Telecom Italia - Libera di correre

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L'articolo completo:
C’è un motivo per cui la borsa ha bocciato il piano “Free to run” di Tim: più che una ristrutturazione sembra l’anticamera della messa in stato di liquidazione.
L’ad, Pietro Labriola, ha dichiarato due obiettivi: la riduzione del debito e la sostenibilità del business.
Secondo analisti e investitori, non raggiungerà né l’uno né l’altro.
Il prezzo di vendita della rete Tim (circa 20 miliardi di euro) è inferiore agli oltre 30 miliardi che molti ritengono il suo valore effettivo.
Infatti, gli investimenti programmati e gli sviluppi tecnologici attesi ne fanno un asset fondamentale.
Inoltre, una volta alienata la rete, Tim rimarrebbe una società di vendita sostanzialmente priva di asset ma gravata da un debito elevato (superiore ai 7 miliardi di euro).
Come ha notato Stefano Cingolani sul Foglio, è improbabile – data la forte concorrenzialità e i bassi margini – che la vendita dei servizi a valle possa generare flussi di cassa sufficienti a mantenere la società in attivo.
Finora Tim non ha dato prova di saperne estrarre sufficiente valore: perché mai dovrebbe diventarne capace proprio spogliandosi del suo asset più prezioso?
Senza la rete Tim si priverà di un fattore determinante nell’offerta di servizi business alle Pmi, la cui domanda è destinata a crescere.
Questa strategia non può che condurre alla ricerca di un compratore per Tim, nella logica di un progressivo consolidamento sulla
scorta dell’accordo tra Fastweb e Vodafone.
Sul closing gravano non pochi rischi legali: sia Vivendi, sia altri azionisti di minoranza si ritengono penalizzati dall’accordo, e ne contestano la legittimità procedurale, anche alla luce del doppio ruolo di Cdp (azionista sia di Tim sia di Open Fiber).
Ci sono, poi, criticità tecniche: separare la rete è un’operazione complicata, diversamente da altri settori (quali la trasmissione di
energia elettrica e il trasporto del gas) dove il perimetro dell’infrastruttura è chiaro.
Tant’è che nessuno in Europa se lo sogna, e nel resto del mondo ci hanno provato – con risultati deludenti per i consumatori - solo l’Australia e la Nuova Zelanda.
A questo si accompagna un buco nero regolatorio: l’impalcatura normativa è pensata per disciplinare la gestione di reti controllate da imprese verticalmente integrate e in concorrenza tra di loro.
Il progetto italiano persegue invece la disintegrazione verticale per costruire un monopolio infrastrutturale (la “rete unica” o “nazionale” appunto).
E’ una terra di nessuno: come si può pensare di concludere un’operazione tanto importante senza conoscere nel dettaglio la regolazione del futuro?
E come si può disegnare la regolazione senza avere un’idea precisa della struttura del mercato risultante?
Ultimo, ma non meno importante, Tim potrebbe aver fatto i suoi conti italiani senza l’oste europeo.
Nell’immediato, non è scontato che – ai fini del controllo delle concentrazioni – l’Antitrust Ue dia il via libera alla “rete unica”.
Il tema è la fusione con Open Fiber: cioè la creazione di un quasi-monopolio dove oggi c’è concorrenza.
In prospettiva, anche il progetto di spingere Tim all’interno di un’aggregazione più grande potrebbe rivelarsi impossibile.
A torto o a ragione, si ritiene infatti che il numero di grandi operatori attivi sul mercato italiano dei servizi non dovrebbe scendere al di sotto dei tre-quattro: quando H3G e Wind si misero assieme, la Commissione subordinò il merger all’ingresso di Iliad.
Le stesse forche caudine dovranno essere superate da Vodafone e Fastweb.
A quel punto, una ulteriore concentrazione del mercato diventa una mission impossible.
A fronte di tutti questi problemi, non è chiaro il beneficio per il paese.
Anzi: ci sarebbe un enorme dispendio di risorse e denari pubblici (il Mef interverrà con 2 miliardi di euro) e privati, in un momento di rallentamento dell’economia e di sofferenza delle finanze pubbliche.
Cdp dovrebbe tirare fuori 5 miliardi di euro: è davvero l’utilizzo migliore dei soldi dei risparmiatori postali?
Davvero, per promuovere lo sviluppo del paese, non c’è di meglio che acquistare quote di capitale di imprese esistenti?
L’aspettativa è che neppure sarà sufficiente a risolvere i problemi di Tim col suo debito, senza contare che gli esuberi di circa 25 mila lavoratori, a ridosso delle elezioni europee, potrebbero infuocare ulteriormente la questione.
Eppure, un’alternativa ci sarebbe: conferire la rete all’interno di una società ad hoc, da quotare tenendo in pancia a Tim del 51 per cento del capitale.
In tal modo, non vi sarebbe alcun cambiamento sostanziale nella governance del settore, quindi neppure i conseguenti ostacoli. Inoltre, Tim potrebbe incassare il fair value della rete, la
Cdp non dovrebbe sborsare miliardi preziosi e il quadro delle regole non ne sarebbe sconvolto.
Perché pretendere di seguire una via complicata, quando un risultato migliore potrebbe essere raggiunto in modo più semplice e diretto?
 
