetture e interni d’autore delle discoteche più celebri del mondo. Dai locali italiani degli Anni 60, al leggendario Studio 54 di New York, fino a Les Bains Douches di Parigi (nella foto di Foc Kan), firmato da un giovane Philippe Starck. C’è anche il concept di OMA per un nuovo Ministry of Sound a Londra. Completano la mostra effetti luminosi e tanta musica. Vi verrà voglia di ballare. Fino al 9 settembre.
 


Una ampia rassegna, al Roverella, dà conto della singolare attrazione che il cinema ha provato, e continua a nutrire, per il Delta del Po, la dove il Grande Fiume si confonde con l’Adriatico. Si calcola che le acque, i lembi di sabbia, le piane dell’ampio Delta siano state protagoniste, più che semplice scenario, di almeno 500 tra film, documentari, fiction televisive, girati dai più grandi registi fra i quali Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Giuseppe De Santis, Michelangelo Antonioni, Alberto Lattuada, Mario Soldati, Pupi Avati, Ermanno Olmi e Carlo Mazzacurati.
 
Skira

L'universo del cinema reinterpretato graficamente

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Minimal Film è un libro di cinema raccontato attraverso la magia visiva del graphic design o un libro di graphic design raccontato attraverso la magia evocativa del cinema.



L’intento di Minimal Film consiste nel rappresentare l’emozione del cinema attraverso la sintesi estrema e la semplicità delle forme tipiche di Shortology, un linguaggio immediato in grado di raccontare qualsiasi cosa attraverso i pittogrammi.

E poi c’è il colore o, meglio, gli abbinamenti di colore che, oltre a rendere ogni illustrazione visivamente impattante ed efficace, sottolineano la tensione narrativa generale del film.

Ad esempio: un cerchio bianco appoggiato su una distesa di colore blu è sufficiente a raffigurare il pallone Wilson di Cast Away, mentre due triangoli bianchi perfettamente perpendicolari a una campitura di colore rosso bastano a evocare Dracula, così come una croce azzurra su fondo bianco (ondulato nella parte superiore, a simboleggiarne lo stato liquido) diventa il “latte più” dei protagonisti di Arancia Meccanica.

Nelle pagine di Minimal Film troverete gran parte dei film che ne hanno fatto la storia: dall’immortale saga di Star Wars al cinema “d’autore”, passando per le serie tv, assurte oramai a protagoniste assolute delle produzioni hollywoodiane, come Game of Thrones e Breaking Bad.

Un libro sulle emozioni, sui solchi indelebili che il cinema ha lasciato nel nostro immaginario di spettatori e amanti della settima arte.
 
Su "La Lettura" di ieri domenica 16 dicembre vi è un articolo a tutta pagina dal titolo "Mengoni pittore. La mia musica privata" a firma di Vincenzo Trione che ci fa scoprire "la vocazione per la pittura" del cantante Marco Mengoni.
 
Grazie Axelart per il contributo,

Lo "sistemo" anche qui:

Hitler contro Picasso e gli altri
2017
Regia: Claudio Poli.

Hitler contro Picasso e gli altri racconta come il nazismo mise le mani sull'arte, tentando di distruggere e cancellare ogni traccia delle opere classificate come "degenerate". Tutto cio' scaturiva dalla grande passione del Fuhrer per le tele d'autore e da un irrefrenabile desiderio di propaganda. Toni Servillo ci guida tra i documenti originali, carte e libri di una misteriosa biblioteca: si viaggia poi tra Parigi, New York, Olanda e Germania con lo scopo di raccogliere diverse testimonianze.

Per chi non avesse potuto vederlo:

Hitler contro Picasso e gli altri
 
Nel film "Ex Machina" di Alex Garland (2014) vi sono opere figurative contemporanee e anche meno recenti,

Jackson Pollock (No. 5, 1948)

Gustav Klimt (ritratto di Margarete Wittgenstein, 1905)
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Tiziano Vecellio (Allegoria della prudenza, ca. 1565)
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Intervista al regista dove spiega la scelta dei quadri
Alex Garland:
EX MACHINA - Set Decorators Society of America
 
Torino Film Festival 📽


Un decennio fuori schema, l’arte in Italia
1967-1977

Il documentario «La rivoluzione siamo noi», da una idea di Ludovico Pratesi e Ilaria Freccia, che ne firma anche la regia.

