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Ripresa, rischio ricadute, bolla hi-tech: 5 domande chiave sul futuro dei mercati - 24+
Ripresa, rischio ricadute, bolla hi-tech: 5 domande chiave sul futuro dei mercati
Sono domande dalle 100 pistole. Quesiti cui gli esperti danno le loro risposte. Su alcune c’è convergenza. Su altre la discussione è aperta. L’unica cosa certa è: nessuno ha la sfera di cristallo
Come andranno le Borse? Quale, e come, sarà la ripresa economica? Sono domande dalle 100 pistole. O, se si vuole, da un milione di dollari . Quesiti che spesso molti di noi ci poniamo. Diventa interessante, allora, formularne alcuni agli esperti, raccogliendo i loro commenti. Con un’avvertenza: nessuno ha la sfera di cristallo, tanto meno in una fase eccezionale come l’attuale.
Come sarà la ripresa economica?
Gli operatori non rispondono in maniera unanime. Il che non sorprende. Da una parte, la pandemia da Covid-19 ha scarsi riscontri con il passato ed è, quindi, difficile fare ipotesi. Dall’altra, nonostante la globalizzazione dell’economia, le differenze tra i vari Paesi e le loro politiche fiscali daranno vita ad una rimonta a macchia di leopardo.
Di là da ciò c'è una certa convergenza, come mostra lo stesso sondaggio di BofAML tra i gestori, sullo scenario della cosiddetta ripresa ad U. Cioè: la crescita resterà per alcuni mesi sul fondo della curva prima di recuperare e risalire. L’ipotesi è riassunta dal Fmi. Quest’ultimo prevede una profonda recessione mondiale nel 2020 e, poi, il rimbalzo del Pil l’anno prossimo. In particolare il crollo del Prodotto globale dovrebbe essere del 3%, con i Paesi più industrializzati maggiormente colpiti (-6,1%). Successivamente, ipotizzando la ritirata della pandemia nella seconda metà di quest’anno e la progressiva riduzione delle misure di “lockdown”, l’economia mondiale dovrebbe crescere del 5,8%.
Se questa è l’ipotesi più gettonata deve, per l’appunto ricordarsi, che altri scenari sono contemplati. Tra il 75% dei gestori che optano per la ripresa ad U ci sono anche quelli che non scartano l’ipotesi cosiddetta a W. Si tratta di una situazione in cui, dopo il primo rimbalzo della congiuntura, segue un altro calo e poi la definitiva rimonta. Perché quest’ipotesi? Perché viene considerata la probabilità, non così “fantasiosa”, di un riacutizzarsi della diffusione del virus che metterà di nuovo sotto pressione i mercati. Meno gettonata, invece, lo scenario più ottimista. Solo il 10% dei money manager pensa ancora che, dopo aver toccato il fondo, la congiuntura immediatamente riparta. È interessante notare che questo scenario, alcuni mesi fa, era al contrario preso in grande considerazione. Ma è normale: all’inizio si spera sempre per il meglio (o meno peggio).
Infine, la previsione descritta non da una lettera dell’alfabeto, bensì dallo 'Swoosh' del marchio Nike: una caduta, seguita da una ripresa, ma con una crescita lenta e tanto tempo per tornare al livello pre-crisi. Alcuni operatori optano per quest’ultima impostazione.
LE PREVISIONI SULL'ECONOMIA MONDIALE
I mercati azionari rischiano la seconda ondata ribassista?
Anche su questo fronte la complessità della situazione, e delle variabili in gioco, rende difficile la risposta. Dapprima bisogna distinguere tra i diversi listini: la stessa rimonta, dal 23 marzo scorso, è contraddistinta da differente intensità a seconda che si parli di Europa o Wall Street. In tal senso, visto il ruolo guida della Borsa statunitense, è utile guardare specificatamente alla “Strada del Muro”.