L'articolo completo:
C’è un motivo per cui la borsa ha bocciato il piano “Free to run” di Tim: più che una ristrutturazione sembra l’anticamera della messa in stato di liquidazione.
L’ad, Pietro Labriola, ha dichiarato due obiettivi: la riduzione del debito e la sostenibilità del business.
Secondo analisti e investitori, non raggiungerà né l’uno né l’altro.
Il prezzo di vendita della rete Tim (circa 20 miliardi di euro) è inferiore agli oltre 30 miliardi che molti ritengono il suo valore effettivo.
Infatti, gli investimenti programmati e gli sviluppi tecnologici attesi ne fanno un asset fondamentale.
Inoltre, una volta alienata la rete, Tim rimarrebbe una società di vendita sostanzialmente priva di asset ma gravata da un debito elevato (superiore ai 7 miliardi di euro).
Come ha notato Stefano Cingolani sul Foglio, è improbabile – data la forte concorrenzialità e i bassi margini – che la vendita dei servizi a valle possa generare flussi di cassa sufficienti a mantenere la società in attivo.
Finora Tim non ha dato prova di saperne estrarre sufficiente valore: perché mai dovrebbe diventarne capace proprio spogliandosi del suo asset più prezioso?
Senza la rete Tim si priverà di un fattore determinante nell’offerta di servizi business alle Pmi, la cui domanda è destinata a crescere.
Questa strategia non può che condurre alla ricerca di un compratore per Tim, nella logica di un progressivo consolidamento sulla
scorta dell’accordo tra Fastweb e Vodafone.
Sul closing gravano non pochi rischi legali: sia Vivendi, sia altri azionisti di minoranza si ritengono penalizzati dall’accordo, e ne contestano la legittimità procedurale, anche alla luce del doppio ruolo di Cdp (azionista sia di Tim sia di Open Fiber).
Ci sono, poi, criticità tecniche: separare la rete è un’operazione complicata, diversamente da altri settori (quali la trasmissione di
energia elettrica e il trasporto del gas) dove il perimetro dell’infrastruttura è chiaro.
Tant’è che nessuno in Europa se lo sogna, e nel resto del mondo ci hanno provato – con risultati deludenti per i consumatori - solo l’Australia e la Nuova Zelanda.
A questo si accompagna un buco nero regolatorio: l’impalcatura normativa è pensata per disciplinare la gestione di reti controllate da imprese verticalmente integrate e in concorrenza tra di loro.
Il progetto italiano persegue invece la disintegrazione verticale per costruire un monopolio infrastrutturale (la “rete unica” o “nazionale” appunto).
E’ una terra di nessuno: come si può pensare di concludere un’operazione tanto importante senza conoscere nel dettaglio la regolazione del futuro?
E come si può disegnare la regolazione senza avere un’idea precisa della struttura del mercato risultante?
Ultimo, ma non meno importante, Tim potrebbe aver fatto i suoi conti italiani senza l’oste europeo.
Nell’immediato, non è scontato che – ai fini del controllo delle concentrazioni – l’Antitrust Ue dia il via libera alla “rete unica”.
Il tema è la fusione con Open Fiber: cioè la creazione di un quasi-monopolio dove oggi c’è concorrenza.
In prospettiva, anche il progetto di spingere Tim all’interno di un’aggregazione più grande potrebbe rivelarsi impossibile.
A torto o a ragione, si ritiene infatti che il numero di grandi operatori attivi sul mercato italiano dei servizi non dovrebbe scendere al di sotto dei tre-quattro: quando H3G e Wind si misero assieme, la Commissione subordinò il merger all’ingresso di Iliad.
Le stesse forche caudine dovranno essere superate da Vodafone e Fastweb.
A quel punto, una ulteriore concentrazione del mercato diventa una mission impossible.
A fronte di tutti questi problemi, non è chiaro il beneficio per il paese.
Anzi: ci sarebbe un enorme dispendio di risorse e denari pubblici (il Mef interverrà con 2 miliardi di euro) e privati, in un momento di rallentamento dell’economia e di sofferenza delle finanze pubbliche.
Cdp dovrebbe tirare fuori 5 miliardi di euro: è davvero l’utilizzo migliore dei soldi dei risparmiatori postali?
Davvero, per promuovere lo sviluppo del paese, non c’è di meglio che acquistare quote di capitale di imprese esistenti?
L’aspettativa è che neppure sarà sufficiente a risolvere i problemi di Tim col suo debito, senza contare che gli esuberi di circa 25 mila lavoratori, a ridosso delle elezioni europee, potrebbero infuocare ulteriormente la questione.
Eppure, un’alternativa ci sarebbe: conferire la rete all’interno di una società ad hoc, da quotare tenendo in pancia a Tim del 51 per cento del capitale.
In tal modo, non vi sarebbe alcun cambiamento sostanziale nella governance del settore, quindi neppure i conseguenti ostacoli. Inoltre, Tim potrebbe incassare il fair value della rete, la
Cdp non dovrebbe sborsare miliardi preziosi e il quadro delle regole non ne sarebbe sconvolto.
Perché pretendere di seguire una via complicata, quando un risultato migliore potrebbe essere raggiunto in modo più semplice e diretto?
E già...facile a parlare dietro una scrivania....il problema di Tim e di tutti i telefonici sono le leggi...che non ci sono...e che sopratutto permettono a Facebook....instagram...Amazon....etc.etc. di sfruttare la rete senza pagare un soldo...questo è il vero problema. Loro si arricchiscono...e la rete è gratis. Diciamo come se fosse una società con centinaia di migliaia di camion che traporta merce in autostrada ma che non paga pedaggio!
 