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Pino Pascali, «Missile colomba della pace», collezione privata, Roma, 1965


"Ci sono stati anni, in Italia, in cui un folletto riccio come Pino Pascali tagliava l’acqua del mare con delle forbici guidate da gesti danzanti e un bulgaro alto e allampanato come Christo impacchettava la statua del re davanti al Duomo di Milano, mentre quell’imballaggio si trasformava nel piedistallo delle rivendicazioni per i lavoratori in sciopero. Avrebbe di sicuro impacchettato pure le stelle lui, se solo avesse avuto la scala giusta per raggiungere il cielo e le sue costellazioni.

In quell’universo artistico che non rispettava nulla dei codici fino ad allora conosciuti, c’era anche Mario Merz, nella città operaista di Torino: voleva arare i campi dimenticando «i paesaggi dell’Ottocento» e procedendo per conto suo. Alla fine, come un pollicino lunare sparpaglierà i suoi igloo per i musei del pianeta, rifugio effimero e archetipico dello stare al mondo e di una umanità nomadica. Pistoletto, invece, camminava come un flâneur per le vie deserte con una scultura da passeggio, per riconquistare una comunione perduta con la città
Erano anni ludici e tragici, un’epoca in cui gli artisti dai Sixties disseminati di paglia, terra, fuoco e acqua, alla ricerca della radice e della radicalità di un fare che fuoriusciva dai confini e dalle norme dettate dal mercato passarono poi ai Seventies, quando il corpo divenne materia palpitante, il protagonista principale delle dissonanze sociali e private, luogo narrativo della politica che – come afferma Marina Abramovic – era in grado di predire il futuro.

Ma come si arrivò dai dodici cavalli di Jannis Kounellis esposti nell’Attico romano di Sargentini all’orgia sanguinolenta di un teatro della crudeltà messo in scena a Napoli dall’austriaco Hermann Nitsch, contestatissimo guru dell’azionismo viennese?

Quell’accidentato e utopico itinerario lo prova a ripercorrere, con rari materiali di repertorio e interviste ai protagonisti, il documentario La rivoluzione siamo noi. Arte in italia 1967-1977 (produzione e distribuzione Istituto Luce Cinecittà), nato da un’idea del critico e curatore Ludovico Pratesi e Ilaria Freccia, che ne firma anche la regia – sarà presentato in anteprima mondiale online al 38/mo Torino Film Festival il 25 novembre.

È costruito su un fil rouge che intreccia saldamente passato e presente e rende incandescente ogni momento, setacciando episodi che sembrano schegge di esperienze ormai archiviate ma che in realtà hanno cambiato il dna del fare arte per sempre. E anche molte esistenze, come ben spiegano Freccia e Pratesi. «Abbiamo trascorso giorni e giorni negli archivi, per cercare attimi di vita vissuta da riportare alla luce: uno sforzo che ha dato una serie di frutti insperati grazie all’enorme disponibilità di protagonisti e testimoni del tempo, che ci hanno aiutato a restituire una narrazione in diretta di quegli anni. Un’occasione straordinaria di scoprire frammenti di vita quotidiana… in una fusione tra arte e vita che ha reso quegli anni indimenticabili».

Il titolo è preso in prestito dall’opera del tedesco Beuys, quella fotografia in cui l’artista-sciamano si dirige verso lo spettatore per convincerlo a unirsi al rivolgimento del mondo a partire da sé. Fu anche il titolo della leggendaria e vulcanica sua prima mostra in Italia, presso la Modern Art Agency di Amelio, nel 1971.

Quattro dunque le città indagate per raccontare l’Italia creativa e controcorrente di allora – Torino, Roma, Milano e Napoli – con una ouverture dedicata alla Biennale di Venezia nell’anno – il 1968 – delle contestazioni, quando gli «ospiti espositori» rovesciarono le opere per negarle allo sguardo del potere e gli studenti sfondarono i cancelli dei Giardini per riappropriarsi degli spazi comuni e insieme dell’arte, che è di tutti.

