Che tristezza questi sinistri radic chic....
Alfonso GianniDirettore della Fondazione Cercare Ancora
Le Lacrime di Coccodrillo di Letta e la Tobin tax
Pubblicato: 18/12/2013 14:37
Campagna ZeroZeroCinque, Leonardo Becchetti, Lobby Finanziaria, Commissione Bilancio, Crisi Economica, Legge Di Stabilità, Governo Letta, Titoli Derivati, Tobin Tax, Notizie
Nei giorni scorsi si potevano leggere su diversi giornali frasi e titoli di questo genere: "In Italia la legge Tobin è stata un fallimento". In effetti quella che avrebbe dovuto essere una misura per tassare con un aliquota modestissima le transazioni finanziarie a scopo speculativo, ha finora garantito un introito molto inferiore alle attese, determinando un buco di bilancio di circa 800 milioni di euro.
Seguivano poi gli immancabili commenti secondo cui sarebbe del tutto impossibile e vano utilizzare l'arma dell'imposizione fiscale per mettere un po' di briglie al mercato finanziario internazionale e in particolare al suo lato più smaccatamente speculativo. Mettere un "granello di sabbia", come la Tobin tax, negli ingranaggi della speculazione finanziaria sarebbe un'illusione da anime buone ma ingenue.
Naturalmente questi commenti sorvolavano sul fatto che la ragione dell'effettivo fallimento non derivava dall'inapplicabilità dell'idea, concepita per la prima volta quarant'anni or sono dal premio Nobel James Tobin, ma dal modo con cui la norma era stata congegnata nel nostro paese.
Per non dare fastidio ai potentati finanziari infatti la norma attuale esclude troppe cose, fra cui i titoli derivati che secondo Mediobanca stessa vengono usati per il 99% a fini puramente speculativi e non di copertura. E' evidente che con una base imponibile così ristretta e con l'esclusione dalla tassazione proprio degli strumenti materiali con la speculazione avviene non ci si poteva aspettare esiti molto diversi. Con un'ulteriore aggravante. In questo modo vengono colpiti i trasferimenti che possono originare investimenti e si è lasciato libero spazio a quelli corsari finalizzati a realizzare guadagni speculativi nel più breve tempo possibile.
Per ovviare a questa clamorosa distorsione, a questa vera e propria eterogenesi dei fini, la Campagna ZeroZeroCinque (il nome deriva dall'aliquota con la quale si voleva originariamente applicare la tassazione), sostenuta da un amplissimo spettro di associazioni e organizzazioni della società civile, aveva elaborato un emendamento alla legge di stabilità, che in effetti è stato presentato e sostenuto da un insieme multipartitico di parlamentari. Si trattava di un emendamento molto cauto che si proponeva di ampliare la base imponibile, con l'esclusione delle operazioni di copertura, dei titoli di stato, delle successioni e delle donazioni, con un'aliquota estremamente modesta pari allo 0,01%.
Ma ancora una volta hanno prevalso le potenti lobbies finanziarie e il governo in Commissione Bilancio ha costretto i presentatori a ritirare l'emendamento, dimostrando che i pianti sul mancato introito derivante dalla attuale norma sulle tassazioni delle transazioni finanziarie, erano ipocrite lacrime di coccodrillo. Le motivazioni addotte dal governo sono come al solito prive di qualunque fondamento scientifico, o addirittura particolarmente penose. Sostenere infatti che bisogna parlarne in Europa è la solita litania che si affianca a quella sua uguale e contraria, ovvero speculare, che viene usata per le politiche di austerity "Ce lo chiede l'Europa!" .
Dire che se ne riparlerà nel 2014 è come buttare il pallone in tribuna, sperando che qualcuno lo nasconda perché non ritorni più in campo. Ha ragione Leonardo Becchetti, portavoce della Campagna ZeroZeroCinque, quando afferma che "la rottamazione di cui abbiamo bisogno non è anagrafica ma culturale". Vaste programme! direbbero i francesi e tuttavia indispensabile se si vuole combattere lo strapotere finanziario che è una delle cause della più grave crisi di tutti i tempi, almeno per quanto riguarda l'Europa.
Anche in questo caso si dimostra che il governo Letta, un tempo delle larghe ora delle medie intese, non ha la minima volontà e la forza necessarie per imporsi ai poteri della finanza e occuparsi del rilancio della economia reale. Nemmeno gli ultimi dati Istat sull'accresciuto pericolo di povertà, sull'aumento della disoccupazione, sul declino industriale e produttivo del nostro paese, riesce a distogliere l'attuale classe dirigente dalla sua linea di irresponsabile galleggiamento sulla crisi nel mito di una stabilità che oscilla tra recessione e stagnazione.
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