I soliti fenomeni che si svegliano all'ultimo...quotare un'azienda come la rete, in queste condizioni, in cui di fatto si quota un'azienda che nasce indebitata...vedrebbe davvero una corsa all'investimento!
Una trattativa one to one con chi invece è pronto a comprare il debito perchè ha un piano di investimenti più ampio pronto, che fornisce subito liquidità e garantisce anche condizioni di favore, è kamikaze.
Notoriamente, infatti, TIM ha come primo business l'infrastruttura! Io dico, va bene che la stampa va dove gli chiedono, ma un filo di qualità anche negli articoli di parte sarebbe dovuta!
 
L'articolo completo:
C’è un motivo per cui la borsa ha bocciato il piano “Free to run” di Tim: più che una ristrutturazione sembra l’anticamera della messa in stato di liquidazione.
L’ad, Pietro Labriola, ha dichiarato due obiettivi: la riduzione del debito e la sostenibilità del business.
Secondo analisti e investitori, non raggiungerà né l’uno né l’altro.
Il prezzo di vendita della rete Tim (circa 20 miliardi di euro) è inferiore agli oltre 30 miliardi che molti ritengono il suo valore effettivo.
Infatti, gli investimenti programmati e gli sviluppi tecnologici attesi ne fanno un asset fondamentale.
Inoltre, una volta alienata la rete, Tim rimarrebbe una società di vendita sostanzialmente priva di asset ma gravata da un debito elevato (superiore ai 7 miliardi di euro).
Come ha notato Stefano Cingolani sul Foglio, è improbabile – data la forte concorrenzialità e i bassi margini – che la vendita dei servizi a valle possa generare flussi di cassa sufficienti a mantenere la società in attivo.
Finora Tim non ha dato prova di saperne estrarre sufficiente valore: perché mai dovrebbe diventarne capace proprio spogliandosi del suo asset più prezioso?
Senza la rete Tim si priverà di un fattore determinante nell’offerta di servizi business alle Pmi, la cui domanda è destinata a crescere.
Questa strategia non può che condurre alla ricerca di un compratore per Tim, nella logica di un progressivo consolidamento sulla
scorta dell’accordo tra Fastweb e Vodafone.
Sul closing gravano non pochi rischi legali: sia Vivendi, sia altri azionisti di minoranza si ritengono penalizzati dall’accordo, e ne contestano la legittimità procedurale, anche alla luce del doppio ruolo di Cdp (azionista sia di Tim sia di Open Fiber).
Ci sono, poi, criticità tecniche: separare la rete è un’operazione complicata, diversamente da altri settori (quali la trasmissione di
energia elettrica e il trasporto del gas) dove il perimetro dell’infrastruttura è chiaro.
Tant’è che nessuno in Europa se lo sogna, e nel resto del mondo ci hanno provato – con risultati deludenti per i consumatori - solo l’Australia e la Nuova Zelanda.
A questo si accompagna un buco nero regolatorio: l’impalcatura normativa è pensata per disciplinare la gestione di reti controllate da imprese verticalmente integrate e in concorrenza tra di loro.