Ma i veri protagonisti del documentario non sono solo gli artisti di quell’epoca di sovversioni, sono anche i galleristi che li hanno accompagnati, assecondando idee e progetti eccentrici, offrendo carta bianca alle loro azioni di rottura, come testimonierà Sargentini. Erano alleati e complici in una relazione dove si mettevano in gioco loro stessi, senza assumere posizioni gerarchiche (fondate sul ricatto del denaro).

Ad aprire i giochi è Lia Rumma, grande dama dell’arte prima a Napoli (vivacissimo centro propulsivo del contemporaneo con lei e Marcello, Lucio Amelio, Pasquale Trisorio, Giuseppe Morra – nel 2008 la Fondazione Morra al rione Sanità ha inaugurato la sede del Museo Archivio/Laboratorio Hermann Nitsch, luogo di raccolta di materiali dell’azionista viennese), poi a Milano, unica gallerista e collezionista coraggiosa del Sud a destreggiarsi in quegli anni in un parterre abitato soprattutto da uomini. E, in effetti, le voci di donne sono rarefatte nel documentario, a riprova di un paese che andava a passi da gigante verso una veloce trasformazione, lasciando dietro di sé scie dell’«altra metà dell’avanguardia», come scrisse lucidamente Lea Vergine.

In scena vediamo apparire di sfuggita Giosetta Fioroni che manda baci, la coreografa americana Trisha Brown all’Attico con Simone Forti e poi, naturalmente, la serba Marina Abramovic. La seguiamo prima nella solitudine di quel corpo/martire dato in pasto all’aggressività degli spettatori in Rhythm 0, presso lo studio Morra a Napoli nel 1974: l’artista aveva posto sul tavolo alcuni oggetti per procurare piacere o dolore e il pubblico poteva fare con lei ciò che voleva; dopo sei ore di maltrattamenti – le conficcarono anche spine di rosa nello stomaco mentre lei rimaneva immobile co volto rigato di lacrime – il gallerista gettò dalla finestra la pistola carica per evitare la fine peggiore. Successivamente la ritroviamo con Ulay, in uno dei sodalizi più intensi che ci abbia regalato la storia della performance del Novecento.

Infine, sono diverse le anime che interpretano quel decennio così denso. Da quel viaggiatore e aedo dell’umanità dispersa che è Kounellis agli apotropaici corni di rinoceronte o creste di dinosauri di Pascali fino agli sdoppiamenti di Alighiero Boetti. «Il principio fondamentale è resistenza , la vita….- diceva – Sarebbe bello essere in due, uno tutto cosciente reale, l’altro tutto onirico, inconscio, che si tengono per mano ma senza confondersi mai, invece di trovarsi entrambi mostruosamente contenuti nel vaso angoscioso del soggetto»..."




Fonte: il manifesto
:bye:
 
Da vedere!!!!!!


Un decennio fuori schema, l’arte in Italia
1967-1977

Il documentario «La rivoluzione siamo noi», da una idea di Ludovico Pratesi e Ilaria Freccia, che ne firma anche la regia.

Vedi l'allegato 2728007
Pino Pascali, «Missile colomba della pace», collezione privata, Roma, 1965


"Ci sono stati anni, in Italia, in cui un folletto riccio come Pino Pascali tagliava l’acqua del mare con delle forbici guidate da gesti danzanti e un bulgaro alto e allampanato come Christo impacchettava la statua del re davanti al Duomo di Milano, mentre quell’imballaggio si trasformava nel piedistallo delle rivendicazioni per i lavoratori in sciopero. Avrebbe di sicuro impacchettato pure le stelle lui, se solo avesse avuto la scala giusta per raggiungere il cielo e le sue costellazioni.

