Dite quel che volete, ma io questo grottesco sociopatico quasi finisco per apprezzarlo più di tanti altri che pascolano da quelle parti.
Perché quantomeno è sincero.
Perché, senza imbellettamenti posticci, dice quello che ancora pensa una parte per nulla marginale della società italiana.
Perché, col suo eloquio ridicolo, alza il velo sul sentire che tutt'oggi accomuna una fetta importante (egemone, direbbe qualcuno) dell'élite di questo Paese.
Quello secondo cui picchiare i fascisti, aggredirli a martellate in dieci contro uno, sia non solo giustificabile, ma sacrosanto.
Quello in base al quale non aver "finito il lavoro", prima nel 1945 e poi negli anni '70, sia stata una mancanza cui occorre porre rimedio alla prima occasione utile.
Gli altri - non lui che è troppo scemo perfino per provarci - vorrebbero farci credere che per loro il caso Salis sia una semplice questione di civiltà giuridica.
Che il problema che sta loro a cuore consista nel garantire a qualsiasi imputato, qualunque sia il reato di cui è accusato, un trattamento equo e dignitoso.
E che, in ultima istanza, nessun cittadino italiano sotto processo all'estero - si trattasse pure del peggior bandito - debba essere abbandonato a se stesso dal nostro Governo.
Una semplice battaglia di diritto e di principio senza connotazioni di parte, insomma: di questo tentano di convincerci.
Quando invece basta una scorsa veloce ai giornali, ai servizi tv e alle dichiarazioni di certi politici per scoperchiare una realtà fatta di agiografie sfrenate. Di beatificazioni a mezzo stampa in cui la Salis diventa per tutti semplicemente "Ilaria", la "brava docente" (quella che tutti dovrebbero volere per i propri figli, secondo la memorabile definizione di Concita De Gregorio), "l'attivista" infaticabile dai nobili princìpi, "l'antifascista" della porta accanto convintamente schierata "dalla parte giusta della storia".
Le vittime dei pestaggi di cui è accusata? Semplicemente "nazisti", altro non serve sapere.
Le loro ferite? Poco più che graffietti, comunque tutte guaribili in qualche giorno.
L'ipotesi che possa essere dichiarata colpevole?
Non contemplata.
E non tanto per mancanza di fiducia nella magistratura ungherese, notoriamente soggiogata dal perfido Orban.
Ma perché, lo si percepisce con chiarezza leggendoli e ascoltandoli, proprio si stenta a individuare quale mai sarebbe la "colpa" di cui si parla.
Pestare i fascisti e/o i nazisti?
Mandarli all'ospedale o, se capita, al camposanto?
E da quando in qua sarebbe un reato?
La Salis (pardon, Ilaria) non è un'italiana nei guai all'estero a cui va assicurata tutela.
È una dello loro stessa tribù.
Quella che la follia criminale dell'antifascismo militante non l'ha mai superata davvero.
E che, al di là delle parole di facciata peraltro sempre zeppe di distinguo, non vede perché diavolo dovrebbe farlo.
Perciò, viva quel povero ******** di Raimo che dice le cose come stanno.
E pazienza se, il giorno in cui si trovasse davanti un "neonazista" vero, l'unica cosa che potrebbe fare sarebbe raccogliere i denti dal marciapiede.
Marco De Rosa II