Il progetto italiano persegue invece la disintegrazione verticale per costruire un monopolio infrastrutturale (la “rete unica” o “nazionale” appunto).
E’ una terra di nessuno: come si può pensare di concludere un’operazione tanto importante senza conoscere nel dettaglio la regolazione del futuro?
E come si può disegnare la regolazione senza avere un’idea precisa della struttura del mercato risultante?
Ultimo, ma non meno importante, Tim potrebbe aver fatto i suoi conti italiani senza l’oste europeo.
Nell’immediato, non è scontato che – ai fini del controllo delle concentrazioni – l’Antitrust Ue dia il via libera alla “rete unica”.
Il tema è la fusione con Open Fiber: cioè la creazione di un quasi-monopolio dove oggi c’è concorrenza.
In prospettiva, anche il progetto di spingere Tim all’interno di un’aggregazione più grande potrebbe rivelarsi impossibile.
A torto o a ragione, si ritiene infatti che il numero di grandi operatori attivi sul mercato italiano dei servizi non dovrebbe scendere al di sotto dei tre-quattro: quando H3G e Wind si misero assieme, la Commissione subordinò il merger all’ingresso di Iliad.
Le stesse forche caudine dovranno essere superate da Vodafone e Fastweb.
A quel punto, una ulteriore concentrazione del mercato diventa una mission impossible.
A fronte di tutti questi problemi, non è chiaro il beneficio per il paese.
Anzi: ci sarebbe un enorme dispendio di risorse e denari pubblici (il Mef interverrà con 2 miliardi di euro) e privati, in un momento di rallentamento dell’economia e di sofferenza delle finanze pubbliche.
Cdp dovrebbe tirare fuori 5 miliardi di euro: è davvero l’utilizzo migliore dei soldi dei risparmiatori postali?
Davvero, per promuovere lo sviluppo del paese, non c’è di meglio che acquistare quote di capitale di imprese esistenti?
L’aspettativa è che neppure sarà sufficiente a risolvere i problemi di Tim col suo debito, senza contare che gli esuberi di circa 25 mila lavoratori, a ridosso delle elezioni europee, potrebbero infuocare ulteriormente la questione.
Eppure, un’alternativa ci sarebbe: conferire la rete all’interno di una società ad hoc, da quotare tenendo in pancia a Tim del 51 per cento del capitale.
In tal modo, non vi sarebbe alcun cambiamento sostanziale nella governance del settore, quindi neppure i conseguenti ostacoli. Inoltre, Tim potrebbe incassare il fair value della rete, la
Cdp non dovrebbe sborsare miliardi preziosi e il quadro delle regole non ne sarebbe sconvolto.
Perché pretendere di seguire una via complicata, quando un risultato migliore potrebbe essere raggiunto in modo più semplice e diretto?
Buon giorno a tutti, ma viene da pensare come mai un progetto del genere non sia venuto in mente agli interessati senza contare a tutti gli inconvenienti che potrebbero venire fuori; o siamo in mano a degli incompetenti o a dei pazzi da legare.
 