In quell’universo artistico che non rispettava nulla dei codici fino ad allora conosciuti, c’era anche Mario Merz, nella città operaista di Torino: voleva arare i campi dimenticando «i paesaggi dell’Ottocento» e procedendo per conto suo. Alla fine, come un pollicino lunare sparpaglierà i suoi igloo per i musei del pianeta, rifugio effimero e archetipico dello stare al mondo e di una umanità nomadica. Pistoletto, invece, camminava come un flâneur per le vie deserte con una scultura da passeggio, per riconquistare una comunione perduta con la città
Erano anni ludici e tragici, un’epoca in cui gli artisti dai Sixties disseminati di paglia, terra, fuoco e acqua, alla ricerca della radice e della radicalità di un fare che fuoriusciva dai confini e dalle norme dettate dal mercato passarono poi ai Seventies, quando il corpo divenne materia palpitante, il protagonista principale delle dissonanze sociali e private, luogo narrativo della politica che – come afferma Marina Abramovic – era in grado di predire il futuro.

Ma come si arrivò dai dodici cavalli di Jannis Kounellis esposti nell’Attico romano di Sargentini all’orgia sanguinolenta di un teatro della crudeltà messo in scena a Napoli dall’austriaco Hermann Nitsch, contestatissimo guru dell’azionismo viennese?

Quell’accidentato e utopico itinerario lo prova a ripercorrere, con rari materiali di repertorio e interviste ai protagonisti, il documentario La rivoluzione siamo noi. Arte in italia 1967-1977 (produzione e distribuzione Istituto Luce Cinecittà), nato da un’idea del critico e curatore Ludovico Pratesi e Ilaria Freccia, che ne firma anche la regia – sarà presentato in anteprima mondiale online al 38/mo Torino Film Festival il 25 novembre.

È costruito su un fil rouge che intreccia saldamente passato e presente e rende incandescente ogni momento, setacciando episodi che sembrano schegge di esperienze ormai archiviate ma che in realtà hanno cambiato il dna del fare arte per sempre. E anche molte esistenze, come ben spiegano Freccia e Pratesi. «Abbiamo trascorso giorni e giorni negli archivi, per cercare attimi di vita vissuta da riportare alla luce: uno sforzo che ha dato una serie di frutti insperati grazie all’enorme disponibilità di protagonisti e testimoni del tempo, che ci hanno aiutato a restituire una narrazione in diretta di quegli anni. Un’occasione straordinaria di scoprire frammenti di vita quotidiana… in una fusione tra arte e vita che ha reso quegli anni indimenticabili».

Il titolo è preso in prestito dall’opera del tedesco Beuys, quella fotografia in cui l’artista-sciamano si dirige verso lo spettatore per convincerlo a unirsi al rivolgimento del mondo a partire da sé. Fu anche il titolo della leggendaria e vulcanica sua prima mostra in Italia, presso la Modern Art Agency di Amelio, nel 1971.

Quattro dunque le città indagate per raccontare l’Italia creativa e controcorrente di allora – Torino, Roma, Milano e Napoli – con una ouverture dedicata alla Biennale di Venezia nell’anno – il 1968 – delle contestazioni, quando gli «ospiti espositori» rovesciarono le opere per negarle allo sguardo del potere e gli studenti sfondarono i cancelli dei Giardini per riappropriarsi degli spazi comuni e insieme dell’arte, che è di tutti.

Ma i veri protagonisti del documentario non sono solo gli artisti di quell’epoca di sovversioni, sono anche i galleristi che li hanno accompagnati, assecondando idee e progetti eccentrici, offrendo carta bianca alle loro azioni di rottura, come testimonierà Sargentini. Erano alleati e complici in una relazione dove si mettevano in gioco loro stessi, senza assumere posizioni gerarchiche (fondate sul ricatto del denaro).

Ad aprire i giochi è Lia Rumma, grande dama dell’arte prima a Napoli (vivacissimo centro propulsivo del contemporaneo con lei e Marcello, Lucio Amelio, Pasquale Trisorio, Giuseppe Morra – nel 2008 la Fondazione Morra al rione Sanità ha inaugurato la sede del Museo Archivio/Laboratorio Hermann Nitsch, luogo di raccolta di materiali dell’azionista viennese), poi a Milano, unica gallerista e collezionista coraggiosa del Sud a destreggiarsi in quegli anni in un parterre abitato soprattutto da uomini. E, in effetti, le voci di donne sono rarefatte nel documentario, a riprova di un paese che andava a passi da gigante verso una veloce trasformazione, lasciando dietro di sé scie dell’«altra metà dell’avanguardia», come scrisse lucidamente Lea Vergine.

