Media e tlc. Il colosso francese ha il 22,9% di Mediaset e il 23,75% di Tim Sfida aperta su entrambi i fronti, in gioco il futuro delle tv e della rete
C’è un comune denominatore tra il destino del riassetto di Tim e il futuro di Mediaforeurope. E parla francese. Si tratta del gruppo Vivendi, azionista di riferimento delle due società con una quota pressoché identica (22,9% in Mfe e 23,75% in Tim) e, numeri alla mano, interlocutore chiave della famiglia Berlusconi da un lato e della Cdp del Governo dall’altro, nel quadro di due dossier che per motivi differenti rappresentano oggi le priorità del sistema economico e politico del Paese.
Con una presenza complessiva nelle due società target che in Borsa vale 1,6 miliardi, e con perdite potenziali che hanno raggiunto in termini aggregati il valore di 3,7 miliardi – si possono calcolare in oltre 700 milioni per Mediaset e 3 miliardi per Tim – il gruppo francese che fa capo al finanziere bretone Vincent Bolloré sta giocando oggi la partita più delicata in terra italiana: creare le condizioni per recuperare parte delle perdite su entrambi gli investimenti con la massima valorizzazione degli asset o con nuovi progetti industriali.
E proprio in questa seconda categoria di “soluzioni”, si inserisce un dossier che circola nelle sale operative e che avrebbe il vantaggio di sistemare in un colpo solo le due partite finanziare del momento: Tim e MediaForEurope, appunto. Il piano, raccontano negli ambienti finanziari, punterebbe alla fusione di MediaforEurope con la parte dei servizi di Tim, quella che in pratica resterebbe dopo la cessione della Rete. Tale soluzione risolverebbe due questioni: il futuro industriale e proprietario di Mfe, con la famiglia Berlusconi che in continuità resterebbe azionista di riferimento di un gruppo più grande e industrialmente più articolato, e la posizione di Vivendi, che potrebbe così rinunciare ai 31 miliardi di richiesta per la rinuncia a Netco in cambio di una operazione industriale a cui i francesi guarderebbero da tempo con favore. Non è la prima volta che se ne parla. Lo stesso ad di Mfe, Pier Silvio Berlusconi, nel 2018 fu chiaro, rispondendo a margine alle domande dei giornalisti durante la tradizionale presentazione dei palinsesti: l’interesse per Tim «è fuori dal nostro navigatore: molti anni fa si era pensato, me è un treno che è passato».
Continuità o cessione
Quel che è però agli atti è che Mediaset, oggi diventata Mfe, due anni fa è stata oggetto di un grande accordo con Vivendi. Intesa che tuttavia non è stata ancora perfezionata. Il compromesso raggiunto ha interrotto cinque anni di scontri con la famiglia Berlusconi, con la “promessa”, non appena le condizioni di mercato lo avessero consentito, dell’uscita di Vivendi dal capitale del gruppo salvo una piccola quota inferiore al 5 per cento. Nella lunga storia dell’investimento in Mediaset da parte di Vivendi, spiccano i numeri: i francesi hanno speso 1,26 miliardi nel 2016 per conquistare il pacchetto del 28 per cento. Il prezzo medio era di 3,7 euro per azione: valore che si confronta con 1,3 euro per azione (sommando i valori delle Mfe A e B) di oggi. Una prima tranche, pari al 5%, è stata venduta a un prezzo medio di 2,7 euro per azione. Ma il grosso del pacchetto, dunque l’attuale 22,9%, esprime oggi un valore in Borsa di appena 400 milioni. A conti fatti, dunque, la minusvalenza potenziale è di 700 milioni.
Oggi la struttura del controllo vede Fininvest che può contare sul 50% di Mfe, mentre Vivendi ha un 4,5% diretto e il 19,19% trasferito nel 2018 a Simon Fiduciaria, il trust del gruppo Ersel, che in base al patto verrà progressivamente venduto in 5 anni, a tranche di circa il 4% ogni anno. Finora però, a distanza di due anni da quell’armistizio, Vivendi è rimasta salda al suo posto. Poco o nulla è stato ceduto. Certo il mercato non ha creato le condizioni favorevoli per il disimpegno, eppure in tanti hanno letto e leggono tale scelta con la volontà del gruppo francese di temporeggiare in vista di potenziali riassetti famigliari, oggi d’attualità. L’uscita di scena del Cavaliere spianerà forse la strada per un ridimensionamento di Fininvest nel capitale di Mfe a favore del gruppo transalpino? O insieme, l’asse italo-francese si consoliderà intorno a un nuovo progetto industriale?