TIM e la sua rete... mi ricorda la situazione di una ricca ereditiera che del grande impero di famiglia non resta che il castello con i suoi 100 servitori e alcune galline tra cui una che fa uova d'oro. Il castello senza spese di manutenzione andrà in rovina e finirà con il valere sempre meno, ma non ha piu soldi per tenere il Castello in piedi a meno di vendere qualche gallina per tirare avanti ancora un po, o chissà persino quella dalle uova d'oro. Intanto riceve da un agenzia specializzata la "Cat & Fox fund" di New York un offerta di circa 20miliardi di fiorini, il 30% inferiore a quel valore che il suo defunto marito le aveva messo in testa: "cara, se dovessi rimanere sola con il maniero, ricorda che non vale meno di 30 miliardi di fiorini". Cosi ci pensa ci ripensa... il debito per pagare gl iinnumerevoli servitori sale, le galline fanno uova sempre piu piccole, tranne quella dalle uova d'oro, quella no continua a farne sempre di più grandi di un bell'oro lucente con il quale paga gli stipendi ai servitori. Inoltre le fattorie vicine vendono uova a prezzi sempre più bassi. La fattoria Iliade addirittura era entrata nel mercato offrendo 100uova a 5 euro al mese, per sempre. roba da matti.
Ripensa all'offerta ricevuta, In tanti anni era stata l'unica , e inizia a convincersi che si il castello vale 30 milardi di fiorini ma bisogna spendercene almeno 10 per la ristrutturazione quindi l'offerta di 20 dovrebbe essere congrua, chissà cosa direbbe il suo defunto marito.... Non ci dorme la notte, litiga con i figli sul da farsi, alla fine ingaggia un consulente: VOI.
Che cosa consigliereste alla vedova?
 
Ultima modifica:
Buon giorno a tutti, ma viene da pensare come mai un progetto del genere non sia venuto in mente agli interessati senza contare a tutti gli inconvenienti che potrebbero venire fuori; o siamo in mano a degli incompetenti o a dei pazzi da legare.
guardi @enea48 , a proposito il buon Bastianini pare in gran ripresa!, la risposta è semplice: un'azienda del genere non è appetibile sul mercato visto che TIM punta a "scaricarci" sopra debito e personale. E' un pacchetto che va necessariamente gestito in trattativa privata, viste le implicazioni che ha.
Piuttosto viene da chiedersi...ma visto che la vendita NetCo è decisa da oltre tre anni, addirittura per un anno c'è stato un MoU esclusivo p per venderlo allo Stato...come mai si svegliano tutti ora che è stato trovato un compratore e il deal arriva a compimento??
A me sembra dia quasi fastidio che TIM provi una strada per ripartire...
 
