Quale sistema pensionistico per l'Italia?

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PiVi1962

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Nei thread intitolati "Fondi pensione" si è affrontato più volte il tema dei possibili cambiamenti e miglioramenti applicabili al sistema pensionistico italiano, ed in particolare alla cosiddetta previdenza complementare.

Penso che tale argomento meriti una sezione dedicata, sia per la complessità del tema, sia per poter utilmente focalizzare i vari volumi dei thread "Fondi pensione" sulle scelte individuali possibili a normativa corrente, aiutando i forumisti meno esperti a risolvere i loro problemi individuali.

Iniziamo a stabilire innanzitutto un linguaggio comune e delle informazioni basilari comuni.

Posso suggerire la lettura dei documenti ovvero la consultazione dei dati seguenti:

* Sistemi pensionistici - Wikipedia , Sistema pensionistico italiano - Wikipedia
* Osservatori Statistici
* Ragioneria Generale dello Stato - Ministero dell Economia e delle Finanze - Spesa pensionistica - Anno 2022
* http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCAR_PENSIONI2
* Pensions at a Glance 2021: OECD and G20 Indicators | en | OECD (con link agli anni precedenti)
* Il Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano
 
Credo che uno statale (I) che garantisca la sopravvivenza e uno privato a capitalizzazione (II) incentivato fiscalmente ed eventualmente con employer match siano sufficienti

Concordo. Alla fine ci lamentiamo tanto del costo del lavoro in Italia, ma un buon terzo (anzi mi pare anche il 34% e rotti) va in contributi per la pensione che tutto sommato sono risparmio "forzato" che ti impone lo stato per vivere più serenamente il futuro
 
Bisogna partire da 2 elementi.
. il cuneo.
Tra i Paesi europei da segnalare la Svizzera, dove il cuneo è del 22% per un lavoratore single senza figli. E solo del 9,5% per una coppia monoreddito con due figli. Il fisco della Confederazione è però favorevole anche alla famiglia con due figli e dove lavorano entrambi i genitori, con una pressione fiscale al 12,6% se il secondo salario é molto basso o al 15,7%.

. il tasso di sostituzione intorno al 38 % max

Da colmare per un ulteriore 38% con la PC obbligatoria o la volontaria

La volontaria offre anche il vantaggio di combinazioni assicurative personali e famigliari che il dl 47/ 2000 ha cancellato nel n.s amato paese per far posto alla PC de voantri .
 
Ultima modifica:
A parte che il sistema svizzero ha grossi problemi di sostenibilita' per quanto riguarda le rendite del secondo pilastro, io preferisco il modello statunitense.
Questa è una leggenda metropolitana, nel frattempo un rendimento del 6, 6 te lo sogni
 
Questa è una leggenda metropolitana, nel frattempo un rendimento del 6, 6 te lo sogni
Il 6.6% delle pensioni svizzere ce le sognamo proprio perche' insostenibile. Come si fa a pagare il 6,6% annuo ad un 65enne? In un periodo di tassi reali negativi poi? Questi sono i problemi che si creano ad avere fondi pensione privati che erogano una rendita decisa con un coefficiente deciso dallo Stato, invece che con il coefficiente di mercato.

Meglio il sistema americano dove c'e' una pensione statale di base, si prende poco perche' c'e' un cap alle prestazioni ma si pagano anche pochi contributi. E una pensione integrativa che, a scelta, si gestisce da soli vendendo gradualmente il capitale accumulato durante l'eta' lavorativa o si fa gestire ad altri convertendo il capitale in rendita.
 
Anche in Italia c'è un cap sopra i 100k di reddito
 
Anche in Italia c'è un cap sopra i 100k di reddito
Un cap sopra i 100k di reddito e' come se non esistesse, non serve a niente, e' solo un intervento di facciata. In America si tagliano in modo pesante le pensioni per l'importo eccedente i 1100$ al mese (valore vicino alla soglia di poverta', in Italia l'equivalente sarebbe di circa 600 euro al mese).
 
Credo che uno statale (I) che garantisca la sopravvivenza e uno privato a capitalizzazione (II) incentivato fiscalmente ed eventualmente con employer match siano sufficienti
Io farei anche uno step successivo ed inserire la possibilità di poter comprare strumenti di propria iniziativa approvati a tal senso.
 