Il progetto paneuropeo
Anche ieri i titoli Mfe hanno rifiatato (-2,44% le Mfe B e -3,90 le Mfe A) dopo la sbornia delle prime due sedute (lunedì e martedì) seguite alla notizia della morte di Silvio Berlusconi. Da Fininvest, prima, e da Pier Silvio Berlusconi poi, in questi giorni sono arrivati segnali di continuità per il business televisivo del gruppo. Il cui futuro, secondo l’ad e vicepresidente Mfe, è legato a doppio filo a un progetto di espansione internazionale che dovrà passare attraverso la Spagna (e qui il lavoro è stato completato inglobando la controllata Mediaset España) e la Germania. Il versante tedesco resta nei fatti quello più caldo ora, con l’avvicinarsi della data del 30 giugno, quando l’assemblea di Prosiebensat, di cui Mfe ha quasi il 30% alle soglie dell’Opa, nominerà quattro dei 9 componenti del Supervisory board. Qui si appresta a far entrare Katharina Behrends, direttore generale delle attività di Mfe in Germania. La partecipazione ha assicurato dividendi, che però si sono sostanzialmente azzerati riguardo al dato 2022. A questo punto occorrerà capire quali saranno le prossime mosse. Ma dalle indiscrezioni che circolano a Cologno sarebbero molto concentrati sul dossier e, dice al Sole 24 Ore una fonte vicina al gruppo, «pronti a fare tutto quello che serve».
La partita sulla rete Tim
Chiaro che Vivendi potrebbe in questo quadro trovare soddisfazione anche dall’essere all’interno di una realtà con progetti di espansione e, nel frattempo, con una politica di dividendi che ha portato a una cedola di 5 centesimi per azione quest’anno per gli azionisti Mfe. Rivestire il ruolo del socio silente, magari con un occhio sempre pronto a cogliere possibili movimenti di avvicinamento da Cologno, può non essere considerato un cattivo affare.
È invece sull’altra partita, quella che vede i francesi impegnati in quanto azionisti di Tim, che la media company transalpina può far tutto tranne che star ferma. L’ex monopolista delle Tlc in Italia si trova in questo momento a uno snodo cruciale per la vendita di Netco (rete e Sparkle). Lunedì è prevista una prima riunione del cda Tim che farà da preludio a quella del 22 giugno che, stando al calendario stabilito dallo stesso board, dovrebbe essere decisiva per capire se e in che direzione avviare la vendita dell’asset. Le proposte non vincolanti sul tavolo sono due: da Kkr e da Cdp-Macquarie. Su entrambe però i francesi hanno posto seccamente il veto invitando il cda a bocciare definitivamente e a passare a un’altra fase. È da mesi che il primo azionista Tim sta evidenziando il suo diniego ritenendo i valori in gioco quelli di una “svendita”. L’alternativa? Mai spiegata ufficialmente anche se si è capito che i francesi preferirebbero un take private, puntando comunque a far propria la parte rimanente di servizi (ServCo). La saga Tim però insegna (è da sempre così) che le posizioni in campo di forza e di debolezza si scambiano repentinamente. E a Luciano Carta, candidato al cda indicato da Vivendi per sostituire il dimissionario Arnaud de Puyfontaine, è stato preferito Alessandro Pansa, nome tirato fuori all’ultimo dal comitato nomine. Impossibile per Vivendi non leggerla come una mossa ostile. Si vedrà se e come vorrà reagire, fra le minacce di convocazione di assemblea o comunque l’indicazione della bocciatura che proporrà con la sua forza di primo socio.
«Non abbiamo ancora visto le offerte, quando si gestisce un dossier complesso come questo devi essere fiducioso del fatto che le cose debbano e possano andare bene», ha detto ieri l’amministratore delegato di Tim, Pietro Labriola, a margine di Telco per l’Italia, aggiungendo che «noi dobbiamo risollevare questa azienda. Abbiamo un piano A e un piano B, dobbiamo lavorare per cercare di raggiungere gli obiettivi e soddisfare tutti gli azionisti». Telefonate dal socio di maggioranza Vivendi dopo la mancata nomina di Luciano Carta a consigliere? «Non ho ricevuto nessuna chiamata, non so gli altri 13» del board. Quel che è certo che il dossier rete si avvia al dunque fra 19 e 22 giugno. E chissà che dalle parti di Vivendi non guardino al loro essere alle prese con il pantano Tim come a una leva negoziale in cambio di un lasciapassare politico su Mfe. Sempre che un domani la famiglia Berlusconi cambiasse idea sulla vendita.