L'articolo completo:
C’è un motivo per cui la borsa ha bocciato il piano “Free to run” di Tim: più che una ristrutturazione sembra l’anticamera della messa in stato di liquidazione.
L’ad, Pietro Labriola, ha dichiarato due obiettivi: la riduzione del debito e la sostenibilità del business.
Secondo analisti e investitori, non raggiungerà né l’uno né l’altro.
Il prezzo di vendita della rete Tim (circa 20 miliardi di euro) è inferiore agli oltre 30 miliardi che molti ritengono il suo valore effettivo.
Infatti, gli investimenti programmati e gli sviluppi tecnologici attesi ne fanno un asset fondamentale.
Inoltre, una volta alienata la rete, Tim rimarrebbe una società di vendita sostanzialmente priva di asset ma gravata da un debito elevato (superiore ai 7 miliardi di euro).
Come ha notato Stefano Cingolani sul Foglio, è improbabile – data la forte concorrenzialità e i bassi margini – che la vendita dei servizi a valle possa generare flussi di cassa sufficienti a mantenere la società in attivo.
Finora Tim non ha dato prova di saperne estrarre sufficiente valore: perché mai dovrebbe diventarne capace proprio spogliandosi del suo asset più prezioso?
Senza la rete Tim si priverà di un fattore determinante nell’offerta di servizi business alle Pmi, la cui domanda è destinata a crescere.
Questa strategia non può che condurre alla ricerca di un compratore per Tim, nella logica di un progressivo consolidamento sulla
scorta dell’accordo tra Fastweb e Vodafone.
Sul closing gravano non pochi rischi legali: sia Vivendi, sia altri azionisti di minoranza si ritengono penalizzati dall’accordo, e ne contestano la legittimità procedurale, anche alla luce del doppio ruolo di Cdp (azionista sia di Tim sia di Open Fiber).
Ci sono, poi, criticità tecniche: separare la rete è un’operazione complicata, diversamente da altri settori (quali la trasmissione di
energia elettrica e il trasporto del gas) dove il perimetro dell’infrastruttura è chiaro.
Tant’è che nessuno in Europa se lo sogna, e nel resto del mondo ci hanno provato – con risultati deludenti per i consumatori - solo l’Australia e la Nuova Zelanda.
A questo si accompagna un buco nero regolatorio: l’impalcatura normativa è pensata per disciplinare la gestione di reti controllate da imprese verticalmente integrate e in concorrenza tra di loro.
Il progetto italiano persegue invece la disintegrazione verticale per costruire un monopolio infrastrutturale (la “rete unica” o “nazionale” appunto).
E’ una terra di nessuno: come si può pensare di concludere un’operazione tanto importante senza conoscere nel dettaglio la regolazione del futuro?
E come si può disegnare la regolazione senza avere un’idea precisa della struttura del mercato risultante?
Ultimo, ma non meno importante, Tim potrebbe aver fatto i suoi conti italiani senza l’oste europeo.
Nell’immediato, non è scontato che – ai fini del controllo delle concentrazioni – l’Antitrust Ue dia il via libera alla “rete unica”.
Il tema è la fusione con Open Fiber: cioè la creazione di un quasi-monopolio dove oggi c’è concorrenza.
In prospettiva, anche il progetto di spingere Tim all’interno di un’aggregazione più grande potrebbe rivelarsi impossibile.
A torto o a ragione, si ritiene infatti che il numero di grandi operatori attivi sul mercato italiano dei servizi non dovrebbe scendere al di sotto dei tre-quattro: quando H3G e Wind si misero assieme, la Commissione subordinò il merger all’ingresso di Iliad.
Le stesse forche caudine dovranno essere superate da Vodafone e Fastweb.
A quel punto, una ulteriore concentrazione del mercato diventa una mission impossible.
A fronte di tutti questi problemi, non è chiaro il beneficio per il paese.
Anzi: ci sarebbe un enorme dispendio di risorse e denari pubblici (il Mef interverrà con 2 miliardi di euro) e privati, in un momento di rallentamento dell’economia e di sofferenza delle finanze pubbliche.
Cdp dovrebbe tirare fuori 5 miliardi di euro: è davvero l’utilizzo migliore dei soldi dei risparmiatori postali?
Davvero, per promuovere lo sviluppo del paese, non c’è di meglio che acquistare quote di capitale di imprese esistenti?
L’aspettativa è che neppure sarà sufficiente a risolvere i problemi di Tim col suo debito, senza contare che gli esuberi di circa 25 mila lavoratori, a ridosso delle elezioni europee, potrebbero infuocare ulteriormente la questione.
Eppure, un’alternativa ci sarebbe: conferire la rete all’interno di una società ad hoc, da quotare tenendo in pancia a Tim del 51 per cento del capitale.
In tal modo, non vi sarebbe alcun cambiamento sostanziale nella governance del settore, quindi neppure i conseguenti ostacoli. Inoltre, Tim potrebbe incassare il fair value della rete, la
Cdp non dovrebbe sborsare miliardi preziosi e il quadro delle regole non ne sarebbe sconvolto.
Perché pretendere di seguire una via complicata, quando un risultato migliore potrebbe essere raggiunto in modo più semplice e diretto?
Si ma gli ingenti investiti miliardari sulla rete chi li fa? Telecom nn ha la capacita' e quindi il rischio di ADC in quel caso sarebbe pari al 100% delle possibilita',certo il titolo ripartirebbe con basi solide dopo adc e quotazione 49% rete ma a vantaggio di chi?