«Attualmente –spiega Silvio Bona, esperto indipendente di analisi tecnica – l’S&P 500 si trova, da inizio maggio, in una fase laterale di attesa». Il paniere delle 500 società maggiormente capitalizzate «è all'interno di un canale che ha come tetto (resistenza, ndr) l’area intorno a 3.000 punti e come pavimento (supporto, ndr) quella tra 2.750 e 2.770. Non può escludersi che l’indice possa anche andare oltre al tetto indicato».
E, tuttavia, l’impressione che «si coglie dai grafici è che un secondo trend ribassista sia probabile. In tal senso – aggiunge sempre Bona – bisogna monitorare con attenzione l’area di 2.700 punti». È quello il livello che, se rotto al ribasso, «può costituire il segnale dell’avvio del possibile ritracciamento».
Già, il possibile ribasso. Rispetto ad esso non rilevano, però, solo le resistenze e i supporti tecnici. Diversi esperti sottolineano, in primis, che i mercati testeranno sempre di più l’efficacia delle politiche monetarie impostate delle banche centrali. Vediamo di spiegarci. C’è chi sottolinea che, avendo schiacciato molto l’acceleratore sul pedale delle strategie ultra-espansive, sia la Fed che la Bce arriveranno ad un punto in cui la loro capacità d’incidere sulle Borse scemerà. «In quel momento – sottolinea Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte advisory – i listini potrebbero perdere l’abbrivio».
Non solo. Si deve fare molta attenzione all’evoluzione del virus. « Con l’approssimarsi dell’ autunno/inverno, periodo caratterizzato di per sé dalla normale influenza stagionale, il rischio -spiega Cesarano - è che l’eventuale recrudescenza della pandemia possa impattare le Borse».
Ancora: la variabile della campagna elettorale per le presidenziali Usa. Su questo fronte alla mancanza, da parte della Casa Bianca, di una strategia chiara nella gestione della pandemia potrebbe aggiungersi l’incertezza dovuta alle tattiche che l’attuale Presidente metterà in campo per garantirsi il secondo mandato. Un contesto che evidentemente non propone in favore di un rally senza interruzioni di Wall Street.
Quella “Strada del Muro” che, inoltre, dovrà fare i conti «con la riduzione dei miliardari buy back aziendali e la contrazione degli utili aziendali– aggiunge Giacomo Calef, Country manager di Notz Stucki – . Se non ad una nuova ondata ribassista, molto probabilmente assisteremo al ritracciamento dell’S&P 500». Insomma: non si prevede un nuovo grande crollo; piuttosto si aspetta, nonostante la continua liquidità immessa sul mercato, il ridimensionamento di Wall Street su valori più consoni. Sempre che, ovviamente, la pandemia non riesploda o non si concretizzi un altro Cigno Nero.
Esiste il rischio della bolla tecnologica sul mercato statunitense?
«Il Nasdaq –risponde Bona – è salito di più rispetto all’S&P 500. Quindi, in teoria, il settore hi-tech potrebbe avere più spazio per scendere. Ciononostante l’ impostazione di fondo dell’indice tecnologico è migliore rispetto a quella del paniere delle 500 maggiori capitalizzazioni. Di conseguenza l’eventuale ribasso dovrebbe essere più contenuto». «In realtà –ribatte Carlo De Luca, responsabile AM di Gamma Capital Markets – bisogna guardare anche alle valutazioni dei settori. L’Internet retail, che è una buona “proxy” dei titoli tecnologici avvantaggiati dal “lockdown”, ha visto il suo rapporto tra prezzo e utili salire».
Tanto che, come si vede dalla tabella più sotto, la differenza tra il suo P/e e quello dell’S&P 500 è passata dai 35 punti a marzo ai 60 in maggio. «Si tratta di un allargamento notevole. Una dinamica opposta a quella, ad esempio, del settore petrolifero».