Io farei anche uno step successivo ed inserire la possibilità di poter comprare strumenti di propria iniziativa approvati a tal senso.
Sarebbe fantastico.
Il sistema americano.
Che poi non sarebbe del tutto estraneo anche alle nostre latitudini: così come il pir è incentivato, si potrebbe incentivare un portafogli con la clausula di tenerlo fino ai 60 anni, senza ovviamente vincoli geografici.
 
Previdenza imprevidente, l’allarme di Sergio Rizzo sul futuro delle pensioni



Previdenza imprevidente, l’allarme di Sergio Rizzo sul futuro delle pensioni​


di FERRUCCIO DE BORTOLI02 mag 2023


In un saggio, edito da Solferino, Sergio Rizzo lancia un forte allarme per il dissesto crescente dei conti dell’Inps. Il sistema è una bomba a orologeria difficile da disinnescare

Quando l’Italia era giovane e sfrontata, sicura di conquistare il futuro con la stessa facilità con cui si era lasciata alle spalle la guerra, con le sue ferite e le sue macerie, la sostenibilità della previdenza era l’ultima delle preoccupazioni. Eravamo poi uno dei Paesi più popolati al mondo. Oggi siamo uno dei più anziani. Il declino demografico è largamente sottovalutato. Si scopre, leggendo Il Titanic delle pensioni di Sergio Rizzo (editore Solferino), che fino al 1945 il sistema pensionistico era a capitalizzazione, cioè i contributi venivano versati in un fondo e poi investiti. Un po’ come fanno i fondi pensione oggi. Quelli che non riusciamo a far decollare per irrobustire il secondo pilastro della previdenza, visto che il primo, quello obbligatorio, ansima da tempo. L’Italia non era ancora stata liberata del tutto che un decreto luogotenenziale (1° marzo 1945) del governo Bonomi apriva alla ripartizione. Ovvero le prestazioni cominciarono a essere pagate anche con i contributi versati da chi era al lavoro.

Gli anziani allora erano pochi, le famiglie se ne facevano carico più facilmente. E non solo perché le pretese erano modeste. Perdurava il riflesso di una civiltà contadina nella quale le famiglie convivevano nelle cascine, si davano una mano reciproca in condomini affollati di bimbi verso i quali c’era più tolleranza di oggi. La forte immigrazione interna, dal Sud verso il Nord, dall’Est — che non era ancora il Nord Est industriale e ricco di oggi — verso l’Ovest del triangolo industriale, ne rivoluzionò composizioni e abitudini. Il saldo migratorio cambierà di segno solo nel 1975, quando l’eccezionale sviluppo del dopoguerra rallenterà inesorabilmente. Fino ad allora erano più gli italiani che cercavano lavoro all’estero, riversando le loro rimesse ai parenti rimasti in patria, degli stranieri immigrati da noi.

Un sistema pensionistico a ripartizione non creava apparentemente alcun problema in un’Italia con tante persone al lavoro e relativamente poche in quiescenza. La previdenza divenne però, con il passare degli anni, un formidabile strumento di welfare reale e di immediato consenso politico. Nel 1969, il governo Rumor scelse definitivamente il sistema a ripartizione. Le pensioni di anzianità consentivano già di lasciare il lavoro con 35 anni di contributi, indipendentemente dall’età. Nel 1973 arrivò la versione più audace, quella delle baby pensioni che consentivano di ritirarsi anche con meno di 35 anni.