Noi piccoli riprendiamo tim e TORNIAMO a COMANDARE! vedi link
 
Ultima modifica:
Un ADC azzererebbe le posizione del 99% del reteil che ,quando va di lusso ,e' in perdita del 20% minimo ma a volte ,considerando le mediature nel tempo ,di percentuali ben al di sopra del 50%, e nn hanno ulteriore liquidita' ,a vantaggio dei pescecani dell'ultimo minuti che faranno un sol boccone dei piccolini e li priverebbero di titoli di una societa' che potrebbe ripartire bene a quel punto
 
guardi @enea48 , a proposito il buon Bastianini pare in gran ripresa!, la risposta è semplice: un'azienda del genere non è appetibile sul mercato visto che TIM punta a "scaricarci" sopra debito e personale. E' un pacchetto che va necessariamente gestito in trattativa privata, viste le implicazioni che ha.
Piuttosto viene da chiedersi...ma visto che la vendita NetCo è decisa da oltre tre anni, addirittura per un anno c'è stato un MoU esclusivo p per venderlo allo Stato...come mai si svegliano tutti ora che è stato trovato un compratore e il deal arriva a compimento??
A me sembra dia quasi fastidio che TIM provi una strada per ripartire...
Bastianini enea nn mi pare ancorta pronto x il mondiale moto gp,troppo incostante
 
TIM e la sua rete... mi ricorda la situazione di una ricca ereditiera che del grande impero di famiglia non resta che il castello con i suoi 100 servitori e alcune galline tra cui una che fa uova d'oro. Il castello senza spese di manutenzione andrà in rovina e finirà con il valere sempre meno, ma non ha piu soldi per tenere il Castello in piedi a meno di vendere qualche gallina per tirare avanti ancora un po, o chissà persino quella dalle uova d'oro. Intanto riceve da un agenzia specializzata la "Cat & Wolf fund" di New York un offerta di circa 20miliardi di fiorini, il 30% inferiore a quel valore che il suo defunto marito le aveva messo in testa: "cara, se dovessi rimanere sola con il maniero, ricorda che non vale meno di 30 miliardi di fiorini". Cosi ci pensa ci ripensa... il debito per pagare gl iinnumerevoli servitori sale, le galline fanno uova sempre piu piccole, tranne quella dalle uova d'oro, quella no continua a farne sempre di più grandi di un bell'oro lucente con il quale paga gli stipendi ai servitori. Inoltre le fattorie vicine vendono uova a prezzi sempre più bassi. La fattoria Iliade addirittura era entrata nel mercato offrendo 100uova a 5 euro al mese, per sempre. roba da matti.
Ripensa all'offerta ricevuta, In tanti anni era stata l'unica , e inizia a convincersi che si il castello vale 30 milardi di fiorini ma bisogna spendercene almeno 10 per la ristrutturazione quindi l'offerta di 20 dovrebbe essere congrua, chissà cosa direbbe il suo defunto marito.... Non ci dorme la notte, litiga con i figli sul da farsi, alla fine ingaggia un consulente: VOI.
Che cosa consigliereste alla vedova?
E bravo Attila . Metafora perfettamente Calzata. Aggiungo che tutte le Agenzie Immobiliari escluse dalla trattativa stanno terribilmente inCavolate sai cone funziona le provvigioni sulla vendita fanno gola e Esclusiva data Rode er.... hahahaga . Avanti forse il prossimo anno ci portano la fibra quella vera in soggiorno. Buona Pasqua .
 
fineco news....sui nostri nuovi soci..mi sembra vadano d'accordo con la ministra del turismo....

Battistoni: a rischio default (MF)
Oggi 08:20 - MF-DJ
ROMA (MF-NW)--Il collegio sindacale di Battistoni - societa'' romana proprietaria del celebre negozio di abbigliamento maschile in via Condotti, presieduta da Francesco Capodiferro e di proprieta'' di Alessandro Barnaba, a capo del fondo Merlyn recentemente balzato agli onori delle cronache per un contropiano su Tim - ha bocciato il bilancio 2022 approvato dai soci pochi giorni fa e chiuso con una perdita di 4,1 milioni di euro (e rinviata a nuovo), peggiore del passivo di 1,4 milioni del precedente esercizio a fronte di ricavi invariati a 1,3 milioni. Per i sindaci la rappresentazione 2022 della situazione patrimoniale e finanziaria non e'' ne'' veritiera ne'' corretta. Il giudizio ha indotto il tribunale di Roma a respingere la richiesta di misure protettive avanzata dall''azienda nei confronti di creditori come Agenzia delle Entrate, Inps, Inail, Banca Sella, Simest e Ama Roma che a vario titolo sono coinvolti in procedure esecutive nei confronti dell''azienda. Quella del tribunale e'' una misura severa che potrebbe aprire la strada addirittura alla liquidazione. (Milanofinanza.it)
 