Qui la differenza tra il P/e del comparto oil e quello dell’S&P 500 addirittura è diventata negativa. «Significa – spiega Calef – che il recente rally è stato spinto quasi esclusivamente dalle tecnologie. Il che è un rischio. In ogni rialzo di Borsa, prima o poi, devono partecipare tutti i comparti. Non può essere solamente uno a tirare la volata». In un simile contesto la probabilità che gli investitori inizino a ridurre l’esposizione sull’alta tecnologia «è da prendere in considerazione».
Non solo. Di là dal fatto che bisogna comunque distinguere tra i titoli hi-tech (ad esempio Facebook, che sul fronte dei ricavi dipende dalla pubblicità, è molto diverso da Microsoft o Amazon), va ricordato che le aziende tecnologiche non sono completamente “slegate” dall’economia reale. Nel momento in cui, a causa della crisi, «la capacità di spesa delle famiglie diminuisce–spiega De Luca – anche gli acquisti dell’elettronica di consumo ne risentono». E con loro i conti delle aziende hi-tech che, sempre più spesso orfane dei buy back e della domanda dell’industria oggi in difficoltà, vedranno rallentare la loro spinta.
IL RAPPORTO TRA PREZZO E UTILI TRA IL SETTORE INTERNET E L'S&P 500
I conflitti in Europa sulle politiche fiscali peseranno sulle Borse del Vecchio continente?
Da inizio anno ad oggi le performance delle Borse europee sono inferiori a quelle di Wall Street. I motivi di questa differenza sono molteplici. Tra gli altri può ricordarsi il fronte delle politiche fiscali. Negli Stati Uniti, sebbene i contrasti tra il partito Democratico e la Casa Bianca siano molto forti, è stato ad esempio varato piuttosto velocemente il piano d’aiuti da 2.000 miliardi di dollari. Nell’Unione Europea, invece, sono ben note le mille discussioni e polemiche riguardo le politiche fiscali da adottare.
«È chiaro – afferma De Luca – che il mancato coordinamento tra i vari Stati, cui abbiamo finora assistito, crea sfiducia negli investitori». I quali, ovviamente, vendono. Oltre a ciò, poi, c'è il fatto che tra i Paesi maggiormente colpiti dal Covid-19 ci sono quelli che hanno minore spazio di manovra per avviare singolarmente le manovre in deficit spending. «Un’ulteriore condizione che incide sui mercati».
A fronte di ciò le Borse europee rischiano di continuare a soffrire? «Sarà rilevante – risponde Cesarano –, oltre ai contenuti, anche la tempistica. Se entro la fine di Giugno verranno adottate delle decisioni, seppure generali, rispetto al Recovery fund e al suo utilizzo, allora è possibile che i mercati riprendano fiato». Se, al contrario, «la continua opposizione dei Paesi dell’austerity ad oltranza non verrà disinnescata, allora il futuro non è così roseo».
Quale l’effetto sui mercati della guerra fredda tra Usa e Cina?
Già prima della deflagrazione della pandemia i rapporti tra Washington e Pechino erano tesi. Il Presidente Donald Trump aveva avviato un conflitto commerciale che, da un lato, aveva l’obiettivo di contrastare la lenta, ma inesorabile, espansione politico-commerciale dell’Impero di Mezzo; e che, dall’altro, mirava ad aumentare (almeno nelle intenzioni dell’ex presentatore di “The Apprentice”) la forza, e la presenza interna agli Usa, della Corporate America.
Sennonché il Covid-19 ha rimescolato le carte in tavola. «In particolare - spiega Calef -, da un lato, bisogna vedere se i precedenti accordi commerciali, all’interno della telenovela della “trade war”, verranno nuovamente messi in discussione». E, dall’altro, non può negarsi «che, in questo momento, gli Stati Uniti si trovano in una posizione di maggiore debolezza rispetto a solo qualche mese fa». Un contesto che, al di là delle evoluzioni geo-politiche, «aggiunge incertezza ad incertezza». Vale a dire: se lo scorso anno il tira e molla tra Pechino e Washington era inserito in un “habitat” di Borse al rialzo, adesso la discussione ha come sfondo una economia reale al palo e mercati volatili.