«Una follia costata alla collettività — scrive Rizzo — 250 miliardi, per non parlare dell’impatto sulla scuola pubblica risultato devastante». Cominciò, in quel decennio disgraziato, l’assalto corporativo al sistema pensionistico che ne avrebbe minato la sostenibilità. Ma chi mai avrebbe potuto opporsi al riconoscimento di contributi figurativi a favore di servitori dello Stato, di categorie disagiate, del grande bacino dei lavoratori agricoli, vaste categorie di votanti? O, in seguito, all’utilizzo del pensionamento anticipato per risolvere grandi crisi aziendali?
L’amara realtà che emerge dal pamphlet di Rizzo è che il concorso di colpa è stato, salvo poche eccezioni, pressoché generale. Non sempre l’essere bipartisan è un merito. In materia pensionistica, sia a livello statale ma in particolare nelle Regioni, l’uso di leggine ad hoc, provvedimenti su misura per pochi privilegiati — politici, sindacalisti — emendamenti dell’ultima ora, è stato così ricorrente dall’essere diventato, anche in tempi recenti, una pratica abituale. Con molti che volgevano e volgono lo sguardo altrove. Ogni categoria (giornalisti compresi) ha le sue colpe.
La riforma Dini del 1995 — che non a caso come quella Fornero del 2012 venne dopo una violenta crisi finanziaria — trasformò gradualmente il sistema in contributivo con assegni commisurati all’entità dei versamenti. Se all’Italia del secolo scorso, che pure cominciava a fare meno figli e a non aver più voglia di svolgere alcuni lavori umili, si poteva perdonare una sottovalutazione della bomba nascosta con miccia a lenta combustione, a quella di oggi non si può perdonare più nulla. Bisogna però avere il coraggio — come scrive Sergio Rizzo — di dire tutta la verità. Senza nascondere la testa sotto la sabbia e rinviare quella verifica statistico-attuariale sulla sostenibilità del sistema pensionistico che per legge dovrebbe essere fatta ogni tre anni. E non illudere più, con false promesse — come la fallimentare quota 100 — gli italiani.
Il sistema pensionistico in un Paese sempre più anziano — età media 48 anni, era meno di 30 anni nel 1950 — non regge. Lo segnala molto bene, con scenari inquietanti, l’ultimo Documento di economia e finanza (Def) che può essere riassunto così: solo con una forte immissione di immigrati regolari si può allargare la platea contributiva e innalzare il tasso di natalità. Com’è avvenuto in Germania e in Svezia. Non bastano gli asili nido. E non si potrà continuare a lungo — come si è fatto con la riduzione del cuneo — a scaricare sulla fiscalità generale una quota crescente di contributi, peraltro evasi in forma massiccia. L’Inps ha crediti contributivi largamente superiori ai 100 miliardi, che si è arrivati anche al punto di «rottamare». Per non parlare delle truffe (in particolare in agricoltura), dello scandalo dei falsi invalidi (la Sicilia ha il primato dei ciechi), della montagna di cause nelle quali l’Inps soccombe quasi in un caso su due.
Il quadro è desolante. Apparentemente senza soluzione di fronte a un lavoro che cambia e spesso è intermittente, precario. L’evasione fiscale e contributiva non è più tollerabile, basterebbe non assecondarla per avere risultati apprezzabili. Separare l’assistenza dalla previdenza farebbe emergere costi collettivi e individuali oggi invisibili o rimossi. Rizzo è favorevole a un sistema a capitalizzazione non solo per il secondo pilastro ma anche per il primo. Una marcia indietro di 80 anni. Ma soprattutto un bagno di umiltà in un Paese che si illude di poter vivere ancora a lungo al di sopra delle proprie possibilità.

Il volume e gli incontri​

Il libro di Sergio Rizzo Il Titanic delle pensioni. Perché lo Stato sociale sta affondando è pubblicato da Solferino (pagine 220, euro 16,50). Si tratta di un’analisi delle condizioni critiche in cui si trova il sistema previdenziale italiano, che si avvia verso il dissesto.
Sergio Rizzo presenterà il suo libro il 15 maggio nell’ambito del Prospero Festival di Monopoli (ore 21) con Vincenzo Magistà, direttore di Tele Norba. Il 19 giugno si terrà un altro incontro al Circolo dei lettori di Torino (ore 18), dove Rizzo dialogherà con Elsa Fornero.
Nato a Ivrea nel 1956, Sergio Rizzo è stato a lungo una firma del «Corriere della Sera» e poi vicedirettore di «Repubblica». Con Gian Antonio Stella ha pubblicato il bestseller La casta (Rizzoli 2007). Per Solferino nel 2022 ha pubblicato il saggio Potere assoluto
 
Non sono un esperto come Mander ma a mio avviso la prima cosa da fare in Italia è quello ti togliere all' Inps tutte le prestazioni che non siano previdenza in senso stretto e darle ad altri enti, perchè l' Italia attualmente è credo l' unico paese in Europa e forse nel primo mondo ad avere un ente previdenziale ed assistenziale insieme, il chè ha ripercussioni anche sulle casse perchè i soldi della previdenza vanno in spese assistenzialiste, cosa ahimè diabolica sotto tutti i punti di vista. L' Inps e l' Inail dovrebbero avere delle casse loro.
 
infatti sarei curioso di sapere i dati suddivisi tra previdenza e assistenza, magari poi non è così facile da separare viste le millemila particolarità in italia delle normative sempre alquanto astruse
 
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