Bastianini enea nn mi pare ancorta pronto x il mondiale moto gp,troppo incostante
OT: anche per me è presto, ma anche Bagnaia il primo anno ebbe una crescita esponenziale in poco tempo...certamente Enea la moto la ha, la classe anche e, a parte Bagnaia appunto, è l'unico Italiano in un mare spagnolo! Fine OT
 
TIM e la sua rete... mi ricorda la situazione di una ricca ereditiera che del grande impero di famiglia non resta che il castello con i suoi 100 servitori e alcune galline tra cui una che fa uova d'oro. Il castello senza spese di manutenzione andrà in rovina e finirà con il valere sempre meno, ma non ha piu soldi per tenere il Castello in piedi a meno di vendere qualche gallina per tirare avanti ancora un po, o chissà persino quella dalle uova d'oro. Intanto riceve da un agenzia specializzata la "Cat & Wolf fund" di New York un offerta di circa 20miliardi di fiorini, il 30% inferiore a quel valore che il suo defunto marito le aveva messo in testa: "cara, se dovessi rimanere sola con il maniero, ricorda che non vale meno di 30 miliardi di fiorini". Cosi ci pensa ci ripensa... il debito per pagare gl iinnumerevoli servitori sale, le galline fanno uova sempre piu piccole, tranne quella dalle uova d'oro, quella no continua a farne sempre di più grandi di un bell'oro lucente con il quale paga gli stipendi ai servitori. Inoltre le fattorie vicine vendono uova a prezzi sempre più bassi. La fattoria Iliade addirittura era entrata nel mercato offrendo 100uova a 5 euro al mese, per sempre. roba da matti.
Ripensa all'offerta ricevuta, In tanti anni era stata l'unica , e inizia a convincersi che si il castello vale 30 milardi di fiorini ma bisogna spendercene almeno 10 per la ristrutturazione quindi l'offerta di 20 dovrebbe essere congrua, chissà cosa direbbe il suo defunto marito.... Non ci dorme la notte, litiga con i figli sul da farsi, alla fine ingaggia un consulente: VOI.
Che cosa consigliereste alla vedova?
Direi CAT & FOX...
Comunque metafora perfetta, aggiungo anche che il compratore accetta anche di prendersi carico di domestici, personale, anche che vengano caricate one off spese di altre magioni e permette di comprare le uova a prezzo calmierato a ereditiera e famiglia per sempre...
 
E bravo Attila . Metafora perfettamente Calzata. Aggiungo che tutte le Agenzie Immobiliari escluse dalla trattativa stanno terribilmente inCavolate sai cone funziona le provvigioni sulla vendita fanno gola e Esclusiva data Rode er.... hahahaga . Avanti forse il prossimo anno ci portano la fibra quella vera in soggiorno. Buona Pasqua .
eggià...pero' ci sono solo due castelli dove si fanno i matrimoni ...e entrambi sono messi male....e guarda caso il socio che li possederà alla fine sarà lo stesso.....anche lui potrebbe essere interessato a darci una manina visto che ci saranno matrimoni anche in futuro e visto che in italia vendere asset quando sei in difficoltà non dà tante garanzie al futuro compratore...ci sono articoli del cc che dicono..è vietato approffitare di gente in difficoltà......
 
sta aspita di chiusura su Sparke che è una gallina che caca soltanto al momento e non si prevedono uova per i prox anni....
Noi seguiamo la cronaca e le cose note . Invece i grossi strappi sono sempre arrivati senza preavviso .

Credo che anche il prossimo che ci porterà fuori da questo laterale sarà così
 
Stato
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