In scena vediamo apparire di sfuggita Giosetta Fioroni che manda baci, la coreografa americana Trisha Brown all’Attico con Simone Forti e poi, naturalmente, la serba Marina Abramovic. La seguiamo prima nella solitudine di quel corpo/martire dato in pasto all’aggressività degli spettatori in Rhythm 0, presso lo studio Morra a Napoli nel 1974: l’artista aveva posto sul tavolo alcuni oggetti per procurare piacere o dolore e il pubblico poteva fare con lei ciò che voleva; dopo sei ore di maltrattamenti – le conficcarono anche spine di rosa nello stomaco mentre lei rimaneva immobile co volto rigato di lacrime – il gallerista gettò dalla finestra la pistola carica per evitare la fine peggiore. Successivamente la ritroviamo con Ulay, in uno dei sodalizi più intensi che ci abbia regalato la storia della performance del Novecento.

Infine, sono diverse le anime che interpretano quel decennio così denso. Da quel viaggiatore e aedo dell’umanità dispersa che è Kounellis agli apotropaici corni di rinoceronte o creste di dinosauri di Pascali fino agli sdoppiamenti di Alighiero Boetti. «Il principio fondamentale è resistenza , la vita….- diceva – Sarebbe bello essere in due, uno tutto cosciente reale, l’altro tutto onirico, inconscio, che si tengono per mano ma senza confondersi mai, invece di trovarsi entrambi mostruosamente contenuti nel vaso angoscioso del soggetto»..."




Fonte: il manifesto
:bye:
 
Sempre al Torino Film Festival c'è anche Pino, un documentario su Pino Pascali
 
Visto Doc su Pascali, interessante, molto bella la postproduzione, il regista è anche montatore dei film di Guadagnino
Oggi mi sparo La rivoluzione siamo noi.
Interessante la proposta del festival di un comodo noleggio dei singoli film a 3,50
 
Un dock-film sulla swinging Roma degli anni '60: "La scena artistica degli anni Sessanta nella Capitale. Un periodo storico irripetibile, dove in continue contaminazioni, pittura, cinema, letteratura si incrociano all’inseguimento dell’“anima” del momento. L’affresco di una città che per un decennio si è imposta come una delle capitali mondiali dell’arte."

"La nuova figurazione di Mario Schifano, le opere di Jannis Kounellis e Pino Pascali, gli artisti di piazza del Popolo con Giosetta Fioroni, Mario Ceroli e Renato Mambor, le sperimentazioni di Gianfranco Baruchello, Fabio Mauri e i manifesti stracciati di Mimmo Rotella."

Per vedere gratuitamente il film clicca qui e inserisci il codice FPM-SWINGING, link attivo dalle ore 10 fino alle 23.59 di domenica 14 marzo. La visione del film sarà consentita ai primi quattrocento utenti collegati. :)

 
OK! Un film ben fatto e molto interessante! :yes:

Per non dimenticare! :'(

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Un dock-film sulla swinging Roma degli anni '60: "La scena artistica degli anni Sessanta nella Capitale. Un periodo storico irripetibile, dove in continue contaminazioni, pittura, cinema, letteratura si incrociano all’inseguimento dell’“anima” del momento. L’affresco di una città che per un decennio si è imposta come una delle capitali mondiali dell’arte."

"La nuova figurazione di Mario Schifano, le opere di Jannis Kounellis e Pino Pascali, gli artisti di piazza del Popolo con Giosetta Fioroni, Mario Ceroli e Renato Mambor, le sperimentazioni di Gianfranco Baruchello, Fabio Mauri e i manifesti stracciati di Mimmo Rotella."

Per vedere gratuitamente il film clicca qui e inserisci il codice FPM-SWINGING, link attivo dalle ore 10 fino alle 23.59 di domenica 14 marzo. La visione del film sarà consentita ai primi quattrocento utenti collegati. :)


Grazie per averlo attenzionato e grazie del codice.
1 ora molto piacevole.
molto ben fatto e abbastanza oggettivo
 
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